Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Beni culturali ed ambientali Numero: 481 | Data di udienza: 10 Febbraio 2016

* BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Tutela storica artistica – Testimonianza oggettiva di civiltà – Interventi successivi e sedimentati – Alterazioni rispetto all’originaria configurazione del manufatto – Irrilevanza– Nozione di cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico ed etnoantropologico – Struttura organica del compendio considerato nel suo complesso.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 1^
Regione: Umbria
Città: Perugia
Data di pubblicazione: 3 Giugno 2016
Numero: 481
Data di udienza: 10 Febbraio 2016
Presidente: Potenza
Estensore: Fantini


Premassima

* BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Tutela storica artistica – Testimonianza oggettiva di civiltà – Interventi successivi e sedimentati – Alterazioni rispetto all’originaria configurazione del manufatto – Irrilevanza– Nozione di cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico ed etnoantropologico – Struttura organica del compendio considerato nel suo complesso.



Massima

 

TAR UMBRIA, Sez. 1^ – 3 giugno 2016, n. 481


BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Tutela storica artistica – Testimonianza oggettiva di civiltà – Interventi successivi e sedimentati – Alterazioni rispetto all’originaria configurazione del manufatto – Irrilevanza.

La tutela storico-artistica protegge non già un’opera dell’ingegno dell’autore, ma un’oggettiva testimonianza materiale di civiltà, la quale, nella sua consistenza effettiva ed attuale, bene può risultare da interventi successivi e sedimentati nel tempo, tali da dare luogo ad un manufatto storicamente complesso e comunque diverso da quello originario. Se questo è il fondamento di razionalità della disciplina vincolistica, bene si comprende come debba ritenersi irrilevante che il manufatto abbia subito, nel tempo, alterazioni rispetto alla sua originaria configurazione (in termini Cons. Stato, Sez. VI, 14 ottobre 2015, n. 4747).

Pres. Potenza, Est. Fantini – L. D.  e altro (avv. Baldoni) c. Ministero Per i Beni e le Attivita’ Culturali e altri (Avv. Stato)


BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Nozione di cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico ed etnoantropologico – Struttura organica del compendio considerato nel suo complesso.

 La nozione di “cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico ed etnoantropologico”, risalente all’originario dettato dell’art. 1 della legge n. 1089 del 1939 e riprodotta nell’art. 10, comma 3, lett. a), del d.lgs. n. 42 del 2004 va riferita anche ai compendi che, nella loro estensione eccedente i luoghi interessati in via immediata dalla presenza delle cose che sono espressione dei valori storici, artistici ed archeologici, concorrono a qualificare la cornice storico-ambientale in cui il bene è inserito. E’ infatti il compendio che, nella sua struttura organica e nel suo complesso, esprime gli interessi di rilievo pubblico presi in considerazione dalle norme di tutela, oltre la dimensione fisica delle singole cose elencate per categoria dall’art. 10 predetto (Cons. Stato, Sez. VI, 12 aprile 2011, n. 2243).

Pres. Potenza, Est. Fantini – L. D.  e altro (avv. Baldoni) c. Ministero Per i Beni e le Attivita’ Culturali e altri (Avv. Stato)


Allegato


Titolo Completo

TAR UMBRIA, Sez. 1^ - 3 giugno 2016, n. 481

SENTENZA


TAR UMBRIA, Sez. 1^ – 3 giugno 2016, n. 481

N. 00481/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00122/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’ Umbria

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente


SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 122 del 2013, proposto da:
Lodovico e Giovanni Dubini, rappresentati e difesi dall’avv. Roberto Baldoni, con domicilio eletto presso l’avv. Roberto Baldoni in Perugia, Via Pievaiola, 21;


contro

Ministero Per i Beni e le Attivita’ Culturali, Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Umbria, Soprintendenza Per i Beni Architettonici e Paesaggistici dell’Umbria, in pesona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi ope legis dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, presso i cui uffici sono pure legalmente domiciliati in Perugia, Via degli Offici, 14;

nei confronti di

– Italia Nostra Onlus, Sezione di Orvieto;
– Comune di Orvieto, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Ester Cecilia Murino, con domicilio eletto presso T.A.R. Umbria in Perugia, Via Baglioni, 3;

per l’annullamento

della dichiarazione di interesse particolarmente importante del complesso immobiliare “Palazzone”, di cui al decreto del 9 gennaio 2013, con cui il Direttore Regionale del Mi.B.A.C. ha assoggettato a vincolo il complesso immobiliare denominato “Palazzone”; della comunicazione di avvio del procedimento in data 12 settembre 2012; di tutti gli atti presupposti, connessi e/ conseguenziali, tra cui la nota del Comune di Orvieto in data 28 novembre 2012 con la quale è stato espresso parere favorevole all’imposizione del vincolo sul complesso immobiliare.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero Per i Beni e le Attivita’ Culturali, Direzione Regionale Beni Culturali e Paesaggistici dell’Umbria, nonché del Comune di Orvieto;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 febbraio 2016 il Cons. Stefano Fantini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

I ricorrenti sono proprietari di un’area sita nel Comune di Orvieto, localita Rocca Ripesena, nella quale insistono, al foglio 120, particella 175, l’immobile denominato “il Palazzone” (palazzo già del Cardinale Ranieri) ristrutturato nel corso del 2005, al foglio 120, particella 204, un immobile ad uso residenziale (già adibito a casa colonica) realizzato negli anni 1950-1960, al foglio 120, particella 207, un immobile (capannone) con area circostante, realizzato in più fasi nel corso degli ultimi trenta anni e destinato a cantina per la produzione vinicola dell’azienda dei ricorrenti.

Premettono che, su sollecitazione della sezione orvietana dell’associazione “Italia Nostra”, la Direzione regionale per i BB.CC.PP. ha comunicato, con nota in data 12 settembre 2012, l’avvio del procedimento finalizzato a sottoporre a tutela diretta l’edificio principale denominato “Palazzone” nonché le sue adiacenze (beni catastalmente censiti al fg. 120, particelle 175, 204 e 207), con conseguente immediata applicazione delle misure cautelari.

In sede di partecipazione procedimentale gli esponenti hanno rappresentato l’insussistenza dei presupposti oggettivi per una dichiarazione di interesse culturale dell’immobile denominato “Palazzone”, e cioè dei valori richiesti dall’art. 10, comma 3, lett. a), del d.lgs. n. 42 del 2004, nella considerazione che il manufatto, nella sua attuale consistenza strutturale ed architettonica, rappresenta l’esito di una totale e profonda ristrutturazione che, partendo da un rudere o poco più, ha riprodotto a posteriori le presumibili fattezze originarie.

All’esito del contraddittorio procedimentale è intervenuto il provvedimento di imposizione del vincolo in data 9 gennaio 2013 avente ad oggetto l’immobile denominato “Palazzone”, ed anche l’area di sedime, gli edifici annessi, le aree di pertinenza, esclusi solamente i manufatti recenti.

Avverso siffatto provvedimento del Direttore Regionale deduce i seguenti motivi di diritto :

1)Violazione dell’art. 10 del d.lgs. n. 42 del 2004; eccesso di potere per carenza ed erroneità dei presupposti, erronea e/o insufficiente motivazione, travisamento della fattispecie, difetto di istruttoria, genericità, indeterminatezza, contraddittorietà e violazione dei principi di proporzionalità ed adeguatezza dell’azione amministrativa, sviamento.

L’immobile denominato “Palazzone” (particella n. 175), fino all’anno 2005, altro non era che un semplice parallelipepedo in completo stato di abbandono e parzialmente diruto, con superfetazioni estemporanee, senza che fosse più percepibile alcunchè in ordine alla originaria conformazione morfologica, strutturale, estetica e funzionale. Nel 2005 i ricorrenti hanno intrapreso una profonda ristrutturazione del manufatto, mediante demolizione dell’esistente. Ne consegue che l’attuale “Palazzone” è comunque un’entità immobiliare assolutamente nuova nella sua attuale conformazione estetica e strutturale, al più verosimigliante a quella originaria, risalente alla fine del 1200. Un immobile ricostruito nell’anno 2005, senza collegamenti con l’attuale manufatto se non in termini puramente deduttivi non può oggettivamente integrare una “cosa immobile” con interesse storico-culturale particolarmente importante, non foss’altro perché è opera di un autore vivente, e non è stata realizzata da più di cinquanta anni. In relazione al “Palazzone” manca comunque l’interesse particolarmente importante, come dimostra anche la circostanza per cui l’immobile risulta classificato quale mera “casa colonica” nei catasti ottocenteschi, il che ne esclude qualsivoglia dimensione monumentale. E certamente la circostanza che il Palazzone si trovi in un poggio in aperta campagna non rientra tra i presupposti per l’imposizione del vincolo di cui all’art. 10 del codice dei beni culturali.

L’illegittimità del vincolo diretto sul “Palazzone” assorbe anche l’identica tutela apposta sulla relativa corte, priva di qualsivoglia elemento di interesse particolarmente importante. La sua inclusione nel provvedimento di vincolo diretto va a configurare una surrettizia e vessatoria forma di vincolo indiretto sul bene principale.

2) Violazione dell’art. 10 del d.lgs. n. 42 del 2004; eccesso di potere per carenza ed erroneità dei presupposti, erronea e/o insufficiente motivazione; travisamento della fattispecie, difetto di adeguata istruttoria, genericità, indeterminatezza, contraddittorietà, perplessità e violazione dei principi di proporzionalità ed adeguatezza dell’azione amministrativa.

L’illegittimità del vincolo apposto sul “Palazzone” si riflette anche sulle altre aree (casa colonica ad uso residenziale e cantina di produzione vinicola). E’ comunque palese l’insussistenza dei presupposti di legge per l’imposizione del vincolo anche su tali porzioni della proprietà. E’ anzitutto fuorviante il concetto di complesso immobiliare, che non può essere inteso nell’ottica civilistica della pertinenzialità, ma solamente dell’interesse particolarmente importante che connoti il tutto. E’ ben difficile ravvisare un interesse particolarmente importante nella casa colonica (particella 204) realizzata negli anni ’50-’60 e ristrutturata nel 1993, ed addirittura nella cantina di produzione vinicola realizzata circa trenta anni addietro. Illegittimo è avere immotivatamente vincolato l’intero sedime dell’area occupata dalle tre particelle interessate dal vincolo, e quindi anche il sedime corrispondente ai manufatti di nuova edificazione, sebbene nel provvedimento gravato siano esclusi i manufatti recenti.

3) Violazione degli artt. 7 e seguenti della legge n. 241 del 1990 anche in relazione all’art. 14 del d.lgs. n. 42 del 2004; eccesso di potere per carenza dei presupposti, difetto assoluto di motivazione e contraddittorietà, censurandosi il fatto che la Soprintendenza per i BAC di Perugia, responsabile dell’istruttoria, ha predisposto una “proposta di vincolo diretto” limitata al “Palazzone”, con esclusione delle restanti particelle, mentre il provvedimento finale della Direzione regionale ha imposto il vincolo su tutta l’area di proprietà, con le sole ambigue eccezioni di cui si è detto. Il contraddittorio procedimentale si è svolto avendo come riferimento la nota della Soprintendenza che escludeva le particelle nn. 204 e 207, e non è stato dunque completo.

Si sono costituiti in giudizio il Comune di Orvieto e l’Amministrazione dei Beni e delle Attività Culturali argomentatamente chiedendo la reiezione del ricorso.

All’udienza del 10 febbraio 2016 il ricorso è stato trattenuto in decisione.


DIRITTO

1.- Con il primo motivo si deduce l’illegittimità dell’impugnato provvedimento di vincolo con riferimento all’immobile denominato “Palazzone”, nell’assunto che alla data del 2005, epoca di realizzazione dei lavori di ristrutturazione, previa demolizione, effettuati dai ricorrenti, il manufatto era in stato di abbandono e parzialmente diruto, con la conseguenza che è impropria la dichiarazione dell’interesse culturale su di una nuova entità, al più verosimigliante a quella del XIV secolo, realizzata da meno di cinquanta anni, e per di più da autore vivente. In ogni caso, anche l’originario “Palazzone” era casa colonica, priva di valore monumentale.

Il mezzo non appare meritevole di positiva valutazione.

Muovendo dal secondo profilo dedotto, occorre anzitutto rilevare come in realtà il “Palazzone” abbia valore di esempio eccezionale di residenza extraurbana, come si legge nella relazione di vincolo, con valutazione tecnica che appare immune da vizi logici, possedendo i caratteri del palazzo di città riscontrati nell’architettura civile orvietana della seconda metà del Duecento, seppure collocato sopra un poggio in aperta campagna, che costituisce il contado della città. Ciò trova conferma anche nella letteratura versata, per ampi stralci, agli atti del giudizio (tra cui quella dell’architetto Alberto Satolli, Il duomo mascherato, ovvero l’antica cattedrale di Orvieto, autore che è stato anche il progettista del piano di recupero del “Palazzone”).

Con riguardo al più significativo profilo dell’assoggettamento a vincolo di un manufatto restaurato, e quindi non autentico rispetto alla sua originaria consistenza, osserva il Collegio che la relazione di vincolo ravvisa l’interesse particolarmente importante (di cui all’art. 10, comma 3, lett. a, del codice dei beni culturali e del paesaggio) nel fatto che dopo il restauro, quand’anche radicale, sono riemerse le partiture architettoniche romaniche civili orvietane del tardo duecento; statuisce il decreto di vincolo che i manufatti, pur se manomessi nel loro aspetto originario, rivestono interesse pubblico particolarmente importante sotto il profilo storico e monumentale.

Tale corredo motivazionale è sicuramente legittimo, ove si ponga mente al fatto che la tutela storico-artistica protegge non già un’opera dell’ingegno dell’autore, ma un’oggettiva testimonianza materiale di civiltà, la quale, nella sua consistenza effettiva ed attuale, bene può risultare da interventi successivi e sedimentati nel tempo, tali da dare luogo ad un manufatto storicamente complesso e comunque diverso da quello originario. Se questo è il fondamento di razionalità della disciplina vincolistica, bene si comprende come debba ritenersi irrilevante che il manufatto abbia subito, nel tempo, alterazioni rispetto alla sua originaria configurazione (in termini Cons. Stato, Sez. VI, 14 ottobre 2015, n. 4747).

2. – Il secondo motivo riguarda poi l’estensione del vincolo “al sito, sedime, edifici annessi, aree di pertinenza, corte e percorsi di accesso, esclusi solamente i manufatti recenti”, contestandosi che l’interesse storico-artistico sia ravvisabile in una casa colonica risalente agli anni ’50-60 ovvero in una cantina di produzione vinicola realizzata circa trenta anni addietro, oltre che l’intrinseca contraddittorietà del decreto, che comunque, come premesso, esclude i manufatti recenti.

Anche tale motivo deve essere disatteso.

La logica del provvedimento di vincolo è quella di sottoporre a tutela il complesso immobiliare, non inteso come pertinenza civilistica, ma come sito unitario. Viene specificato nella relazione di vincolo che sebbene il “Palazzone” oggi abbia forma di un parallelepipedo, costruito in muratura in tufo a cortina, originariamente aveva una pianta diversa, probabilmente ad “L” rovesciata; la documentazione fotografica dimostra che «il Palazzone e l’attuale casa colonica erano un unico edificio il cui prospetto Nord-NordEst era ritmato dalla sequenza dei contrafforti». Il che vale a spiegare l’estensione del decreto di vincolo, la cui finalità è quella di una tutela unitaria.

Va in ogni caso rilevato che la nozione di “cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico ed etnoantropologico”, risalente all’originario dettato dell’art. 1 della legge n. 1089 del 1939 e riprodotta nell’art. 10, comma 3, lett. a), del d.lgs. n. 42 del 2004 va riferita anche ai compendi che, nella loro estensione eccedente i luoghi interessati in via immediata dalla presenza delle cose che sono espressione dei valori storici, artistici ed archeologici, concorrono a qualificare la cornice storico-ambientale in cui il bene è inserito. E’ infatti il compendio che, nella sua struttura organica e nel suo complesso, esprime gli interessi di rilievo pubblico presi in considerazione dalle norme di tutela, oltre la dimensione fisica delle singole cose elencate per categoria dall’art. 10 predetto (Cons. Stato, Sez. VI, 12 aprile 2011, n. 2243).

Resta inteso che, nella prospettiva in esame, il giudizio che presiede all’imposizione di un vincolo culturale è connotato da un’ampia discrezionalità tecnico-valutativa, implicando l’applicazione di cognizioni tecnico-scientifiche proprie di settori scientifici disciplinari (della storia, dell’arte e dell’architettura) caratterizzati da margini di opinabilità, sottratti al sindacato giurisdizionale, ove non manifestamente illogici od inficiati da erronea presupposizione.

3. – Con il terzo motivo si deduce poi la violazione delle norme relative alla partecipazione al procedimento (nello specifico, dell’art. 14 del d.lgs. n. 42 del 2004), nell’assunto che la comunicazione di avvio del procedimento limitasse il vincolo al “Palazzone”, mentre il decreto finale lo ha esteso anche alle particelle nn. 204 e 207.

Il motivo, finalizzato a dimostrare un contraddittorio non effettivo, è infondato, in quanto la comunicazione di avvio del procedimento in data 12 settembre 2012 chiarisce che il vincolo avrebbe riguardato tutte tali particelle catastali, espressamente indicate, e comunque avrebbe avuto ad oggetto il “Palazzone” e le adiacenze.

4. – In conclusione, il ricorso deve essere respinto per l’infondatezza dei motivi dedotti.

Sussistono tuttavia giusti motivi, legati alla peculiarità della fattispecie, per compensare tra tutte le parti le spese di giudizio.


P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa tra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 10 febbraio 2016 con l’intervento dei magistrati:

Raffaele Potenza, Presidente
Stefano Fantini, Consigliere, Estensore
Paolo Amovilli, Primo Referendario

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE
          

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 03/06/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

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