Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Appalti, Diritto processuale penale, Pubblica amministrazione Numero: 326 | Data di udienza: 28 Novembre 2013

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – APPALTI – Responsabilità da reato degli enti  –  D.Lgs. n. 231/2001 – Sistema punitivo a carattere prettamente preventivo – Fattispecie: enti locali danneggiati dall’attività di corruzione – Responsabilità degli enti e 231 – Revoca delle sanzioni interdittive – Presupposti – Determinazione del danno – Criterio – Fattispecie: misura della somma determinata unilateralmente – Integralità del risarcimento – Determinazione – Fattispecie: delitto di turbata libertà degli incanti – D.Lgs. n. 231/ 2001, art. 5, c.1, lett. a), artt. 21 e 25 correlato ai reati di cui agli artt. 81 cpv., 110, 319, 319 bis e 321 c.p. –  DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione per violazione di legge ai sensi dell’art. 52, c.2 D.Lgs. n. 231/2001 – Presupposti e limiti.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 8 Gennaio 2014
Numero: 326
Data di udienza: 28 Novembre 2013
Presidente: Petti
Estensore: Iannelli


Premassima

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – APPALTI – Responsabilità da reato degli enti  –  D.Lgs. n. 231/2001 – Sistema punitivo a carattere prettamente preventivo – Fattispecie: enti locali danneggiati dall’attività di corruzione – Responsabilità degli enti e 231 – Revoca delle sanzioni interdittive – Presupposti – Determinazione del danno – Criterio – Fattispecie: misura della somma determinata unilateralmente – Integralità del risarcimento – Determinazione – Fattispecie: delitto di turbata libertà degli incanti – D.Lgs. n. 231/ 2001, art. 5, c.1, lett. a), artt. 21 e 25 correlato ai reati di cui agli artt. 81 cpv., 110, 319, 319 bis e 321 c.p. –  DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione per violazione di legge ai sensi dell’art. 52, c.2 D.Lgs. n. 231/2001 – Presupposti e limiti.



Massima

 

 
 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.2^ 8 Gennaio 2014  (Ud. 28/11/2013), Sentenza n. 326

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – APPALTI – Responsabilità da reato degli enti  –  D.Lgs. n. 231/ 2001 – Sistema punitivo a carattere prettamente preventivo – Fattispecie: enti locali danneggiati dall’attività di corruzione.
 
In materia di responsabilità da reato degli enti, il sistema punitivo assume un carattere prettamente preventivo volto a prescegliere sanzioni e misure cautelari funzionali a prevenire per il futuro la commissione dei reati attraverso la strutturazione regolati va dell’organizzazione capace di controllare, da sè, se stessa. Ne consegue che le disposizioni funzionali alla regolarizzazione, attraverso schemi rigorosi, dell’organizzazione dell’ente tali da impedire la reiterazione dei reati, devono essere interpretate con il massimo rigore per poter perseguire la massima efficacia. Nella fattispecie si traduce nella diretta consegna alle persone danneggiate, nello specifico agli enti locali danneggiati dall’attività di corruzione, della somme costitutive del risarcimento del danno prodotto ovvero con modalità che garantiscano la presa materiale della somma risarcita su iniziativa del danneggiato senza la necessità di una ulteriore collaborazione per la traditio dell’ente risarcente.
 
(Annulla con rinvio al tribunale di Pistoia ordinanza n. 27/2013 TRIB. LIBERTA’ di PISTOIA, del 10/07/2013) Pres. Petti, Est. Iannelli, Ric. P.R.
 
 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – APPALTI – Ricorso per cassazione per violazione di legge ai sensi dell’art. 52, c.2 D.Lgs. n. 231/2001 – Presupposti e limiti.
 
Il ricorso per cassazione, in forza del disposto dell’art. 52, comma 2 D.Lgs n. 231 del 2001, è consentito per violazione di legge, e non per manifesta illogicità della motivazione. Peraltro la valutazione della adeguatezza o meno di un sistema che, a prescindere che certi poteri siano o non siano formalmente delegati, garantisca l’effettiva e concreta ripartizione dei compiti all’interno della impresa, tale da consentire una scoperta immediata, ed una altrettanto immediata segnalazione, degli eventuali illeciti societari, di regola, richiede competenze tecniche di individuazione e rilevazione del rischio e delle misure idonee a prevenirlo, incompatibili con i giudizi costretti e ristretti dai i rigorosi limiti segnati dalla verifica della mancanza di motivazione o di una motivazione meramente apparente ovvero ancora di una manifestazione talmente affetta da vizi e carenze da doversi ritenere mancante. Parimenti sfugge di regola al giudizio di legittimità la valutazione in merito alla quantificazione della somme dovute a titolo di risarcimento ovvero costitutive del profitto funzionali alla confisca laddove siano stati indicati parametri non manifestamente illogici per la correlata individuazione, peraltro condizionata,nella fase delle indagini preliminari, dalla maggiore o minore concludenza degli esiti probatori ancora “in movimento”. 

(Annulla con rinvio al tribunale di Pistoia ordinanza n. 27/2013 TRIB. LIBERTA’ di PISTOIA, del 10/07/2013) Pres. Petti, Est. Iannelli, Ric. P.R.
 
 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – APPALTI – Responsabilità degli enti e 231 – Revoca delle sanzioni interdittive – Condizioni essenziali – Fattispecie.
 
Il D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 50 prevede la revoca delle sanzioni interdittive disposte ai sensi del precedente art. 45, quando le correlative esigenze cautelari risultino mancanti anche per fatti sopravvenuti (non tipizzati dalla norma), ovvero in presenza delle ipotesi previste dall’art. 17, disposizione che disciplina la riparazione delle conseguenze del reato prevedendo che essa possa ritenersi attuata nella concorrenza di tre condizioni, che devono essere adempiute prima dell’apertura del dibattimento di primo grado e concorrere tutte, le seguenti: a) che l’ente abbia risarcito integralmente il danno e abbia eliminato le conseguenze dannose del reato, ovvero si sia comunque efficacemente adoperato in questo senso; b) che abbia eliminato le carenze che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della stessa specie di quello verificatosi; c) che abbia messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca. Dette condizioni devono peraltro necessariamente concorrere sia al fine di evitare la stessa applicazione delle sanzioni interdittive che per giustificarne la revoca. Nella fattispecie, la condotta posta dalla società che pone a bilancio una somma determinata unilateralmente senza alcuna possibile interferenza da parte degli enti territoriali danneggiati dal reato, non garantisce l’efficacia del risarcimento, che è una delle tre condizioni essenziali per la revoca delle misure interdittive.
 
(Annulla con rinvio al tribunale di Pistoia ordinanza n. 27/2013 TRIB. LIBERTA’ di PISTOIA, del 10/07/2013) Pres. Petti, Est. Iannelli, Ric. P.R.
 
 
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – APPALTI – D.Lgs n. 231/2001 – Revoca delle sanzioni interdittive – Presupposti – Determinazione del danno – Criterio – Fattispecie: misura della somma determinata unilateralmente.
 
L’art. 17, lett. a) D.Lgs n. 231 del 2001 richiede, per non dar luogo o revocare le misure interdittive, non solo che si sia risarcito integralmente il danno, ma che anche si siano eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato e comunque di essersi efficacemente adoperato in tal senso. Il che presuppone gioco forza una determinazione del danno e delle conseguenze non per iniziative unilaterali, ma in virtù di una collaborazione o comunque contatto tra parti contrapposte, tale da doversi ritenere efficace l’essersi adoperato preteso dalla disposizione richiamata. Nel caso di specie la condotta della società è consistita nell’offrire dieci giorni prima della scadenza del tempo di sospensione della misura una somma determinata unilateralmente, senza alcuna possibile interferenza da parte degli enti territoriali danneggiati dalla condotta costitutiva di reato.
 
(Annulla con rinvio al tribunale di Pistoia ordinanza n. 27/2013 TRIB. LIBERTA’ di PISTOIA, del 10/07/2013) Pres. Petti, Est. Iannelli, Ric. P.R.
 
 
APPALTI – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Integralità del risarcimento – Determinazione – Fattispecie: delitto di turbata libertà degli incanti – D.Lgs. n. 231/ 2001, art. 5, c.1, lett. a), artt. 21 e 25 correlato ai reati di cui agli artt. 81 cpv., 110, 319, 319 bis e 321 c.p..
 
Ai sensi delle indicazione tassative contenute nelle disposizioni del D.Lgs n. 231 del 2001, per l’effettività, ed ancor più per l’integralità del risarcimento e delle condotte funzionali a realizzarlo, occorrerà che, in relazione al reato per cui si procede contro la persona fisica, anche la società coinvolta deve impegnarsi ad individuare le persone offese e danneggiate dal reato, a prescindere anche dalla costituzione di parte civile nel giudizio se instaurato, nei confronti della persona fisica imputata, ed a risarcirne, ove sussistente, il danno. Ed occorrerà ancora che, in caso di difficile determinazione dello stesso, la società coinvolta dia prova di essersi adoperata per risarcirlo quanto meno attraverso contatti con gli interessati al risarcimento che possano valere a dimostrare di essa l’effettiva intenzione riparatoria. Nella specie, la responsabilità da reato e stata contestata anche con riferimento al delitto di turbata libertà degli incanti di cui all’art. 353 c.p., comma 2: ne consegue che in relazione a tale tipologia criminosa il privato che assume di essere, anche se non persona offesa che è solo la P.A., danneggiato dal reato, deve quanto meno se individuato, essere destinatario del risarcimento subito e comunque essere contattato dalla società se questa vuole dare prova di essersi adoperata a risarcire integralmente il danno ed a eliminare le conseguenze dannose o pericolose del reato.
 
(Annulla con rinvio al tribunale di Pistoia ordinanza n. 27/2013 TRIB. LIBERTA’ di PISTOIA, del 10/07/2013) Pres. Petti, Est. Iannelli, Ric. P.R.
 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.2^ 8 Gennaio 2014 (Ud. 28/11/2013), Sentenza n. 326

SENTENZA

 

 
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
 SEZIONE SECONDA PENALE 
 
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: 
 
Dott. PETTI Ciro – Presidente 
Dott. IANNELLI Enzo – Consigliere Rel.
Dott. GENTILE Domenico – Consigliere 
Dott. CASUCCI Giuliano – Consigliere
Dott. VERGA Giovanna – Consigliere
 
ha pronunciato la seguente: 
 
SENTENZA
 
sul ricorso proposto dal PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI PISTOIA; 
nei confronti di:  Vescovi s.p.a.; 
avverso l’ordinanza n. 27/2013 TRIB. LIBERTA’ di PISTOIA, del 10/07/2013; 
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ENZO IANNELLI; 
Letti gli atti, la ordinanza impugnata, il ricorso e la memoria a sostegno depositata il 13.11.2013; 
Udita la relazione del cons. Dott. Enzo Jannelli; 
Udite le conclusioni del S. Procuratore generale, Giuseppe Volpe, per l’annullamento con rinvio del provvedimento; 
Udito il difensore della società Vescovi s.p.a., avv. Panelli Enrico, che chiede che venga dichiarata l’inammissibilità del ricorso del P.M.. 
 
FATTO E DIRITTO
 
1. Il P.M. di Pistoia ricorre per cassazione avverso l’ordinanza del tribunale di Pistoia in data 10.7.2013 che,in sede di appello, annullava l’ordinanza emessa dal gip della stessa città, datata 31.5.2013, che, ripristinava la già disposta misura cautelare interdittiva nei confronti della società Vescovi s.p.a. del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione per sette mesi nelle regioni della Toscana e della Liguria, misura conseguente al ravvisato illecito amministrativo di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 5, comma 1, lett. a), artt. 21 e 25 correlato ai reati di cui agli artt. 81 cpv., 110, 319, 319 bis e 321 c.p. e art. 1353 c.p., comma 2 contestati a , quale socio di maggioranza ed institore della predetta società. Era accaduto che il gip del tribunale di Pistoia, dopo la sospensione, alla predetta società per azioni, delle misure cautelari ex art. 49 D.Lgs. per un periodo di sette mesi al fine di consentirle di poter adempiere alla tre condizioni ostative alla applicazione delle misure cautelari interdittive elencate nel D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 17, le riteneva non adempiute, ripristinava la misura che però veniva annullata dal giudice di appello con il provvedimento oggetto di ricorso. 
 
2. In breve il discorso giustificativo del giudice di appello che, oltre che annullare la citata ordinanza, disponeva altresì la restituzione della somma di Euro 250.000,00 in precedenza prestata a titolo di fideiussione ai sensi dell’art. 49 D.Lgs. cit.: in adempimento della prima condizione prevista dalla lett. a) del citato art. 17 il tribunale ha ritenuto che, nella impossibilità di determinare l’entità del danno cagionato dagli amministratori della società a fronte dell’incolpazione provvisoria, l’avere però previsto in bilancio la costituzione di un fondo di accantonamento di Euro 120.000,00 (rectius 118.000.00) informando della operazione i Comuni in tesi danneggiati dal reato – Pistoia e Piteglio – si traduceva in buona sostanza nell’adempimento della prestazione alternativa al risarcimento integrale del danno ovvero alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose da reato, prestazione alternativa tradottasi nell’essersi la società efficacemente adoperata per garantirne, del risarcimento e della eliminazione dell’conseguenze predette, il futuro adempimento. Non riteneva il giudice di appello che allo stato potessero profilarsi ulteriori fronti danneggiati, quali le ditte che avevano partecipato alla gara illecita per l’impossibilità di ravvisare un danno alle predette tant’è che le stesse non si erano costituite parti civili nel dibattimento in corso contro l’imputato. Peraltro la società avrebbe adempiuto anche alla seconda condizione ostativa alla applicazione di sanzioni interdittive, per aver adottato procedure e protocolli organizzativi idonei a prevenire i reati della specie di quello verificatosi. In proposito veniva richiamato il profilo oggettivo delle condizioni riparatorie richieste dalla legge per rilevare che nessun rilievo negativo poteva attribuirsi al fatto che amministratore unico era stato nominato , collegato per stretti vincoli familiari a che si era reso responsabile, in tesi, dei reati per i quali si procedeva. Anche la terza condizione ostativa alla applicazione delle sanzioni interdittive si sarebbe realizzata per doversi ritenere l’accantonamento di una seconda somma di Euro 120.00,00 (rectius 118.000), pari al 10% degli importi fatturati ed incassati dalla società per i lavori relativi allegare in contestazione, del tutto corrispondente al profitto conseguito ai fini della confisca, profitto in questa prospettiva da intendersi in senso stretto costitutivo dell’utile netto ricavato. 
 
3.  Articolato e diffuso il ricorso del P.M. che sottolinea, per escludere che l’ente si sia adoperato efficacemente per risarcire il danno, l’esiguità, il ritardo, alla scadenza del periodo di sospensione, e l’inconcludenza del mero accantonamento, in ogni momento revocabile, della somma messa a disposizione ai fini della confisca, peraltro considerata solo ai fini del risarcimento del danno subito dai Comuni, e non invece anche dalle ditte partecipanti alla gara di appalto, alterate dalla condotta costitutiva del reato ex art. 353 c.p.. Le violazioni di legge, come sopra denunciate, riguarderebbero anche l’omessa predisposizione di moduli organizzativi funzionali a prevenire futuri illeciti dello stesso tipo di quello commesso. Da qui, ad avviso del ricorrente la denuncia di una motivazione giudiziale affetta da vizi così radicali da rendere l’apparato argomentativo mancante, apparente o illogico. 
 
4. Il ricorso del P.M. è fondato, ma non per tutte le argomentazioni svolte con riferimento a tutti i profili afferenti alle dedotta mancanza delle tre e condizioni previste dal D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 17 come ostative alla applicazione delle misure interdittive. E’ fondato il ricorso per l’assorbente ed esaustivo profilo di non essersi la società  Vescovi s.p.a. “efficacemente”, come impone il D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 17, lett. a), adoperata a risarcire integralmente il danno, ad eliminare le conseguenze dannose o pericolose del reato. Si deve premettere che il D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 50 prevede la revoca delle sanzioni interdittive disposte ai sensi del precedente art. 45, quando le correlative esigenze cautelari risultino mancanti anche per fatti sopravvenuti (non tipizzati dalla norma), ovvero in presenza delle ipotesi previste dall’art. 17, disposizione che disciplina la riparazione delle conseguenze del reato prevedendo che essa possa ritenersi attuata nella concorrenza di tre condizioni, che devono essere adempiute prima dell’apertura del dibattimento di primo grado e concorrere tutte, le seguenti: a) che l’ente abbia risarcito integralmente il danno e abbia eliminato le conseguenze dannose del reato, ovvero si sia comunque efficacemente adoperato in questo senso; b) che abbia eliminato le carenze che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della stessa specie di quello verificatosi; c) che abbia messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca. Dette condizioni devono peraltro necessariamente concorrere sia al fine di evitare la stessa applicazione delle sanzioni interdittive che per giustificarne la revoca. 
 
5. Vi è da premettere, ancora, che il ricorso per cassazione de quo, in forza del disposto dell’art. 52, comma 2 D.Lgs cit, è consentito per violazione di legge, e non per manifesta illogicità della motivazione. Sul versante motivazionale, la violazione di legge, per giurisprudenza che non registra arresti di sorta, potrà ricorrere solo quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perchè sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l”‘iter” logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato. Una tale limitazione di indagine preclude al giudice di legittimità di prendere posizione sulla asserita violazione della necessità di predisporre validi “compilance programs” o valide messe a disposizione del profitto funzionale alla confisca e tanto meno la congruità del valore del profitto accantonato. Sul punto il tribunale ha redatto una motivazione, quale che sia il suo valore euristico sul piano del merito, che esiste, costitutiva di criteri di ragione, anche se opinabili, che impediscono alla corte di tracimare i rigidi steccati posti dalla legge alla sua competenza conoscitiva. Così, ai fini della decisione, non è possibile, nel caso di specie, prendere posizione, sul versante della predisposizione dei modelli organizzativi finalizzata alla prevenzione, della nomina quale amministratore unico di , figlio di e fratello di , a fronte di predisposte barriere a carattere oggettivo funzionali allo scopo, dal momento che sarebbe azzardato dare rilevanza di per sè, isolandolo dal più generale ed oggettivo contesto organizzativo, ai meri collegamenti personali, non ulteriormente caratterizzati da elementi di disvalore, tra gli amministratori e soci della società prima e dopo la commissione del reato. E peraltro la valutazione della adeguatezza o meno di un sistema che, a prescindere che certi poteri siano o non siano formalmente delegati, garantisca l’effettiva e concreta ripartizione dei compiti all’interno della impresa, tale da consentire una scoperta immediata, ed una altrettanto immediata segnalazione, degli eventuali illeciti societari, di regola, richiede competenze tecniche di individuazione e rilevazione del rischio e delle misure idonee a prevenirlo, incompatibili con i giudizi costretti e ristretti dai i rigorosi limiti segnati dalla verifica della mancanza di motivazione o di una motivazione meramente apparente ovvero ancora di una manifestazione talmente affetta da vizi e carenze da doversi ritenere mancante. Parimenti sfugge di regola al giudizio di legittimità la valutazione in merito alla quantificazione della somme dovute a titolo di risarcimento ovvero costitutive del profitto funzionali alla confisca laddove siano stati indicati parametri non manifestamente illogici per la correlata individuazione, peraltro condizionata,nella fase delle indagini preliminari, dalla maggiore o minore concludenza degli esiti probatori ancora “in movimento”. Sul punto la ricorrente ha prodotto una relazione tecnico – contabile alla quale ha fatto riferimento il tribunale il cui ragionamento si è svolto sullo sfondo di una concezione del profitto finalizzato alla confisca del tutto plausibile nella misura in cui viene parametrato sull’utile netto ricavato dalla società da intendere come immediata ed effettiva conseguenza economica dell’azione criminosa. d ancora deve ritenersi, alla stregua della puntuale lettera della legge, che il profitto funzionale alla confisca, come supportato da una motivazione giudiziale del tutto plausibile, è stato “messo a disposizione” con una operazione, seria anche se non stringente, costituita, non certo da un accantonamento prudenziale costitutivo di una voce del passivo dello stato patrimoniale, ma da una riserva indisponibile, voce dell’attivo dello stato patrimoniale, posta sotto il controllo del collegio sindacale alla stregua del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 84. Ed ancora non si traduce di certo in una violazione di legge l’adesione giudiziale ad un concetto di profitto funzionale alla confisca commisurato all’utile netto conseguito dalla società in seguito alla aggiudicazione, pur illecita della gara (in tal senso, Sez. 6, 19/21.3.2013, Soc. coop. CMSAm Rv. 2548419). 
 
6. Il ricorso rinviene la sua più piana soluzione, invece, nella registrazione di una violazione di  legge sul versante del risarcimento del danno che, a prescindere dalla sua determinazione quantitativa, contestata genericamente dal P.M, è stato ritenuto dai giudici di merito effettivo attraverso la costituzione di un accantonamento costitutivo di una riserva indisponibile, certificata dal collegio sindacale, accantonamento comunicato agli enti comunali, persone danneggiate dal reato, solo dieci giorni prima della scadenza del periodo di sospensione di sette mesi come concesso dal gip. Correttamente il P.M. ricorrente contesta che si sia realizzata la condizione imposta dalla legge perchè si possa dar luogo alla revoca della misura interdittiva.  Invero il sistema punitivo della responsabilità da reato degli enti assume un carattere prettamente preventivo, volto a prescegliere sanzioni e misure cautelari funzionali a prevenire per il futuro la commissione dei reati attraverso la strutturazione regolati va dell’organizzazione capace di controllare, da sè, se stessa. Ne consegue che le disposizioni funzionali alla regolarizzazione, attraverso schemi rigorosi, dell’organizzazione dell’ente tali da impedire la reiterazione dei reati,devono essere interpretate con il massimo rigore per poter perseguire la massima efficacia. Il che si traduce nella diretta consegna alle persone danneggiate, nella specie agli enti locali danneggiati dalla attività di corruzione, della somme costitutive del risarcimento del danno prodotto ovvero con modalità che garantiscano la presa materiale della somma risarcita su iniziativa del danneggiato senza la necessità di una ulteriore collaborazione per la traditio dell’ente risarcente. Con argomento a contrario, poi, può rilevarsi che mentre per il profitto funzionale alla confisca la disposizione di legge prescrive la “messa a disposizione” del danneggiato, per l’integrale risarcimento non impone la medesima modalità di condotta, ma rimarca che la sua prestazione sia efficace, come efficace l’attività tesa al suo adempimento. Ora la previsione nel bilancio della società di un fondo di accantonamento di Euro 120.000 Euro, anche nella forma di riserva indisponibile certificata dal collegio sindacale, non garantisce certo l'”efficacia” del risarcimento per le possibili incerte vicende societarie tanto che la somma accantonata, ma rimasta sempre nel possesso materiale e nella disponibilità, pur condizionata, dell’ente, potrebbe, in caso di perdita o di decozione della società, volatizzarsi, ridursi, esemplificando in caso di fallimento, per i concorrenti crediti di altri. In tali casi verrebbe frustrata la volontà della legge che pretende, per la revoca della misura interdittiva, la effettiva, attuale integrale, hic ed nunc, condotta risarcitoria. E nel caso di specie può dirsi di più: il risarcimento del danno è misura che, nell’impossibilità, come nel caso di specie di una determinazione ancorata a parametri rigidi, presuppone una condotta comunicativa con il danneggiato il quale potrebbe aderire all’offerta oppure rifiutarla allegando motivazioni non pretestuose ma oggettive e meritevoli di ogni seria considerazione. In proposito l’art. 17, lett. a) cit richiede, per non dar luogo o revocare le misure interdittive, non solo che si sia risarcito integralmente il danno, ma che anche si siano eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato e comunque di essersi efficacemente adoperato in tal senso. Il che presuppone gioco forza una determinazione del danno e delle conseguenze non per iniziative unilaterali, ma in virtù di una collaborazione o comunque contatto tra parti contrapposte, tale da doversi ritenere efficace l’essersi adoperato preteso dalla disposizione richiamata. Nel caso di specie la condotta della società è consistita nell’offrire dieci giorni prima della scadenza del tempo di sospensione della misura una somma determinata unilateralmente, senza alcuna possibile interferenza da parte degli enti territoriali danneggiati dalla condotta costitutiva di reato. 
 
7. Ed ancora, portando alle più doverose conseguenze, giuste le indicazione tassative della disposizione più volte sopra richiamata, per l’effettività, ed ancor più per l’integralità del risarcimento e delle condotte funzionali a realizzarlo, occorrerà che, in relazione al reato per cui si procede contro la persona fisica, la società si impegni ad individuare le persone offese e danneggiate dal reato, a prescindere anche dalla costituzione di parte civile nel giudizio se instaurato, nei confronti della persona fisica imputata, ed a risarcirne, ove sussistente, il danno. Ed occorrerà ancora che, in caso di difficile determinazione dello stesso, la società dia prova di essersi adoperata per risarcirlo quanto meno attraverso contatti con gli interessati al risarcimento che possano valere a dimostrare di essa l’effettiva intenzione riparatoria. Ora la responsabilità da reato e stata contestata anche con riferimento al delitto di turbata libertà degli incanti di cui all’art. 353 c.p., comma 2: ne consegue che in relazione a tale tipologia criminosa il privato che assume di essere, anche se non persona offesa che è solo la P.A., danneggiato dal reato, deve quanto meno se individuato, essere destinatario del risarcimento subito e comunque essere contattato dalla società se questa vuole dare prova di essersi adoperata a risarcire integralmente il danno ed a eliminare le conseguenze dannose o pericolose del reato. Alla verifica degli impegni come sopra individuati dovrà dedicarsi il giudice del rinvio. 
 
P.Q.M. 
 
Annulla il provvedimento impugnato con rinvio al tribunale di Pistoia per nuovo esame. 
 
Così deciso in Roma, il 28 novembre 2013. Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2014 
 
 

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