Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto processuale penale, Diritto urbanistico - edilizia Numero: 35803 | Data di udienza: 17 Aprile 2012

 * DIRITTO URBANISTICO – Costruzione abusiva – Responsabilità penale – Proprietario o comproprietario dell’area – Presupposti e limiti – Onere della prova – Artt. 44, lett. b), 64, 65, 71, 72 94 e 95 d.P.R. n. 380/2001 – Demolizione dell’opera abusiva – Subordinazione della sospensione condizionale della pena – Obblighi del condannato – Art.165 cod. pen. – Nozione di manutenzione straordinaria – Duplice limite legislativo – Art. 3 c.1, lett. b), d.P.R. n. 380/2001 – Art. 31, 1° c. – lett. b), L. n. 457/1978 – Nozione di “pertinenza urbanistica” – Distinzione da quella civilistica – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Rinnovazione del dibattimento ex art. 603 c.p.p. – Impossibilità di decidere allo stato degli atti – Presupposti – Attenuanti generiche – Concessione o diniego – Potere discrezionale del giudice di merito – Impugnazione – Inammissibilità del ricorso – Prescrizione dei reati – Effetti – Esclusione.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 19 Settembre 2012
Numero: 35803
Data di udienza: 17 Aprile 2012
Presidente: Squassoni
Estensore: Fiale


Premassima

 * DIRITTO URBANISTICO – Costruzione abusiva – Responsabilità penale – Proprietario o comproprietario dell’area – Presupposti e limiti – Onere della prova – Artt. 44, lett. b), 64, 65, 71, 72 94 e 95 d.P.R. n. 380/2001 – Demolizione dell’opera abusiva – Subordinazione della sospensione condizionale della pena – Obblighi del condannato – Art.165 cod. pen. – Nozione di manutenzione straordinaria – Duplice limite legislativo – Art. 3 c.1, lett. b), d.P.R. n. 380/2001 – Art. 31, 1° c. – lett. b), L. n. 457/1978 – Nozione di “pertinenza urbanistica” – Distinzione da quella civilistica – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Rinnovazione del dibattimento ex art. 603 c.p.p. – Impossibilità di decidere allo stato degli atti – Presupposti – Attenuanti generiche – Concessione o diniego – Potere discrezionale del giudice di merito – Impugnazione – Inammissibilità del ricorso – Prescrizione dei reati – Effetti – Esclusione.



Massima

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 19 settembre 2012 (Ud. 17/04/2012) Sentenza n. 35803

DIRITTO URBANISTICO – Costruzione abusiva – Responsabilità penale – Proprietario o comproprietario dell’area – Presupposti e limiti – Onere della prova – Artt. 44, lett. b), 64, 65, 71, 72 94 e 95 d.P.R. n. 380/2001.
 
La responsabilità per l’esecuzione di una costruzione abusiva, non può essere attribuita ad un soggetto per il semplice fatto di essere proprietario o comproprietario del terreno (o comunque della superficie) sul quale vengono svolti lavori edili illeciti, pur potendo costituire un indizio grave, non à sufficiente da solo ad affermare fa responsabilità penale, nemmeno qualora il soggetto che riveste tali qualità sia a conoscenza che altri eseguano opere abusive sul suo fondo, essendo necessario, a tal fine, rinvenire altri elementi in base ai quali possa ragionevolmente presumersi che egli abbia in qualche modo concorso, anche solo moralmente, con il committente o l’esecutore dei lavori abusivi. Occorre considerare, in sostanza, la situazione concreta in cui si è svolta l’attività incriminata, tenendo conto non soltanto della piena disponibilità, giuridica e di fatto, della superficie edificata e dell’interesse specifico ad effettuare la nuova costruzione (principio del “cui prodest“) bensì pure: dei rapporti di parentela o di affinità tra l’esecutore dell’opera abusiva ed il proprietario; dell’eventuale presenza “in loco” di quest’ultimo durante l’effettuazione dei lavori; dello svolgimento di attività di materiale vigilanza sull’esecuzione dei lavori; della richiesta di provvedimenti abilitativi anche in sanatoria; del regime patrimoniale fra coniugi o comproprietari e, in definitiva, di tutte quelle situazioni e quei comportamenti, positivi o negativi, da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione, anche morale, all’esecuzione delle opere, tenendo presente pure la destinazione finale della stessa. Pertanto, la responsabilità per la realizzazione di una costruzione abusiva non prescinde, per il proprietario dell’area interessata dal manufatto, dall’esistenza di un consapevole contributo all’integrazione dell’illecito, ma grava sull’interessato l’onere di allegare circostanze utili a convalidare la tesi che, nella specie, si tratti di opere realizzate da terzi a sua insaputa e senza la sua volontà (Cass., Sez. feriale, 16.9.2003, n. 35537, Vitale).
 
(sentenza n. 919/2008 CORTE APPELLO di CATANIA, del 20/05/2011) Pres. Squassoni, Est. Fiale, Ric. Armeli ed altro
 
 
DIRITTO URBANISTICO – Demolizione dell’opera abusiva – Subordinazione della sospensione condizionale della pena – Obblighi del condannato – Art.165 cod. pen..
 
In materia urbanistica, deve ritenersi definitivamente superata, la visione di un giudice supplente della pubblica Amministrazione, in quanto è il territorio a costituire l’oggetto della tutela posta dalle relative norme penali. Non può affermarsi, pertanto, che la legge riserva all’autorità amministrativa ogni tipo di intervento nella materia e, avendo l’ordine di demolizione la funzione di eliminare le conseguenze dannose del reato, ben può trovare applicazione l’art.165 cod. pen.. Da qui, anche la legittimità della subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione dell’opera abusiva.

(sentenza n. 919/2008 CORTE APPELLO di CATANIA, del 20/05/2011) Pres. Squassoni, Est. Fiale, Ric. Armeli ed altro
 
 
DIRITTO URBANISTICO – Nozione di manutenzione straordinaria – Duplice limite legislativo – Art. 3 c.1, lett. b), d.P.R. n. 380/2001 – Art. 31, 1° c. – lett. b), L. n. 457/1978.
 
Ai sensi dell’art. 3, comma 1° – lett. b), del T.U. n. 380/2001 [con definizione già fornita dall’art. 31, 1° comma – lett. b), della legge n. 457/1978] la nozione di manutenzione straordinaria, ricomprende “le opere e le modifiche necessarie per rinnovare o sostituire parti anche strutturarli degli edifici, nonché per realizzare e integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni d’uso”. La legge pone, dunque, un duplice limite: uno, di ordine funzionale, costituito dalla necessità che i lavori siano rivolti alla mera sostituzione o al puro rinnovo di parti dell’edificio, e l’altro, di ordine strutturale, consistente nel divieto di alterare i volumi e le superi delle singole unità immobiliari o di mutare la loro destinazione. Interventi siffatti, devono essere inoltre effettuati ‘nel rispetto degli elementi tipologici, strutturali e formali nella loro originaria edificazione” (C. Stato, Sez. V: 25.11.1999, n. 1971 e 8.4.1991, n. 460).
 
(sentenza n. 919/2008 CORTE APPELLO di CATANIA, del 20/05/2011) Pres. Squassoni, Est. Fiale, Ric. Armeli ed altro
 
 
DIRITTO URBANISTICO – Nozione di “pertinenza urbanistica” – Distinzione da quella civilistica – Art. 3, 1° c., lett. e) T.U. n. 380/20011.
 
La nozione di “pertinenza urbanistica” ha peculiarità sue proprie, che la distinguono da quella civilistica: deve trattarsi, invero, di un’opera preordinata ad un’oggettiva esigenza di un edificio principale, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell’edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell’immobile cui accede (gli interventi che comportino la realizzazione di un volume superiore ai 20% del volume dell’edificio principale sono comunque assoggettati a permesso di costruire ex art. 3, 1° comma, lett. e), del T.U. n. 380/20011). Pertanto, il durevole rapporto di subordinazione deve instaurarsi con una costruzione preesistente e la relazione con detta costruzione deve essere, in ogni caso, non di integrazione ma “di servizio”, allo scopo di renderne più agevole e funzionale l’uso (carattere di strumentalità funzionale), sicché non può ricondursi alla nozione in esame la realizzazione di un fabbricato che completi un altro edificio affinché soddisfi ai bisogni cui à destinato.

(sentenza n. 919/2008 CORTE APPELLO di CATANIA, del 20/05/2011) Pres. Squassoni, Est. Fiale, Ric. Armeli ed altro
 
 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Rinnovazione del dibattimento ex art. 603 c.p.p. – Impossibilità di decidere allo stato degli atti – Presupposti.
 
L’ipotesi di rinnovazione del dibattimento prevista dal primo comma dell’art. 603 cod. proc. pen. riguarda prove preesistenti o già note alla parte ed a subordinata alla condizione che il giudice di appello ritenga, secondo la sua valutazione discrezionale, di non essere in grado di decidere allo stato degli atti (giudizio che, se sorretto da motivazione adeguata, non à censurabile in sede di legittimità). L’impossibilità di decidere allo stato degli atti può sussistere quando i dati probatori già acquisiti siano incerti nonché quando l’incombente richiesto rivesta carattere di decisività nel senso che lo stesso possa eliminare le eventuali suddette incertezze ovvero sia di per sé oggettivamente idoneo ad infilare ogni altra risultanza.

(sentenza n. 919/2008 CORTE APPELLO di CATANIA, del 20/05/2011) Pres. Squassoni, Est. Fiale, Ric. Armeli ed altro
 
 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Attenuanti generiche – Concessione o diniego – Potere discrezionale del giudice di merito. 
 
Le attenuanti generiche, nel nostro ordinamento, hanno lo scopo di allargare le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole al reo, in considerazione di situazioni e circostanze particolari che effettivamente incidano sull’apprezzamento dell’entità del reato e della capacità di delinquere dell’imputato. II riconoscimento di esse richiede, dunque, la dimostrazione di elementi di segno positivo. La concessione o il diniego delle attenuanti generiche rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio, positivo o negativo che sia, deve essere bensì motivato ma nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo. Anche il giudice di appello – pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell’appellante – non à tenuto ad una analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta contestazione.
 
(sentenza n. 919/2008 CORTE APPELLO di CATANIA, del 20/05/2011) Pres. Squassoni, Est. Fiale, Ric. Armeli ed altro
 
 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Impugnazione – Inammissibilità del ricorso – Prescrizione dei reati – Effetti – Esclusione.
 
L’inammissibilità del ricorso non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, per cui non può tenersi conto della prescrizione dei reati che venga a scadere in epoca successiva alla pronuncia della sentenza impugnata ed alla presentazione dell’atto di gravame (Cass., Sez. Unite, 21.12.2000, n. 32, De Luca).
 
(sentenza n. 919/2008 CORTE APPELLO di CATANIA, del 20/05/2011) Pres. Squassoni, Est. Fiale, Ric. Armeli ed altro


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 19 settembre 2012 (Ud. 17/04/2012) Sentenza n. 35803

SENTENZA

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
 
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: 
 
Dott. CLAUDIA SQUASSONI – Presidente
Dott. ALDO FIALE             – Consigliere Rel.
Dott. RENATO GRILLO – Consigliere
Dott. GUICLA MULLIRI            – Consigliere
Dott. LUCA RAMACCI – Consigliere
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
sul ricorso proposto da:
1) ARMELI MOCCIA GIOVANNI N. IL 08/02/1954
2) CUSUMANO CONCETTA N. IL 11/06/1958
avverso la sentenza n. 919/2008 CORTE APPELLO di CATANIA, del 20/05/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/04/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO FIALE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. E.D. che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
 
La Corte di appello di Catania, con sentenza del 20.5.2011, in parziale riforma della sentenza 22.11.2007 del Tribunale di Caltagirone:
a) ribadiva l’affermazione della responsabilità penale di Annali Moccia Giovanni e Cusumano Corretta in ordine ai reati di cui:
– all’art. 44, lett. b), d.P.R. n. 380/2001 (per avere realizzato, in assenza del prescritto permesso di costruire, un fabbricato in cemento armato in unica elevazione, su una superficie di mt. 7,80 x 9,90 – acc. in Caltagirone, contrada Ramione, 11 30.5.2006);
b) confermava le pene inflitte dal primo giudice – riconosciute circostanze attenuanti generiche alla sola Cusumano e unificati tutti i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. cod. pen. – di mesi uno di arresto ed euro 14.000,00 di ammenda per l’Armeli e di giorni 20 di arresto ed euro 9.000,00 di ammenda per la Cusumano;
c) confermava l’ordine di demolizione delle opere abusive e la concessione del beneficio della sospensione condizionale delle pene per entrambi gli imputati, subordinato, per il solo Armeli, alla effettiva demolizione da eseguirsi entro un anno dalla formazione del giudicato;
d) concedeva alla Cusumano l’ulteriore beneficio della non-menzione della condanna.
 
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore degli imputati, il quale ha eccepito, sotto i profili della violazione di legge e della illogicità della motivazione:
– la carenza assoluta di prova in ordine alla rioanducibliità dell’attività di edificazione abusiva alla Cusumano, in quanto “l’opera realizzata è stata commissionata interamente” dal marito Armeli;
– la inconfigurabllità dei reati, poiché sarebbero stati eseguiti lavori di mera ‘manutenzione straordinaria” o, comunque, opere integranti “pertinenza” di una costruzione contigua;
– la illegittimità della mancata valutazione dell’intervenuta estinzione dei reato urbanistico in seguito alla presentazione di domanda di sanatoria ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47/1985;
– la illegittimità del diniego di espletamento di una consulenza tecnica “volta a quantificare con esattezza i lavori effettuati”;
– la illegittimità del diniego all’Armeli di circostanze attenuanti generiche e dei beneficio della non-menzione della condanna;
– la incongrua subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena inflitta all’Armeli alla effettiva demolizione delle opere abusive;
– la prescrizione dei reati.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perché manifestamente infondato.
 
1. In ordine alla ritenuta responsabilità della Cusumano per l’esecuzione della costruzione abusiva, deve rilevarsi che la giurisprudenza ormai assolutamente prevalente di questa Corte Suprema – condivisa dal Collegio – à orientata nel senso che non può essere attribuito ad un soggetto, per il solo fatto di essere proprietario di un’area, un dovere di controllo dalla cui violazione derivi una responsabilità penale per costruzione abusiva. Il semplice fatto di essere proprietario o comproprietario del terreno (o comunque della superficie) sul quale vengono svolti lavori edili illeciti, pur potendo costituire un indizio grave, non à sufficiente da solo ad affermare fa responsabilità penale, nemmeno qualora il soggetto che riveste tali qualità sia a conoscenza che altri eseguano opere abusive sul suo fondo, essendo necessario, a tal fine, rinvenire altri elementi in base ai quali possa ragionevolmente presumersi che egli abbia in qualche modo concorso, anche solo moralmente, con il committente o l’esecutore dei lavori abusivi.
 
Occorre considerare, in sostanza, la situazione concreta in cui si è svolta l’attività incriminata, tenendo conto non soltanto della piena disponibilità, giuridica e di fatto, della superficie edificata e dell’interesse specifico ad effettuare la nuova costruzione (principio del “cui prodest“) bensì pure: dei rapporti di parentela o di affinità tra l’esecutore dell’opera abusiva ed il proprietario; dell’eventuale presenza “in loco” di quest’ultimo durante l’effettuazione dei lavori; dello svolgimento di attività di materiale vigilanza sull’esecuzione dei lavori; della richiesta di provvedimenti abilitativi anche in sanatoria; del regime patrimoniale fra coniugi o comproprietari e, in definitiva, di tutte quelle situazioni e quei comportamenti, positivi o negativi, da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione, anche morale, all’esecuzione delle opere, tenendo presente pure la destinazione finale della stessa [vedi Cass., Sez. III: 27.9.2000, n. 10284, Cutaia; 3.5.2001, n. 17752, Zorzi; 10.8.2001, n. 31130, Gagliardi; 18.4.2003, n. 18756, Capasso; 2.3.2004, n. 9536, Mancuso; 28.5.2004, n. 24319, Rizzuto; 12.1.2005, n. 216, Fucciolo; 15.7.2005, n. 26121, Rosato; 2.9.2005, n. 32856, Farzone].
 
La responsabilità per la realizzazione di una costruzione abusiva non prescinde, per il proprietario dell’area interessata dal manufatto, dall’esistenza di un consapevole contributo all’integrazione dell’illecito, ma grava sull’interessato l’onere di allegare circostanze utili a convalidare la tesi che, nella specie, si tratti di opere realizzate da terzi a sua insaputa e senza la sua volontà (vedi Cass., Sez. feriale, 16.9.2003, n. 35537, Vitale).
 
Alla stregua di tali principi, nella fattispecie in esame, i giudici del merito – con motivazione adeguata ed immune da vizi logico-giuridici – hanno ricondotto anche alla Cusumano l’attività di edificazione illecita in oggetto sui rilievi che ella era comproprietaria del fondo su cui sono state realizzate le opere abusive, ne aveva la disponibilità giuridica e di fatto, era interessata alla realizzazione della nuova costruzione, era presente in cantiere al momento dell’accertamento degli abusi e non ha prospettato né dimostrato che la costruzione sia avvenuta con il suo dissenso.
 
2, L’attività edilizia concretamente realizzata non può ricondursi alla manutenzione straordinaria, in quanto l’art. 3, 1° comma – lett. b), del T.U. n. 380/2001 [con definizione già fornita dall’art. 31, 1° comma – lett. b), della legge n. 457/1978] ricomprende in tale nozione “le opere e le modifiche necessarie per rinnovare o sostituire parti anche strutturarli degli edifici, nonché per realizzare e integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni d’uso”.
 
La legge pone, dunque, un duplice limite: uno, di ordine funzionale, costituito dalla necessità che i lavori siano rivolti alla mera sostituzione o al puro rinnovo di parti dell’edificio, e l’altro, di ordine strutturale, consistente nel divieto di alterare i volumi e le superi delle singole unità immobiliari o di mutare la loro destinazione.
 
Interventi siffatti devono essere inoltre effettuati ‘nel rispetto degli elementi tipologici, strutturali e formali nella loro originaria edificazione” (vedi C. Stato, Sez. V: 25.11.1999, n. 1971 e 8.4.1991, n. 460).
 
Nella fattispecie in esame, invece, risulta accertato in punto di fatto che à stato posto in essere un intervento di nuova costruzione (non di rinnovazione o sostituzione di parti di un edificio preesistente) comportante la realizzazione ex novo di autonome superfici e volumetrie.
 
3. Correttamente la Corte territoriale ha poi escluso che l’opera abusiva in oggetto costituisca “pertinenza” rispetto ad una costruzione contigua (rimasta non specificamente individuata quanto alla consistenza ed alle caratteristiche).
 
La nozione di `pertinenza urbanistica” (vedi, ad esempio, Cass., Sez. 16.10.2008, n. 42738, Fusco; 20.3.2008, n, 25113, Castriciano; 9.12.2004, Bufano; 27.11.1997, Spanò] ha peculiarità sue proprie, che la distinguono da quella civilistica: deve trattarsi, invero, di un’opera preordinata ad un’oggettiva esigenza di un edificio principale, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell’edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell’immobile cui accede (gli interventi che comportino la realizzazione di un volume superiore ai 20% del volume dell’edificio principale sono comunque assoggettati a permesso di costruire ex art. 3, 1° comma, lett. e), del T.U. n. 380/20011.
 
Il durevole rapporto di subordinazione deve instaurarsi con una costruzione preesistente e la relazione con detta costruzione deve essere, in ogni caso, non di integrazione ma “di servizio”, allo scopo di renderne più agevole e funzionale l’uso (carattere di strumentalità funzionale), sicché non può ricondursi alla nozione in esame la realizzazione di un fabbricato che completi un altro edificio affinché soddisfi ai bisogni cui à destinato.
 
4. Nel caso in esame non risulta rilasciata concessione in sanatoria a seguito dell’accertamento di conformità previsto dall’art. 36 del T.U. n. 380/2001 (già art. 13 della legge n. 47/1985): la relativa richiesta é stata presentata in data 26.10.2006 e, ai sensi del 3° comma della norma medesima, non essendo intervenuta pronuncia entro i 60 giorni successivi alla presentazione, la richiesta medesima deve intendersi “rifiutata”.
 
L’Amministrazione comunale non ha certamente perduto il potere di provvedere in merito all’istanza, poiché questo può essere legittimamente esercitato anche una volta formatosi il silenzio-rifiuto, ma allo stato non si ravvisa la causa estintiva del reato prevista dall’art. 45 del T.U. n. 380/2001 né sussiste attualmente (come non sussisteva al momento della celebrazione del giudizio di appello) alcun motivo di sospensione del procedimento.
 
5. Nel vigente codice di procedura penale la rinnovazione dell’istruzione nel giudizio di appello ha natura di Istituto eccezionale rispetto all’abbandono del principio di oralità nel secondo grado, ove vige la presunzione che l’indagine probatoria abbia raggiunto la sua completezza nel dibattimento già svoltosi.
 
L’ipotesi di rinnovazione del dibattimento prevista dal primo comma dell’art. 603 cod. proc. pen. riguarda prove preesistenti o già note alla parte ed a subordinata alla condizione che il giudice di appello ritenga, secondo la sua valutazione discrezionale, di non essere in grado di decidere allo stato degli atti (giudizio che, se sorretto da motivazione adeguata, non à censurabile in sede di legittimità).
 
L’impossibilità di decidere allo stato degli atti può sussistere quando i dati probatori già acquisiti siano incerti nonché quando l’incombente richiesto rivesta carattere di decisività nel senso che lo stesso possa eliminare le eventuali suddette incertezze ovvero sia di per sé oggettivamente idoneo ad infilare ogni altra risultanza.
 
Nella fattispede in esame risulta incontestabile, sulla base delle testimonianze e della documentazione raccolte, l’irrilevanza assoluta del richiesto espletamento di una consulenza tecnica “sta a quantificare con esattezza i lavori effettuati”.
 
Una consulenza siffatta, inoltre, non può farsi rientrare nel concetto di “prova decisiva°, essendo un mezzo di accertamento neutro, sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice.
 
6. Le attenuanti generiche, nel nostro ordinamento, hanno lo scopo di allargare le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole al reo, in considerazione di situazioni e circostanze particolari che effettivamente incidano sull’apprezzamento dell’entità del reato e della capacità di delinquere dell’imputato. II riconoscimento di esse richiede, dunque, la dimostrazione di elementi di segno positivo.
 
Secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema, la concessione o il diniego delle attenuanti generiche rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio, positivo o negativo che sia, deve essere bensì motivato ma nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo.
 
Anche il giudice di appello – pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell’appellante – non à tenuto ad una analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta contestazione.
 
Nella fattispecie in esame, la Corte di merito – per quanto concerne la posizione dell’Armeli – nel corretto esercizio del potere discrezionale riconosciutole in proposito dalla legge – in carenza di congrui elementi di segno positivo – ha dedotto logicamente prevalenti significazioni negative della personalità dell’imputato dai plurimi precedenti penali dello stesso.
 
Alla stregua di tale valutazione anche il beneficio della non-menzione della condanna risulta legittimamente denegato.
 
7. Le Sezioni Unite – con la sentenza 3.2.1997, n.714, Luongo, alle cui diffuse argomentazioni, condivise da questo Collegio, si rinvia – hanno affermato la legittimità della subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione dell’opera abusiva.
 
Deve ritenersi definitivamente superata, infatti, in materia urbanistica, la visione di un giudice supplente della pubblica Amministrazione, in quanto è il territorio a costituire l’oggetto della tutela posta dalle relative norme penali: non può affermarsi, pertanto, che la legge riserva all’autorità amministrativa ogni tipo di intervento nella materia e, avendo l’ordine di demolizione la funzione di eliminare le conseguenze dannose del reato, ben può trovare applicazione l’art.165 cod. pen..
 
8. I reati non erano prescritti ai momento della pronuncia della sentenza impugnata.
 
L’accertamento risaie al 30.5.2006, allorquando la costruzione era ancora in corso, e la scadenza dei termine ultimo prescrizionale sarebbe maturata, pertanto, il 30.5.2011.
 
Va computata inoltre (secondo quanto stabilito dalle Sezioni Unite con la sentenza 11.1.2002, n. 1021, ric. Cremonese) una sospensione del corso della prescrizione per complessivi mesi 5 e giorni 16, in seguito a rinvii disposti su richiesta dei difensore [dal 5.7 al 19.10.2007 e dal 18.3 al 20.5.20111 non per esigenze di acquisizione della prova né a causa del riconoscimento di termini a difesa.
 
Il termine ultimo di prescrizione resta perciò fissato al 15.11.2011.
 
La inammissibilità del ricorso non consente, però, il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, per cui non può tenersi conto della prescrizione dei reati che venga a scadere in epoca successiva alla pronuncia della sentenza impugnata ed alla presentazione dell’atto di gravame (vedi Cass., Sez. Unite, 21.12.2000, n. 32, De Luca).
 
9. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che “le parti abbiano proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria della stessa segue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese dei procedimento nonché, per ciascun ricorrente, quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 1.000,00.
 
P.Q.M.
 
dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di mille/00 euro in favore della Cassa delle ammende.
 
ROMA, 17.4.2012

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