Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Numero: 52605 | Data di udienza: 4 Ottobre 2017

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reato di falso ideologico nella valutazione tecnica – Limiti alla discrezionalità tecnica – Verifica di conformità della situazione fattuale a parametri predeterminati – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Pubblico ufficiale – Falso ideologico – Criteri di valutazione – Elementi per la configurabilità – BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Attestato della compatibilità paesaggistica – Falsità dell’autorizzazione paesaggistica – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Nozione giuridica di "fatto nuovo" – Giurisprudenza processuale – Criteri per la concessione delle attenuanti generiche – Valutazione del giudice – Elementi e le circostanze – Onere di motivazione per il diniego – Assenza di elementi positivi.


Provvedimento: Beni culturali ed ambientali, Pubblica amministrazione, Diritto processuale penale, Diritto urbanistico - edilizia
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 17 Novembre 2017
Numero: 52605
Data di udienza: 4 Ottobre 2017
Presidente: RAMACCI
Estensore: GAI


Premassima

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reato di falso ideologico nella valutazione tecnica – Limiti alla discrezionalità tecnica – Verifica di conformità della situazione fattuale a parametri predeterminati – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Pubblico ufficiale – Falso ideologico – Criteri di valutazione – Elementi per la configurabilità – BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Attestato della compatibilità paesaggistica – Falsità dell’autorizzazione paesaggistica – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Nozione giuridica di "fatto nuovo" – Giurisprudenza processuale – Criteri per la concessione delle attenuanti generiche – Valutazione del giudice – Elementi e le circostanze – Onere di motivazione per il diniego – Assenza di elementi positivi.



Massima

 

 
 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 17/11/2017 (ud. 04/10/2017), Sentenza n.52605 

 

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reato di falso ideologico nella valutazione tecnica – Limiti alla discrezionalità tecnica – Verifica di conformità della situazione fattuale a parametri predeterminati – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Pubblico ufficiale – Falso ideologico – Criteri di valutazione – Elementi per la configurabilità – BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Attestato della compatibilità paesaggistica – Falsità dell’autorizzazione paesaggistica.
 
E’ configurabile il reato di falso ideologico nella valutazione tecnica in un contesto implicante la valutazione e accettazione di parametri normativamente determinati (Sez. 3, n. 41373 del 17/07/2014, P.M. in proc. Pasteris e altri, non mass.; Sez. 1, n. 45373 del 10/06/2013, Capogrosso e altro). Se pure è vero che nel caso in cui il pubblico ufficiale sia libero nella scelta dei criteri di valutazione, la sua attività è assolutamente discrezionale e, come tale, il documento che contiene il giudizio non è destinato a provare la verità di alcun fatto, tuttavia, se l’atto da compiere fa riferimento, come è nel caso di specie, a previsioni normative che dettano criteri di valutazione, si è in presenza di un esercizio di discrezionalità tecnica, che vincola la valutazione ad una verifica di conformità della situazione fattuale a parametri predeterminati, con conseguente integrazione della falsità se detto giudizio di conformità non sia rispondente ai parametri cui esso è implicitamente vincolato. In altri termini la discrezionalità tecnica è vincolata alla verifica della conformità della situazione fattuale alle previsioni normative con conseguente integrazione del reato di falso ideologico se detto giudizio di conformità non sia rispondente ai parametri normativi. Nella specie, la valutazioni di compatibilità ambientale espressa nell’autorizzazione paesaggistica rilasciata era fondate su presupposti urbanistici contrastanti con i parametri normativi, giacchè si rappresentava un intervento edilizio realizzato, previa cessione di cubatura in favore di un fondo agricolo su fascia costiera, senza destinazione agricola dell’intervento perché privo del requisito in capo al soggetto beneficiario, parametri che vengono anche in rilievo ai fini ambientali e sul giudizio di valorizzazione del sito. 
 
 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Nozione giuridica di "fatto nuovo" – Giurisprudenza processuale. 
 
In diritto, per "fatto nuovo" si intende un fatto ulteriore ed autonomo rispetto a quello contestato, ossia un episodio storico che non si sostituisce ad esso, ma che eventualmente vi si aggiunge, affiancandolo quale autonomo "thema decidendum", trattandosi di un accadimento naturalisticamente e giuridicamente autonomo (Cass. Sez. 6, n. 26284 del 26/03/2013, Tonietti; Sez. 2, n. 18868 del 10/02/2012, Osmenaj).
 
 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Criteri per la concessione delle attenuanti generiche – Valutazione del giudice – Elementi e le circostanze – Onere di motivazione per il diniego – Assenza di elementi positivi.
 
La concessione delle attenuanti generiche deve essere fondata sull’accertamento di situazioni idonee a giustificare un trattamento di speciale benevolenza in favore dell’imputato. Ne consegue che, quando la relativa richiesta non specifica gli elementi e le circostanze che, sottoposti alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e legittimità dell’istanza ­ l’onere di motivazione per il diniego dell’attenuante è soddisfatto con il richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi su cui fondare il riconoscimento del beneficio (Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015, Piliere; Sez. 3, n. 44071, del 25/09/2014, Papini e altri), elementi rispetto ai quali il ricorso, che rinvia ai motivi di appello già caratterizzati dalla medesima genericità, permane generico.


(dichiara inammissibili il ricorso avverso sentenza del 03/10/2016 CORTE D’APPELLO DI LECCE) Pres. RAMACCI, Rel. GAI, Ric. Renna

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 17/11/2017 (ud. 04/10/2017), Sentenza n.52605

SENTENZA

 

 

 
 
 
 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 17/11/2017 (ud. 04/10/2017), Sentenza n.52605
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA 
 
sul ricorso proposto da:
 
Renna Giuseppe, nato a Marciano di Leuca il 14/05/1952;
 
avverso la sentenza del 03/10/2016 della Corte d’appello di Lecce;
 
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
 
udita la relazione svolta dal consigliere Emanuela Gai;
 
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Stefano Tocci, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
 
udito l’avv. De Francesco per l’imputato che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso in subordine chiede la dichiarazione di prescrizione del reato.
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. Con sentenza emessa in data 3 ottobre 2016, la Corte di appello di Lecce, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Lecce, del 10/12/2014, che aveva condannato Renna Giuseppe, previa riqualificazione giuridica dell’originaria imputazione di cui agli artt. 110, 479 cod.pen., nella diversa ipotesi di cui agli artt. 110, 480 cod.pen., ha ridotto la pena inflitta a Renna Giuseppe, a mesi quattro di reclusione.
 
Secondo quanto accertato dalle conformi sentenze di merito, Renna Giuseppe in concorso con Antonio Stefanachi (non ricorrente), tecnico­ progettista del committente, predisposto e presentato, il secondo, una relazione paesaggistica con la quale si attestava, falsamente, la conformità alla normativa ambientale e paesaggistica di alcune opere edilizie, laddove si prevedeva un aumento di volumetria in zona E3, verde agricolo fascia costiera, per complessivi 493,00 mc., in luogo dei consentiti 31,49 mc., aumento in conseguenza di cessione di cubatura tra fondi distanti, aventi diverso indice di edificabilità e in assenza di destinazione agricola dell’intervento edilizio, al fine dell’emissione, da parte del Renna, quale tecnico comunale, del relativo provvedimento di autorizzazione paesaggistica che attestava falsamente la compatibilità paesaggistica dell’intervento, fondato sui falsi presupposti di cui alla relazione tecnica, nella consapevolezza di tale falsità. Fatto commesso il 15/12/2009.
 
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Renna Giuseppe, a mezzo del proprio difensore, deducendo:
 
a) con il primo motivo di ricorso la nullità della sentenza per violazione dell’art. 522 cod.proc.pen. atteso che l’imputato era stato condannato per un fatto nuovo (la falsa autorizzazione paesaggistica) a fronte della formale contestazione della sola falsità della relazione paesaggistica;
 
b) con il secondo motivo di ricorso la violazione di legge in relazione all’erronea applicazione dell’art. 480 e il vizio di motivazione sulla affermazione della responsabilità per il reato di falso ideologica in atto amministrativo limitandosi, la sentenza impugnata, ad affrontare i profili di illegittimità del provvedimento urbanistico, per contrasto con l’art. 51 della legge Regionale Puglia n. 56 del 1980, non considerando che il procedimento amministrativo di rilascio del permesso di costruire è autonomo dall’autorizzazione paesaggistica, di talchè non sarebbe congrua la motivazione sull’affermazione della responsabilità, mancando, da un punto di vista oggettivo, la falsità della concessa autorizzazione paesaggistica, al più illegittima, poiché non potrebbe farsi discendere che, per la sua collocazione nell’area, l’intervento edilizio fosse di impatto incompatibile con il sito. Tanto più che l’autorizzazione paesaggistica rilasciata dal ricorrente aveva trovato l’avvallo della competente Sovraintendenza, circostanza che escluderebbe la violazione di leggi. In definitiva a fronte di un’attività ampiamente discrezionale non sarebbe configurabile il reato di falso contestato nel giudizio di compatibilità paesaggistica rilasciato;
 
c) con il terzo motivo di ricorso deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all’elemento soggettivo del reato fondato sulla "macroscopica violazione" laddove, al contrario, l’autorizzazione paesaggistica aveva trovato l’avvallo della competente Sovraintendenza;
 
d) con il quarto motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al diniego di riconoscimento delle circostanze di cui all’art. 62-bis cod.pen;
 
e) con il quinto motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al diniego di riconoscimento del beneficio di çui all’art. 163 cod.pen. essendo l’imputato persona incensurata.
 
3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
 
4. Il ricorso appare inammissibile per la proposizione di motivi manifestamente infondati e generici.
 
5. Manifestamente infondato è il primo motivo di ricorso con cui il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 522 cod.proc.pen. in relazione all’art. 516 cod.proc.pen., censura già devoluta al giudice dell’impugnazione e da questi disattesa con motivazione corretta sul piano del diritto.
 
Deve rammentarsi che per "fatto nuovo" si intende un fatto ulteriore ed autonomo rispetto a quello contestato, ossia un episodio storico che non si sostituisce ad esso, ma che eventualmente vi si aggiunge, affiancandolo quale autonomo "thema decidendum", trattandosi di un accadimento naturalisticamente e giuridicamente autonomo (Sez. 6, n. 26284 del 26/03/2013, Tonietti, Rv. 256861; Sez. 2, n. 18868 del 10/02/2012, Osmenaj, Rv. 252822).
 
Nel caso in esame, dalla contestazione mossa, e ritenuta provata in sentenza, si evinceva tanto la falsità della relazione paesaggistica, redatta dal tecnico progettista Stefanachi, quanto quella dell’autorizzazione paesaggistica, rilasciata dal Renna, sulla base del falso presupposto, autorizzazione del Renna che attestava la compatibilità ambientale dell’intervento e la valorizzazione del sito su cui era prevista l’edificazione con densità superiore a quella consentita dagli strumenti urbanistici, sicchè alcuna elemento estraneo al thema decidendum è ravvisabile. Da qui la manifesta infondatezza del motivo di ricorso.
 
6. Parimenti manifestamente infondato è il secondo motivo di ricorso.
 
Va innanzitutto premesso che il reato di falso ideologico ex art. 480 cod.pen., come diversamente qualificata l’originaria imputazione, è stato ritenuto sussistente dai giudici del merito in relazione alla autorizzazione paesaggistica, rilasciata dal Renna, tecnico comunale, laddove ha attestato la compatibilità paesaggistica in relazione alla realizzazione di un intervento edilizio, in zona E3 verde agricolo­fascia costiera, di civile abitazione, descritto nella relazione del progettista, con volumetria superiore a quella assentibile (‘mc. 493,00 in luogo di mc. 31,49) per effetto dell’accorpamento di volumetria a seguito di cessione di cubatura con terreni non confinanti (E2 ed E3), con indici di edificabilità diversi, e difettando la richiedente della qualifica di imprenditore agricolo, e, dunque, un’autorizzazione ideologicamente falsa perché fondati su falsi presupposti per la sua emanazione in quanto fondata sul presupposto dell’accorpamento di volumetria, in contrasto con la disposizione di cui all’art. 51 lett. g) della legge regionale Puglia n. 56 del 1980, disposizione che la corte territoriale ha ritenuto tutt’ora vigente in assenza dell’approvazione del PUTI da parte della Regione Puglia.
 
Va ancora premesso che, sebbene il tema della efficacia dell’art. 51 della legge Regionale Puglia non sia stato esplicitamente affrontato dal ricorrente, che conviene con la corte territoriale che ha affermato la sua vigenza, deve darsi atto che il rilevato contrasto interpretativo sulla sua vigenza, nella giurisprudenza di legittimità, ha trovato un componimento, da ultimo, con la recente sentenza di questa Corte (Sez. 3, n. 35166 del 28/0372017, Cazzate e altro, non mass.) secondo cui la norma citata ha perso efficacia con l’emanazione del PUTI; ciò non di meno, come affermato dalla citata sentenza, ciò non comporta la legittimità della cessione di cubatura tra fondi agricoli non confinanti, con indici di fabbricabilità diversi, cessione di cubatura, già di fonte negoziale, che ha trovato espresso avvallo dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato e, da ultimo, nell’art. 5, comma 1 lett. c) della d.l. n. 70 del 2011, conv, nella legge n. 106 del 2011, sicchè in assenza dei presupposti sopra indicati (cfr. Sez. 3, n. 8635 del 18/09/2014) permane la non conformità dell’intervento urbanistico che realizza una volumetria non consentita in zona agricola pur assentite da titolo autorizzativo e autorizzazione paesaggistica.
 
Tutto ciò premesso, la ratio decidendi è corretta e alcun vizio di motivazione è sussistente. 
 
La corte territoriale ha ritenuto la falsità dell’autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Renna, laddove ne attesta la compatibilità ambientale e la valorizzazione del sito, dell’intervento edilizio per effetto dell’accorpamento dei fondi siti in sottozone diverse (E2 e E3), aventi diversi indici di fabbricabilità e in assenza della destinazione agricola dell’intervento (abitazione a carattere stagionale, secondo il tecnico progettista cfr. pag. 1 sentenza Tribunale), giacchè sulla particella interessata dall’edificazione, in fascia costiera, non era possibile esprimere una volumetria pari a quella indicata di mc 493, e in assenza di qualifica soggettiva di imprenditore agricolo del proprietario; e ciò evidenziando che la falsità dell’autorizzazione paesaggistica era diretta conseguenza delle indicazioni, parimenti false, contenute nella relazione del tecnico progettista che documentava la legittimità dell’intervento edilizio per effetto dell’accorpamento di fondi di cui sopra, che finiva per assentire la realizzazione di un’abitazione a carattere stagionale, e non agricola, con volumetria doppia di quella assentibile.
 
La corte territoriale ha fatto corretta applicazione dello ius receptum di questa Corte di legittimità secondo cui è configurabile il reato di falso ideologico nella valutazione tecnica in un contesto implicante la valutazione e accettazione di parametri normativamente determinati (Sez. 3, n. 41373 del 17/07/2014, P.M. in proc. Pasteris e altri, non mass.; Sez. 1, n. 45373 del 10/06/2013, Capogrosso e altro, Rv. 257895); sicché, in altri termini, se pure è vero che nel caso in cui il pubblico ufficiale sia libero nella scelta dei criteri di valutazione, la sua attività è assolutamente discrezionale e, come tale, il documento che contiene il giudizio non è destinato a provare la verità di alcun fatto, tuttavia, se l’atto da compiere fa riferimento, come è nel caso di specie, a previsioni normative che dettano criteri di valutazione, si è in presenza di un esercizio di discrezionalità tecnica, che vincola la valutazione ad una verifica di conformità della situazione fattuale a parametri predeterminati, con conseguente integrazione della falsità se detto giudizio di conformità non sia rispondente ai parametri cui esso è implicitamente vincolato (Sez. 2, n. 1417 del 11/10/2012, p.c. in proc. Platamone e altro, Rv. 254305; si vedano anche Sez. 5, n. 39360 del 15/07/2011, Gulino, Rv. 251533; Sez. 5, n. 14486 del 21/02/2011, Marini e altro, Rv. 249858).
 
E’ evidente che la valutazioni di compatibilità ambientale espressa nell’autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Renna era fondate su presupposti urbanistici contrastanti con i parametri normativi, giacchè si rappresenta un intervento edilizio realizzato, previa cessione di cubatura in favore di un fondo agricolo su fascia costiera, senza destinazione agricola dell’intervento perché privo del requisito in capo al soggetto beneficiario, parametri che vengono anche in rilievo ai fini ambientali e sul giudizio di valorizzazione del sito. 
 
L’autorizzazione paesaggistica era, così, la diretta conseguenza dei falsi parametri contenuti nella relazione tecnica e come tale anch’essa falsa.
 
In altri termini la discrezionalità tecnica è vincolata alla verifica della conformità della situazione fattuale alle previsioni normative con conseguente integrazione del reato di falso ideologico se detto giudizio di conformità non sia rispondente ai parametri normativi.
 
Ne consegue che è priva di pregio l’ulteriore profilo di censura, svolta dal ricorrente, laddove contesta la ravvisabilità del delitto di falso in presenza di violazione delle norme sulla cessione di cubatura che attengono ai profili urbanistici non essendo, invece, normativamente prefissata la valutazione della compatibilità ambientale, valutazione questa che al più può essere illegittima, ma non falsa. La maggior volumetria del manufatto da realizzare in zona agricola fascia costiera e di pregio, per effetto dell’illegittimo accorpamento di fondi non confinanti, l’assenza di un intervento volto alla realizzazione di aziende agricole e finalizzato allo sviluppo e al recupero del patrimonio produttivo, la previsione, come da progetto, di una realizzazione di una abitazione ad uso esclusivo residenziale (e stagionale), costituiscono i dati maggiormente significativi sulla scorta dei quali deve essere formulato il giudizio di compatibilità ambientale, di tal chè deve ritenersi falsa l’autorizzazione paesaggistica che si esprime su tali basi in contrasto con i parametri normativi.
 
7. Del pari scevra da profili di illogicità e corretta è la motivazione della sentenza impugnata con riferimento al dolo del reato, oggetto di censura nel terzo motivo di ricorso, dolo generico ritenuto in capo al pubblico ufficiale Renna che, in ragione della perfetta conoscenza della normativa di riferimento, per essere tecnico del settore, ha consapevolmente e volontariamente ideologicamente falsificato l’autorizzazione paesaggistica nei termini sopra descritti (par. 6 ), sicchè era da escludersi qualsiasi leggerezza, esclusa altresì dal rilievo che erano state accertate numerose pratiche edilizie aventi gli stessi connotati di falsità, nonché rilevanza all’autonomo "avvallo" della Sovraintendenza, semmai elemento probatorio che avvalora la "prassi" illecita di sistematica falsificazione dei permessi a costruire e delle autorizzazione paesaggistiche, di cui la sentenza impugnata dà conto.
 
8. Di carattere generico è il devoluto vizio di motivazione in relazione al diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
 
Rileva il Collegio che il giudice dell’impugnazione ha motivato la mancata concessione in ragione dell’assenza di elementi da valorizzare al di là dello stato di incensuratezza. 
 
Nel pervenire a tale conclusione, la Corte d’appello si è attenuta al principio di diritto secondo il quale la concessione delle attenuanti generiche deve essere fondata sull’accertamento di situazioni idonee a giustificare un trattamento di speciale benevolenza in favore dell’imputato. Ne consegue che, quando la relativa richiesta non specifica gli elementi e le circostanze che, sottoposti alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e legittimità dell’istanza ­ l’onere di motivazione per il diniego dell’attenuante è soddisfatto con il richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi su cui fondare il riconoscimento del beneficio (Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015, Piliere, Rv. 266460; Sez. 3, n. 44071, del 25/09/2014, Papini e altri, Rv. 260610), elementi rispetto ai quali il ricorso, che rinvia ai motivi di appello già caratterizzati dalla medesima genericità, permane generico.
 
9. Alla stessa sorte non si sottrae l’ultimo motivo con cui si censura la sentenza impugnata in relazione alla motivazione sul diniego di riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena.
 
Deve rammentarsi che la concessione del beneficio di cui all’art. 163 cod.pen. presuppone la ricorrenza di due requisiti, in presenza di una pena che non superi il limite edittali di due anni di pena detentiva, ovvero a pena pecuniaria ragguagliata ex art. 135 cod.pen., l’assenza di precedenti condanne a pena già sospesa (ovvero una precedente condanna a pena che in aggiunta a quella inflitta non superi il limite previsto) e il positivo giudizio di astensione dalla commissione di ulteriori reati in futuro. Orbene, nell’ambito della valutazione del siffatto giudizio prognostico ben il giudice del merito può prendere in esame plurimi elementi, anche tra quelli indicati ex art. 133 cod.pen., e individuare quelli che possono fondare, anche in via esclusiva, il riconoscimento ovvero escluderlo.
 
Nel formulare giudizio la corte territoriale ha dato rilievo ai precedenti giudiziari (pur infelicemente indicate quali fatti notori ), che per costante giurisprudenza di legittimità possono fondare il giudizio sfavorevole di astensione dalla commissione di altri reati, giudizio che precludo il riconoscimento del beneficio di cui all’art. 163 cod.pen. (Sez.3, n. 44458 del 30/0972015, Pomposo, Rv 26513; Sez. 3, n. 9915 del 1271172009, Stimolo, Rv 246250).
 
10. L’inammissibilità del ricorso impedisce di rilevare e dichiarare la prescrizione del reato maturata, nelle more del giudizio di legittimità, il 15/06/2017. Va ricordato che, nella consolidata interpretazione di questa Corte, un ricorso per cassazione inammissibile, per manifesta infondatezza dei motivi o per altra ragione, "non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p." (Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013, Ciaffoni, Rv. 256463, Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv 217266; Sez. 4, n. 18641 del 20/01/2004, Tricomi) cosicché è preclusa la dichiarazione di prescrizione del reato maturato dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello ( da ultimo Sez. 5, n. 15599 del 19/11/2014, Zagarella, Rv. 263119).
 
11. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
 
P. Q. M.
 
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di € 2000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
 
Così deciso il 04/10/2017
 
 
 
 

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