Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Inquinamento atmosferico Numero: 112 | Data di udienza: 12 Gennaio 2012

* INQUINAMENTO ATMOSFERICO – Industrie insalubri – Ubicazione – Art. 216 T.U. n. 1265/1934 – Tutela della salute pubblica dei residenti – Vigilanza e controllo.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 1^
Regione: Piemonte
Città: Torino
Data di pubblicazione: 26 Gennaio 2012
Numero: 112
Data di udienza: 12 Gennaio 2012
Presidente: Goso
Estensore: Malanetto


Premassima

* INQUINAMENTO ATMOSFERICO – Industrie insalubri – Ubicazione – Art. 216 T.U. n. 1265/1934 – Tutela della salute pubblica dei residenti – Vigilanza e controllo.



Massima

TAR PIEMONTE, Sez. 1^ – 26 gennaio 2012, n.112


INQUINAMENTO ATMOSFERICO – Industrie insalubri – Ubicazione – Art. 216 T.U. n. 1265/1934 – Tutela della salute pubblica dei residenti – Vigilanza e controllo.

La ubicazione di uno stabilimento che effettui lavorazioni insalubri a distanza tale da escludere immissioni nocive ai sensi dell’art. 216 TU n. 1265/1934 deve intendersi realizzata quando lo stabilimento sia ubicato in zona che la pianificazione riservi alle attività industriali e che pertanto deve ritenersi isolata da una adeguata zona di rispetto dagli insediamenti di tipo residenziale. Ciò non significa che siano eluse le esigenze– a tutela della salute pubblica – dei residenti a ridosso dell’area in questione. Ma a tale proposito soccorrono gli obblighi di adottare ogni tipo di accorgimento tecnico in concreto necessario ad evitare rischi nel corso dello svolgimento della attività produttiva. La vigilanza e il controllo sono da effettuarsi quindi in concreto sulla attività che verrà effettuata. Tale obbligo ricade nella potestà dell’amministrazione comunale, dell’ARPA, dell’ASL, ma tale controllo successivo sulla attività e sul rispetto delle previste prescrizioni non incide sulla legittimità dell’iniziale provvedimento autorizzatorio.(Cons. Stato, Sez. 4^, n. n. 8689/2010).

Pres. f.f. Goso, Est. Malanetto – E.s.r.l. e altro (avv.ti Monti, Greppi e Razeto) c. Comune di Portacomaro (avv. rabino) e altro (n.c.)
 


Allegato


Titolo Completo

TAR PIEMONTE, Sez. 1^ - 26 gennaio 2012, n.112

SENTENZA

 

TAR PIEMONTE, Sez. 1^ – 26 gennaio 2012, n.112

N. 00112/2012 REG.PROV.COLL.

N. 00865/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 865 del 2011, proposto da:
Ets – Ecotecnologie Stradali S.r.l. e Cps – Cave Pietrisco Strade S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Paolo Monti, Giuseppe Greppi, Giorgio Razeto, con domicilio eletto presso l’avv.to Antonio Fiore in Torino, corso Alcide De Gasperi, 21;

contro

Comune di Portacomaro, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv.to Enrico Rabino, con domicilio eletto presso l’avv.to Enrico Rabino in Torino, via Pietro Palmieri, 40;
Provincia di Asti, in persona del Presidente pro tempore, non costituita;

per l’annullamento

– della deliberazione del Consiglio Comunale n. 5 del 1.4.2011, dichiarata esecutiva il 30.4.2011, avente ad oggetto: “adozione di misure urgenti per la tutela del suolo, dell’aria dell’acqua in ambito comunale”;

– della deliberazione del Consiglio Comunale n. 10 del 12.5.2011, avente ad oggetto: “Adozione del progetto preliminare di variante n. 3 relativa a “misure per la tutela del paesaggio, del suolo, dell’aria e dell’acqua”, ai sensi dell’art.17, 7° c., della l.r. 56/77 e s. mod. ed int.”,

di ogni altro atto presupposto, conseguente o comunque connesso, con particolare riferimento all’eventuale deliberazione della Giunta Provinciale di declaratoria di compatibilità della variante con il piano territoriale provinciale ed i progetti sovracomunali, non nota alle ricorrenti, ove già assunta a sensi dell’art.17, 7° c., della l.r. 56/77, con estensione dell’istanza di annullamento all’eventuale silenzio-assenso della provincia in ordine alla variante parziale per mancata decisione nel termine di 45 giorni di cui alla norma citata; nonché alla eventuale deliberazione del Consiglio Comunale, ove già assunta e non nota alle ricorrenti, a sensi dell’art.17, 7° c., della l.r. 56/77, di decisione delle osservazioni e di definitiva approvazione della variante parziale.

e per la condanna

del Comune di Portacomaro al risarcimento di tutti i danni conseguenti alla illegittimità degli atti impugnati

nonché in subordine

per l’accertamento

del diritto delle ricorrenti ad ottenere l’indennizzo previsto dall’art 21 quinquies della legge 241/1990 a seguito della revoca parziale delle disposizioni di PRGC che consentivano da sempre l’insediamento industriale pertinente alla loro attività, con implicita revoca parziale del piano esecutivo convenzionato, previa determinazione anche mediante CTU e con condanna del Comune alla corresponsione di tale indennizzo

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Portacomaro;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 gennaio 2012 la dott.ssa Paola Malanetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Le parti ricorrenti hanno adito l’intestato TAR deducendo di avere acquistato, nell’ambito del territorio del Comune resistente, dei terreni a destinazione industriale, artigianale e commerciale compresi nel piano esecutivo convenzionato denominato “Gate”. Anni addietro la ETS s.r.l. iniziava il percorso amministrativo per costruire, in dette aree, un impianto di betonaggio, classificato industria insalubre di I categoria. Il progetto è finanziato dalla Regione Piemonte.

I terreni in questione, sin dal piano di fabbricazione del 1972 e poi ancora dal P.R.G.C. del 1992, non inciso sul punto da una variante del 2003, risultano essere aree a destinazione produttiva, senza alcun limite riferibile alle industrie classificate come insalubri.

Precedentemente alla variante impugnata l’area è stata acquisita dalla CPS che ha presentato una variante sostanziale all’originario PEC di area, approvata con stipula di convenzione integrativa. In data 11.5.2006 la società ha otteneto il permesso di costruire l’impianto n. 12/2006; l’atto è stato impugnato innanzi al TAR e il ricorso, respinto in primo grado, è stato accolto in appello.

Nelle more della ripresa del procedimento autorizzatorio il Comune ha quindi adottato il progetto preliminare di variante urbanistica qui impugnato che inibisce l’installazione di industrie classificate insalubri sul territorio comunale.

Censura parte ricorrente gli atti in epigrafe per i seguenti motivi:

Eccesso di potere per difetto di motivazione; sviamento di potere, carenza istruttoria e ingiustizia manifesta. Il progetto adottato vieta sull’intero territorio comunale l’insediamento di industrie classificate insalubri di I categoria. Tanto si pone in contrasto con il procedimento in corso e con gli impegni assunti nell’ambito della convenzione urbanistica firmata tra CPS e il Comune.

Eccesso di potere per carenza istruttoria, travisamento, sviamento ingiustizia manifesta; violazione dell’art. 216 del t.u. 1264/1934 e violazione dell’art. 26 lett. d) della l.r.p. 56/77. La scelta amministrativa nella sostanza revoca la preesistente pianificazione, vietando le attività insalubri sull’intero territorio comunale.

Si è costituita l’amministrazione resistente eccependo la carenza di interesse ad agire e contestando in fatto e diritto gli assunti di cui al ricorso.

Alla camera di consiglio fissata per la trattazione dell’istanza cautelare le parti hanno chiesto il rinvio al merito.

All’udienza del 12.1.2012 la causa è stata discussa e decisa.


DIRITTO

Deve essere respinta l’eccezione preliminare di difetto di interesse in capo alla ricorrente mossa dall’amministrazione resistente; è pacifico che la ricorrente sia proprietaria di aree site nel contesto di un PEC a destinazione produttiva, con in corso da lungo tempo un iter amministrativo per la realizzazione di un impianto produttivo classificato insalubre di I categoria. La ricorrente ha quindi certamente un interesse attuale alle sorti della destinazione dell’area PEC di cui è proprietaria, essendo per altro soggetto che svolge attività produttive. Né l’esito negativo del pregresso contenzioso concernente il permesso di costruire n. 12/2006, in precedenza ottenuto, priva la ricorrente dell’interesse e della possibilità di proseguire l’iter autorizzatorio concernente lo stabilimento di suo interesse, adattandone gli aspetti gli censurati dal giudice amministrativo d’appello.

Contrariamente a quanto sembra evincersi dalle difese dell’amministrazione dall’esito del pregresso contenzioso inerente l’annullato titolo edilizio non si evince, infatti, che il PEC non consentisse ex se la collocazione in quell’area di industrie classificate insalubri, come quella di interesse della ricorrente. Il giudice d’appello, infatti. ha ritenuto che il progetto presentato dalla ricorrente violasse i parametri della vigente convenzione urbanistica in relazione al numero ed alla volumetria degli stabilimenti realizzabili (la ricorrente aveva ottenuto l’autorizzazione a costruire due soli corpi di fabbrica estesi, ritenuti sostanzialmente differenti dall’originaria previsione di 12 fabbricati a destinazione industriale/artigianale/commerciale).

Per contro, in relazione alla contestata insediabilità di industrie insalubri, si legge espressamente nella sentenza n. 8689/2010 della sezione quarta del Consiglio di Stato, che ha definito detto contenzioso, quanto segue:

“Con il secondo motivo di appello viene contestata l’allocazione di un’industria insalubre in prossimità di costruzioni residenziali, che sarebbe stata decisa senza adeguata istruttoria sulla pericolosità delle lavorazioni che si andavano ad assentire…. Il motivo riferito alla astratta collocazione del tipo di intervento industriale nella zona interessata, è infondato.

In primo luogo, anche l’intervento precedente, richiamato dalla medesima parte appellante quale termine di paragone, perché oggetto della originaria convenzione, consentiva un intervento consistente nella realizzazione di dodici fabbricati di tipo produttivo da adibirsi ad attività artigianali, industriali e commerciali. Quanto alla problematica della allocazione, la ubicazione di uno stabilimento che effettui lavorazioni insalubri a distanza tale da escludere immissioni nocive ai sensi del richiamato art. 216 deve intendersi realizzata quando lo stabilimento sia ubicato in zona che la pianificazione riservi alle attività industriali, come nella specie, e che pertanto deve ritenersi isolata da una adeguata zona di rispetto dagli insediamenti di tipo residenziale. Ciò non significa che siano eluse le esigenze che – a tutela della salute pubblica – taluni dei vicini appellanti invocano, in quanto residenti a ridosso dell’area in questione. Ma a tale proposito soccorrono gli obblighi di adottare ogni tipo di accorgimento tecnico in concreto necessario ad evitare rischi nel corso dello svolgimento della attività produttiva. Nella specie, non può sostenersi esistente un difetto di istruttoria, se si sono pronunciati in via preventiva e in modo favorevole, sia pure con le dovute prescrizioni, sia l’ASL competente che l’ARPA, con pareri tecnici favorevoli, che non risultano né illogici né manifestamente erronei o irragionevoli. La vigilanza e il controllo, invocati anche dai pareri tecnici degli organismi tecnicamente competenti, sono da effettuarsi quindi in concreto sulla attività che verrà effettuata. Tale obbligo ricade nella potestà dell’amministrazione comunale, dell’ARPA, dell’ASL, ma tale controllo successivo sulla attività e sul rispetto delle previste prescrizioni non incide sulla legittimità dell’iniziale provvedimento autorizzatorio.”

Conseguentemente nella decisione si dà atto non solo della astratta idoneità dell’area all’installazione di una industria insalubre ai sensi della vigente pianificazione urbanistica ma anche del favorevole completamento, da parte dell’odierna ricorrente, dell’iter burocratico previsto per la autorizzazione di tale tipologia di impianti sotto il profilo igienico-sanitario; si precisa infatti, senza alcuna censura sul punto, che l’attività è stata regolarmente vagliata e autorizzata tanto dall’ARPA che dall’ASL.

A fronte di tale stato di fatto e di diritto accertato con sentenza passata in giudicato tra le parti è indiscutibile la sussistenza di un procedimento in corso, nel cui ambito la ricorrente ha maturato già l’accertamento dell’insedibilità della tipologia di impianto proposto, e ciò sia dal punto di vista della compatibilità con la pianificazione in essere che dal punto di vista delle disposizioni di carattere preventivo igienico-sanitario.

Il procedimento non ha per contro ancora visto un esito in relazione all’assetto strutturale dei capannoni.

In simile contesto il progetto preliminare di variante adottato dal Comune incide irrimediabilmente sul procedimento in corso e sul legittimo affidamento della ricorrente rispetto ad un possibile favorevole esito del medesimo, salvi gli adeguamenti relativi alle strutture dei capannoni.

La variante impugnata sancisce, infatti, una incompatibilità dell’impianto proposto con la nuova destinazione urbanistica di area, escludendo da tutto il territorio comunale le industrie insalubri; siffatta esclusione evidentemente impatta direttamente sulle legittime aspettative della ricorrente e sul procedimento in avanzato stato di definizione, sostanzialmente modificando la convenzione urbanistica in essere, la quale, come accertato anche nel pregresso giudizio, nessun ostacolo frapponeva allo specifico tipo di impianto.

Ritiene pertanto il collegio fondate le censure dedotte, in particolare quella concernente il difetto di motivazione. Se è infatti vero che la pianificazione urbanistica è attività ad elevata discrezionalità, che normalmente non richiede specifica motivazione, è altresì vero che tale regola sconta eccezione là dove la variante incida individualmente su posizioni differenziate e in corso di definizione, esattamente come nel caso di specie.

Fondata appare anche la censura di eccesso di potere per la contraddittorietà dell’azione amministrativa.

Non è infatti utile alla difesa comunale la precisazione, recata dalla deliberazione di progetto preliminare e invocata dalla difesa comunale, secondo cui “la volontà dell’amministrazione comunale non è certamente quella di tutelare il territorio bloccandone ogni forma di sviluppo ma di garantirne un puntuale ed attento controllo, con particolare attenzione alle attività di nuovo insediamento, per le quali sarà possibile, di volta in volta, ammettere anche lavorazioni attualmente escluse mediante l’individuazione, area per area, delle destinazioni ammesse, con una gestione “dinamica” dello strumento urbanistico”.

Siffatta motivazione aggrava più che giustificare la contraddittorietà della scelta dell’amministrazione: da un lato infatti la scelta pianificatoria adottata precluderebbe su tutto il territorio comunale industrie insalubri (con immediata a negativa incidenza sulla specifica posizione della ricorrente e dubbia compatibilità in prospettiva con le ordinarie esigenze di sviluppo del territorio), dall’altro, verosimilmente perché conscia dell’irrazionalità della scelta nella sua assolutezza, l’amministrazione si riserva “caso per caso” di rimeditare la propria scelta, che perde così funzione autenticamente programmatoria demandando a ingiustificate soluzioni ad hoc, volta per volta ammesse in deroga, la gestione dello sviluppo industriale.

Si ritiene pertanto sussistente la censurata contraddittorietà dell’azione amministrativa sia raffrontando la condotta passata (convezione urbanistica e iter autorizzatorio in corso) e quella attuale (progetto preliminare di variante), sia nell’ambito del progetto preliminare di variante qui contestato e adottato, con contestatuale previsione di derogabilità “ad libitum”.

La domanda di annullamento deve pertanto trovare accoglimento.

La ritenuta illegittimità della variante assorbe la domanda di indennizzo ex art. 21 quinquies l. 241/1990.

Non si ritiene infine accoglibile, allo stato, l’istanza risarcitoria, per altro non più sviluppata dopo il ricorso introduttivo.

Le pregresse difficoltà dell’iter burocratico intrapreso dalla ricorrente non sono infatti in sé ascrivibili alla contestata variante poichè la accertata non conformità del progetto presentato al PEC è esito di una scelta progettuale liberamente effettuata dalla ricorrente. Inoltre, allo stato, l’annullamento dell’impugnata deliberazione consente di adeguare la progettazione e proseguire l’iter amministrativo, sicchè l’aspettativa di buon esito del procedimento e l’affidamento maturato circa l’astratta insediabilità nell’area della tipologia di impianto proposto non hanno subito definitivo pregiudizio.

Stante il solo parziale accoglimento del ricorso sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

accoglie il ricorso e per l’effetto annulla gli atti impugnati nei sensi e nei limiti di cui in motivazione;

respinge la domanda risarcitoria;

compensa le spese di lite

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 12 gennaio 2012 con l’intervento dei magistrati:

Richard Goso, Presidente FF
Paola Malanetto, Referendario, Estensore
Ariberto Sabino Limongelli, Referendario

L’ESTENSORE 

IL PRESIDENTE
        
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 26/01/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

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