Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Beni culturali ed ambientali, Danno ambientale, Diritto processuale penale, Diritto urbanistico - edilizia, Legittimazione processuale Numero: 44319 | Data di udienza: 5 Ottobre 2016

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Apertura di pareti finestrate – Permesso di costruire – Necessità – Intervento edilizio comportante una modifica dei prospetti – Ristrutturazione edilizia “minore” – Esclusione – Artt. 3, 10, 34, 44, lett. e), d.P.R. n. 380/2001Artt. 167, 181, c.1­bis, D. Lgs. n. 42/2004 – Opere interne e reati edilizi – Realizzazione di un soppalco senza modifiche volumetriche – Incremento della superficie utile calpestabile – Aumento di unità immobiliari o modifiche dei volumi – Necessità di permesso di costruire – Presupposti – BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Reato paesaggistico – Natura di reato di pericolo astratto – Effettivo pregiudizio per l’ambiente – Esclusione – LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE – RISARCIMENTO DEI DANNI – Proprietario confinante – Legittimazione a costituirsi parte civile – Condanna generica al risarcimento dei danni in favore della Parte Civile – Accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso – Nesso di causalità – GiurisprudenzaDIRITTO PROCESSUALE PENALE – Valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze – Compiti giudice di merito – Particolare tenuità del fatto – Causa di esclusione della punibilità – Presupposti e limiti per la sua applicazione – Art. 131 bis cod. pen..


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 19 Ottobre 2016
Numero: 44319
Data di udienza: 5 Ottobre 2016
Presidente: AMOROSO
Estensore: Scarcella


Premassima

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Apertura di pareti finestrate – Permesso di costruire – Necessità – Intervento edilizio comportante una modifica dei prospetti – Ristrutturazione edilizia “minore” – Esclusione – Artt. 3, 10, 34, 44, lett. e), d.P.R. n. 380/2001Artt. 167, 181, c.1­bis, D. Lgs. n. 42/2004 – Opere interne e reati edilizi – Realizzazione di un soppalco senza modifiche volumetriche – Incremento della superficie utile calpestabile – Aumento di unità immobiliari o modifiche dei volumi – Necessità di permesso di costruire – Presupposti – BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Reato paesaggistico – Natura di reato di pericolo astratto – Effettivo pregiudizio per l’ambiente – Esclusione – LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE – RISARCIMENTO DEI DANNI – Proprietario confinante – Legittimazione a costituirsi parte civile – Condanna generica al risarcimento dei danni in favore della Parte Civile – Accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso – Nesso di causalità – GiurisprudenzaDIRITTO PROCESSUALE PENALE – Valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze – Compiti giudice di merito – Particolare tenuità del fatto – Causa di esclusione della punibilità – Presupposti e limiti per la sua applicazione – Art. 131 bis cod. pen..



Massima

 

 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 19/10/2016 (Ud. 05/10/2016) Sentenza n.44319


DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Apertura di pareti finestrate – Permesso di costruire – Necessità – Intervento edilizio comportante una modifica dei prospetti – Ristrutturazione edilizia “minore” – Esclusione – Artt. 3, 10, 34, 44, lett. e), d.P.R. n. 380/2001 – Artt. 167, 181, c.1­bis, D. Lgs. n. 42/2004.
 
L’apertura di “pareti finestrate” sulla facciata di un edificio, senza il preventivo rilascio del permesso di costruire, integra il reato previsto dall’art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, poiché si tratta di un intervento edilizio comportante una modifica dei prospetti non qualificabile come ristrutturazione  edilizia “minore”, e per il quale, quindi, non è sufficiente la mera denuncia di inizio attività.
 

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Opere interne e reati edilizi – Realizzazione di un soppalco senza modifiche volumetriche – Incremento della superficie utile calpestabile – Aumento di unità immobiliari o modifiche dei volumi – Necessità di permesso di costruire – Presupposti.
 
La semplice realizzazione di un soppalco, pur senza modifiche volumetriche, determina un incremento della superficie utile calpestabile, con necessità di permesso di costruire e conseguente configurabilità del reato edilizio. Sicché, le cosiddette “opere interne” non sono più previste nel d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, come categoria autonoma di intervento edilizio sugli edifici esistenti, e rientrano negli interventi di ristrutturazione edilizia quando comportino aumento di unità immobiliari o modifiche dei volumi, dei prospetti e delle superfici ovvero mutamento di destinazione d’uso (Sez. 3, n. 47438 del 24/11/2011 – dep. 21/12/2011, Truppi; fattispecie relativa proprio alla realizzazione di un soppalco all’interno di un’unità immobiliare che per la sua esecuzione si rendeva necessario il permesso di costruire o, in alternativa, la denuncia di inizio attività).


BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Reato paesaggistico – Natura di reato di pericolo astratto – Effettivo pregiudizio per l’ambiente – Esclusione – Art. 181 D.Lgs. n.42/2004.
 
Il reato paesaggistico di cui all’articolo 181 del decreto legislativo n. 42 del 2004 è un reato di pericolo astratto che non richiede un effettivo pregiudizio per l’ambiente. Trattasi di affermazione giuridicamente corretta, essendo pacifico l’orientamento di questa Corte nel senso che il reato di pericolo previsto dall’art. 181 del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, non richiede ai fini della sua configurabilità un effettivo pregiudizio per l’ambiente, essendo sufficiente l’esecuzione, in assenza di preventiva autorizzazione, di interventi che siano astrattamente idonei ad arrecare nocumento al bene giuridico tutelato, le cui conseguenze sull’assetto del territorio perdurano anche se l’amministrazione competente attesta la compatibilità paesaggistica delle opere eseguite (Cass.Sez. 3, n. 11048 del 18/02/2015 ­ dep. 16/03/2015, Murgia).
 

LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE – RISARCIMENTO DEL DANNO – Proprietario confinante – Legittimazione a costituirsi parte civile – Condanna generica al risarcimento dei danni in favore della Parte Civile – Accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso – Nesso di causalità – Giurisprudenza.
 
La condanna generica al risarcimento dei danni, pronunciata dal giudice penale (come avvenuto nel caso di specie), non esige alcuna indagine in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, postulando soltanto l’accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e della esistenza di un nesso di causalità tra tale fatto e il pregiudizio lamentato (Sez. 5, n. 45118 del 23/04/2013 – dep. 07/11/2013, Di Fatta e altri; Sez. 5, n. 191 del 19/10/2000 – dep. 10/01/2001, Mattioli F. P. ed altri; Sez. 6, n. 12199 del 11/03/2005 – dep. 29/03/2005, Molisso, secondo cui ai fini della pronuncia di condanna generica al risarcimento dei danni in favore della P.C. non è necessario che il danneggiato provi la effettiva sussistenza dei danni ed il nesso di causalità tra questi e l’azione dell’autore dell’illecito, essendo sufficiente l’accertamento di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose: la suddetta pronuncia infatti costituisce una mera “declaratoria juris” da cui esula ogni accertamento relativo sia alla misura sia alla stessa esistenza del danno, il quale è rimesso al giudice della liquidazione;  proprio in tema di edilizia, Sez.3, n. 45295 del 21/10/2009 – dep. 25/11/2009, Vespa, secondo cui il proprietario confinante è legittimato a costituirsi parte civile nei procedimenti penali aventi ad oggetto abusi edilizi non soltanto quando siano violate le norme civilistiche che stabiliscono le distanze nelle costruzioni (art. 873 cod. civ.), ma anche nel caso di inosservanza delle regole da osservarsi nelle costruzioni (art. 871 cod.civ.), indipendentemente dalle distanze; fattispecie di mutamento di destinazione d’uso di un piano seminterrato da garage e cantina in miniappartamento).
 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze – Compiti giudice di merito.
 
Il giudice di merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, nel qual caso debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensi­ ve che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. Sez. 5, n. 8411 del 21/05/1992 – dep.28/07/1992, Chirico ed altri).
 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Particolare tenuità del fatto – Causa di esclusione della punibilità – Presupposti e limiti per la sua applicazione – Art. 131 bis cod. pen..
 
La causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis cod. pen. non può essere applicata, ai sensi del terzo comma del predetto articolo, qualora l’imputato abbia commesso più reati della stessa indole (ovvero plurime violazioni della stessa o di diverse disposizioni penali sorrette dalla medesima “ratio punendi”), poiché è la stessa previsione normativa a considerare il “fatto” nella sua dimensione “plurima”, secondo una valutazione complessiva in cui perde rilevanza l’eventuale particolare tenuità dei singoli segmenti in cui esso si articola (Cass. Sez. 5, n. 26813 del 28/06/2016, Grosoli). 
 
 
(riforma sentenza della CORTE D’APPELLO DI NAPOLI in data 12/05/2015) Pres. AMOROSO, Rel. SCARCELLA, Ric. Morgera 
 
 
 
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Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 19/10/2016 (Ud. 05/10/2016) Sentenza n.44319

SENTENZA

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 19/10/2016 (Ud. 05/10/2016) Sentenza n.44319

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA 
 
Sul ricorso proposto da:
 
MORGERA LUIGI, n. 8/12/1954 a Napoli
 
avverso la sentenza della Corte d’appello di NAPOLI in data 12/05/2015;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. P. Fimiani, che ha chiesto annullarsi con rinvio la sentenza impugnata quanto al trattamento sanzionatorio, previa riqualificazione del delitto sub b) quale contravvenzione paesaggistica, e rigettarsi nel resto il ricorso;
udite, per la parte civile, le conclusioni dell’Avv. R. Mantovano, in sostituzione dell’Avv. G. D’Alise, che si è associato alle richiesta del P.G., depositando conclusioni scritte e nota spese;
udite, per il ricorrente, le conclusioni dell’Avv. L.B.A. Molinaro, che ha chiesto accogliersi il ricorso; 

RITENUTO IN FATTO
 
1. Con sentenza emessa in data 12/05/2015, depositata in data 28/05/2015 la Corte d’appello di NAPOLI, in riforma della sentenza del Tribunale di Napoli, sez. dist. Ischia del 7/11/2013, dichiarava MORGERALUIGI colpevole dei reati al medesimo ascritti ai capi a) e b) della rubrica (art. 44, lett. e), d.P.R. n. 380 del 2001 e 181, comma 1­bis, D. Lgs. n. 42 del 2004, contestati come accertati in data 17/11/2011), unificati gli stessi sotto il vincolo della continuazione e, con il concorso di attenuanti generiche, lo condannava alla pena di 6 mesi di reclusione, oltre alle sanzioni amministrative accessorie di legge ed al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, confermando invece l’assoluzione per insussistenza del fatto già pronunciata dal primo giudice in relazione al reato sub e) della rubrica (art. 481 c.p.).
 
2. Ha proposto ricorso MORGERALUIGI a mezzo del difensore fiduciario cassazionista, impugnando la sentenza predetta con cui deduce tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
 
2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., sotto il profilo della mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione; inadeguatezza dell’apparato argomentativo di cui si è avvalsa la Corte d’appello per giustificare il proprio convincimento; travisamento della prova consistito nell’utilizzazione di informazioni inesistenti e nell’omissione della valutazione di dati probatori, aventi carattere di decisività, nella parte motiva della sentenza impugnata; mancata rispondenza delle considerazioni poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale alle acquisizioni processuali.
 
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, la Corte d’appello avrebbe erroneamente affermato che, nel caso di specie, vi fosse stato un aumento volumetrico, della superficie calpestabile, oltre che una modifica dell’aspetto esteriore per la realizzazione di due finestre “lucifere”, che escluderebbero la qualificabilità degli interventi come di manutenzione straordinaria; diversamente, si sostiene, non risulterebbe essere stato accertato alcun aumento di altezza delle coperture del fabbricato, come documentato dai rilievi fotografici che sarebbero stati allegati ad una memoria difensiva depositata all’udienza 12/05/2015 nonché dai grafici allegati alla d.i.a.; in sostanza, contrariamente a quanto rilevato dalla Corte territoriale, il presunto aumento di cm. 50 sarebbe stato pari solo a 5 cm., dunque pari all’l % dell’altezza originaria di del primo piano, compreso nel limite di tolleranza sia del 2% ammesso dalla legge n. 68 del 1988 che dall’art. 34, d.P.R. n. 380 del 2001 che, infine, dei 25 cm. ammessi dalla normativa vigente in tema di risparmio energetico; non vi sarebbe stato dunque alcun incremento di volumetria urbanisticamente e paesaggisticamente rilevante.
 
2.1.1. Altro profilo di censura motivazionale riguarderebbe l’inadeguatezza della motivazione e la non compiuta valutazione dell’eccezione formulata sempre con la predetta memoria in ordine agli effetti sul processo in corso dell’entrata in vigore del d.l. n. 133 del 2014, conv. in legge n. 164 del 2014, che ha ridefinito gli interventi di manutenzione straordinaria; sostiene il ricorrente che nell’attuale definizione sono oggi da intendersi ricomprese anche le opere comportanti variazioni delle superfici e del carico urbanistico, con l’unico doppio limite di dover conservare la volumetria complessiva degli edifici e non più delle singole unità immobiliari e la destinazione d’uso originaria; sarebbe stato pacificamente accertato che non risulta esservi stata nel caso di specie alcuna modifica dell’originaria destinazione d’uso abitativa né alcuna aumento della volumetria complessiva dell’edificio; sarebbe stato in particolare dimostrato dalla documentazione ipocatastale allegata alla d.i.a. presentata al Comune ed acquisita agli atti del processo che l’unità immobiliare interessata dai lavori rientrava all’interno di un vecchio esteso fabbricato costituito da diverse unità immobiliari, articolato su due piani occupanti complessivamente una superficie di mq. 400 circa a piano, ed una volumetria complessiva di 4000 mc. circa; detto rilievo rendeva evidente, secondo il ricorrente, come il contestato massimo aumento di altezza du 0,50 cm. per una superficie di soppalco parti a 50 mc. avrebbe determinato un aumento volumetrico di appena 25 mc., pari allo 0,6% del volume complessivo, di gran lunga inferiore al limite di tollerabilità del 2% stabilito dall’art. 34, d.P.R. n. 380 del 2001 e dalla legge n. 68 del 1988.
 
2.1.2. Ulteriore profilo di doglianza sotto l’aspetto motivazionale investe la sentenza laddove la Corte territoriale non avrebbe adeguatamente motivato in ordine alla circostanza per cui, nella medesima epoca (2010/2011), il ricorrente avrebbe eseguito anche interventi di adeguamento igienico ­ sanitario e manutenzione dell’intero fabbricato; contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di appello, l’obbligo di modificabilità del prospetto non sarebbe ritirato nella nuova definizione degli interventi di manutenzione straordinaria, né in tale definizione si farebbe riferimento alla volumetria esistente al momento della realizzazione delle opere, anzichè alla più logica volumetria legittima originaria del fabbricato; nel caso in esame la Corte d’appello avrebbe ricollegato la modifica del prospetto sia all’aumento di altezza sia alla realizzazione di due nuove luci; tuttavia, quanto all’aumento di altezza, sarebbe provato che la facciata del fabbricato non ha subito alcun aumento di altezza né modifica paesaggisticamente rilevante; quanto alla luci, sarebbero da ricomprendere tra gli interventi di restauro e risanamento conservativo in quanto non erano idonee a consentire l’affaccio ma avevano solo finalità di aerazione, come era stato accertato dal primo giudice.
 
2.1.3. Ulteriore doglianza mossa con il primo motivo attinge la sentenza impugnata laddove ritiene che il parere di compatibilità paesaggistica non poteva essere rilasciato, non rientrando tra le opere indicate all’art. 167 del D. Lgs. n. 42 del 2004, essendosi verificati aumenti di superficie e volume; diversamente, sostiene il ricorrente, non essendosi verificato nessun aumento in tal senso, non vi erano elementi ostativi, laddove si consideri, tra l’altro, che la norma predetta ammette (lett. e) l’accertamento di compatibilità paesaggistica anche per gli interventi configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ex art. 3 T.U. edilizia, sicchè, essendo gli interventi eseguiti riconducibili alla categoria degli interventi di manutenzione straordinaria, gli stessi erano suscettibili di accertamento di compatibilità paesaggistica; viene, sul punto, richiamata giurisprudenza amministrativa a sostegno della applicabilità dell’art. 167, comma 4, d. lgs. n. 42 del 2004 anche ai soppalchi.
 
2.1.4. infine, si duole il ricorrente nel primo motivo del fatto che l’omesso esame delle eccezioni formulate con la memoria difensiva si sarebbe risolto in un ulteriore vizio della sentenza, come confermato da numerose decisioni di questa Corte di legittimità richiamate in ricorso alle pagg. 22/24.
 
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), cod, proc. pen., per l’inosservanza o erronea applicazione dell’art. 131­bis c.p. 
In sintesi la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, la Corte d’appello avrebbe rigettato la richiesta di applicazione della speciale causa di non punibilità con la motivazione che le opere realizzate avevano comportato la creazione di un nuovo piano ammezzato, suddiviso in due stanze e due bagni, e l’altezza di metri 2,30 era assolutamente sufficiente, di fatto, a permettere di utilizzare a fini abitativi gli ambienti in questione, anche in assenza di certificato di agibilità; diversamente, risultando dimostrato che non poteva imputarsi al ricorrente alcun concreto aumento di volume e/o d superficie, non vi sarebbe dubbio che la Corte territoriale avrebbe dovuto applicare l’art. 131­bis c.p., essendo l’intervento eseguito del tutto inidoneo per natura e caratteristiche, a determinare lesione dell’interesse all’ordinato assetto del territorio e del bene paesaggio protetto.
 
2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., per inosservanza o erronea applicazione dell’art. 539 c.p.p.
In sintesi la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, la motivazione sarebbe macroscopicamente illegittima laddove, pur ammettendosi che la parte civile non era obbligata a dimostrare la sussistenza del danno, era tuttavia evidente che la corte territoriale aveva fondato la condanna generica al risarcimento del danno sull’assunto che la p.c. aveva precisato nella relativa dichiarazione che intendeva far valere la violazione delle norme che stabiliscono le distanze, volumetria ed altezza delle costruzioni, previste dal codice civile e dai piani regolatori, violazioni produttive di un danno patrimoniale, essendo proprietaria di un appartamento confinante e frontista con quello oggetto degli abusi edilizi; diversamente, sostiene il ricorrente, nessun elemento di prova sarebbe stato acquisito in atti a sostegno della violazione delle predette norme, né era sufficiente la semplice dichiarazione di “vicinitas” di quest’ultima per legittimare la Corte d’appello alla condanna risarcitoria in assenza di qualsiasi concreto accertamento circa l’asserita violazione delle norme; invero, si conclude, il modestissimo incremento di altezza non avrebbe comportato superamento dell’altezza originaria del parapetto perimetrale preesistente, fuoriuscente dalla copertura per circa 70 cm., per cui non poteva nemmeno esservi violazione delle distanze prescritte dall’art. 8, D.M. n. 1444/68.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
3. La sentenza, pur essendo i motivi di ricorso generici e manifestamente infondati, dev’essere parzialmente annullata per le ragioni di seguito esposte.
 
4. Ed invero, dalla lettura della sentenza con cui la Corte d’appello ha sovvertito l’esito assolutorio del primo giudizio, emergono in maniera chiara e del tutto coerente anche sotto il profilo logico ­ argomentativo le ragioni che hanno determinato i giudici di appello a ritenere configurabili i reati edilizio e paesaggistico, oggetto di contestazione.
 
Come si evidenzierà in sede di esame dei singoli profili di doglianza mossi nel ricorso, appare evidente come il ricorrente, dietro la prospettazione di vizi motivazionali, si risolve in realtà nella manifestazione di un personale dissenso rispetto alla ricostruzione dei fatti ed al risultato della valutazione delle prove emerse nel corso del doppio giudizio di merito, operazione com’è noto del tutto vietata in questa sede. Il ricorrente, infatti, senza esporre apprezzabili elementi di novità, formula sterili censure, puramente contestative, alla sentenza impugnata, mostrando così di non tener in minimo conto le puntuali ed invero chiare, logiche e giuridicamente corrette considerazioni esposte dalla Corte d’appello nell’impugnata sentenza, così prestando il ricorso agevolmente il fianco alle censure di genericità in quanto chiaramente aspecifico. E’ pacifico infatti nella giurisprudenza di questa Corte che è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (tra le tante: Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849)
 
5. Tanto premesso, è sufficiente, nell’affrontare il primo motivo, ripercorrere sinteticamente la motivazione della sentenza impugnata per rendersi conto dell’inammissibilità dei relativi profili di doglianza.
 
Dall’istruttoria era infatti emerso quanto segue: a) all’interno dell’immobile di proprietà dell’imputato era stato creato ­ ln difformità della d.i.a. presentata, che aveva per oggetto opere di manutenzione ordinaria e straordinaria, con sostituzione del solaio preesistente­ un nuovo piano ammezzato, suddiviso in due stanze e due bagni mediante realizzazione di un soppalco “intermedio” ­ così definito dal tecnico comunale assunto quale teste ex art. 603 c.p.p. all’udienza tenutasi davanti alla Corte d’appello ­ nella realizzazione di una scala interna che conduceva al soppalco medesimo e di due finestre, definite come “luci” dal predetto tecnico, nonché, soprattutto, di un innalzamento del solaio di copertura preesistente; b) il tecnico, sentito dalla Corte d’appello al fine di fornire gli opportuni chiarimenti rispetto a quanto era stato argomentato nella sentenza assolutoria del primo giudice, aveva precisato categoricamente: che il solaio di copertura era stato innalzato, rispetto alla posizione originaria indicata nei grafici allegati al progetto, di 50 cm; che dai resti del solaio preesistente, ancora presenti sui luoghi al momento dell’accertamento, era stato possibile accertare che nei grafici la quota del solaio esistente era stata falsamente rappresentata ad un’altezza di 80 cm., maggiore rispetto a quella effettivamente esistente prima dei lavori, cosicché alla fine l’altezza del nuovo solaio di copertura risultava di fatto maggiore di 130 cm. rispetto a quello originario; che la maggiore altezza di 25 cm. del nuovo solaio realizzato, la quale aveva tratto in inganno il primo giudice, non lo era rispetto alla posizione del solaio originario così come indicata nei grafici, bensì rispetto all’altezza del solaio dell’edificio viciniore. Pertanto, precisavano i giudici di appello, la sopraelevazione del solaio di copertura realizzata ­ anche a voler limitare ai soli 50 cm. indicati in contestazione­ unitamente all’apertura delle due luci ed alla creazione del solaio intermedio (opere che nel loro insieme avevano permesso di ricavare all’interno dell’immobile due nuove stanze e due bagni) si presentava idonea ad integrare i reati oggetto di contestazione.
 
6. La Corte d’appello, in particolare, con riferimento al reato edilizio, ha correttamente ricordato come, secondo la giurisprudenza di questa Corte anche la semplice realizzazione di un soppalco, pur senza modifiche volumetriche, determina un incremento della superficie utile calpestabile, con necessità di permesso di costruire e conseguente configurabilità del reato edilizio; ed invero, questa Corte ha affermato che le cosiddette “opere interne” non sono più previste nel d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, come categoria autonoma di intervento edilizio sugli edifici esistenti, e rientrano negli interventi di ristrutturazione edilizia quando comportino aumento di unità immobiliari o modifiche dei volumi, dei prospetti e delle superfici ovvero mutamento di destinazione d’uso (Sez. 3, n. 47438 del 24/11/2011 – dep. 21/12/2011, Truppi, Rv. 2S1637; fattispecie relativa proprio alla realizzazione di un soppalco all’interno di un’unità immobiliare nella quale questa Corte ha affermato che per la sua esecuzione è necessario il permesso di costruire o, in alternativa, la denuncia di inizio attività).
 
7. I giudici di appello hanno poi correttamente affrontato il tema, sollevato e sostanzialmente replicato nel primo motivo di ricorso, relativo alla applicabilità della novella introdotta con il decreto­legge n. 133 del 2014; a tal proposito correttamente la Corte d’appello evidenzia la irrilevanza di tale modifica legislativa rispetto al caso in esame, non essendovi stata solo creazione di nuova superficie utile interna mediante la realizzazione di un solaio intermedio, ma anche l’apertura di luci ed una sopraelevazione del solai di copertura preesistente pari ad almeno 5O cm; vi è stato dunque, in aggiunta al mero aumento di superficie utile, anche un aumento di volumetria e una modifica dei prospetti, a tal proposito correttamente richiamando la Corte territoriale la giurisprudenza di questa Corte secondo cui l’apertura di “pareti finestrate” sulla facciata di un edificio, senza il preventivo rilascio del permesso di costruire, integra il reato previsto dall’art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, poiché si tratta di un intervento edilizio comportante una modifica dei prospetti non qualificabile come ristrutturazione  edilizia “minore”, e per il quale, quindi, non è sufficiente la mera denuncia di inizio attività (Sez. 3, n. 30575 del 20/05/2014 – dep. 11/07/2014, Limongi, Rv. 259905, relativa a fattispecie in cui l’intervento era consistito, come nel caso in esame, nella realizzazione di alcune “luci” su di una parete verso l’esterno).
 
8. Afferma dunque correttamente la Corte d’appello come nel caso in esame si rientri nell’ambito di quegli interventi di ristrutturazione edilizia per i quali è necessario il permesso di costruire anche a seguito delle modifiche introdotte dal predetto decreto­legge n. 133 del 2014; sul punto, inoltre, correttamente i giudici d’appello evidenziano come il predetto aumento di volumetria fosse ostativo anche a far rientrare quanto realizzato nell’ambito degli interventi di manutenzione straordinaria, così confutando la identica doglianza riproposta in sede di ricorso per cassazione; a tal proposito la Corte d’appello confuta la tesi difensiva secondo cui detto aumento volumetrico non sussisterebbe a seguito di una d.i.a. in precedenza presentata, nell’intero immobile all’interno del quale si trova anche la proprietà dell’imputato nel quale è stata innalzata la quota del calpestio di 25 cm., motivo per cui l’aumento di altezza del solaio di copertura avrebbe compensato la volumetria conseguente all’innalzamento del piano di calpestio. Trattasi di doglianza suggestiva ma infondata, come correttamente evidenziato dai giudici d’appello, in quanto la formulazione dell’art. 10, lett. e), d.P.R. n. 380 del 2001, si riferisce alla volumetria complessiva esistente al momento dell’intervento e non a quella esistente in un qualsiasi altro precedente momento della vita del fabbricato e che però, al momento del nuovo intervento da effettuare, si era già ridotta, come appunto avvenuto nel caso in esame; puntualizza correttamente peraltro la Corte d’appello come, nel caso di specie, vi fosse stata anche la modifica dei prospetti a seguito della realizzazione delle luci, e ciò stato sarebbe sufficiente a rendere necessario il permesso di costruire anche in base al novellato articolo 10 del testo unico dell’edilizia.
 
9. La Corte d’appello, poi, passa a esaminare la questione della configurabilità del reato paesaggistico, osservando come, per la realizzazione di tali interventi, sarebbe stata necessaria anche l’autorizzazione richiesta dall’art. 146 del decreto Urbani; precisano i giudici d’appello correttamente come i lavori di ristrutturazione edilizia non rientrano tra quelli per i quali l’articolo 149 esclude la necessità di tale autorizzazione; del resto, prosegue la Corte d’appello, nel caso in esame risultava accertato come le opere realizzate non fossero solo prettamente interne, essendo infatti consistite anche in una sopraelevazione ed in una apertura di luci, donde le stesse si presentavano astrattamente idonee ad alterare lo stato dei luoghi, incidendo sul loro aspetto esteriore in senso fisico ed estetico e modificando di conseguenza i valori paesaggistici. A tal proposito correttamente la Corte d’appello evidenzia come il reato paesaggistico di cui all’articolo 181 del decreto legislativo n. 42 del 2004 è un reato di pericolo astratto che non richiede un effettivo pregiudizio per l’ambiente. Trattasi di affermazione giuridicamente corretta, essendo pacifico l’orientamento di questa Corte nel senso che il reato di pericolo previsto dall’art. 181 del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, non richiede ai fini della sua configurabilità un effettivo pregiudizio per l’ambiente, essendo sufficiente l’esecuzione, in assenza di preventiva autorizzazione, di interventi che siano astrattamente idonei ad arrecare nocumento al bene giuridico tutelato, le cui conseguenze sull’assetto del territorio perdurano anche se l’amministrazione competente attesta la compatibilità paesaggistica delle opere eseguite (da ultimo: Sez. 3, n. 11048 del 18/02/2015 ­ dep. 16/03/2015, Murgia, Rv. 263289).
 
10. Il giudice di appello infine, dopo aver ricordato come l’area in questione fosse paesaggisticamente vincolata attesa la dichiarazione di notevole interesse pubblico avvenuta per il Comune di Forio d’Ischia con il d.m. 12/1/1958, si sofferma sulla ulteriore questione ­ anch’essa oggetto di doglianza nel ricorso proposto davanti a questa Corte ­, relativa alla rilevanza del parere di compatibilità paesaggistica; a tal proposito i giudici di appello danno atto dell’intervenuta acquisizione agli atti processuali del decreto di annullamento in autotutela, emesso dalla Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali territorialmente competente, relativo al precedente provvedimento rilasciato nel marzo del 2013 con cui era stato espresso parere favorevole all’accertamento di compatibilità paesaggistica richiesto per le opere in questione, nonché dell’acquisizione della c.d. determina con cui il Comune aveva rigettato la richiesta di rilascio del predetto accertamento di compatibilità paesaggistica; i giudici di appello evidenziano, del tutto correttamente, come al di là delle proposte impugnazioni davanti ai giudici amministrativi dei predetti provvedimenti, fosse innegabile in fatto che il provvedimento di compatibilità paesaggistica non risultava mai essere stato rilasciato, trattandosi di un semplice parere favorevole al rilascio poi annullato in autotutela, donde nessuna efficacia estintiva del reato poteva riconnettersi al detto parere, non comportando peraltro la presentazione dell’istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica nemmeno la sospensione del processo penale (Sez. 3, n. 1442 del 06/11/2012 ­ dep. 11/01/2013, Pallone, Rv. 254265).
 
I giudici di appello, peraltro, affrontano la questione giuridica già sollevata in quella sede e replicata senza apprezzabili elementi di novità davanti a questa Corte, costituita dalla possibilità di rilascio del predetto accertamento nel caso in esame; muovendo dalla previsione dell’articolo 167 del decreto legislativo n. 42 del 2004, evidenziano correttamente i giudici cappello come, essendo stato accertato nel caso in esame che le opere eseguite avessero comportato aumenti di volumetria e di superficie, l’accertamento di compatibilità paesaggistica non avrebbe potuto essere rilasciato, in quanto la predetta norma prevede la possibilità di conseguire l’accertamento di compatibilità paesaggistica esclusivamente per i lavori abusivi che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati.
 
Non hanno peraltro spessore argomentativo le doglianze svolte alle pagine 20 e seguenti del ricorso secondo cui la Corte d’appello non avrebbe considerato l’applicabilità della procedura dell’accertamento di compatibilità paesaggistica prevista dall’articolo 167 citato per gli interventi di manutenzione straordinaria, essendo infatti stato escluso motivatamente, come in precedenza evidenziato, che i lavori in questione rientrassero tra quelli di manutenzione straordinaria, trattandosi invece di interventi a pieno titolo rientrando in quelli di ristrutturazione edilizia.
 
11. Infine, quanto all’omessa valutazione delle eccezioni di cui alla memoria difensiva, la doglianza ­ oltre a presentarsi generica e inosservante del principio di autosufficienza del ricorso, non avendo provveduto il ricorrente all’allegazione della predetta memoria né a specificare in quali parti la sua valutazione sarebbe stata pretermessa dalla Corte d’appello (vizio, questo, che interessa il ricorso anche laddove pretende che sia questa Corte a verificare la pretesa contraddittorietà esterna tra le argomentazioni esposte in sentenza quanto alla consistenza degli abusi edilizi e le risultanze documentali, soltanto richiamate in ricorso, costituite dai rilievi fotografici riprodotti della predetta memoria depositata all’ud. 12/05/2015 e dai grafici allegati alla d.i.a. “acquisita agli atti”, dando erroneamente per scontata la possibilità, invece giuridicamente esclusa proprio per la natura di puro vaglio di legittimità, per questa Corte di svolgere apprezzamenti fattuali) ­ non tiene conto del fatto che la pretesa omessa valutazione (dunque, il c.d. travisamento per omissione che ne sarebbe seguito), in realtà non si traduce in un vizio di nullità della sentenza, laddove, per giurisprudenza pacifica, il percorso logico ­ argomentativo si presenti del tutto incompatibile con le deduzioni difensive in essa esposte, come emerge pacificamente dalla lettura della motivazione dell’impugnata sentenza. E’ infatti pacifico, nella giurisprudenza di questa Corte, che nella motivazione della sentenza il giudice di merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, nel qual caso debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensi­ ve che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (v., tra le tante: Sez. 5, n. 8411 del 21/05/1992 – dep.28/07/1992, Chirico ed altri, Rv. 191488).
 
12. Quanto, poi, alla dedotta violazione di legge per omessa applicazione dell’art. 131 bis c.p., oggetto del secondo motivo, osserva questa Corte come la Corte d’appello, con argomentazione del tutto corretta ed immune da vizi, escluda la particolare tenuità del fatto, osservando come in virtù della edificazione mediante l’insieme delle sopra descritte opere di un nuovo piano abitabile non potrebbe parlarsi di offesa di particolare tenuità; a tal proposito, confutando l’argomentazione difensiva secondo cui l’altezza del soppalco pari a 2,30 m. ne escluderebbe l’abitabilità essendo l’altezza minima pari a 2,70 m., i giudici di appello correttamente evidenziano come di fatto l’altezza realizzata fosse assolutamente sufficiente a garantire l’utilizzo a fini abitativi del soppalco ­ come comprovato anche dalla presenza dei due bagni ­, sicché il mancato raggiungimento dell’altezza minima di legge ne avrebbe sì escluso l’agibilità, ma non escludeva che ci si trovasse di fronte ad un abuso edilizio che costituiva manifestazione del disinteresse di chi aveva abusivamente edificato a rispettare le prescrizioni di legge riguardo alle altezze.
 
A ciò, peraltro, va aggiunto che l’applicabilità dell’art. 131 – bis, c.p. non avrebbe comunque potuto essere riconosciuta, tenuto conto della contemporanea violazione di più disposizioni della legge penale (art. 181, d. lgs. n. 42 del 2004; art. 44, lett. e), d.P.R. n. 380 del 2001): ed infatti, è stato affermato da questa Corte che la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis cod. pen. non può essere applicata, ai sensi del terzo comma del predetto articolo, qualora l’imputato abbia commesso più reati della stessa indole (ovvero plurime violazioni della stessa o di diverse disposizioni penali sorrette dalla medesima “ratio punendi”), poiché è la stessa previsione normativa a considerare il “fatto” nella sua dimensione “plurima”, secondo una valutazione complessiva in cui perde rilevanza l’eventuale particolare tenuità dei singoli segmenti in cui esso si articola (da ultimo: Sez. 5, n. 26813 del 28/06/2016, Grosoli, Rv. 267262). 
 
13. Infine, manifestamente infondato oltre che generico per le ragioni già in precedenza indicate è il motivo di ricorso afferente alla presunta violazione dell’articolo 539 del codice di procedura penale.
 
La Corte d’appello, su tale questione, dopo essersi soffermata a richiamare la giurisprudenza di questa Corte circa le condizioni per la legittimazione del vicino a costituirsi parte civile nei processi per reati edilizi, confuta la doglianza difensiva ­ancora una volta replicata senza apprezzabili elementi di novità in sede di ricorso per cassazione- circa il non aver fornito la parte civile alcuna prova di aver subito un danno nei termini richiesti dalla legge. Sul punto, correttamente i giudici di appello richiamano quella giurisprudenza secondo la quale la condanna generica al risarcimento dei danni, pronunciata dal giudice penale (come avvenuto nel caso di specie), non esige alcuna indagine in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, postulando soltanto l’accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e della esistenza di un nesso di causalità tra tale fatto e il pregiudizio lamentato (Sez. 5, n. 45118 del 23/04/2013 – dep. 07/11/2013, Di Fatta e altri, Rv. 257551; Sez. 5, n. 191 del 19/10/2000 – dep. 10/01/2001, Mattioli F. P. ed altri, Rv. 218077; Sez. 6, n. 12199 del 11/03/2005 – dep. 29/03/2005, Molisso, Rv. 231044, secondo cui ai fini della pronuncia di condanna generica al risarcimento dei danni in favore della P.C. non è necessario che il danneggiato provi la effettiva sussistenza dei danni ed il nesso di causalità tra questi e l’azione dell’autore dell’illecito, essendo sufficiente l’accertamento di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose: la suddetta pronuncia infatti costituisce una mera “declaratoria juris” da cui esula ogni accertamento relativo sia alla misura sia alla stessa esistenza del danno, il quale è rimesso al giudice della liquidazione; v, proprio in tema di edilizia, Sez.3, n. 45295 del 21/10/2009 – dep. 25/11/2009, Vespa, Rv. 245270, secondo cui il proprietario confinante è legittimato a costituirsi parte civile nei procedimenti penali aventi ad oggetto abusi edilizi non soltanto quando siano violate le norme civilistiche che stabiliscono le distanze nelle costruzioni (art. 873 cod. civ.), ma anche nel caso di inosservanza delle regole da osservarsi nelle costruzioni (art. 871 cod.civ.), indipendentemente dalle distanze; fattispecie di mutamento di destinazione d’uso di un piano seminterrato da garage e cantina in miniappartamento).
 
Applicando questi principi al caso di specie, i giudici di appello mostrano di farne buon governo, osservando infatti come l’abuso realizzato dall’imputato, comportando un innalzamento del solaio ed un conseguente aumento della volumetria abitabile e del conseguente carico urbanistico, si presentava potenzialmente idoneo a comportare un danno alla proprietà confinante nei termini sopra specificati, giustificando pertanto la condanna generica a favore della costituita parte civile.
 
Il motivo di doglianza proposto, pertanto, al cospetto del predetto apparato argomentativo appare del tutto sfornito di pregio, avendo correttamente motivato i giudici di appello sul punto, ed essendo evidente come gli abusi realizzati avessero determinato sicuramente l’inosservanza della normativa sulle costruzioni, di per sé legittimando il diritto al risarcimento, come affermato dalla richiamata sentenza Vespa di questa Corte.
 
14. Deve, tuttavia, rilevarsi che, pur a fronte della manifesta infondatezza di tutti i motivi di ricorso, il Collegio non può sottrarsi al dovere di rilevare l’incidenza che, sul reato paesaggistico, ha assunto la declaratoria di incostituzionalità di cui alla sentenza n. 56 del 2016. Non essendovi invero elementi da cui potersi desumere che l’aumento volumetrico realizzato fosse superiore al limite indicato dall’art. 181, comma 1­bis, D. Lgs. n. 42 del 2004, per effetto della predetta declaratoria, l’originario delitto paesaggistico dev’essere riqualificato nell’ipotesi contravvenzionale del comma primo dell’art. 181 citato.
 
Ciò, tuttavia, comporta l’obbligo per questa Corte di disporre l’annullamento dell’impugnata sentenza, limitatamente al trattamento sanzionatorio ­ previa riqualificazione del reato sub b) nella contravvenzione di cui all’art. 181, comma primo, D. Lgs. n. 42 del 2004 ­, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Napoli per la determinazione della pena, non essendo possibile per questa Corte provvedervi direttamente, attesa la necessità di rivalutare il trattamento sanzionatorio in considerazione dell’identica natura contravvenzionale dei due reati per cui è intervenuta condanna, avendo infatti la Corte d’appello determinato la pena individuando quale reato più grave l’allora delitto paesaggistico.
 
Il giudice di rinvio provvederà, inoltre, alla liquidazione delle spese della parte civile anche nel presente grado.
 
15. Consegue, infine, l’intervenuta definitività della sentenza quanto all’affermazione della responsabilità penale del ricorrente per entrambi i reati, ciò precludendo pertanto al giudice di rinvio di rilevare (ed al ricorrente di eccepire) la estinzione dei reati per prescrizione, alla data della presente decisione non ancora maturata, attesa la data di consumazione degli illeciti contravvenzionali per cui è intervenuta condanna (17/11/2011; prescrizione massima, pur prescindendo dalle intervenute sospensioni, 17/11/2016).

P.Q.M. 
 
La Corte, riqualificato il reato di cui al capo b) nella contravvenzione di cui all’art.181, comma 1, D. Lgs. n. 42 del 2004, annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Napoli per la rideterminazione della pena e per la liquidazione delle spese della parte civile anche nel presente grado.
 
Dichiara l’irrevocabilità della sentenza quanto all’affermazione della responsabilità penale.
 
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 5 ottobre 2016
 
 
 
 
 
 
 

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