Tre risoluzioni dello U.N. Human Rights Council.     

Anno: 2013 | Autore: STEFANO NESPOR

 



DEGRADO AMBIENTALE E CAMBIAMENTO CLIMATICO.
 
 
Tre risoluzioni dello U.N. Human Rights Council.

 

STEFANO NESPOR*
 
 
 
In questo mese di ottobre si è tenuta a Ginevra la 18esima sessione del Comitato per i diritti umani (Human Rights Council), un’Agenzia istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel marzo del 2006 con il compito di sorvegliare la situazione dei diritti umani, denunciarne le violazioni e formulare raccomandazioni per assicurarne una sempre più effettiva tutela (si veda il sito http://www2.ohchr.org/english/bodies/hrcouncil/). Tra le più importanti iniziative poste in essere dal Comitato è la procedura di verifica periodica globale del rispetto dei diritti umani in tutti i 192 Stati aderenti alle Nazioni Unite tenutasi a Ginevra. Nel corso della 18esima sessione sono state adottate tre risoluzioni, con un tema comune: l’impatto del degrado ambientale sui diritti umani.
 
La prima risoluzione riguarda il diritto umano all’acqua potabile e ai servizi igienici e contiene un invito a tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite ad adottare un piano per affrontare questi problemi. L’indicazione è quella di adottare una strategia che integri tutti gli aspetti del rifornimento dell’acqua potabile e individui tutte le varie responsabilità, degli enti o delle agenzie pubbliche e dei soggetti privati. L’obiettivo è incrementare la partecipazione di tutti coloro che possono contribuire ad offrire l’acqua potabile a tutti coloro che ne sono privi, garantire la trasparenza delle scelte e delle decisioni, assicurare il rispetto del principio di non discriminazione e di uguaglianza.
 
La seconda risoluzione si occupa degli effetti del cambiamento climatico sui diritti umani.
 
A questo proposito, vale la pena di ricordare che vi è stata una prima azione giudiziaria a livello internazionale. L’ha proposta non, come molti si aspettavano, una delle piccole isole dell’Oceano Pacifico che rischia di essere sommersa dall’innalzamento del livello delle acque provocato dallo scioglimento dei ghiacci polari: tra queste, Tuvalu, una piccola isola-Stato di circa 11.000 abitanti che, secondo le previsioni, sarà tra i primi a scomparire, ha ripetutamente manifestato l’intenzione di proporre un ricorso contro Stati Uniti e Australia davanti alla Corte internazionale di giustizia all’Aja per violazione dei diritti umani dei propri abitanti, ma, ad oggi non ha intrapreso iniziative in questo senso. L’azione è stata invece proposta da un’organizzazione “quasi-statale”, la Inuit Circumpolar Conference (ICC) che coordina le popolazioni Inuit (circa 155.000 persone) residenti nelle zone artiche di Canada, Russia, Groenlandia e Stati Uniti. Il rappresentante della ICC ha annunciato alla Conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico svoltasi nel dicembre del 2005 a Montreal la proposizione di un ricorso alla Inter-American Commission on Human Rights (IACHR), organo della Organizzazione degli Stati americani (OAS), preposto alla tutela dei diritti umani dei cittadini degli Stati membri. Il ricorso è rivolto contro gli Stati Uniti quali maggiori responsabili del cambiamento climatico che sta sconvolgendo l’ambiente ove gli Inuit vivono e intende ottenere una decisione che imponga l’adozione di politiche di riduzione delle emissioni di gas serra. Secondo gli studi realizzati da oltre trecento scienziati e raccolti nel Arctic Climate Impact Assessment il surriscaldamento prodotto dal cambiamento climatico (a seguito delle emissioni di gas serra provocati essenzialmente dall’utilizzazione di combustibili fossili per ragioni di trasporto e produzione) mette in pericolo la stessa sopravvivenza degli Inuit.
 
Secondo il Comitato delle Nazioni Unite, l’aumento della popolazione nelle aree più povere, unitamente agli effetti del cambiamento climatico e del ridursi della disponibilità di acqua potabile potrebbero provocare movimenti migratori che, secondo una NGO che si occupa di questi problemi, Refugees International, raggiungeranno i 200 milioni di persone nel 2050.
 
La terza risoluzione si occupa del trattamento e dello smaltimento delle sostanze pericolose e dei rifiuti. Un rapporto delle Nazioni Unite del 2011 pone in evidenza i pericoli dell’omesso o carente smaltimento dei rifiuti pericolosi per la salute umana e quindi le lesioni che in questo settore possono essere provocate ai diritti umani.
 
* Avvocato in Milano