Anno: 2012 | Autore: GIULIO FORLEO

 

La normativa sulle discariche e il problema delle emissioni diffuse.

GIULIO FORLEO*

A seguito del protocollo di Kyoto e della direttiva europea EPER (European Pollutant Emission Register), la valutazione delle emissioni di gas serra (Green House Gases) nelle discariche è diventata una questione molto importante.
Infatti, in virtù della direttiva EPER, tutti gli Stati membri della UE sono tenuti a mantenere
inventari dei dati sulle emissioni prodotte da specifiche fonti industriali e a comunicare le emissioni dai singoli impianti alla Commissione europea. La presente direttiva riguarda le discariche che ricevono oltre 10 t rifiuti / giorno.
Inoltre, una migliore quantificazione delle emissioni di gas serra potrebbe aiutare nella negoziazione di commercio dei crediti di carbonio, già avviato in diversi paesi.
Molti paesi sviluppati hanno preso di mira il recupero di metano nella discarica tra le strategie di mitigazione dei gas serra, essendo il metano il secondo gas serra più importante dopo l’anidride carbonica. Si tratta di recupero di metano in discarica attraverso sistemi ingegnerizzati in grado di fornire sia benefici ambientali e di energia riducendo le emissioni di superficie e in grado di fornire un’alternativa delle risorse energetiche.
Ci sono diversi fattori che contribuiscono ad incrementare la  quantità di metano nell’atmosfera. Tra questi si ricordano le zone umide naturali e le fonti antropiche, come i ruminanti, la produzione di riso, la combustione della biomassa, le perdite di combustibile fossile, e lo smaltimento in discarica dei rifiuti solidi1.
Il contributo totale del metano al riscaldamento globale (“positive climate forcing”) negli ultimi 150 anni è pari al 40% di quello del biossido di carbonio2.
Le discariche sono state identificate come una delle maggiori fonti di emissione di metano nell’atmosfera3, con una quota di circa l’11% del totale del metano prodotto da fonti antropiche4.
Le stime attuali suggeriscono che l’emissione annuale di metano dalle discariche a livello globale è tra i 14-40 Tg, tenendo in considerazione le stime dei rifiuti solidi posti in discarica, della quantità di metano generato, e di quello immesso nelle reti di captazione.
Proprio per evitare questa tipologia di fenomeni, fu adottata la direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti con il manifesto intento di prevenire e ridurre gli effetti negativi delle discariche di rifiuti sull’ambiente, in particolare sulle acque superficiali, sulle acque freatiche, sul suolo, sull’atmosfera e sulla salute umana.
La direttiva stabilisce requisiti tecnici stringenti per le discariche, obblighi specifici per l’accettazione dei rifiuti nelle discariche, e introduce delle categorie di discariche distinte a seconda dei rifiuti da smaltire.
La stessa direttiva obbliga gli Stati membri ad assicurare che le discariche siano gestite previo rilascio di autorizzazioni da parte delle autorità nazionali competenti.
Una delle disposizioni fondamentali fissa gli obiettivi di una graduale riduzione dei flussi di rifiuti urbani biodegradabili conferiti in discarica per ridurre le emissioni di metano5  unita a prescrizioni tecniche per la cattura e il trattamento dei gas prodotti nelle discariche.
Prima, però, di analizzare le norme tecniche dettate dalla direttiva al fine di ridurre le emissioni di metano è necessario valutare, in generale, il grado di “applicazione reale” in Italia delle prescrizioni europee sulle discariche.

Il D.L.vo  n. 36 del 2003 e il problema della accettabilità dei rifiuti in discarica (le novità introdotte dal D.M. 27 settembre 2010).

Il primo passo da compiere per comprendere l’impatto che una discarica potrebbe avere con l’ambiente circostante (aria, suolo, acqua) e studiare il modo per ridurlo al minimo, è certamente quello di andare a vedere quali tipologie di rifiuti possono esservi conferite.
Con l’emanazione del D.L.vo 13 gennaio 2003, n. 366  di recepimento della direttiva 1999/31/CE del Consiglio del 26 aprile 1999 relativa alle discariche di rifiuti, è stata introdotta nell’ordinamento nazionale una disciplina del tutto nuova in merito alla gestione delle discariche.
L’attuazione della direttiva, sia pure avvenuta con ritardo7, ha consentito di colmare un vuoto legislativo che perdurava da anni, consentendo il superamento delle norme tecniche previgenti in materia di discariche e risalenti alla Deliberazione del Comitato interministeriale 27 luglio 19848, ora espressamente abrogate (unitamente al DM 11 marzo 1998, n. 1419) dall’art. 17 dello stesso D.L.vo n. 36/2003.
Con il decreto legislativo n. 36/2003 si è inteso, dunque, dettare norme uniformi per la gestione delle discariche, con una serie di specifiche prescrizioni finalizzate al rilascio del titolo autorizzativo alla costruzione e all’esercizio degli impianti nonché allo svolgimento delle operazioni di chiusura.
Una delle maggiori novità è stata la nuova classificazione delle discariche recata dall’art. 4 del D.L.vo n. 36/2003, secondo cui le discariche si inquadrano nelle seguenti categorie:
a)    discarica per rifiuti inerti;
b)    discarica per rifiuti non pericolosi;
c)    discarica per rifiuti pericolosi.
Anche dalla terminologia utilizzata in questa nuova classificazione emerge con chiarezza come la finalità principale è sempre quella di garantire che l’ambiente non rimanga deturpato o inquinato da sostanze pericolose i cui effetti possono verificarsi sia durante l’intero ciclo di vita della discarica, sia nella fase c.d. post operativa, successiva alla chiusura.
Contrariamente, però, al suddetto ordine di priorità dettato dalla disciplina europea, tra le numerose problematiche presentatesi nella fase iniziale della vigenza del D.L.vo 36/2003 quella rimasta più a lungo irrisolta è stata proprio la previsione di nuovi limiti di accettabilità dei rifiuti in discarica.
Sebbene, infatti, il decreto 36/2003 individuasse all’art. 6, ben 14 categorie di rifiuti non ammessi in discarica e stabilisse un preciso divieto di diluire o miscelare i rifiuti al solo fine di renderli conformi ai criteri di ammissibilità, per l’individuazione dei criteri di ammissibilità esso rinviava, con l’art. 7 comma 5, alla adozione di un apposito decreto interministeriale.
Al fine di rendere effettivamente operativa la nuova disciplina veniva quindi emanato il D.M. 13 marzo 2003 recante Criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica, il quale però era stato elaborato solo sulla base dell’Allegato II della direttiva, senza tener conto delle ulteriori e più esaustive indicazioni fornite dalla Decisione 2003/33/CE del 19 dicembre 2002, nel frattempo assunta dall’Unione europea.
I governi succedutisi nel tempo hanno prorogato, di volta in volta, con i famosi “decreti omnibus”, la data di entrata in vigore delle nuove norme relative alle condizioni e ai limiti di accettabilità dei rifiuti in discarica, fino all’adozione del vigente D.M. 27 settembre 2010, che ha reso maggiormente rispondente ai disposti comunitari il Decreto di recepimento della Decisione 2033/33/CE del Consiglio del 19 dicembre 200210.
Con quest’ultimo decreto ministeriale, il legislatore, riproponendo sostanzialmente quanto previsto dal D.M. 3 agosto 2005, mai entrato totalmente in vigore per le continue proroghe a cui è stato sottoposto, ha affrontato il problema, molto sentito nella prassi, del limite di concentrazione del DOC (Carbonio Organico Disciolto) nelle varie tipologie di rifiuti, che limitava fortemente l’accettabilità dei rifiuti nelle discariche.
 In particolare con la tabella 5 (Limiti di concentrazione nell’eluato per l’accettabilità in discariche per rifiuti non pericolosi) ha previsto che il limite di concentrazione per il DOC non si applica alle seguenti tipologie di rifiuti:
a.      fanghi prodotti dal trattamento e dalla preparazione di alimenti individuati dai codici dell’elenco europeo dei rifiuti 020301, 020305, 020403, 020502, 020603, 020705, fanghi e rifiuti derivanti dalla produzione e dalla lavorazione di polpa carta e cartone (codici dell’elenco europeo dei rifiuti 030301, 030302, 030305, 030307, 030308, 030309, 030310, 030311 e 030399), fanghi prodotti dal trattamento delle acque reflue urbane (codice dell’elenco europeo dei rifiuti 190805) e fanghi delle fosse settiche (200304), purché trattati mediante processi idonei a ridurne in modo consistente l’attività biologica11 12;
b.    fanghi individuati dai codici dell’elenco europeo dei rifiuti 040106, 040107, 040220, 050110, 050113, 070112, 070212, 070312, 070412, 070512, 070612, 070712, 170506, 190812, 190814, 190902, 190903, 191304, 191306, purchè trattati mediante processi idonei a ridurre in modo consistente il contenuto di sostanze organiche13;
c.    rifiuti prodotti dal trattamento delle acque reflue urbane individuati dai codici dell’elenco europeo dei rifiuti 190801 e 190802;
d.    rifiuti della pulizia delle fognature (200306);
e.     rifiuti prodotti dalla pulizia di camini e ciminiere individuati dal codice dell’elenco europeo dei rifiuti 200141;
f.    rifiuti derivanti dal trattamento meccanico (ad esempio selezione) individuati dai codici 191210 e 191212 e dal trattamento biologico, individuati dal codice 190501;
g.     rifiuti derivanti dal trattamento biologico dei rifiuti urbani, individuati dai codici 190503, 190604 e 190606, purchè sia garantita la conformità con quanto previsto dai Programmi regionali di cui all’articolo 5 del D. Lgs. 36/2003 e presentino un indice di respirazione dinamico (determinato secondo la norma UNI/TS 11184) non superiore a 1000 mgO2 /kgSVh.
Altra novità di rilievo è la previsione da parte del D.M. 27 settembre 2010 di alcune deroghe ai valori limite per i parametri specifici fissati agli articoli 5,6,8 e 9 dello stesso decreto per stabilire l’ammissibilità, o meno, dei rifiuti in discarica.
In particolare sono ammessi valori limite più elevati qualora:
a) sia effettuata una valutazione di rischio, con particolare riguardo alle emissioni della discarica, che, tenuto conto dei limiti per i parametri specifici previsti dal presente decreto, dimostri che non esistono pericoli per l’ambiente in base alla valutazione dei rischi;
b) l’autorità territorialmente competente conceda un’autorizzazione presa, caso per caso, per rifiuti specifici per la singola discarica, tenendo conto delle caratteristiche della stessa discarica e delle zone limitrofe;
c) i valori limite autorizzati per la specifica discarica non superino, per più del triplo, quelli specificati per la corrispondente categoria di discarica e, limitatamente al valore limite relativo al parametro TOC nelle discariche per rifiuti inerti, il valore limite autorizzato non superi, per più del doppio, quello specificato per la corrispondente categoria di discarica.
In assenza dell’indicazione delle condizioni per la concessione di tali deroghe si ritiene che l’Autorità competente potrà procedere in tal senso solo in casi limitati in cui, per particolari tipologie di rifiuti, il Gestore della discarica dimostri l’impossibilità di rispettare i criteri di ammissibilità individuati dallo stesso Decreto Ministeriale 27/09/2010 anche a seguito di un eventuale trattamento. Pertanto, con un criterio di applicazione graduale delle deroghe, la concessione di sottocategorie ai sensi dell’articolo 7 del DM 27/09/201014  dovrà essere valutata solo nel caso in cui le caratteristiche dei rifiuti non rispettino neanche i criteri di ammissibilità previsti dall’articolo 10 del medesimo decreto ministeriale15.
Per quanto attiene, infine, alle procedure per l’ammissione dei rifiuti, queste sono disciplinate dall’art. 11 del D.L.vo n. 36/2003.

Nozione di discarica.

Altra importante novità introdotta dal D.L.vo 36 del 2003, sempre nell’ottica della discarica come impianto controllato per ridurre al minimo il suo impatto ambientale, è  la definizione per la prima volta del concetto di discarica.
Prima di tale intervento legislativo, nell’ambito del D.L.vo n. 22/1997, il legislatore non aveva dato nessuna definizione di discarica, all’infuori dell’operazione di smaltimento classificata D1 (deposito sul suolo o nel suolo).
Sebbene a tale mancanza avessero sopperito in parte dottrina e giurisprudenza16, solo con l’art. 2 del D.L.vo n. 36/2003, quindi, l’ordinamento si è dotato di una vera e propria nozione di discarica nel senso di “area adibita a smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo, compresa la zona interna al luogo di produzione dei rifiuti adibita allo smaltimento dei medesimi da parte del produttore degli stessi, nonché qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno. Sono esclusi da tale definizione gli impianti in cui i rifiuti sono scaricati al fine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero, trattamento o smaltimento, e lo stoccaggio di rifiuti in attesa di recupero o trattamento per un periodo inferiore a tre anni come norma generale, o lo stoccaggio di rifiuti in attesa di smaltimento per un periodo inferiore a un anno”.
Ciò non ha impedito alla giurisprudenza, in sede però di accertamento del reato di realizzazione o gestione di discarica non autorizzata previsto dall’art. 256, comma 3, T.U.A., di precisare ulteriormente tale descrizione.
Innanzitutto la giurisprudenza di legittimità ha in più occasioni17  specificato che per la configurabilità del reato di costituzione di una discarica, non è necessario che l’accumulo sussista per almeno un anno. Il riferimento alla durata annuale contenuto nell’articolo 2 comma 1 lettera g) del decreto legislativo n. 36 del 2003 è riferito al deposito temporaneo nel senso che questo si trasforma automaticamente in discarica se l’accumulo dei rifiuti nel luogo di produzione si protrae oltre l’anno. Ciò significa che una discarica non cessa di essere tale se viene scoperta e smantellata dagli inquirenti due o tre mesi dopo la sua costituzione.
In secondo luogo, si è fatta chiarezza proprio sulla distinzione tra un deposito temporaneo e regolare di rifiuti e una discarica abusiva.
Sul punto la suprema Corte18  ha rilevato che gli elementi che integrano il fatto criminoso di gestione di discarica abusiva, escludendo la configurabilità del cosiddetto deposito temporaneo o regolare, sono, da un lato, l’abbandono di rifiuti “alla rinfusa” e non per categorie omogenee (come invece previsto dall’art. 183, comma primo, lett. m del T.U.A.19), dall’altro lato, la violazione delle ulteriori prescrizioni attualmente poste dall’art. 183, lett. bb) del T.U.A..
In realtà, per essere più precisi, una volta stabilito che si tratta di un deposito non caratterizzato dai requisiti fissati dalla legge, potrebbero realizzarsi, secondo i casi20:

a) una raccolta preliminare prodromica ad un’operazione di smaltimento, sanzionata dall’art. 256, 1° comma, del T.U.A. (già art. 51 del D.L.vo n. 22/1997)21;

b) una messa in riserva in attesa di recupero, anch’essa prevista dall’art. 256, 1° comma, T.U.A. (già art. 51 del D.L.vo n. 22/1997)22;

c) un deposito incontrollato od abbandono, sanzionato amministrativamente o penalmente, secondo i casi, dagli artt. 255 e 256, 2° comma, T.U.A. (già artt. 50 e 51, 2° comma, del D.L.vo n. 22/1997) quando i rifiuti non siano destinati ad operazioni di smaltimento o di recupero;

d) una discarica abusiva, sanzionata dall’art. 256, 3° comma, del T.U.A. (già art. 51, 3° comma, del D.L.vo n. 22/1997), quando l’abbandono risulti reiterato nel tempo e rilevante in termini spaziali e quantitativi23.

Gli elementi ritenuti, inoltre, essenziali dalla giurisprudenza per configurare una “discarica abusiva” sono:
–    l’accumulo ripetuto e non occasionale di rifiuti in una determinata area;
–    il degrado (anche solo tendenziale) dell’area stessa, consistente nell’alterazione permanente dello stato dei luoghi, per effetto della presenza dei rifiuti24 (requisito che è certamente integrato nel caso in cui sia consistente la quantità di rifiuti depositati abusivamente25  e quando il deposito sia risalente nel tempo;
–    la definitività dell’abbandono dei rifiuti medesimi o di parti di essi26;
La realizzazione di una discarica, inoltre, può configurarsi pure in difetto di una specifica organizzazione di persone e di mezzi. L’art. 2. comma 1 lett. g), del decreto legislativo 13.1.2003 n. 36, infatti, nel dettare i criteri atti a individuare la nozione di “discarica” non richiede nessun apparato organizzato di uomini e mezzi, essendo sufficiente che un’area sia adibita a smaltimento dei rifiuti mediante deposito sul suolo o nel suolo27.
E’ solo la gestione di una discarica (quale attività autonoma successiva alla realizzazione, che può essere compiuta dallo stesso autore di quest’ultima o da altri soggetti) che richiede, infatti, l’attivazione di un’organizzazione, anche se rudimentale, di persone e cose diretta al funzionamento della discarica medesima28.
Accertata l’attività di realizzazione e/o gestione di una discarica abusiva il secondo passo da compiere è quello di individuare il responsabile della condotta illecita.
Sul punto bisogna tener conto del fatto che i reati di realizzazione e gestione di una discarica abusiva, così quello di deposito incontrollato di rifiuti, hanno indubbia natura commissiva29.
Tali reati, infatti, non possono configurarsi nel mero mantenimento della discarica o dello stoccaggio da altri realizzati, pur in assenza di qualsiasi partecipazione attiva e in base alla sola consapevolezza della loro esistenza30.
Non è sufficiente, pertanto, ad integrare il reato di cui all’art. 256, commi 2 o 3, T.U.A. la mera consapevolezza da parte del possessore di un fondo del fenomeno di abbandono sul medesimo di rifiuti da parte di terzi senza che risulti accertato il concorso, a qualsiasi titolo, del predetto possessore del fondo con gli autori del fatto.
 Nel nostro sistema penale, infatti, una condotta omissiva può dar luogo a responsabilità solo nel caso in cui ricorrano gli estremi dell’art. 40, secondo comma, cod. pen., e cioè quando il soggetto abbia l’obbligo giuridico di impedire l’evento31 .
Siccome il destinatario della norma penale che punisce la realizzazione e gestione di discarica abusiva è il gestore dell’impianto di raccolta e non il proprietario del terreno sul quale si attua lo smaltimento di rifiuti speciali non autorizzato, quest’ultimo  potrebbe concorrere come estraneo nel reato proprio commesso dal gestore solo quando il concorso esterno materiale (cogestione di fatto) o morale (istigazione, rafforzamento, agevolazione) si realizzi con condotta commissiva, ovvero con condotta omissiva – in linea teorica – ma sempre che il «non agere» si innesti in uno specifico obbligo giuridico di impedire l’evento.
Sulla base di quanto detto, dunque, è evidente come non dia luogo alla configurabilità dei reati in questione, la condotta di chi avendo la disponibilità di un’area sulla quale altri abbiano abbandonato rifiuti si limiti a non attivarsi perché questi ultimi vengano rimossi32.
Anche, nel caso vi sia una compravendita di un terreno sul quale erano già stati raccolti dal venditore rifiuti, il reato in questione non può essere integrato, a carico del compratore, neanche sotto il profilo che, trattandosi di reato permanente, esso debba essere addebitato a colui che, pur non avendo concorso nell’attività di accumulazione di rifiuti, abbia acquistato la proprietà del terreno ove gli stessi si trovino33.
In linea con quanto detto, inoltre, la buona fede dell’agente deve essere valutata in relazione non allo stato dell’area bensì alla attività criminosa, consistente nella condotta commissiva di abbandono dei rifiuti.
Anche nell’eventuale adozione di una misura cautelare reale l’accertamento del periculum in mora consiste nella concreta ed attuale possibilità che l’agente continui a reiterare l’attività criminosa contestata, ossia che continui ad abbandonare in modo incontrollato rifiuti sul terreno, e non già nella possibilità che non tolga i rifiuti esistenti, non avendone allo stato l’obbligo.
Da ultimo, bisogna ricordare che laddove si decida di rivolgere un’ordinanza sindacale di rimozione dei rifiuti anche contro il proprietario di un terreno, adibito a discarica da parte di terzi, invito domino è doverosa la comunicazione d’avvio del procedimento, così come è doveroso, ai sensi dell’art. 192 comma 3° del T.U.A., effettuare l’accertamento, da parte dei soggetti preposti al controllo, in contraddittorio con i proprietari ovvero con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area; nel contempo è richiesto un accertamento – in positivo – dei presupposti del dolo o della colpa del proprietario del terreno, o del titolare di altro diritto reale o personale di godimento dell’area, non essendo sufficiente, ai fini della prova di tale indefettibile elemento psicologico, la mera deduzione, da parte della P. A. procedente, di una generica violazione dell’obbligo di vigilanza34.

Il sistema di autorizzazioni di cui al D.L.vo 36 del 2003.

Chiarita e circoscritta, dunque, la nozione di discarica e viste le conseguenze delle attività abusive che non rientrano in tale descrizione, è ora opportuno occuparsi della vita amministrativa della discarica e delle conseguenze civili e penali della violazione delle specifiche prescrizioni amministrative che regolano la sua gestione.
Come anticipato sopra, la stessa direttiva 1999/31/CE obbligava gli Stati membri ad assicurare che le discariche fossero gestite previo rilascio di autorizzazioni da parte delle autorità nazionali competenti.
Il legislatore italiano con gli artt. 8-10 del D.L.vo n. 36 del 2003 ha, in realtà, disciplinato e integrato quanto previsto in generale, in tema di A.I.A. dagli artt. 29 bis35  T.U.A e, relativamente all’autorizzazione unica, dall’art. 208 T.U.A., ovvero:
a) il contenuto della domanda di autorizzazione per la costruzione e l’esercizio di una discarica;
b) le condizioni per il rilascio dell’autorizzazione;
c) il contenuto del provvedimento autorizzatorio.

Fra le novità di maggior rilievo, rispetto al previgente assetto normativo costituito dagli artt. 27 e 28 del Decreto Ronchi, vi sono, senza dubbio, le dettagliate informazioni che il richiedente è tenuto a presentare sotto forma di piani, che si distinguono in:
–    piano di gestione operativa, nel quale devono essere individuati i criteri e le misure tecniche adottate per la gestione della discarica e le modalità di chiusura della stessa;
–    piano di gestione post-operativa, nel quale sono definiti i programmi di sorveglianza e controllo successivi alla chiusura;
–    piano di sorveglianza e controllo, nel quale devono essere indicate tutte le misure necessarie per prevenire rischi d’incidenti causati dal funzionamento della discarica e per limitarne le conseguenze, sia in fase operativa che post-operativa, con particolare riferimento alle precauzioni adottate a tutela delle acque dall’inquinamento provocato da infiltrazioni di percolato nel terreno e alle altre misure di prevenzione e protezione contro qualsiasi danno all’ambiente;
–    piano di ripristino ambientale del sito a chiusura della discarica, nel quale devono essere previste le modalità e gli obiettivi di recupero e sistemazione della discarica in relazione alla destinazione d’uso prevista dell’area stessa.
Da ultimo, l’art. 12 del D.L.vo 36 del 2003 detta specifiche disposizioni per la procedura di chiusura della discarica, o di una parte di essa.
In particolare:
–    la discarica, o una parte della stessa, è considerata definitivamente chiusa solo dopo che l’ente territoriale competente al rilascio dell’autorizzazione ha eseguito un’ispezione finale sul sito, ha valutato tutte le relazioni presentate dal gestore e comunicato a quest’ultimo l’approvazione della chiusura;
–    anche dopo la chiusura definitiva della discarica, il gestore è responsabile della manutenzione, della sorveglianza e del controllo nella fase di gestione post-operativa, per tutto il tempo durante il quale la discarica può comportare rischi per l’ambiente.

Il problema delle emissioni diffuse.

Premesso che le prescrizioni amministrative, stante la peculiare natura dell’attività di gestione di una discarica ed il suo potenziale impatto peggiorativo sulla qualità dell’ambiente circostante, non esauriscono il novero delle regole comportamentali dovute dal gestore di una discarica, esse certamente costituiscono il più importante parametro per garantire la tutela dei diritti fondamentali della persona – tra cui quello alla salute, garantito dall’art. 32 Cost. – oltre che dei diritti patrimoniali che potrebbero essere pregiudicati dalla gestione di una discarica.
Da qui discende l’attenzione per i dettagli che caratterizza, come visto sopra, tutto il sistema di autorizzazioni di questi impianti e, in particolar modo, le prescrizioni relative alla gestione dei gas prodotti dalle discariche.
E’ già la direttiva 31/1999/CE a mettere in cima alle sue priorità la graduale riduzione dei flussi di rifiuti urbani biodegradabili conferiti in discarica per ridurre le emissioni di metano unita a prescrizioni tecniche per la cattura e il trattamento dei gas prodotti nelle discariche.
In particolare al punto 4 dell’allegato I della direttiva si può leggere che:
4.1. Si devono adottare misure adeguate per controllare l’accumulo e la migrazione dei gas della discarica (allegato III).
4.2. Il gas della discarica deve essere raccolto da tutte le discariche che raccolgono rifiuti biodegradabili, trattato e utilizzato. Qualora il gas raccolto non possa essere utilizzato per produrre energia, deve essere combusto.
4.3. La raccolta, il trattamento e l’utilizzazione del gas della discarica di cui al punto 4.2 devono essere effettuati in modo tale da ridurre al minimo il danneggiamento o il degrado dell’ambiente e il rischio per la salute delle persone
”.
In piena sintonia con detti indirizzi anche il legislatore italiano nel D.L.vo 36 del 2003 ha provveduto con sufficiente grado di dettaglio a disciplinare il fenomeno dei gas della discarica, prevedendo al punto 2.5 dell’Allegato 1 che “Le discariche che accettano rifiuti biodegradabili devono essere dotate di impianti per l’estrazione dei gas che garantiscano la massima efficienza di captazione e il conseguente utilizzo energetico.
La gestione del biogas deve essere condotta in modo tale da ridurre al minimo il rischio per l’ambiente e per la salute umana; l’obiettivo è quello di non far percepire la presenza della discarica al di fuori di una ristretta fascia di rispetto.
Poiché il naturale assestamento della massa dei rifiuti depositati può danneggiare il sistema di estrazione del biogas, è indispensabile un piano di mantenimento dello stesso, che preveda anche l’eventuale sostituzione dei sistemi di captazione deformati in modo irreparabile.
È inoltre indispensabile mantenere al minimo il livello del percolato all’interno dei pozzi di captazione del biogas, per consentirne la continua funzionalità, anche con sistemi di estrazione del percolato eventualmente formatosi; tali sistemi devono essere compatibili con la natura di gas esplosivo, e rimanere efficienti anche nella fase post-operativa.
Il sistema di estrazione del biogas deve essere dotato di sistemi per l’eliminazione della condensa; l’acqua di condensa può essere eccezionalmente reimmessa nel corpo della discarica.
Il gas deve essere di norma utilizzato per la produzione di energia, anche a seguito di un eventuale trattamento, senza che questo pregiudichi le condizioni di sicurezza per la salute dell’uomo e per l’ambiente.
Nel caso di impraticabilità del recupero energetico la termodistruzione del gas di discarica deve avvenire in idonea camera di combustione a temperatura T > 850°, concentrazione di ossigeno ≥ 3% in volume e tempo di ritenzione ≥ 0,3 s.
Il sistema di estrazione e trattamento del gas deve essere mantenuto in esercizio per tutto il tempo in cui nella discarica è presente la formazione del gas e comunque per il periodo necessario, come indicato all.articolo 13, comma 2”.
A tali prescrizioni si aggiungono poi quelle dettate per il piano di sorveglianza e controllo della discarica, il quale, relativamente alle emissioni gassose e alla qualità dell’aria (punto 5.4 dell’allegato II), dovrebbe prevedere che “Per le discariche dove sono smaltiti rifiuti biodegradabili e rifiuti contenenti sostanze che possono sviluppare gas o vapori deve esser previsto un monitoraggio delle emissioni gassose, convogliate e diffuse, della discarica stessa, in grado di individuare anche eventuali fughe di gas esterne al corpo della discarica stessa.
A tal proposito il Piano deve definire livelli di guardia relativamente alla presenza del gas di discarica all’esterno della discarica, anche nel suolo e nel sottosuolo, nonché contenere un piano d’intervento da realizzare ed attivare in caso di superamento degli stessi.
I parametri di monitoraggio sul gas di discarica devono comprendere almeno CH4, CO2, O2, con regolarità mensile, altri parametri quali: H2, H2S, polveri totali, NH3, mercaptani e composti volatili in relazione alla composizione dei rifiuti. Si deve provvedere, inoltre, a caratterizzare quantitativamente il gas di discarica.
La frequenza di tali misure deve essere quella indicata dalla tabella 2, salvo una diversa prescrizione dell’autorità di controllo.
L’autorità di controllo stabilirà anche eventuali misure per l’identificazione di migrazioni del gas nel suolo e nel sottosuolo.
La valutazione dell’impatto provocato dalle emissioni diffuse della discarica deve essere effettuata con modalità e periodicità da definirsi in sede di autorizzazione. Il numero e l’ubicazione dei siti di
prelievo dipendono dalla topografia dell’area da monitorare. Di norma è opportuno prevedere almeno due punti di prelievo lungo la direttrice principale del vento dominante nel momento del campionamento, a monte e a valle della discarica.

E’ proprio tra queste disposizioni, perfettamente in linea con la direttiva europea, però, che si individua inaspettatamente  una grave criticità (mancanza) della normativa italiana, con riferimento al problema delle emissioni diffuse di gas serra prodotto dalle discariche.
Il riferimento è all’espressione generica di cui al punto 5.4 dell’allegato II, il quale prescrive che “il Piano deve definire livelli di guardia relativamente alla presenza del gas di discarica all’esterno della discarica, anche nel suolo e nel sottosuolo, nonché contenere un piano d’intervento da realizzare ed attivare in caso di superamento degli stessi”.
A tale manifestazione d’intenti, infatti, non segue alcuna indicazione da parte del legislatore circa i limiti per le emissioni diffuse, e in particolare per le emissioni diffuse di CH4.
Il totale affidamento del problema (di non poco conto, visti gli effetti sull’ambiente del CH4) alla autonomia di scelta del privato e alla approvazione dell’amministrazione autorizzatrice, ha di fatto portato ad una totale “deregulation” del fenomeno con assenza di qualsiasi parametro-soglia di riferimento per le emissioni diffuse di CH4 in sede di autorizzazione alla gestione dell’impianto.
Sul punto va chiarito che, ai sensi dell’art. 268, comma 1, lett. d) T.U.A. si intendono emissioni diffuse, tutte quelle emissioni di effluenti gassosi non convogliate attraverso uno o più appositi punti36.
Inoltre, è bene precisare che il controllo della qualità dell’aria (riguardante le emissioni diffuse) è un tipo di monitoraggio differente dalla valutazione delle emissioni convogliate (per le quali la direttiva IPPC dà un valore soglia37) e sicuramente non può essere considerato alternativo.
Per sopperire a tale mancanza, in attesa che il legislatore adotti delle linee guida in tal senso, è stato proposto dagli addetti al settore di prendere come punto di riferimento i limiti proposti dalla normativa inglese “Landfill directive LFTGN07: Guidance on monitoring landfill gas surface emissions”.
Si sono mosse in tal senso alcune ARPA, tra cui l’Arpa Abruzzo che nelle “Linee Guida per il Monitoraggio delle Discariche per rifiuti non pericolosi” ha individuato il livello di guardia che evidenzia fughe di gas dal corpo della discarica nel valore dell’1% V/V che corrisponde a circa 10000 ppm di CH4.
Bisogna ricordare, però, che fino a quando tali prescrizioni continueranno ad essere contenute solo in norme di un altro ordinamento o in delle linee guida delle Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente, l’unico strumento per renderle vincolanti è quello di inserirle nelle A.I.A. delle discariche insieme al piano di monitoraggio, così come previsto dal D.L.vo 36/2003.
Dando uno sguardo alla giurisprudenza che si è occupata del problema si scopre invece che si è scelta spesso la strada alternativa della contestazione dell’art. 674 c.p.- Getto pericoloso di cose secondo il quale “Chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti, è punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino 206 euro”.
Proprio in tal senso si è, di recente, pronunciata la Corte di cassazione38  secondo cui “non esistendo una normativa statale che prevede disposizioni specifiche e valori limite in materia di odori, con conseguente individuazione del criterio della “stretta tollerabilità” quale parametro di legalità dell’emissione, il reato di cui all’art. 674 c. p. è configurabile addirittura anche nel caso di “molestie olfattive” promananti da impianto munito di autorizzazione per le emissioni in atmosfera. L’evento del reato, infatti, consiste nella molestia, che ,nel caso sia provocata dalle emissioni di gas, fumi o vapori, prescinde dal superamento di eventuali limiti previsti dalla legge, essendo sufficiente il superamento del limite della normale tollerabilità ex art. 844 c.c. e nel caso di emissioni idonee a creare molestie alle persone rappresentate da odori, se manca la possibilità di accertare obiettivamente, con adeguati strumenti, l’intensità delle emissioni, il giudizio sull’esistenza e sulla non tollerabilità delle emissioni stesse ben può basarsi sulle dichiarazioni di testi, specie se a diretta conoscenza dei fatti, quando tali dichiarazioni non si risolvano nell’espressione di valutazioni meramente soggettive o in giudizi di natura tecnica ma consistano nel riferimento a quanto oggettivamente percepito dagli stessi dichiaranti”.

* Avvocato del Foro di Roma

1 Cfr. Bogner, J., and E. Matthews, 2003: Global methane emissions from landfills: New methodology and annual estimates 1980-1996. Global Biogeochem. Cycles, 17, no. 2, 1065.
2  Cfr. Hansen, J., Mki. Sato, A. Lacis, R. Ruedy, I. Tegen, and E. Matthews, 1998: Perspective: Climate forcings in the industrial era. Proc. Natl. Acad. Sci., 95, 12753-12758.
3  Sul punto v. Kreileman, G.J.J. and A.F. Bouwann, Computing land use emissions of greenhouse gases, Water, Air, and Soil Pollution, 76, 231-258, 1994.
4  Cfr. Boeckx P., Van Cleemput O., Villaralvo I. (1996). Methane emission from a landfill and the methane oxidation capacity of its covering soil, in: Soil Biol. Biochem. Vol. 28, No 10/11, 1397 – 1405.
5  Il considerando n. 16 della direttiva  1999/31/CE prevede che “si dovrebbero adottare misure per ridurre la quantità di gas metano prodotto dalle discariche, anche al fine di ridurre il riscaldamento globale attraverso una riduzione del collocamento a discarica di rifiuti biodegradabili e l’obbligo di introdurre un controllo dei gas prodotti nelle discariche”.
6  Tale decreto (pubblicato sulla G.U. 12 marzo 2003, n. 59 – S.O. n. 40) è stato emanato dal Governo sulla base della delega contenuta nell’art. 12 della legge 24 dicembre 2000, n. 422 (comunitaria 2000) e rinnovata dall’art. 42, comma 1 della legge 1 marzo 2002, n. 39 (comunitaria 2001), che ha prorogato il termine per la relativa attuazione al 10 aprile 2003.
Il termine previsto dalla direttiva per il recepimento negli Stati membri era fissato al 16 luglio 2001. Il tardivo recepimento da parte dell’Italia ha causato l’avvio di una procedura comunitaria di infrazione nei confronti del nostro Paese. In particolare nella sentenza emessa il 10.4.2008, la Corte di Giustizia delle Comunità europee (Seconda Sezione), nella causa C – 442/06, promossa dalla Commissione contro la Repubblica italiana, ha dichiarato e statuito che “la Repubblica italiana adottando il D.L.vo 13.1.2003 n. 36. che traspone nell’ordinamento nazionale la direttiva del Consiglio 26.4.1999, 1999/31/CE, relativa alle discariche dei rifiuti, è venuta meno agli obblighi derivanti dalla direttiva, in quanto: a) non avendo rispettato il termine biennale per la trasposizione nazionale della direttiva, non ha previsto l’applicazione delle disposizioni della direttiva relative alle discariche nuove (artt. 2-13) anche alle discariche autorizzate tra la data di scadenza del termine di trasposizione della direttiva (16.7.2001) e quella di entrata in vigore dello stesso D. L.vo 36/2003. Va notato che, appena due giorni prima della sentenza della Corte europea, il Governo italiano ha emanato il D.L. 8.4.2008 n. 59, che, con l’art. 6, ha introdotto i commi 4 bis e 4 ter dell’art. 17 del D.L.vo 36/2003, secondo cui – tra l’altro – per le discariche autorizzate appunto tra il 16.7.2001 e il 23.3.2003 il provvedimento di approvazione del piano di adeguamento alla nuova disciplina (di cui appresso) deve fissare un termine non superiore al 1.10.2008 per l’esecuzione dei lavori di adeguamento. Ma – com’è evidente – anche questa disciplina sopravvenuta non è idonea a conformare la normativa nazionale al diritto comunitario; b) non ha previsto l’applicazione dell’art. 14 lett. d) i) della direttiva, secondo cui la disciplina introdotta dalla direttiva stessa si applica anche alle discariche preesistenti di rifiuti pericolosi entro il termine di un anno dalla scadenza del termine di trasposizione, ossia a partire dal 16.7.2002.”
8  I decreti attuativi del decreto Ronchi relativi alle norme tecniche sulle nuove caratteristiche delle discariche (finalizzati alla sostituzione della citata delibera 27 luglio 1984 ) e all’individuazione puntuale dei rifiuti da recapitare nelle discariche stesse non sono infatti mai stati emanati. Ciò ha costretto il Governo, per evitare comunque difficoltà operative nella gestione dei rifiuti dovute alla mancata emanazione delle citate norme e nelle more dell’attuazione della direttiva, ad intervenire con una serie di provvedimenti di urgenza anche nei primi mesi della XIV legislatura.
In particolare, con il decreto-legge 16 luglio 2001, n. 286, convertito dalla legge 20 agosto 2001, n. 335, venne differita l’operatività del divieto di smaltimento in discarica fino all’adozione delle citate norme tecniche e comunque non oltre il 22 agosto 2002. A tale data, il Ministero dell’ambiente, piuttosto che promuovere l’emanazione di un nuovo provvedimento d’urgenza, conferì, ex articolo 5, comma 6, del decreto legislativo n. 22/1997, ai Presidenti delle Regioni un potere straordinario di proroga per il proseguimento dell’attività di smaltimento, in attesa dell’entrata in vigore del decreto di recepimento della direttiva 1999/31/CE.
9  Regolamento recante norme per lo smaltimento in discarica dei rifiuti e per la catalogazione dei rifiuti pericolosi smaltiti in discarica
10  Con tale decisione il  Consiglio europeo stabiliva i criteri e le procedure per l’ammissione dei rifiuti nelle discariche ai sensi dell’articolo 16 e dell’allegato II della direttiva 1999/31/CE.
11  La Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome con documento 11/64/CR7a/C5 (maggio 2011) ha stabilito che: “In riferimento all’esclusione della verifica del DOC, possibilità contenuta nell’asterisco (*) in calce alla tabella 5 del DM 27/09/2010 “Definizione dei criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica”, ed in particolare alla lettera a), occorre definire il significato e le modalità operative con cui valutare la frase “… purché trattati mediante processi idonei a ridurne in modo consistente l’attività biologica”. Si ritiene che le fasi depurative necessarie a garantire
la riduzione dell’attività biologica dei fanghi siano le seguenti: A. ossidazione biologica dei reflui seguita da stabilizzazione aerobica dei fanghi; B. ossidazione biologica dei reflui seguita da digestione anaerobica dei fanghi. Quindi, salvo diversa interpretazione ministeriale, si ritiene che l’esclusione della verifica del DOC possa essere applicata qualora i fanghi siano sottoposti alle fasi depurative A o B sopra evidenziate. Si precisa infine che l’attività biologica può anche essere misurata attraverso l’Indice di Respirazione Dinamico.
12  Vista l’assenza di criteri statali che chiariscano l’esatta definizione dei trattamenti di riduzione consistente dell’attività biologica e di riduzione del contenuto di sostanze organiche, nel documento “Ammissibilità dei rifiuti in discarica ai sensi del decreto ministeriale 27/09/2010 – Primi indirizzi applicativi regionali”, pubblicato nel B.U.R. Puglia n. 122 del 03-08-2011, la Regione Puglia ha ritenuto come processi idonei al trattamento da parte del produttore iniziale (avendo a riferimento le migliori tecniche disponibili di cui al Decreto Ministeriale 29/01/2007 – paragrafo F.7.2: la stabilizzazione chimica con calce; la stabilizzazione termica; la digestione aerobica; la digestione anaerobica.  Viene stabilito, inoltre, che “stante la rappresentatività dell’Indice di Respirazione Dinamico Potenziale (determinato secondo la norma UNI/TS 11184 – metodo A) quale parametro per la misurazione dell’attività biologica, la relativa riduzione consistente è garantita solo se il fango presenta un valore di IRDP non superiore a 1.000 mgO2/kgSVh (con intervallo di tolleranza del 15%) in sintonia con quanto indicato dalla DGRP 23 aprile 2009 n. 646 in materia di parametri per l’utilizzo di Rbd come materiale di copertura in discarica”.
13  Secondo il citato documento “Ammissibilità dei rifiuti in discarica (…)” della Regione Puglia, fra i parametri attraverso i quali misurare il grado di consistenza della riduzione del contenuto di sostanze organiche nell’eluato potrà essere preso in esame il COD (Chemical Oxigen Demand).
14  Fermo restando che il D.L.vo 36 del 2003 prevede all’art. 4 solo tre categorie di discariche (discarica per rifiuti inerti; discarica per rifiuti non pericolosi; discarica per rifiuti pericolosi), il recente decreto ministeriale ha stabilito all’art. 7 che le autorità competenti possono autorizzare, anche per settori confinati, le seguenti sottocategorie di discariche per rifiuti non pericolosi: a) discariche per rifiuti inorganici a basso contenuto organico o biodegradabile; b) discariche per rifiuti in gran parte organici da suddividersi in discariche considerate bireattori con recupero di biogas e discariche per rifiuti organici protrattati; c) discariche per rifiuti misti non pericolosi con elevato contenuto sia di rifiuti organici o biodegradabili che di rifiuti inorganici, con recupero di biogas.
15  In questo senso si è orientata la Regione Puglia nel documento “D.M. 27/09/2010 Criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica – Primi indirizzi Regionali”. La regione Puglia basa il proprio orientamento sulla nota tecnica dell’ISPRA alla Regione Veneto prot. 30237 del 16/09/2010 che, nella parte relativa alle indicazioni di carattere generale per la concessione delle deroghe ai criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica, fornisce utili elementi anche ai fini dell’applicazione del DM 27/09/2010 per l’autorizzazione di sottocategorie di rifiuti non pericolosi per le quali i criteri di ammissibilità vengono individuati in sede di rilascio dell’autorizzazione stessa. La nota dell’ISPRA evidenzia che “tale procedura risulta evidentemente a carattere straordinario e deve essere circoscritta a casi limitati in cui, per particolari tipologie di rifiuti, si evidenziasse l’impossibilità di rispettare i criteri di ammissibilità individuati dal decreto ministeriale, anche a seguito di un eventuale trattamento dei rifiuti in questione. Il decreto legislativo 36/2003, infatti, stabilisce all’art. 7 comma 1, che i rifiuti possono essere collocati in discarica solo dopo trattamento e che tale disposizione può essere disattesa solo nel caso di rifiuti inerti il cui trattamento non contribuisce allo smaltimento in condizioni di sicurezza, riducendo la quantità dei rifiuti o i rischi per la salute umana e l’ambiente, o non risulti indispensabile ai fini del rispetto dei limiti fissati dalla normativa vigente. A tal riguardo, va evidenziato, pertanto, che una deroga ai criteri di ammissibilità per specifiche tipologie di rifiuti e per specifici parametri deve necessariamente tenere conto del fatto che un eventuale trattamento del rifiuto non ne migliorerebbe le caratteristiche ai fini dell’ammissibilità o che anche nella migliore delle ipotesi non consentirebbe di rispettare i limiti di ammissibilità. Va, inoltre, sottolineato che gli stati membri che si avvalgono della possibilità di utilizzare deroghe per specifici parametri e per particolari tipologie di rifiuti, sono tenuti a fornire alla commissione europea informazioni dettagliate in merito alle deroghe concesse attraverso la compilazione del questionario sull’attuazione della direttiva 1999/31/CE, previsto dalla decisione 2000/738/CE. In tale ottica, la concessione di autorizzazioni in cui i limiti di ammissibilità dei rifiuti in discarica vengono derogati diffusamente per molti parametri e per molte tipologie di rifiuti potrebbe essere interpretata come una volontà da parte del soggetto autorizzante di eludere la norma consentendo uno smaltimento al di fuori dei principi esposti dalla normativa europea.”.
16  Si vedano in proposito Cass., SS.UU., 28 dicembre 1994, n. 12753; Cass. pen., sez. III, 10 gennaio 2002, Garzia; Cass. pen., sez. III, 11 ottobre 2000, Cimini; Cass. pen., sez. III, 24 settembre 2001, Bistolfi; Cass. pen., sez. III, 11 aprile 1997, Vasco.
17 v. Cass. pen., Sez. III, 08/05/2009 (Ud. 11/03/2009), Sentenza n. 19330; Cass. pen., sez. III, 29 gennaio 2009, n. 9849.
18 v. Cass. pen., sez. III,  n. 27046 del 2011 ; cfr. anche Cass. pen., sez. 3, 11 marzo 2008, n. 18364, che ha puntualizzato che, perché il deposito temporaneo di rifiuti non pericolosi, come il materiale da scavo, possa considerarsi temporaneo, e come tale lecito, è necessario, ai sensi del D.L.vo n. 22 del 1997, art. 6, lett. m), che essi siano raggruppati, in via temporanea ed alle condizioni previste dalla legge, nel luogo della loro produzione; si ha invece deposito preliminare o stoccaggio, che richiede l’autorizzazione o la comunicazione in procedura semplificata, quando non sono rispettate le condizioni previste dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6, lett. m), per il deposito temporaneo di rifiuti; pertanto, considerato che tale norma qualifica come deposito temporaneo il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti, deve concludersi che si ha invece deposito incontrollato o abbandono di rifiuti quando il raggruppamento di essi viene effettuato in luogo diverso da quello in cui i rifiuti sono prodotti e quindi fuori della sfera di controllo del produttore.
19  In precedenza era previsto dall’abrogato art. 6, comma primo, lett. m) D.L.vo. 5 febbraio 1997, n. 22.
20 Sul punto v. amplius Cass. pen., sez. III, 30.12.2009, n. 49911, Manni.
21  Cass. pen., sez. III, 17.10.2011, n. 37483 precisa che si deve escludere la configurabilità della raccolta preliminare, laddove  essa non sia stata realizzata in vista di successive operazioni di smaltimento (assolutamente vago, nel caso di specie, il riferimento a pretesi contratti stipulati con imprese di smaltimento che avrebbero “declinato temporaneamente l’incarico”)
22  Sempre Cass. pen., sez. III, 17.10.2011, n. 37483 esclude anche la configurabilità della messa in riserva, nel caso in cui manchi la prova della finalizzazione a successive operazioni di recupero.
23  Cass. pen., sez. III, 18 settembre 2008, n. 41351 mette in evidenza che “In tema di gestione dei rifiuti, integra il reato di realizzazione di discarica abusiva la condotta di accumulo di rifiuti che, per le loro caratteristiche, non risultino raccolti per ricevere nei tempi previsti una o più destinazioni conformi alla legge e comportino il degrado dell’area su cui insistono”; Cass. pen., sez. III, 30 novembre 2010, n. 42436 afferma che “L’interramento occasionale in un’area di ridotte dimensioni, (nella specie circa 10-12 mq), di pelli ed interiora di cinghiali non configura il reato di cui all’art. 256, D.L.vo 3 aprile 2006, n. 152.”
24  La giurisprudenza è consolidata sulla questione : v. ex multis Cass. pen., sez. III, 01.06.2005, n. 20499; Cass. pen., sez. III, 17.6.2004 n. 27296, MicheJetti;  Cass. pen., sez. III, 20.2.2002,  n. 6796.
25  v. in questo senso Cass. pen., sez. III,  n. 36062/2004, Tomasoni, RV. 229484.
26  Cass. pen., sez. III, 11.03.2009, n. 10711 specifica che “mancando il requisito dell’abbandono si realizza un deposito preliminare nell’attesa dello smaltimento o del recupero”.
27 In alcune sentenze (Cass. pen., sez. III, 22 novembre 2010, n. 41020; Cass. pen., sez. III, 2 luglio 2004, Pastorino) la Suprema Corte ha precisato che “In tema di gestione dei rifiuti, per configurare il più grave reato di realizzazione di una discarica senza autorizzazione occorre l’allestimento di un’area con l’effettuazione di opere, quali spianamento del terreno, apertura di accessi, sistemazione, perimetrazione o recinzione”.
28  Si vedano da ultimo Cass. pen., sez. III, 17.10.2011, n. 37483 e Cass. pen., sez. III, 22.6.2011, n. 25047.
29  Cfr. di recente Cass. pen., sez. III, n. 25047 del 2011.
30  v. Cass. pen., sez. III, 22 novembre 2010, n. 41020.
31  v. Cass. pen, sez. F., 13 agosto 2004, n. 44274, Preziosi.
32  In questo senso si veda  Cass. pen., sez. III, 3 ottobre 1997, n. 8944, Gangemi.
33  Cfr.  Cass. pen. , sez. I, 4 marzo 1999, n. 7241, Pirani.
34  Cfr. T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 7 luglio 2009, n. 1826.
35  Lo stesso articolo 29 bis T.U.A. al terzo comma stabilisce che “per le discariche da autorizzare ai sensi del presente titolo, si considerano soddisfatti i requisiti tecnici di cui al presente titolo se sono soddisfatti i requisiti tecnici di cui al decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36.
36  La direttiva 1999/13/CE definiva diffusa “qualsiasi emissione nell’aria nel suolo e nell’acqua di composti organici volatili ad esclusione delle emissioni contenute negli scarichi gassosi, nonché i solventi contenuti in qualsiasi prodotto, fatte salve le diverse indicazioni contenute nell’allegato II” (del D.M. 44/04). “Sono comprese le emissioni non convogliate rilasciate nell’ambiente esterno attraverso finestre, porte, sfiati e aperture similari”.
37  Sono interessate dalla direttiva IPPC le discariche che ricevono più di 10 tonnellate di rifiuti al giorno o con capacità superiore a 25.000 tonnellate. Il valore soglia identificato per le emissioni di metano è pari a 100 t/anno.
38  Cass. pen., sez. III, 17 novembre 2011, n. 42387.
 

Pubblicato su AmbienteDiritto.it il 18 gennaio 2012