Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto degli alimenti, Diritto processuale penale, Inquinamento del suolo, Pubblica amministrazione Numero: 13104 | Data di udienza: 17 Gennaio 2017

* PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Attività di produzione, commercio e vendita di fitofarmaci=agrofarmaci – Prevenzione e controllo su attività certamente o potenzialmente pericolose – DIRITTO ALIMENTARE – Fitofarmaci tossici per l’uomo e divieto d’impiego nella preparazione di prodotti alimentari – Fattispecie: stoccaggio di agrofarmaci, appartenenti alla II e III classe tossicologica, in assenza del prescritto titolo autorizzativo – Artt. 21, d.P.R. n. 290/2001 e 5-6, l. n. 283/1962 – INQUINAMENTO DEL SUOLO – Azione comunitaria ai fini dell’utilizzo sostenibile dei pesticidi – necessità del titolo autorizzativo – Direttiva 2009/128/CE – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Applicazione della sola pena dell’ammenda – Inappellabilità delle sentenze di condanna – Trasmissione degli atti al Giudice competente – Giurisprudenza.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 17 Marzo 2017
Numero: 13104
Data di udienza: 17 Gennaio 2017
Presidente: DI NICOLA
Estensore: MENGONI


Premassima

* PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Attività di produzione, commercio e vendita di fitofarmaci=agrofarmaci – Prevenzione e controllo su attività certamente o potenzialmente pericolose – DIRITTO ALIMENTARE – Fitofarmaci tossici per l’uomo e divieto d’impiego nella preparazione di prodotti alimentari – Fattispecie: stoccaggio di agrofarmaci, appartenenti alla II e III classe tossicologica, in assenza del prescritto titolo autorizzativo – Artt. 21, d.P.R. n. 290/2001 e 5-6, l. n. 283/1962 – INQUINAMENTO DEL SUOLO – Azione comunitaria ai fini dell’utilizzo sostenibile dei pesticidi – necessità del titolo autorizzativo – Direttiva 2009/128/CE – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Applicazione della sola pena dell’ammenda – Inappellabilità delle sentenze di condanna – Trasmissione degli atti al Giudice competente – Giurisprudenza.



Massima

 

 


CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 17/03/2017 (Ud. 17/01/2017), Sentenza n.13104



PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Attività di produzione, commercio e vendita di fitofarmaci=agrofarmaci – Prevenzione e controllo su attività certamente o potenzialmente pericolose – DIRITTO ALIMENTARE – Fitofarmaci tossici per l’uomo e divieto d’impiego nella preparazione di prodotti alimentari – Fattispecie: stoccaggio di agrofarmaci, appartenenti alla II e III classe tossicologica, in assenza del prescritto titolo autorizzativo – Artt. 21, d.P.R. n. 290/2001 e 5-6, l. n. 283/1962.
 
Il combinato disposto degli artt. 21, d.P.R. n. 290 del 2001 e 5-6, l. n. 283 del 1962 comporta che le attività di produzione, commercio e vendita di fitofarmaci=agrofarmaci debbono esser sempre sostenute dalla prescritta autorizzazione amministrativa; la lettera di entrambe le disposizioni, infatti, non opera alcuna distinzione in ragione del carattere del prodotto (molto tossico/tossico, nocivo, irritante, non classificato), limitandosi ad imporre il titolo per qualunque delle condotte indicate che abbiano ad oggetto il prodotto medesimo, in una evidente ottica di prevenzione e controllo su attività certamente o potenzialmente pericolose. Né può indurre a differenti conclusioni il tenore dell’art. 5, lett. h), L. n. 283 del 1962, richiamato nel successivo art. 6, come invece dedotto dal ricorrente; come già indicato, infatti, tale disposizione – che attiene al particolare ambito della preparazione di alimenti o bevande – vieta che vengano impiegate sostanze che contengano residui (tra l’altro) di agrofarmaci “tossici per l’uomo”, con ciò – e per soddisfare un’ovvia necessità di tutela della salute pubblica – evidenziando un carattere del prodotto che, diversamente, il successivo art. 6 non menziona. In altri termini: quest’ultima disposizione ha ad oggetto – esplicitamente – tutti “i fitofarmaci e presidi delle derrate alimentari immagazzinate”, così rendendo sempre obbligatoria la preventiva autorizzazione, quale ne sia il carattere; il precedente art. 5, lett. h), invece, concerne – tra questi – soltanto quelli tossici per l’uomo, vietandone l’impiego nella preparazione di prodotti alimentari. Come, peraltro, ben confermato dal comma 3 dello stesso art. 6, che distingue il trattamento sanzionatorio a seconda che la violazione concerna tout court “i contravventori alle disposizioni del presente articolo e dell’articolo 5” (come nel caso di specie) e riservando una pena più elevata “per la violazione delle disposizioni di cui alla lettera h) dell’articolo 5”, da intendersi quale divieto di impiegare – nella preparazione di alimenti e bevande – sostante fitosanitarie tossiche per l’uomo.
 

INQUINAMENTO DEL SUOLO – Azione comunitaria ai fini dell’utilizzo sostenibile dei pesticidi – necessità del titolo autorizzativo – Direttiva 2009/128/CE.
 
La disciplina penale contenuta nell’art. 21, d.P.R. n. 290 del 2001, in combinato disposto con l’art. 6, l. n. 283 del 1962 – non è stata abrogata dal d. lgs. 14 agosto 2012, n. 150 (Attuazione della direttiva 2009/128/CE che istituisce un quadro per l’azione comunitaria ai fini dell’utilizzo sostenibile dei pesticidi), mantenendo pertanto piena vigenza; dal che, la perdurante necessità del titolo autorizzativo per lo stoccaggio di agrofarmaci.


DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Applicazione della sola pena dell’ammenda – Inappellabilità delle sentenze di condanna – Trasmissione degli atti al Giudice competente – Giurisprudenza.
 
Ai sensi dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., sono inappellabili le sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena dell’ammenda; ne consegue che, qualora, diversamente, sia proposto il gravame di merito (ossia l’appello), la Corte investita – prescindendo da qualsiasi analisi valutativa in ordine alla indicazione di parte, se frutto cioè di errore ostativo o di scelta deliberata – deve limitarsi a prendere atto della voluntas impugnationis (elemento minimo che dà esistenza giuridica all’atto proposto) e trasmettere gli atti al Giudice competente (Cass., Sez. U, n. 45371 del 31/10/2011, Bonaventura; Sez. 5, n. 7403 del 26/9/2013, Bergantini; Sez. 1, n. 33782 dell’8/4/2013, Arena).
 

(conferma sentenza del 26/2/2013 TRIBUNALE DI NAPOLI) Pres. DI NICOLA, Rel. MENGONI, Ric. Avella 
 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 17/03/2017 (Ud. 17/01/2017), Sentenza n.13104

SENTENZA

 

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 17/03/2017 (Ud. 17/01/2017), Sentenza n.13104
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE 
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis 
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA 
 
sul ricorso proposto da Avella Agostino, nato a Mugnano di Napoli (Na) il 12/12/1972;
 
avverso la sentenza del 26/2/2013 del Tribunale di Napoli; 
 
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
 
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Pasquale Fimiani, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. Con sentenza del 26/2/2013, il Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Pozzuoli, dichiarava Agostino Avella colpevole della contravvenzione di cui agli artt. 21, d.P.R. 23 aprile 2001, n. 290, 6, l. 30 aprile 1962, n. 283, e lo condannava alla pena di 4.000,00 euro di ammenda; allo stesso, quale legale rappresentante della “Cuma Garden di Avella Agostino”, era contestato di aver attivato un locale per lo stoccaggio di agrofarmaci, appartenenti alla II e III classe tossicologica, in assenza del prescritto titolo autorizzativo. 
 
2. Propone appello l’Avella, a mezzo del proprio difensore, deducendo seguenti motivi:
 
– La sentenza avrebbe riconosciuto la colpevolezza dell’imputato senza accertare il carattere tossico (per l’uomo) delle sostanze in oggetto, quale requisito obbligatorio ai sensi dell’art. 5, lett. h), L. n. 283 del 1962, richiamato espressamente nel successivo art. 6; verifica tanto più necessaria, quanto si consideri che la classificazione di cui al capo di imputazione è stata successivamente superata, sicché i prodotti delle “ex” classi II e III non rientrano nella “nuova” classe “molto tossico/tossico”, ma soltanto in quella “nocivo” (ex classe II) e “irritante” (ex classe III/IV);
 
– eccessività della pena, anche in considerazione della incensuratezza, con richiesta delle circostanze attenuanti generiche.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
3. Occorre premettere che, ai sensi dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., sono inappellabili le sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena dell’ammenda; ne consegue che, qualora, diversamente, sia proposto il gravame di merito (ossia l’appello), la Corte investita – prescindendo da qualsiasi analisi valutativa in ordine alla indicazione di parte, se frutto cioè di errore ostativo o di scelta deliberata – deve limitarsi a prendere atto della voluntas impugnationis (elemento minimo che dà esistenza giuridica all’atto proposto) e trasmettere gli atti al Giudice competente (in tal senso, Sez. U, n. 45371 del 31/10/2011, Bonaventura, Rv. 220221; tra le altre, successivamente, Sez. 5, n. 7403 del 26/9/2013, Bergantini, Rv. 259532; Sez. 1, n. 33782 dell’8/4/2013, Arena, Rv. 257117).
 
Come avvenuto nel caso di specie.
 
4. Ciò premesso, questa Corte deve quindi verificare se le doglianze proposte dall’Avella con il presente gravame siano comunque inquadrabili nella cornice di cui all’art. 606, comma 1, cod. proc. pen. e, pertanto, se il ricorso risulti al riguardo ammissibile.
 
4. Orbene, la risposta risulta affermativa quanto alla prima doglianza, attinendo questa ad una dedotta violazione di legge penale; la stessa, comunque, risulta infondata.
 
5. Come riportato anche nel presente gravame, l’art. 21, d.P.R. n. 290 del 2001 stabilisce che la persona titolare di un’impresa commerciale o la società che intende ottenere l’autorizzazione al commercio ed alla vendita dei prodotti fitosanitari e dei coadiuvanti di prodotti fitosanitari, alla istituzione, gestione di depositi e locali per il commercio e la vendita di essi, deve presentare domanda all’autorità sanitaria individuata dalla regione. Ai sensi dell’art. 6, comma 1, L. n. 283 del 1962, poi, “la produzione, il commercio, la vendita delle sostanze di cui alla lettera h) dell’articolo precedente – fitofarmaci e presidi delle derrate alimentari immagazzinate – sono soggetti ad autorizzazione del Ministero della sanità, a controllo e a registrazione come presidi sanitari” (con indicazione della pena – per il caso di violazione della prescrizione – nel successivo comma 3); il citato art. 5, lett. h), a sua volta, stabilisce che è vietato impiegare nella preparazione di alimenti o bevande, vendere, detenere per vendere o somministrare come mercede ai propri dipendenti, o comunque distribuire per il consumo, sostanze alimentari (tra l’altro, lett. h) “che contengano residui di prodotti, usati in agricoltura per la protezione delle piante e a difesa delle sostanze alimentari immagazzinate, tossici per l’uomo”.
 
6. Così richiamato il perimetro normativo della questione, e ferma restando la pacifica assenza di autorizzazione in capo al ricorrente, osserva la Corte che la tesi ivi sostenuta, per quanto in apparenza suggestiva, risulta priva di fondamento.
 
Ed invero, il combinato disposto degli artt. 21, d.P.R. n. 290 del 2001 e 5-6, l. n. 283 del 1962 comporta che le attività di produzione, commercio e vendita di fitofarmaci=agrofarmaci (nelle quali deve esser compresa anche quella contestata all’Avella, difettando, peraltro, qualsivoglia censura in tal senso) debbono esser sempre sostenute dalla prescritta autorizzazione amministrativa;
la lettera di entrambe le disposizioni, infatti, non opera alcuna distinzione in ragione del carattere del prodotto (molto tossico/tossico, nocivo, irritante, non classificato), limitandosi ad imporre il titolo per qualunque delle condotte indicate che abbiano ad oggetto il prodotto medesimo, in una evidente ottica di prevenzione e controllo su attività certamente o potenzialmente pericolose. Né può indurre a differenti conclusioni il tenore dell’art. 5, lett. h), l. n. 283 del 1962, richiamato nel successivo art. 6, come invece dedotto dal ricorrente; come già indicato, infatti, tale disposizione – che attiene al particolare ambito della preparazione di alimenti o bevande – vieta che vengano impiegate sostanze che contengano residui (tra l’altro) di agrofarmaci “tossici per l’uomo”, con ciò – e per soddisfare un’ovvia necessità di tutela della salute pubblica – evidenziando un carattere del prodotto che, diversamente, il successivo art. 6 non menziona.
 
In altri termini: quest’ultima disposizione ha ad oggetto – esplicitamente – tutti “i fitofarmaci e presidi delle derrate alimentari immagazzinate”, così rendendo sempre obbligatoria la preventiva autorizzazione, quale ne sia il carattere; il precedente art. 5, lett. h), invece, concerne – tra questi – soltanto quelli tossici per l’uomo, vietandone l’impiego nella preparazione di prodotti alimentari. Come, peraltro, ben confermato dal comma 3 dello stesso art. 6, che distingue il trattamento sanzionatorio a seconda che la violazione concerna tout court “i contravventori alle disposizioni del presente articolo e dell’articolo 5” (come nel caso di specie) e riservando una pena più elevata “per la violazione delle disposizioni di cui alla lettera h) dell’articolo 5”, da intendersi quale divieto di impiegare – nella preparazione di alimenti e bevande – sostante fitosanitarie tossiche per l’uomo.
 
7. Da quanto precede deriva che il richiamo operato dall’art. 6 al precedente art. 5, lett. h) concerne soltanto la generica tipologia del prodotto (fitosanitario), senza interessare affatto il suo carattere, tossico o meno; il che, peraltro, risponde all’ovvia esigenza di sottoporre comunque a preventivo controllo un’attività che coinvolge prodotti pericolosi (in atto o in potenza), senza operare distinzioni di (sotto) classificazioni che, come nel caso di specie, possono normativamente variare nel tempo e rischiare – seguendo la prospettazione difensiva – di creare pericolose lacune normative (diversamente, invero, non si comprenderebbe secondo quale ratio dovrebbero esser sottoposte ad autorizzazione le attività concernenti i prodotti tossici/molto tossici, risultando invece libere quelle riguardanti prodotti nocivi).
 
Da ultimo sul punto, si osserva che la disciplina penale in esame – art. 21, d.P.R. n. 290 del 2001, in combinato disposto con l’art. 6, l. n. 283 del 1962 – non è stata abrogata dal d. lgs. 14 agosto 2012, n. 150 (Attuazione della direttiva 2009/128/CE che istituisce un quadro per l’azione comunitaria ai fini dell’utilizzo sostenibile dei pesticidi), mantenendo pertanto piena vigenza; dal che, la perdurante necessità del titolo autorizzativo con riguardo a condotte quali quella contestata all’Avella.
 
La doglianza, pertanto, deve esser rigettata.
 
8. Con riguardo, infine, al trattamento sanzionatorio, osserva il Collegio che lo stesso è stato determinato in modo assai più prossimo al minimo che al massimo (5.000,00 euro di ammenda, quale pena base, su una “forbice” da 309 a 30.987 euro), e con riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche; sì da non risultare il vizio denunciato, peraltro formulato in termini fattuali e non quale censura all’argomento impiegato sul punto in sentenza.
 
9. Il ricorso, pertanto, deve esser rigettato, ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali. 
 
P.Q.M.
 
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 
Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2016 

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