Anno: 2016 | Autore: DOMENICO CANNIZZARO

 

 

 

 
IL RISARCIMENTO DEL DANNO AMBIENTALE
 
di Domenico Cannizzaro
 
 
L’art. 300 del d.lgs. n. 152/2006 (Testo Unico Ambientale),nel dettare la nozione di danno ambientale, riprendendo le indicazioni contenute della Direttiva 2004/35/CE, indica quale danno ambientale “qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima”.
 
L’obiettivo primario del risarcimento del danno ambientale è il ripristino ambientale.
 
L’art. 302, comma 9, del TUA indica cosa si intende per “ripristino”, ovvero:
a)    nel caso di danni alle acque, delle specie e degli habitat protetti “il ritorno delle risorse naturali o dei servizi danneggiati alle condizioni originarie”;
b)   nel caso di danni al terreno “l’eliminazione di qualsiasi rischio di effetti nocivi per la salute umana e per l’integrità ambientale”.
 
In ogni caso, il ripristino deve consistere nella riqualificazione del sito e del suo ecosistema, mediante qualsiasi azione o combinazione di azioni, comprese le misure di attenuazione o provvisorie, dirette a riparare, risanare o, qualora sia ritenuto ammissibile dall’autorità competente, sostituire risorse naturali o servizi naturali danneggiati.
 
Ruolo da protagonista nell’azione di ripristino è svolto dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM), poiché ha la competenza ad emanare un’ordinanza di ingiunzione nei confronti dell’operatore.
La legittimazione ad agire spetta, dunque, al MATTM, che può esercitare l’azione di risarcimento anche all’interno del processo penale. Gli enti locali sono legittimati, invece, ad intervenire nel giudizio e nella presentazione di ricorsi amministrativi per l’annullamento degli atti e dei provvedimenti adottati in violazione delle disposizioni in materia di tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente (parte VI, TUA), nonché avverso il silenzio inadempimento del MATTM per il risarcimento del danno subito a causa del ritardo nell’attivazione delle procedure da parte del medesimo.
 
Le associazioni ambientaliste, laddove formalmente riconosciute, le quali in passato erano legittimate in via autonoma e principale all’esercizio dell’azione di risarcimento per danno ambientale, hanno subito un notevole ridimensionamento del proprio ruolo. Esse hanno facoltà “di presentare al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, depositandole presso le Prefetture – Uffici territoriali del Governo, denunce e osservazioni, corredate da documenti ed informazioni, concernenti qualsiasi caso di danno ambientale o di minaccia imminente di danno ambientale e chiedere l’intervento statale a tutela dell’ambiente”.
 
Numerose sono le novità sul tema introdotte dalla l. 97/2013 in materia, la quale ha modificato l’art. 311 del TUA. La recente novella ha introdotto un regime di responsabilità senza colpa per i titolari di attività considerate ad alto potenziale inquinante. Nei confronti di tali soggetti, è sufficiente la verifica del solo il nesso causale tra l’attività esercitata e l’inquinamento del sito, senza ulteriori indagini sul profilo psicologico degli inquinatori. Nei confronti degli operatori che esercitano altre attività, resta invece operativo un regime di responsabilità basato sulla colpa o sul dolo.
 
La recente legge ha inoltre chiarito, in aderenza alla Direttiva europea del 2004, che esiste una gerarchia tra i rimedi esperibili dal responsabile dell’inquinamento (polluter), per cui chi si rende responsabile di un danno ambientale è, in primo luogo, tenuto al risarcimento in forma specifica e solo in via subordinata, laddove il risarcimento in forma specifica non risulti realizzabile, ad un risarcimento per equivalente patrimoniale che dovrà essere sfruttato per opere di bonifica e ripristino dello stato dei luoghi.
 
In dottrina ed in giurisprudenza, è emerso negli ultimi anni di frequente il problema concernente la relazione che esiste tra il risarcimento del danno per equivalente ed il ripristino dei luoghi con interventi di bonifica, soprattutto per una mancanza di coordinamento all’interno del Testo Unico Ambientale tra la parte IV, dedicata alla bonifica dei siti inquinati, e la parte VI, concernente la tutela risarcitoria del danno ambientale.
 
Il risultato del dibattito è stato quello di interpretare gli interventi di bonifica di cui alla parte IV del TUA quale risarcimento in forma specifica, mentre il risarcimento del danno ai sensi della parte VI del TUA quale risarcimento per equivalente. Dunque, tenendo in considerazione quanto detto sopra sulla relazione gerarchica introdotta tra i due rimedi, per cui il ripristino dei luoghi è considerato l’intervento prioritario, quest’ultimo viene considerata l’obbligazione principale del polluter corrispondente al risarcimento in forma specifica del danno.
 
Solo qualora l’adozione delle misure di riparazione risulti in tutto o in parte omessa da parte del polluter, o comunque realizzata in modo incompleto o difforme dai termini e modalità prescritti dal progetto di bonifica, il Ministro dell’Ambiente determina i costi delle attività necessarie a conseguire la completa e corretta attuazione del progetto di bonifica ed agisce nei confronti del soggetto obbligato per ottenere il risarcimento per equivalente, inteso come il pagamento delle somme corrispondenti.
 
La Cassazione si è, peraltro, pronunciata sui rapporti tra risarcimento del danno per equivalente ed in forma specifica, chiarendo che è illegittimo il provvedimento di risarcimento in forma generica per equivalente del danno ambientale, che non motivi specificamente sull’impossibilità del ripristino in forma specifica, che è criterio prioritario di risarcimento individuato dalla legge (Cass. pen. Sez. 3, n. 36818/2011). La nuova disciplina ammette, dunque, il risarcimento del danno mediante il pagamento di una somma di denaro solo nel caso in cui risulti impossibile o di eccessiva onerosità il ripristino dei luoghi ovvero quando il polluter non esegua gli interventi rispettando il progetto di bonifica.
 
In tali casi, il risarcimento del danno per equivalente non è concepito con la funzione di ristoro economico nei confronti dello stato, bensì con la funzione di essere comunque utilizzato per il finanziamento del ripristino dei luoghi.
Sulla parte pubblica incombe l’onere di divenire custode momentaneo dell’ammontare economico pagato dal danneggiante a titolo di risarcimento fin quando con lo stesso non predisponga gli strumenti atti ad effettuare ciò che nell’immediato non era possibile, ovvero il ripristino della situazione precedente al danno verificatosi. Il ripristino ambientale diventa così l’obiettivo principe su cui ruota tutta la disciplina sulla responsabilità ambientale. 
Agli Allegati III e IV alla parte sesta del TUA vengono, inoltre, finalmente indicati criteri ed elementi utili alla determinazione del risarcimento.
 
Nei casi in cui sia presente il concorso di più soggetti nello stesso evento di danno ambientale, ciascuno risponde nei limiti della propria responsabilità personale, pro quota in base alla causalità della propria attività nell’evento dannoso. Il relativo debito si trasmette agli eredi, nei limiti del loro effettivo arricchimento.
 
Ruolo fondamentale è, ancora una volta, quello del MATTM, il quale deve accertare il corretto svolgimento delle misure di riparazione, avendo anche il potere di agire per pretenderlo. Sul punto, la Suprema Corte ha, con la sentenza 10118/2008, chiarito che “il risarcimento del danno ambientale deve comprendere sia il pregiudizio prettamente patrimoniale arrecato a beni pubblici o privati, sia quello (avente anche funzione sanzionatoria) non patrimoniale rappresentato dal “vulnus” all’ambiente in sé e per sé considerato, costituente bene di natura pubblicistica, unitario e immateriale. Ne consegue che la condanna del responsabile sia al ripristino dello stato dei luoghi, sia al pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento, non costituisce una duplicazione risarcitoria, allorché la prima condotta sia volta ad elidere il pregiudizio patrimoniale e la seconda quello non patrimoniale”. 
 
 
 
Pubblicato su AmbienteDiritto.it il 16 Giugno 2016
 
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