Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto dell'energia Numero: 1737 | Data di udienza: 5 Luglio 2016

* DIRITTO DELL’ENERGIA –  Realizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili – Procedimento autorizzatorio subordinato o condizionato da misure compensative – Illegittimità – Art. 12, c. 6 d.lgs. n. 387/2003 – Natura di norma imperativa – Previsioni negoziali volte a sancire benefici pecuniari in favore dell’amministrazione, quale corrispettivo derivante dalla localizzazione di un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili – Nullità – Art. 1418, c. 1, c.c.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione: Puglia
Città: Lecce
Data di pubblicazione: 15 Novembre 2016
Numero: 1737
Data di udienza: 5 Luglio 2016
Presidente: Costantini
Estensore: Rotondano


Premassima

* DIRITTO DELL’ENERGIA –  Realizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili – Procedimento autorizzatorio subordinato o condizionato da misure compensative – Illegittimità – Art. 12, c. 6 d.lgs. n. 387/2003 – Natura di norma imperativa – Previsioni negoziali volte a sancire benefici pecuniari in favore dell’amministrazione, quale corrispettivo derivante dalla localizzazione di un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili – Nullità – Art. 1418, c. 1, c.c.



Massima

 

TAR PUGLIA, Lecce, Sez. 3^ – 15 novembre 2016, n. 1737


DIRITTO DELL’ENERGIA –  Realizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili – Procedimento autorizzatorio subordinato o condizionato da misure compensative – Illegittimità.

Non dà luogo a misura compensativa, in modo automatico, la semplice circostanza che venga realizzato un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili, a prescindere da ogni considerazione sulle sue caratteristiche e dimensioni e dal suo impatto sull’ambiente. In ogni caso,  tali misure compensative sono di competenza dello Stato o della Regione, e non possono unilateralmente essere stabilite da un singolo Comune (Cons. Stato, sez. III, parere 14 ottobre 2008, n. 2849;T.A.R. Puglia, Lecce, I, 29 gennaio 2009, n. 118; T.A.R. Puglia, Lecce, I, 21 maggio 2010, n. 1216; T.A.R. Basilicata, Potenza, cit., n. 409/2014; T.A.R. Puglia, Bari, I, 1° aprile 2008, n. 709). Il relativo procedimento autorizzatorio non può quindi  essere subordinato o condizionato a misure di compensazione, intese quale forma di monetizzazione degli effetti deteriori che l’impatto ambientale determina, per cui chi propone l’installazione di un determinato impianto s’impegna ad assicurare all’ente locale cui compete l’autorizzazione una prestazione in denaro ovvero determinati servizi o prestazioni privi di alcuna diretta connessione con l’impianto da autorizzare (T.A.R. Basilicata, Potenza, cit., n. 409/2014). Ciò è diretta conseguenza della liberalizzazione del mercato dell’energia e del passaggio dal regime concessorio – in cui l’Ente Pubblico può richiedere la corresponsione di un corrispettivo per l’attribuzione di specifiche facoltà/diritti ad un soggetto appositamente individuato – a quello autorizzatorio – nel quale le autorizzazioni amministrative sono rilasciate unicamente in presenza dei presupposti e requisiti di legge, vietando, appunto, la legge statale  tassativamente l’imposizione di corrispettivo (le cosiddette misure di compensazione patrimoniale) quale condizione per il rilascio dei suddetti titoli abilitativi.
 

DIRITTO DELL’ENERGIA – Art. 12, c. 6 d.lgs. n. 387/2003 – Natura di norma imperativa – Previsioni negoziali volte a sancire benefici pecuniari in favore dell’amministrazione, quale corrispettivo derivante dalla localizzazione di un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili – Nullità – Art. 1418, c. 1, c.c.

All’art. 12 c. 6 d. lgs. 387/2003 va senz’altro attribuita natura e portata di norma imperativa, la qual cosa comporta la nullità – ai sensi dell’art. 1418 1° co. c.c. – di ogni previsione negoziale volta a sancire un beneficio pecuniario in favore dell’amministrazione, quale corrispettivo derivante dalla mera localizzazione sul territorio della stessa di un impianto di produzione di energia elettrica alimentata da fonti rinnovabili (T.A.R. Puglia, Lecce, I, 7 giugno 2013, n. 1361): radicalmente nulle, pertanto, sono siffatte clausole contenute nelle convenzioni (eventualmente) stipulate dai produttori di energia rinnovabile con i Comuni, trattandosi di prestazioni patrimoniali “prive di causa”.

Pres. Costantini, Est. Rotondani – C. s.r.l. (avv.ti Spano’, Isgro’ e De Nicola) c. Comune di Castellaneta (avv. Pancallo)


Allegato


Titolo Completo

TAR PUGLIA, Lecce, Sez. 3^ - 15 novembre 2016, n. 1737

SENTENZA

 

TAR PUGLIA, Lecce, Sez. 3^ – 15 novembre 2016, n. 1737

Pubblicato il 15/11/2016

N. 01737/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00481/2016 REG.RIC
.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

Lecce – Sezione Terza

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 481 del 2016, proposto da:
Castellaneta Solar s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Anna Spano’ (C.F. SPNNNA64D45H501N), Francesca Isgro’ (C.F. SGRFNC74S63F206U) ed Alessandro De Nicola (DNCLSN61R23F205N), con domicilio eletto presso l’avv. Andrea Sticchi Damiani in Lecce, via 95° Rgt. Fanteria, n. 9;

contro

Comune di Castellaneta, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Antonio Pancallo (C.F. PNCNTN55R03C136K), con domicilio eletto presso l’avv. Maria Antonietta Nigro in Lecce, via Nullo D’Amato, n. 2;

per l’annullamento

– della nota prot. n. 614 del 12 gennaio 2016 del Comune di Castellaneta;

– di ogni altro atto e/o provvedimento preordinato, collegato, istruttorio, consultivo, comunque connesso;

nonché:

– per la declaratoria della nullità del Regolamento di impianti fotovoltaici per la produzione di energia da fonti rinnovabili approvato con deliberazione C.C. n. 34 del 26 luglio 2008 e dell’allegato Schema di Convenzione e, in subordine, per l’annullamento;

– per l’accertamento della non debenza delle somme richieste dal Comune e del diritto alla restituzione della somma versata quale contributo una tantum;

– per la conseguente condanna del Comune di Castellaneta alla immediata restituzione delle somme versate;

Visti il ricorso ed i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Castellaneta;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 luglio 2016 la dott.ssa Maria Luisa Rotondano e uditi per le parti gli avv.ti A. Pancallo e A. Aventaggiato, quest’ultimo in sostituzione dell’avv. F. Isgrò;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La società Castellaneta Solar s.r.l. – titolare dell’Autorizzazione Unica rilasciata dalla Regione Puglia con determinazione dirigenziale n. 302 del 21 maggio 2009 (a seguito del conferimento di ramo d’azienda stipulato il 22 luglio 2009 con la società Alerion Energie Rinnovabili s.r.l., si veda la determinazione dirigenziale regionale n. 566 del 28 ottobre 2009), per la “costruzione ed esercizio di un impianto di produzione di energia elettrica da fonte solare (fotovoltaica) della potenza di 14,00 MW, e delle opere connesse e delle infrastrutture indispensabili alla costruzione dell’impianto stesso, da realizzarsi nel Comune di Castellaneta, … ai sensi del comma 3 di cui all’art. 12 del Decreto Legislativo 387 del 29.12.2003” – ha impugnato, domandandone l’annullamento: 1) la nota prot. n. 614 del 12 gennaio 2016, con la quale il civico Ente ha richiesto l’estinzione del debito riferito al pagamento del contributo di “eco-sostenibilità” (il riferimento è alla quota annua non corrisposta) asseritamente dovuto in relazione al predetto impianto fotovoltaico, (eventualmente anche) mediante la realizzazione diretta di alcune delle opere elencate nell’art. 15 del Regolamento approvato con deliberazione consiliare n. 34 del 26 luglio 2008, nonchè diffidato “in via ultimativa” alla sottoscrizione della convenzione, così come previsto dal Regolamento comunale approvato con deliberazione C.C. n. 34 del 26 luglio 2008 e ribadito la richiesta di dimostrazione del possesso dei requisiti ex artt. 38 e 39 del D.Lgs. n. 163/2006 sin dalla data di conferimento dell’intero ramo aziendale da parte della Società (già) intestataria dell’autorizzazione; 2) ogni altro atto e/o provvedimento preordinato, collegato, istruttorio, consultivo, comunque connesso.

Ha domandato, inoltre: 1) la declaratoria di nullità in parte qua del Regolamento approvato con delibera C.C. n. 34/2008 (“Regolamento per la realizzazione di impianti fotovoltaici per la produzione di energia elettrica”) e del relativo Schema di Convenzione e, in subordine, l’annullamento; 2) l’accertamento della non debenza delle somme richieste dal Comune di Castellaneta e del diritto della società ricorrente alla restituzione, ex art. 2033 del Codice Civile, del contributo una tantum di euro 280.000,00, già versato al Comune; 3) conseguentemente, la condanna alla restituzione del predetto contributo una tantum.

A sostegno del gravame interposto sono state formulate le seguenti censure:

1) sui vizi della nota prot. n. 614 del 12 gennaio 2016:

– violazione e falsa applicazione della normativa comunitaria in tema di liberalizzazione del mercato interno dell’energia elettrica (Direttiva 1996/92/CE recepita con D.Lgs. n. 79/1999 e poi sostituita dalla Direttiva 2003/54/CE, recepita con L.n. 62/2005); violazione e falsa applicazione dell’art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003, attuativo della Direttiva 2001/77/CE; violazione e falsa applicazione del D.M. del 10 settembre 2010 Linee Guida; violazione e falsa applicazione dell’art. 41 della Costituzione; violazione e falsa applicazione della delibera di Giunta Regionale n. 14/2011; eccesso di potere;

– violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della D.G.R. 30 dicembre 2010, n. 3029; eccesso di potere; carenza di potere in concreto;

2) sui vizi del Regolamento Comunale e dello schema di convenzione allegato sub 2 e 3:

– violazione e falsa applicazione dell’art. 23 della Costituzione; carenza di potere in astratto; nullità del Regolamento comunale e nullità derivata dello Schema di Convenzione allegata; in subordine violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 6 del D.Lgs. n. 387/2003; annullamento del Regolamento comunale e dello Schema di Convenzione allegato;

– nullità dello Schema di Convenzione per effetto del combinato disposto dell’art. 1418 Codice Civile, comma 1, e dell’art. 12, comma 6 del D.Lgs. n. 163/2006.

Si è costituito in giudizio il Comune di Castellaneta, eccependo in limine, la natura della nota gravata, da un lato, di atto endoprocedimentale (asseritamente privo di valenza autoritativa e provvedimentale) e, dall’altro, di atto meramente confermativo di altri atti rimasti inoppugnati (essendosi il Comune limitato a sollecitare quanto richiesto in più occasioni con note rimaste inoppugnate – dal 2009 in poi), nonché la tardività dell’impugnazione del Regolamento comunale (a conoscenza della società ricorrente “almeno” dal 12 settembre 2013). Ha contestato, poi, in toto le avverse pretese e chiesto la reiezione del gravame nel merito.

All’udienza pubblica del 5 luglio 2016, su istanza di parte, la causa è stata introitata per la decisione.


DIRITTO

0. – Le eccezioni formulate in limine dal Comune resistente sono infondate.

0.1 – Innanzitutto, ad avviso del Collegio, la nota impugnata non riveste carattere endoprocedimentale, bensì è atto autonomamente lesivo, posto che la stessa contiene le definitive statuizioni in ordine alla questione de qua (prevedendo l’<<estinzione del debito riferito al pagamento del contributo di “eco-sostenibilità”>> anche in via alternativa “mediante la realizzazione diretta delle opere” ex art. 15 del Regolamento comunale) e precisa “in via ultimativa” che, in mancanza di stipula della convenzione, si procederà all’irrogazione delle sanzioni di cui alla pregressa corrispondenza (e fatto salvo quanto precisato al successivo punto n. 4).

0.2 – Deve, inoltre, escludersi l’invocata natura di atto meramente confermativo della nota in parola.

La giurisprudenza consolidata e condivisibile ha chiarito che, qualora l’Amministrazione adotti un atto di identico contenuto dispositivo di un altro precedente, “allo scopo di stabilire se un atto amministrativo sia meramente confermativo, e perciò non impugnabile, o di conferma in senso proprio e, quindi, autonomamente lesivo e da impugnarsi nei termini, occorre verificare se l’atto successivo sia stato adottato o meno senza una nuova istruttoria e una nuova ponderazione di interessi. In particolare, non può considerarsi meramente confermativo rispetto a un atto precedente l’atto la cui adozione sia stata preceduta da un riesame della situazione che aveva condotto al precedente provvedimento, giacché solo l’esperimento di un ulteriore adempimento istruttorio, sia pure mediante la rivalutazione degli interessi in gioco e un nuovo esame degli elementi di fatto e di diritto che caratterizzano la fattispecie considerata, può dare luogo a un atto propriamente confermativo in grado, come tale, di dare vita a un provvedimento diverso dal precedente e quindi suscettibile di autonoma impugnazione. Ricorre, invece, l’atto meramente confermativo (di c.d. conferma impropria) quando l’Amministrazione, a fronte di una istanza di riesame, si limita a dichiarare l’esistenza di un suo precedente provvedimento senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione” (Consiglio di Stato, V, 3 ottobre 2012, n. 5196; in termini, Consiglio di Stato, V, 25 febbraio 2009, n. 1115; Consiglio di Stato, VI, 31 marzo 2011, n. 1983; Consiglio di Stato, IV, 14 aprile 2014, n. 1805).

Orbene, nel caso di specie: da un lato, la nota impugnata non ha, con ogni evidenza, il medesimo contenuto dispositivo delle altre precedenti della P.A. (non potendo, a tal fine, farsi riferimento alla comunicazione del 14 ottobre 2015 a firma dell’avv. Pancallo – e non del rappresentante legale del Comune -, cui non può evidentemente conferirsi natura di provvedimento amministrativo), in quanto reca (ex novo) la possibilità – nella pregressa corrispondenza comunale non contemplata – di introdurre nella (pretesa stipulanda) convenzione la possibilità di “estinzione del debito” “mediante la realizzazione diretta di alcune delle opere elencate nell’art. 15 del Regolamento” comunale (disposizione recante le “categorie di interventi” cui risulta “vincolato” il c.d. “contributo di eco-sostenibilità”), sicchè, sotto tale profilo, non può, ad avviso della Sezione, neppure discorrersi di atto di conferma in senso proprio; dall’altro, proprio la “concessa” facoltà di esecuzione diretta (in luogo del Comune a tal fine “legittimato” in virtù della summenzionata disposizione regolamentare locale) rivela palesemente il compimento di una nuova istruttoria e di un nuovo esame degli elementi di fatto e di diritto caratterizzanti la fattispecie considerata, con una complessiva rivalutazione degli interessi in gioco.

0.3 – Quanto, infine, alla dedotta tardività dell’impugnazione del Regolamento comunale, è dirimente osservare che, secondo un pacifico orientamento giurisprudenziale, “la natura amministrativa dell’atto-regolamento consente la sua impugnazione e, quindi, la sua sindacabilità da parte del giudice amministrativo, ma, poiché la tutela nei confronti degli atti amministrativi è dall’art. 113 Cost. sempre ammessa, in concreta attuazione del generale diritto alla tutela giurisdizionale ex art. 24 Cost. per i diritti soggettivi e gli interessi legittimi, non può in concreto richiedersi tutela al giudice se non per la tutela di quelle posizioni soggettive avverso una lesione e/o pregiudizio che dall’atto amministrativo esse subiscono; segue da ciò che la concreta ammissibilità dell’impugnazione del regolamento (e, quindi, anche la necessità di impugnarlo entro il termine decadenziale previsto) presuppone la sussistenza dell’interesse ad agire, che sorge ex art. 100 c.p.c. in presenza di una lesione e/o pregiudizio attuale (Consiglio di Stato, Sez. IV, 18 novembre 2013 n. 5451)” (ex multis, T.A.R. Puglia, Lecce,II, 13 febbraio 2014, n. 442).

Conseguentemente, nel caso di specie, per un verso, il Regolamento non poteva che essere impugnato in uno al relativo atto applicativo (cioè contestualmente alla nota gravata, della quale è stato innanzi chiaritala natura – comunque – non meramente confermativa), e, per altro, il ricorso risulta tempestivo.

1. – Nel merito, il ricorso è in parte fondato, nei sensi e termini di seguito precisati.

Fondata ed assorbente è la censura con la quale la Società ricorrente deduce, sostanzialmente, la violazione dell’art. 12 del D.Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 (recante “Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità”) e, in particolare, del comma 6 (“L’autorizzazione non può essere subordinata né prevedere misure di compensazione a favore delle regioni e delle province”), rilevando, in sintesi, che la costruzione e l’esercizio di impianti per la produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili costituiscono libere attività di impresa soggette alla sola autorizzazione amministrativa della Regione (id est, l’autorizzazione unica regionale) e che la previsione di compensazioni meramente patrimoniali da parte del Comune (come nel caso di specie) a carico degli operatori, giustificate dalla (sola) localizzazione di impianti sul territorio, risulta priva di causa giustificatrice ed in contrasto con norme imperative di legge (e tanto anche con riferimento alla possibilità di estinzione del – preteso – debito pregresso mediante la realizzazione diretta di opere – di pari valore -, in alternativa al pagamento monetario).

1.1 – Osserva il Collegio che, come già condivisibilmente rilevato, “l’incremento dell’utilizzo delle fonti rinnovabili (invece dei combustibili fossili) per la produzione dell’energia elettrica si pone come una delle modalità più efficaci attraverso le quali perseguire obiettivi di tutela dell’ambiente, in coerenza, oltre che ottemperanza, con gli obblighi internazionalmente assunti dall’Italia e conseguenti alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, ratificato con legge 18 giugno 2002, n. 120 (c.d. protocollo di Kyoto)” (T.A.R. Lazio, Roma, III ter, 5 settembre 2012, n. 7538).

Orbene, già con l’art. 36 (“Norme per il mercato dell’energia elettrica”) della L. 24 aprile 1998, n. 128 (“Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dalla appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. (Legge comunitaria 1995-1997)”), il Governo era stato delegato ad emanare le norme di attuazione della Direttiva n. 96/92/CE in materia di mercato interno dell’energia elettrica, di seguito introdotte con il D.Lgs. 16 marzo 1999, n. 79 (“Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica”), il quale ha recepito i principi di liberalizzazione ed apertura del mercato dell’energia, disponendo che “Le attività di produzione, importazione, esportazione, acquisto e vendita di energia elettrica sono libere nel rispetto degli obblighi di servizio pubblico” (art. 1).

In ossequio ai suddetti impegni internazionali e comunitari e, poi, in attuazione della Direttiva 27 settembre 2001,n. 2001/77/CE (“Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità”), il Legislatore statale ha, indi, emanato il D.Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, ispirato a principi di semplificazione e accelerazione delle procedure finalizzate alla realizzazione e gestione degli impianti di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, il quale, dopo aver stabilito (art. 12, comma 3) che la costruzione e l’esercizio degli impianti in parola è soggetta a sola “autorizzazione unica, rilasciata” (per quanto di rilievo in questa sede) “dalla regione o dalle province delegate dalla regione” (finalizzata ad una valutazione complessiva, comparativa e contestuale di tutti gli interessi coinvolti,in sostituzione di tutti i pareri e le autorizzazioni altrimenti necessari – e, quindi, anche del permesso di costruire di competenza comunale) -che costituisce “titolo a costruire ed esercire l’impianto in conformità al progetto approvato” (art. 12, comma 4) -, ha specificato espressamente che “l’autorizzazione non può essere subordinata né prevedere misure di compensazione a favore delle regioni e delle province” (art. 12, comma 6).

Tale previsione (Consiglio di Stato, III, parere 14 ottobre 2008, n. 2849) “va letta in via sistematica insieme all’art. 1 comma 4 lett. f) legge n. 239 del 2004”, a tenore del quale “Lo Stato e le regioni, al fine di assicurare su tutto il territorio nazionale i livelli essenziali delle prestazioni concernenti l’energia nelle sue varie forme e in condizioni di omogeneità sia con riguardo alle modalità di fruizione sia con riguardo ai criteri di formazione delle tariffe e al conseguente impatto sulla formazione dei prezzi, garantiscono: …f) l’adeguato equilibrio territoriale nella localizzazione delle infrastrutture energetiche, nei limiti consentiti dalle caratteristiche fisiche e geografiche delle singole regioni, prevedendo eventuali misure di compensazione e di riequilibrio ambientale e territoriale qualora esigenze connesse agli indirizzi strategici nazionali richiedano concentrazioni territoriali di attività, impianti e infrastrutture ad elevato impatto territoriale, con esclusione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili”.

Il su riportato art. 1, comma 4, lett. f), della L. n. 239/2004 è stato, poi, dichiarato incostituzionale dal Giudice delle Leggi <<limitatamente alle parole “con esclusione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili” >> (sentenza 14 ottobre 2005, n. 383), così statuendo l’illegittimità costituzionale dell’esclusione dalle predette misure compensative degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, sul rilievo che “La disposizione in questione si risolve … nella imposizione al legislatore regionale di un divieto di prendere in considerazione una serie di differenziati impianti, infrastrutture ed attività per la produzione energetica, ai fini di valutare il loro impatto sull’ambiente e sul territorio regionale (che, in caso di loro concentrazione sul territorio, può anche essere considerevole) solo perché alimentati da fonti energetiche rinnovabili. Tale previsione eccede il potere statale di determinare soltanto i principi fondamentali della materia, ai sensi del terzo comma dell’art. 117 Cost., determinando una irragionevole compressione della potestà regionale di apprezzamento dell’impatto che tali opere possono avere sul proprio territorio, in quanto individua puntualmente ed in modo analitico una categoria di fonti di energia rispetto alle quali sarebbe preclusa ogni valutazione da parte delle Regioni in sede di esercizio delle proprie competenze costituzionalmente garantite”.

Con la citata sentenza n. 383/2005, la Corte Costituzionale ha, quindi, dettato una specifica interpretazione dell’art. 1, comma 4 della L. 239/2004, ritenendo che possano essere imposte misure compensative di carattere ambientale e territoriale, ma non a carattere meramente patrimoniale e, comunque, limitate ai casi in cui ricorrano tutti gli altri presupposti indicati nel citato art. 1, co. 4, lett. f) (cioè, “concentrazioni territoriali di attività, impianti ed infrastrutture ad elevato impatto territoriale”), “di modo che, attualmente, questa disposizione prevede la possibilità che possano essere determinate dallo Stato o dalle Regioni <<misure di compensazione e di riequilibrio ambientale e territoriale>> in riferimento a <<concentrazioni territoriali di attività, impianti ed infrastrutture ad elevato impatto territoriale>>, anche con specifico riguardo alle opere in questione” (Corte Costituzionale, 28 giugno 2006, n. 248).

Sotto tale profilo, “le misure compensative devono essere concrete e realistiche” (T.A.R. Puglia, Lecce, I, 29 gennaio 2009, n. 118), cioè determinate tenendo conto delle specifiche caratteristiche dell’impianto e del suo specifico impatto ambientale e territoriale. Infatti, “secondo il citato art. 1, comma 4, lett. f), le misure compensative sono solo eventuali, e correlate alla circostanza che esigenze connesse agli indirizzi strategici nazionali richiedano concentrazioni territoriali di attività, impianti e infrastrutture ad elevato impatto territoriale” (T.A.R. Puglia, Lecce, I, cit., n. 118/2009; in tal senso anche Consiglio di Stato, parere n. 2849/2008, cit.; T.A.R. Basilicata, Potenza, 23 giugno 2014, n. 409).

Dunque, “non dà luogo a misura compensativa, in modo automatico, la semplice circostanza che venga realizzato un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili, a prescindere da ogni considerazione sulle sue caratteristiche e dimensioni e dal suo impatto sull’ambiente. E comunque tali misure compensative sono di competenza dello Stato o della Regione, e non possono unilateralmente essere stabilite da un singolo Comune (Cons. Stato, sez. III, parere 14 ottobre 2008, n. 2849)” (T.A.R. Puglia, Lecce, I, 29 gennaio 2009, n. 118; in senso conforme, T.A.R. Puglia, Lecce, I, 21 maggio 2010, n. 1216; T.A.R. Basilicata, Potenza, cit., n. 409/2014; v. anche T.A.R. Puglia, Bari, I, 1° aprile 2008, n. 709, secondo il quale“Vige … il divieto assoluto di prevedere misure di compensazione patrimoniale a favore delle Regioni e degli enti locali, secondo il chiaro disposto dell’art. 12, 6° comma, del d. lgs. n. 387/2003, poi confermato con l’art. 1, 4° comma – lett. f), della legge n. 239/2004” e, inoltre, la previsione di “meccanismi di prelievo” “senza alcuna copertura legislativa” si configura quale “aperta violazione dell’art. 23 Cost. e del principio di tipicità delle entrate di diritto pubblico. Sul piano della politica energetica, è sufficiente il rilievo che una simile espansione dei poteri impositivi delle autonomie locali determinerebbe effetti aberranti, in termini di costi di produzione supplementari gravanti sui produttori di energia da fonti rinnovabili, a beneficio di ristrette collettività ed a discapito della generalità degli utenti finali”).

Detto in altri termini, “il relativo procedimento autorizzatorio non può essere subordinato o condizionato a misure di compensazione, intese quale forma di monetizzazione degli effetti deteriori che l’impatto ambientale determina, per cui chi propone l’installazione di un determinato impianto s’impegna ad assicurare all’ente locale cui compete l’autorizzazione una prestazione in denaro ovvero determinati servizi o prestazioni privi di alcuna diretta connessione con l’impianto da autorizzare” (T.A.R. Basilicata, Potenza, cit., n. 409/2014).

Ciò è, con ogni evidenza, diretta conseguenza della liberalizzazione del mercato dell’energia e del passaggio dal regime concessorio – in cui l’Ente Pubblico può richiedere la corresponsione di un corrispettivo per l’attribuzione di specifiche facoltà/diritti ad un soggetto appositamente individuato – a quello autorizzatorio- nel quale le autorizzazioni amministrative sono rilasciate unicamente in presenza dei presupposti e requisiti di legge, vietando, appunto, “La legge statale … tassativamente l’imposizione di corrispettivo (le cosiddette misure di compensazione patrimoniale) quale condizione per il rilascio dei suddetti titoli abilitativi” (in tal senso, Corte Costituzionale, sentenza 1° aprile 2010, n. 124, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale delle disposizioni della L.R. della Calabria n. 42/2008 che imponevano condizioni e oneri economici per il rilascio dell’autorizzazione unica).

Anche l’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici (oggi A.N.A.C.), con la Determinazione 26 ottobre 2011 n. 6 (“Linee guida per l’affidamento della realizzazione di impianti fotovoltaici ed eolici”), dopo aver premesso che trattasi di “questione del corretto esercizio delle competenze che la vigente normativa incardina in capo ai Comuni, in modo da non aggravare l’iter autorizzatorio e consentire la celere realizzazione delle iniziative proposte dai soggetti privati ed intraprese in un’ottica puramente imprenditoriale”, precisa che “I Comuni non devono… frapporre ostacoli diretti o indiretti all’accesso al mercato: in particolare, stante il divieto di misure di compensazione di natura economica ex articolo 12, comma 6, del d.lgs. n. 387/2003, non possono essere imposti corrispettivi o misure di compensazione di carattere patrimoniale quali condizioni per il rilascio di titoli abilitativi (cfr., sul punto, Corte costituzionale, sentenza n. 282/2009, e sentenza n. 124 del 2010). Sono, al contrario, legittimi gli accordi che contemplano misure di compensazione e riequilibrio del pregiudizio subito dall’ambiente a causa dell’impatto del nuovo impianto, oggetto di autorizzazione, tra le quali si annovera, ad esempio, l’impegno assunto dall’operatore economico proponente ad una riduzione delle emissioni inquinanti (Corte costituzione, sentenza n. 124 del 2010)”, comunque, come innanzi esposto, di competenza dello Stato o delle Regioni.

E’ stato, inoltre, condivisibilmente ritenuto che, avuto riguardo alla ratio del suddetto divieto, “alla relativa previsione normativa (art. 12 co. 6 d. lgs. cit.) va senz’altro attribuita natura e portata di norma imperativa. La qual cosa comporta la nullità – ai sensi dell’art. 1418 1° co. c.c. – di ogni previsione negoziale volta a sancire un beneficio pecuniario in favore dell’amministrazione, quale corrispettivo derivante dalla mera localizzazione sul territorio della stessa di un impianto di produzione di energia elettrica alimentata da fonti rinnovabili” (T.A.R. Puglia, Lecce, I, 7 giugno 2013, n. 1361): radicalmente nulle, pertanto, sono siffatte clausole contenute nelle convenzioni (eventualmente) stipulate dai produttori di energia rinnovabile con i Comuni, trattandosi di prestazioni patrimoniali “prive di causa”,posto che, appunto, la realizzazione di tali impianti è libera attività di impresa(arg. ex Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, sentenza 2 febbraio 2016, n. 23).

I suesposti enunciati trovano conferma, d’altro canto, anche nelle “Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili” (approvate con D.M. 10 settembre 2010), le quali, nel dettare disposizioni per il procedimento di cui all’articolo 12 del D.Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 (per l’autorizzazione alla costruzione ed all’esercizio di impianti di produzione di elettricità da fonti rinnovabili) stabiliscono, per quanto di rilievo in questa sede: che (punto 1.1) trattasi di “attività libera, nel rispetto degli obblighi di servizio pubblico…” e che “A tale attività si accede in condizioni di uguaglianza, senza discriminazioni nelle modalità, condizioni e termini per il suo esercizio”; che “Le Regioni o le Province delegate non possono subordinare la ricevibilità, la procedibilità dell’istanza o la conclusione del procedimento alla presentazione di previe convenzioni ovvero atti di assenso o gradimento, da parte dei comuni il cui territorio è interessato dal progetto” (punto 13.4); ed infine che “Le amministrazioni competenti determinano in sede di riunione di conferenza di servizi eventuali misure di compensazione a favore dei Comuni, di carattere ambientale e territoriale e non meramente patrimoniali o economiche” (punto 14.15), definendo, poi, all’“Allegato 2” i “Criteri per l’eventuale fissazione di misure compensative”.

1.2 – Quanto innanzi esposto conduce pianamente a ritenere la fondatezza del gravame in parte qua, risultando evidente che il <<contributo di “eco-sostenibilità”>> richiesto con la gravata nota comunale si risolve in misure meramente patrimoniali, trovando la relativa ragion d’essere nella semplice circostanza della costruzione e (conseguente) esercizio di un impianto per la produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile nel territorio del Comune di Castellaneta (quest’ultimo in ogni caso non competente a stabilire alcuna misura di compensazione, neppure di carattere ambientale e territoriale), e non valendo in contrario neppure la previsione, in alternativa al pagamento monetario, dell’<<estinzione del debito riferito al pagamento del contributo di “eco-sostenibilità” mediante la realizzazione diretta>> (da parte dell’impresa) <<di alcune delle opere elencate nell’art. 15 del Regolamento>> comunale (che definisce in via generale – e, quindi, comunque in modo del tutto avulso da qualsivoglia valutazione dell’impatto ambientale/territoriale dello specifico impianto – le “categorie di interventi” cui risulta “vincolato” il contributo de quo, quali la realizzazione di aree naturali, parchi, giardini pubblici e verde pubblico, piste ciclabili, parchi tematici aventi ad oggetto la tutela ambientale e la diffusione di energie rinnovabili, interventi sulla segnaletica e viabilità miranti al contenimento dell’inquinamento acustico e ambientale, illuminazione pubblica a basso consumo e/o alimentazione alternativa, interventi sul patrimonio edilizio pubblico finalizzati al miglioramento dell’efficienza energetica e/o l’installazione di sistemi di produzione dell’energia con fonti rinnovabili, acquisto di mezzi di trasporto a bassa emissione inquinante, istituzione e funzionamento Ufficio Ambiente, tenuta ed aggiornamento Albo dei progetti autorizzati e delle relative superfici, manutenzione strade rurali) per il valore corrispondente al presunto “debito” pregresso (“corrispettivo annuo”/“quota annua” pari ad euro 140.000,00 – euro 10.000,00/MW – per ciascuna annualità sin dal 2010, in applicazione degli artt. 10 e 13 del Regolamento comunale), risolvendosi tale facoltà nello schema civilistico dell’obbligazione facoltativa (o con facoltà alternativa), e non mutando, quindi, sostanzialmente, la natura (comunque) meramente economico/patrimoniale della pretesa avanzata dal Comune.

Né può, poi, riconoscersi valore alcuno alla dichiarazione di cui alla nota del 18 dicembre 2007 (a mente della quale la dante causa Aleiron Energie Rinnovabili s.r.l. richiede di poter stipulare con l’Amministrazione comunale “una convenzione regolante i rapporti che … si impegnerebbe ad avere con il Comune riconoscendo tra le altre cose una royalty annua pari a euro 5.000,00 per ciascun MW effettivamente installato”), posto che, da un lato, detto “impegno” è meramente ipotetico e, dall’altro, lo stesso potrebbe, al più, essere ricondotto all’istituto civilistico della promessa di pagamento ex art. 1988 del Codice Civile, con l’unica conseguenza (c.d. astrazione processuale della causa) della “dispensa” per il beneficiario (nel caso in esame, il Comune) dall’“onere di provare il rapporto fondamentale”, la cui esistenza “si presume fino a prova contraria” (mentre, nella specie, è palesemente insussistente – per tutto quanto innanzi esposto – alcun “rapporto fondamentale” tra la Società ricorrente ed il civico Ente), e stante, comunque, il principio di tipicità delle promesse unilaterali ex art. 1987 del Codice Civile.

La nota impugnata, poi, è illegittima, conseguentemente, (anche) in quanto richiede “in via ultimativa” la sottoscrizione di una convenzione impositiva di misure compensative meramente economiche (convenzione che, anzi, qualora già sottoscritta, sarebbe nulla, in quanto priva di causa giustificatrice alcuna, come pure sopra chiarito; si veda in tal senso T.A.R. Puglia, Lecce, I, cit., n. 1361/2013).

Né vale, ex adversis, l’asserzione formulata dal Comune resistente, a mente della quale si disputerebbe (unicamente) “sulla regolamentazione cui va soggetta la fase della conduzione (successiva alla costruzione) dell’impianto”, sollecitandosi la sottoscrizione della convenzione di cui al punto 2.3.6 delle disposizioni approvate con Deliberazione della Giunta Regionale n. 35/2007.

E’ agevole replicare, da un lato, che la realizzazione è, con ogni evidenza, prodromica e funzionale alla conduzione (sicchè alcun rilevo autonomo può rivestire quest’ultima e, del resto, l’autorizzazione unica è rilasciata, ex art. 12 comma 3 del D.Lgs. n. 387/2003, per “la costruzione e l’esercizio degli impianti”) e, dall’altro, che la menzionata delibera di G.R. n. 35/2007 (nell’approvare “Disposizioni ed indirizzi per la realizzazione e gestione di impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili”) ha pure definito gli “Impegni del proponente nella fase di conduzione dell’impianto” (paragrafo 2.3.6), disponendo, altresì, la sottoscrizione (contestualmente alla sigla dell’ “Atto di Impegno” di cui al precedente paragrafo 2.3.5) di una convenzione (trilaterale) tra società proponente, Comune/i interessato/i dall’intervento e Regione Puglia, “attraverso la quale sono regolati i rapporti nella fase di conduzione dell’impianto, sino alla sua definitiva dismissione”.

L’invocata (dal Comune, in parte qua) deliberazione G.R. n. 35/2007 si riferisce, pertanto, (non già) alla Convenzione (bilaterale) richiesta dal civico Ente (di cui al Regolamento comunale ed alla nota gravata), bensì alla Convenzione (trilaterale) tra Regione Puglia, Comune e società proponente, nella specie già sottoscritta (e di ciò è dato espressamente atto nelle premesse del provvedimento autorizzativo – determinazione dirigenziale n. 302 del 21 maggio 2009 -, si veda, inoltre, il deposito documentale del 21 maggio 2016) tra il Comune di Castellaneta, la Regione Puglia e la società Aleiron Energie Rinnovabili s.r.l. (cedente il ramo d’azienda alla società odierna ricorrente) in data 16 aprile 2009 (con l’espressa previsione, peraltro – v. art. 7 – dell’obbligo di deposito, entro centottanta giorni dall’avvenuto rilascio dell’autorizzazione, di una “fideiussione a prima richiesta rilasciata a favore del Comune di Castellaneta … a garanzia della dismissione dell’impianto”), in quanto atto preliminare al rilascio dell’Autorizzazione Unica.

1.3 – Per tutto quanto innanzi esposto, pertanto, la nota prot. n. 614 del 12 gennaio 2016 del Comune di Castellaneta va annullata in parte qua, con riferimento alla richiesta di <<estinzione del debito riferito al pagamento del contributo di “eco-sostenibilità”>> (“corrispettivo annuo”/“quota annua” pari a euro 140.000,00/anno), (anche) mediante la realizzazione diretta di alcune delle opere elencate nell’art. 15 del Regolamento comunale (sicchè va pure dichiarata la non debenza delle relative somme), e di sottoscrizione della convenzione con il civico Ente.

2. – Conseguentemente, risultano illegittimi in parte qua e vanno, pertanto, annullati, nei limiti dell’interesse della Società ricorrente, pure il Regolamento comunale (approvato con delibera C.C. n. 34/2008) ed il relativo Schema di Convenzione (non potendosi, ad avviso del Collegio, ritenere la dedotta nullità per difetto assoluto di attribuzione, posto che quest’ultimo “è configurabile nei casi – per lo più ‘di scuola’ – in cui un atto non può essere radicalmente emanato da una autorità amministrativa, che non ha alcun potere nel settore, neppure condividendone la titolarità con un’altra amministrazione (risultando altrimenti un vizio di incompetenza)” – Consiglio di Stato, VI, 31 ottobre 2013, n. 5266 -, ed essendo, viceversa, la Regione o lo Stato titolari del potere di stabilire eventuali misure compensative, sia pure a carattere ambientale e territoriale) e non essendo stata, comunque, sottoscritta alcuna convenzione bilaterale (ai sensi del predetto Regolamento locale) tra il Comune di Castellaneta e la società Castellaneta Solar s.r.l. (né con la dante causa Aleiron Energie Rinnovabili s.r.l.).

3. – Deve, invece, essere respinta la domanda relativa all’accertamento del diritto della società ricorrente alla restituzione, ex art. 2033 del Codice Civile, del “contributo una tantum” di euro 280.000,00, già corrisposto al Comune di Castellaneta, ed alla condanna alla restituzione dello stesso, essendo stato detto versamento dichiaratamente effettuato “a titolo di contributo volontario” (così espressamente la nota a firma del legale rappresentante della società Castellaneta Solar s.r.l. del 22 gennaio 2013, che precisa, inoltre, la <<disponibilità a non intraprendere azioni volte al recupero di quanto già versato a titolo di “una tantum”>>).

4. – Per quanto riguarda la richiesta di dimostrazione del possesso dei requisiti di cui agli artt. 38 e 39 del D.Lgs. n. 163/2006, tale richiesta (contenuta nell’ultima parte della nota impugnata) non sembra acquistare valore provvedimentale, posto che l’Amministrazione si limita con essa ad indicare una circostanza di fatto soltanto suscettibile di essere considerata nell’ambito di successive determinazioni.

5. – Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere accolto in parte, nei sensi e nei limiti innanzi precisati.

6. – Sussistono, tuttavia, gravi ed eccezionali motivi (la complessità e rilevanza delle questioni trattate) per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.


P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce – Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte, nei sensi e termini di cui in motivazione.

Dispone l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Lecce nella Camera di Consiglio del giorno 5 luglio 2016 con l’intervento dei magistrati:

Luigi Costantini, Presidente
Antonella Lariccia, Referendario
Maria Luisa Rotondano, Referendario, Estensore

L’ESTENSORE
Maria Luisa Rotondano

IL PRESIDENTE

Luigi Costantini

 

IL SEGRETARIO

Iscriviti alla Newsletter GRATUITA

Ricevi gratuitamente la News Letter con le novità di Ambientediritto.it e QuotidianoLegale.

ISCRIVITI SUBITO


Iscirizione/cancellazione

Grazie, per esserti iscritto alla newsletter!