Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Appalti, Rifiuti Numero: 13025 | Data di udienza: 17 Dicembre 2013

 RIFIUTI – Responsabilità del produttore iniziale – Rifiuti consegnati a terzi per il recupero o lo smaltimento – Regola di cautela imprenditoriale – Responsabilità per il reato di illecita gestione di rifiuti in concorso – APPALTI – rifiuti siano prodotti dall’appaltatore nell’esecuzione di un contratto di appalto – Artt. 183, 188, c.1, e 260 d.lgs. n. 152/2006.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 20 Marzo 2014
Numero: 13025
Data di udienza: 17 Dicembre 2013
Presidente: Mannino
Estensore: Andronio


Premassima

 RIFIUTI – Responsabilità del produttore iniziale – Rifiuti consegnati a terzi per il recupero o lo smaltimento – Regola di cautela imprenditoriale – Responsabilità per il reato di illecita gestione di rifiuti in concorso – APPALTI – rifiuti siano prodotti dall’appaltatore nell’esecuzione di un contratto di appalto – Artt. 183, 188, c.1, e 260 d.lgs. n. 152/2006.



Massima

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^, 20/03/2014 (Ud. 17/12/2013), Sentenza n. 13025

RIFIUTI – Responsabilità del produttore iniziale – Rifiuti consegnati a terzi per il recupero o lo smaltimento – Regola di cautela imprenditoriale – Responsabilità per il reato di illecita gestione di rifiuti in concorso – APPALTI – rifiuti siano prodotti dall’appaltatore nell’esecuzione di un contratto di appalto – Art. 183, 188, c.1, e 260 d.lgs. n. 152/2006.
 
Ai sensi dell’art. 188, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, il produttore iniziale dei rifiuti che consegni tali rifiuti ad un altro soggetto che ne effettui, anche in parte, il trattamento conserva la responsabilità per l’intera catena di trattamento, restando inteso che essa sussiste anche nel caso in cui i rifiuti siano trasferiti per il trattamento preliminare ad uno dei soggetti consegnatari. In altri termini, colui che conferisce i propri rifiuti a soggetti terzi per il recupero o lo smaltimento ha il dovere di accertare che questi ultimi siano debitamente autorizzati allo svolgimento delle operazioni, con la conseguenza che l’inosservanza di tale regola di cautela imprenditoriale è idonea a configurare la responsabilità per il reato di illecita gestione di rifiuti in concorso con coloro che li hanno ricevuti in assenza del prescritto titolo abilitativo Cass., sez. 3, 4/06/2013, n. 29727; Cass. sez. 3, 19/12/2007, n. 6101). E tali conclusioni valgono anche qualora i rifiuti siano prodotti dall’appaltatore nell’esecuzione di un contratto di appalto (Cass. sez. 3, 25/05/2011, n. 25041; sez. 3, 5/04/2011, n. 35692).
 
(conferma ordinanza del Tribunale di Messina del 29 aprile 2013) Pres. Mannino, Est. Andronio, Ric. Radin

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^, 20/03/2014 (Ud. 17/12/2013), Sentenza n. 13025

SENTENZA

 

 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
 
Composta da:
 
Saverio F. Mannino – Presidente 
Maria Pia G. Savino 
Luca Ramacci
Gastone Andreazza 
Alessandro M. Andronio – Relatore
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
sul ricorso proposto da Radin Walter, nato il 15 luglio 1956
avverso l’ordinanza del Tribunale di Messina del 29 aprile 2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Mario
Fraticelli, che ha concluso per l’annullamento con rinvio;
uditi i difensori avv.ti Rosario Sansone e Massimo Rizzo
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. Con ordinanza del 29 aprile 2013, il Tribunale di Messina, in parziale riforma dell’ordinanza del Gip dello stesso Tribunale del 10 aprile 2013, ha sostituito la misura cautelare degli arresti domiciliari con quella dell’obbligo di dimora, in relazione ai reati di cui agli artt. 416 cod. pen., 110 cod. pen. e 260 del d.lgs. n. 152 del 2006. In particolare, l’indagato era stato originariamente sottoposto alla misura degli arresti domiciliari perché gravemente indiziato di essersi associato con altri, allo scopo di commettere delitti concernenti il traffico illecito organizzato di rifiuti speciali, anche pericolosi, mediante una serie indeterminata di trasporti e sversamenti, presso siti sconosciuti o discariche non autorizzate, di ingenti quantità di materiale abrasivo di scarto (cosiddetto “grit”), prodotto da lavori di verniciatura di carene di navi effettuati nel cantiere della Palumbo s.p.a. L’indagato, legale rappresentante della Petrol Lavori s.r.l. e della Petrol Lavori Sud s.r.I., società incaricate di effettuare i lavori di sabbiatura all’interno del cantiere della Palumbo s.p.a., quale partecipe dell’associazione a delinquere, al fine di assicurarsi l’affidamento di detti lavori, si accordava con Raffaele e Antonio Palumbo per omettere qualsiasi controllo sui rifiuti prodotti, così permettendo di smaltire illecitamente il grit esausto e, dunque, di non sostenere i costi di conferimento a una discarica autorizzata. In particolare, era omessa la caratterizzazione dei rifiuti prodotti, che erano avviati in modo clandestino in siti sconosciuti, formalmente classificati quali materiali misti da demolizione e avviati presso discariche per inerti non autorizzate a ricevere tale rifiuti; in parte anche attraverso la miscelazione di rifiuti pericolosi e non pericolosi.
 
2. Avverso l’ordinanza l’indagato ha proposto, tramite i difensori, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
 
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si rilevano la manifesta illogicità e la contraddittorietà della motivazione quanto alla partecipazione alla pretesa associazione per delinquere e, più in particolare, quanto all’accordo tra l’indagato e i Palumbo per non procedere al corretto smaltimento del grit esausto, che veniva gestito direttamente dalla società Palumbo, la quale si addossava anche il costo di smaltimento. Tale pattuizione risultava, del resto, dalla pag. 5 del contratto stipulato tra la società dell’indagato e la Palumbo s.p.a. Le maestranze messe a disposizione della Palumbo s.p.a. dalla società dell’indagato erano, inoltre, solo quattro operai, che utilizzavano in gran parte attrezzature della Palumbo s.p.a., realizzando prestazioni saltuarie. Ne consegue, secondo la difesa, che la Petrol Lavori s.r.l., società dell’indagato, è la titolare di rifiuti prodotti e, cioè, il produttore ai sensi dell’art. 183, comma 1, lettera f), del d.lgs. n. 152 del 2006, ma la Palumbo s.p.a. ne è il detentore, ai sensi dell’art. 183, comma 1, lettera h), del medesimo d.lgs. La società dell’imputato, nella sua veste di subappaltatrice, era, dunque, estranea allo smaltimento dei rifiuti, né aveva alcuna organizzazione idonea a svolgere tale smaltimento.
 
2.2. Con un secondo motivo di impugnazione, parzialmente ripetitivo del primo, la difesa deduce la violazione degli artt. 273 e 274 cod. proc. pen., nonché la mancanza e manifesta illogicità della motivazione quanto ai gravi indizi di colpevolezza, non essendo provato che: a) l’indagato fosse consapevole delle modalità illecite di smaltimento dei rifiuti; b) l’indagato avesse accettato tali modalità illecite pur di ottenere il contratto dalla Palumbo s.p.a.; c) l’indagato avesse, in dipendenza di tale accordo illecito, ottenuto la riduzione dei costi di smaltimento. Non si sarebbe considerato, in particolare, che l’accordo era favorevole alla società dell’indagato e che non vi è prova dei quantitativi in ipotesi abusivamente smaltiti, né della loro pericolosità.
 
2.3. Quanto alle esigenze cautelari, le stesse sarebbero fondate sull’erroneo presupposto dell’erronea vigilanza dell’indagato sullo smaltimento effettuato dalla società Palumbo, ma non si sarebbe tenuto conto del fatto che il contratto di subappalto era comunque cessato nell’anno 2011. Non si sarebbe considerato, inoltre, che l’obbligo di dimora aveva avuto il solo effetto di limitare la libertà personale dell’indagato, causando danni alla sua azienda e suoi dipendenti, né il fatto che, con delibera del consiglio di amministrazione del 16 maggio 2013, la società dell’indagato aveva attribuito la direzione e il coordinamento della gestione di rifiuti in tutte le sedi a un soggetto terzo, attraverso una delega di funzioni.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
3. – Il ricorso non è fondato e deve essere rigettato.
 
3.1. – I primi due motivi di impugnazione – che possono essere trattati congiuntamente, perché attengono sostanzialmente alla motivazione circa i gravi indizi di colpevolezza dei reati contestati – sono manifestamente infondati.
 
La difesa trascura, infatti, che l’elemento fondamentale, correttamente posto dal Gip e dal Tribunale a fondamento della misura cautelare, è la constatazione, riportata alla pag. 9 del provvedimento impugnato – e non contestata dalla stessa difesa – secondo cui vi erano ingenti forniture di materiale abrasivo, comprovate dalla documentazione fiscale acquisita, effettuate tra il 2010 il 2012 dalla società Italscoria s.r.l. presso il cantiere della società Palumbo e a favore delle ditte che qui svolgevano  attività di sabbiatura, tra cui le due società dell’indagato, contrattualmente incaricate dei lavori fino a tutto il 2011. Tali forniture non erano state effettuati, però, a favore della Palumbo s.p.a., ma direttamente a favore delle società dell’indagato, perché presso gli uffici della Palumbo s.p.a. non esistevano documenti attestanti l’avvenuto carico e scarico del grit. 
 
Contrariamente a quanto sostenuto nella richiesta di riesame e ribadito nel ricorso per cassazione, dunque, le società dell’imputato erano le acquirenti e le utilizzatrici del grit ed erano, di conseguenza, i soggetti che dovevano procedere al suo corretto smaltimento. Né può essere attribuita alcuna rilevanza scriminante ai rapporti contrattuali intercorrenti fra la Palumbo s.p.a. e le società dell’imputato, perché da tali rapporti emerge, da un lato, che il grit utilizzato veniva conferito alla Palumbo per lo smaltimento e, dall’altro, che il relativo era già computato nell’ambito del compenso complessivo per l’attività di smerigliatura.
 
Trova, dunque, applicazione il disposto dell’art. 188, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, secondo cui il produttore iniziale dei rifiuti – in questo caso la società dell’indagato – che consegni tali rifiuti ad un altro soggetto che ne effettui, anche in parte, il trattamento – in questo caso la società Palumbo – conserva la responsabilità per l’intera catena di trattamento, restando inteso che essa sussiste anche nel caso in cui i rifiuti siano trasferiti per il trattamento preliminare ad uno dei soggetti consegnatari. In altri termini, come costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, colui che conferisce i propri rifiuti a soggetti terzi per il recupero o lo smaltimento ha il dovere di accertare che questi ultimi siano debitamente autorizzati allo svolgimento delle operazioni, con la conseguenza che l’inosservanza di tale regola di cautela imprenditoriale è idonea a configurare la responsabilità per il reato di illecita gestione di rifiuti in concorso con coloro che li hanno ricevuti in assenza del prescritto titolo abilitativo (ex multis, sez. 3, 4 giugno 2013, n. 29727, rv. 255876; sez. 3, 19 dicembre 2007, n. 6101, rv. 238991). E tali conclusioni valgono anche qualora – come nel caso di specie – i rifiuti siano prodotti dall’appaltatore nell’esecuzione di un contratto di appalto (sez. 3, 25 maggio 2011, n. 25041, rv. 250676; sez. 3, 5 aprile 2011, n. 35692, rv. 251224).
 
Quanto al profilo della affectio societatis, rilevante ai fini della ritenuta sussistenza di gravi indizi del reato associativo, la motivazione del provvedimento impugnato risulta, del pari, pienamente adeguata e coerente, perché basata su dati di fatto correttamente ritenuti decisivi, quali: a) l’anomalia della clausola contrattuale volta ad addossare i costi dello smaltimento del grit esausto sull’appaltante a fronte di una gestione dello stesso grit interamente affidata alla appaltatrice; b) l’indubbio vantaggio economico che derivava da tale clausola; c) la totale mancanza di verifiche da parte dell’indagato sull’operato della società Palumbo nello smaltimento. Da tali elementi il Tribunale logicamente desume l’esistenza di indizi dell’elemento del dolo anche con riferimento al reato di cui all’art. 260 del d.lgs. n. 152 del 2006, in presenza di accordi e comportamenti dai quali emerge – allo stato degli atti – la volontà dell’imputato diretta alla commissione, in concorso, del reato stesso.
 
3.2. – Venendo al profilo delle esigenze cautelari, oggetto del terzo motivo di ricorso, deve rilevarsi che sia il Gip sia il Tribunale del riesame hanno sufficientemente argomentato le loro valutazioni sul punto prendendo le mosse dalla particolare gravità dei fatti delittuosi, in ragione delle loro modalità e della loro sistematicità, nonché della durata dello smaltimento illegale (dal 2008 a 2011, per l’indagato odierno ricorrente). Quanto all’adeguatezza dell’obbligo di dimora in Trieste, il Tribunale correttamente evidenzia che la lontananza rispetto al luogo in cui le condotte incriminate sono state poste in essere (Messina) garantisce l’interruzione dei contatti con il contesto ambientale illecito di riferimento, nonché con gli altri partecipi dell’associazione. Ed è proprio in considerazione di tali contatti e della sussistenza di gravi indizi di colpevolezza del reato associativo che risultano infondate le doglianze sollevate dalla difesa circa l’inidoneità della misura ad impedire il pericolo di commissione di reati della stessa specie e circa la presenza di una delega di funzioni ad altro soggetto per la gestione di rifiuti; ciò a cui mira la misura cautelare è, infatti lo si ribadisce – l’interruzione di tali contatti, sotto il profilo dell’impedimento della vicinanza fisica tra i coimputati e tra l’odierno ricorrente e il luogo in cui i reati sono stati posti in essere.
 
4. – Ne consegue il rigetto del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
 
P.Q.M.
 
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. 
 
Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2013.
 

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