Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto processuale penale, Sicurezza sul lavoro Numero: 48406 | Data di udienza: 20 Novembre 2015

* SICUREZZA SUL LAVORO – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Lesioni colpose ai danni di un lavoratore – Principio di correlazione tra accusa e sentenza – Colpa generica – Estremi di specificazione della colpa emergenti dagli atti processuali.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 4^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione:
Numero: 48406
Data di udienza: 20 Novembre 2015
Presidente: Romis
Estensore: Gianniti


Premassima

* SICUREZZA SUL LAVORO – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Lesioni colpose ai danni di un lavoratore – Principio di correlazione tra accusa e sentenza – Colpa generica – Estremi di specificazione della colpa emergenti dagli atti processuali.



Massima

 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. 4^ penale – 20 novembre 2015, n. 48406


SICUREZZA SUL LAVORO – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Lesioni colpose ai danni di un lavoratore – Principio di correlazione tra accusa e sentenza – Colpa generica – Estremi di specificazione della colpa emergenti dagli atti processuali.

In tema di lesioni colpose ai danni di un lavoratore, può ritenersi violato il principio di correlazione tra accusa e sentenza solo quando la causazione dell’evento venga contestata in riferimento ad una singola specifica ipotesi colposa e la responsabilità venga invece affermata in riferimento ad un’ipotesi differente. Se invece la contestazione concerne globalmente la condotta, addebitata come colposa (e cioè si faccia riferimento alla colpa generica), la violazione suddetta non sussiste: è consentito al giudice aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e quindi non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa, a tutela del quale la normativa è dettata. (Nel caso di specie, al ricorrente era stato correttamente contestato di aver causato al lavoratore l lesioni personali per colpa generica – consistita in negligenza, imprudenza, imperizia-  e per colpa specifica -violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e, in particolare violazione dell’art. 18 comma 1 lett. F) e 71 comma 4 lett. A) punto 2 del d. lgvo 81/2008.)


Pres. Romis, Est. Gianniti – Ric. Lazzeretti


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. 4^ penale – 20 novembre 2015, n. 48406

SENTENZA

 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. 4^ penale – 20 novembre 2015, n. 48406

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LAZZERETTI REMO N. IL 18/05/1954
avverso la sentenza n. 4381/2012 CORTE APPELLO di FIRENZE, del 17/04/2014

visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PASQUALE GIANNITI

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Giulio Romano
che ha concluso per il rigetto del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Pisa, Sezione Distaccata di Pontedera, con sentenza 6/12/2011 condannava Lazzeretti Remo alla pena di giustizia in relazione al reato di cui all’art. 590 comma 3 in relazione all’art. 583 numero 1 c.p., commesso in Pontedera il 12 ottobre 2009 ai danni del lavoratore Chiarei Gianni.
In particolare, in imputazione, veniva contestato all’imputato di aver cagionato lesioni personali al lavoratore Chiarei Gianni della durata superiore ai
40 giorni (e precisamente amputazione subtotale del secondo dito della mano destra, che il predetto si procurava per aver urtato con la lama troncatrice che era in movimento) per colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia, nel non aver fatto in modo che l’infortunato osservasse le norme vigenti e le disposizioni aziendali in materia che gli imponevano l’uso dei mezzi di protezione (quali la cuffia di protezione chiusa) e per non aver provveduto ad effettuare idonea manutenzione dell’attrezzatura di lavoro in uso all’infortunato al fine di garantire la permanenza dei requisiti di sicurezza di cui all’art. 70 d. Igvo 81/80.
2.La Corte di appello di Firenze, con sentenza 17/04/2014 confermava la sentenza di primo grado, con condanna dell’appellante al pagamento delle spese
processuali.
3.Avverso la suddetta sentenza proponeva ricorso l’imputato Lazzeretti Remo, deducendo contradditorietà e manifesta illogicità della motivazione.
3.1.In particolare, secondo quanto esposto in ricorso, entrambi i giudici di merito non avrebbero preso in considerazione la circostanza (risultata dall’espletata istruzione dibattimentale e in particolare dall’esame, oltre che dello stesso lavoratore infortunato, del teste Massimo Fulceri, Ispettore dell’Ausl 5, e del teste Michele Guerrazzi) che il macchinario in cui si era verificato l’infortunio era in fase di manutenzione e le cuffie relative alla sicurezza non erano inserite proprio per effettuare le operazioni nnanutentive.
3.2.Inoltre la Corte di appello di Firenze avrebbe ravvisato nella condotta dell’imputato un profilo di colpa non contestato in imputazione e precisamente il fatto che non era installato il carter di protezione, cioè un dispositivo che, se installato, avrebbe impedito il verificarsi dell’evento, in quanto, a carter alzato, la sega circolare non si sarebbe messa in moto.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il motivo di ricorso è inammissibile, per quanto concerne il primo profilo di doglianza ed è infondato, per quanto concerne il secondo.
2. Il motivo è inammissibile per aspecificità laddove viene dedotto che entrambi i giudici di merito non avrebbero preso in considerazione la circostanza
che il macchinario in cui si era verificato l’infortunio era in fase di manutenzione e le cuffie relative alla sicurezza non erano inserite proprio per effettuare le operazioni manutentive.
Trattasi di motivo aspecifico, in quanto con esso il ricorrente ripropone (per la terza volta) l’assunto difensivo che era già stato esaminato e respinto dal Giudice di prime cure e che è stato esaminato e respinto anche dal Giudice d’appello, e cioè l’assunto che il carter si trovava aperto il giorno dell’incidente (occorso di lunedì) perché era stato sollevato il venerdì precedente per i lavori di manutenzione della macchina e che l’infortunio si era verificato per colpa esclusiva del Chiarei, che aveva inopinatamente utilizzato la macchina a carter aperto. Al riguardo già il Giudice di prime cure aveva osservato che la circostanza non era risultata con certezza dall’escussione dei testi e comunque, quand’anche si dovesse ritenere certa, in presenza di una attività manutentiva in corso, il titolare della ditta avrebbe comunque dovuto adottare misure per impedire che il personale usasse la macchina in tale stato di insicurezza. Misure che per l’appunto non erano state adottate.
Sul punto è tornato anche il Giudice di appello che, nel ritenere l’appello manifestamente infondato, ha osservato che la macchina per cui è processo deve
essere stata utilizzata a carter aperto (per rendere più agevole il taglio di tubi corti) anche prima dell’infortunio, in quanto dalle dichiarazioni dell’agente accertatore e dai rilievi fotografici in atti era risultato che il sistema di bloccaggio del carter (sportello) era inefficiente e lo sportello era in pratica rimuovibile a totale discrezione dell’operatore (allo scopo di consentire la tagliatura dei tubi corti altrimenti non effettuabile).
3. Il motivo di ricorso è infondato laddove la Corte di appello di Firenze avrebbe ravvisato nella condotta dell’imputato un profilo di colpa non contestato in imputazione e precisamente il fatto che non era installato il carter di protezione, cioè un dispositivo che, se installato, avrebbe impedito il verificarsi dell’evento, in quanto, a carter alzato, la sega circolare non si sarebbe messa in moto. Si tratta di profilo di colpa in relazione al quale è stata ritenuta la responsabilità dell’imputato e rispetto al quale quest’ultimo ha avuto piena facoltà dì difesa, come emerge dalla sentenza impugnata e da quella di primo grado (oltre che dal complesso delle argomentazioni svolte nei motivi di ricorso).
Come noto, la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente affermato che le norme di cui agli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. – avendo lo scopo di
assicurare il contraddittorio sul contenuto dell’accusa e, quindi, il pieno esercizio del diritto di difesa dell’imputato – non possono ritenersi violate da qualsiasi modificazione rispetto all’accusa originaria, ma soltanto da una modificazione dell’imputazione che pregiudichi le possibilità di difesa dell’imputato. La nozione strutturale di “fatto”, contenuta nelle disposizioni in questione, va cioè coniugata con quella funzionale, fondata sull’esigenza di escludere le effettive lesioni del diritto di difesa.
Il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto del potere del giudice) risponde all’esigenza di evitare che l’imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi (Sez. 4, sent. n. 41663 del 25/10/2005, Cannizzo, Rv. 232423).
In tale ambito ricostruttivo, si è chiarito che sussiste il mutamento del fatto, quando la fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge subisca una radicale trasformazione nei suoi tratti essenziali, tanto da realizzare un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisce un reale pregiudizio dei diritti della difesa (Sez. 6, sent. n. 36003 del 14/06/2004, Di Bartolo, Rv. 229756).
Ed è stato precisato (Sez. 4, sent. n. 7704 del 27/06/1997, Crosara, Rv. 208556) che, in tema di lesioni colpose ai danni di un lavoratore, può ritenersi violato il principio di correlazione tra accusa e sentenza solo quando la causazione dell’evento venga contestata in riferimento ad una singola specifica ipotesi colposa e la responsabilità venga invece affermata in riferimento ad un’ipotesi differente.
Se invece la contestazione concerne globalmente la condotta, addebitata come colposa (e cioè si faccia riferimento alla colpa generica), la violazione suddetta non sussiste: è consentito al giudice aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e quindi non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa, a tutela del quale la normativa è dettata.
Nel caso di specie, al ricorrente è stato contestato di aver causato al lavoratore le sopra indicate lesioni personali per colpa generica (consistita in negligenza, imprudenza, imperizia) e per colpa specifica (violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e, in particolare violazione dell’art. 18 comma 1 lett. F) e 71 comma 4 lett. A) punto 2 del d. lgvo 81/2008.
Applicando i principi di diritto, ora richiamati, al caso di specie, nel quale la contestazione concerneva globalmente la condotta ed era contestata la colpa generica, non si ravvisa alcuna violazione del disposto di cui all’art. 521 cod. proc. pen.; e d’altronde, il percorso motivazionale sviluppato dalla Corte territoriale, in punto di colpa generica e della colpa specifica relativa all’omessa adozione di adeguato dispositivo di protezione, non risulta vulnerato da alcuna illogicità manifesta o contraddittorietà argomentativa.
4.Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 20 novembre 2015.

 

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