Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Rifiuti Numero: 66 | Data di udienza: 15 Giugno 2017

* RIFIUTI – Regione Veneto – Piano regionale di gestione dei rifiuti – Adozione in regime di prorogatio – Legittimità – Atto costituente adempimento di impegni derivanti dall’appartenenza all’Unione europea – Impianti di recupero aerobico e anaerobico – Distanza non inferiore a 500 metri da edifici pubblici e abitazioni – Illegittimità – Mancanza di adeguata istruttoria.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 4^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 8 Gennaio 2018
Numero: 66
Data di udienza: 15 Giugno 2017
Presidente: Troiano
Estensore: Forlenza


Premassima

* RIFIUTI – Regione Veneto – Piano regionale di gestione dei rifiuti – Adozione in regime di prorogatio – Legittimità – Atto costituente adempimento di impegni derivanti dall’appartenenza all’Unione europea – Impianti di recupero aerobico e anaerobico – Distanza non inferiore a 500 metri da edifici pubblici e abitazioni – Illegittimità – Mancanza di adeguata istruttoria.



Massima

 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. 4^ – 8 gennaio 2018, n. 66


RIFIUTI – Regione Veneto – Piano regionale di gestione dei rifiuti – Adozione in regime di prorogatio – Legittimità – Atto costituente adempimento di impegni derivanti dall’appartenenza all’Unione europea.

L’adozione di un atto costituente adempimento di impegni derivanti dall’appartenenza all’Unione europea, e segnatamente l’adozione del il Piano di Gestione dei Rifiuti da parte  della Regione Veneto,  è  legittima, pur se essa intervenga durante il regime di prorogatio (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 2017 n. 2305). Va in proposito precisato che l’inosservanza di impegni derivanti dall’appartenenza all’Unione europea può essere inverata anche laddove non sia immediatamente attivato un intervento repressivo/sanzionatorio da parte di quest’ultima, la quale si sia limitata alla sola procedura EU Pilot (nella specie, peraltro, la Commissione europea aveva inviato una lettera di messa in mora al Governo Italiano il 23 ottobre 2015 cui aveva fatto seguito un parere motivato che aveva aperto formalmente una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia il 15 febbraio 2017 per elusione della direttiva 2008/98/CE nella parte relativa ai piani di gestione rifiuti. In tale parere era stata esclusa, tra le Autorità inadempienti, la Regione Veneto, proprio per il fatto che, nel frattempo, essa aveva adottato e comunicato il Piano oggetto del ricorso)
 

RIFIUTI – Regione Veneto – Piano regionale di gestione dei rifiuti – Impianti di recupero aerobico e anaerobico – Distanza non inferiore a 500 metri da edifici pubblici e abitazioni – Illegittimità – Mancanza di adeguata istruttoria.

E’ illegittimo, e va conseguentemente annullato, il Piano regionale di gestione dei rifiuti urbani e speciali della Regione Veneto, nella parte in cui esso prevede (art. 1.3.7.2 – all. A), che la distanza degli impianti di recupero aerobico e anaerobico di matrici organiche non possa essere inferiore a 500 metri da edifici pubblici e abitazioni, anche singole, purchè stabilmente occupate, non essendo tale previsione supportata da alcuna particolare istruttoria, né la Regione ha motivato la necessità di un sensibile “aggravamento” della limitazione (pari al raddoppio della distanza originariamente prevista), e ciò pur in presenza di un parere favorevole della Commissione VAS sulla limitazione di minore entità.

(Riforma T.A.R. VENETO, n. 685/2016) – Pres. Troiano, Est. Forlenza – Regione Veneto (avv.ti Londei, Zanlucchi, Zanon e Manzi) c. C. s.r.l. e altri (avv.ti Pavanini, Zambardi e Feroci)


Allegato


Titolo Completo

CONSIGLIO DI STATO, Sez. 4^ - 8 gennaio 2018, n. 66

SENTENZA

 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. 4^ – 8 gennaio 2018, n. 66

Pubblicato il 08/01/2018

N. 00066/2018REG.PROV.COLL.
N. 09754/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente


SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9754 del 2016, proposto da:
Regione Veneto, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Luisa Londei, Francesco Zanlucchi, Ezio Zanon, Andrea Manzi, con domicilio eletto presso lo studio Andrea Manzi in Roma, via Federico Confalonieri 5;


contro

Cesaro Mac Import Srl, Giampietro Orlandi, Litoranea Re Srl, Orlandi Giuseppe & Giampietro Ss, le società in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi dagli avvocati Andrea Pavanini, Valeria Zambardi, Marco Feroci, con domicilio eletto presso lo studio Marco Feroci in Roma, via Paolo Emilio, 32;

nei confronti di

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Provincia di Venezia non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. VENETO, SEZ. III n. 00685/2016, resa tra le parti, concernente piano regionale di gestione rifiuti urbani e speciali – distanza minima dalle abitazioni ed edifici pubblici degli impianti di recupero aerobico e anaerobico di matrici organiche

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Cesaro Mac Import Srl , Giampietro Orlandi, Litoranea Re Srl, Orlandi Giuseppe & Giampietro Ss, nonché di Presidenza del Consiglio dei Ministri e Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 giugno 2017 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Andrea Manzi, Zanlucchi, Feroci e l’Avvocato dello Stato Palasciano;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con l’appello in esame, la Regione Veneto impugna la sentenza 27 giugno 2016 n. 685, con la quale il TAR per il Veneto, sez. III, in accoglimento del ricorso proposto dalle società Cesaro Mac Import s.r.l., Litoranea Re s.r.l., Orlando Giuseppe e Giampietro s.s., e del signor Giampietro Orlando, ha annullato, nei limiti dell’interesse dei ricorrenti, il Piano regionale di gestione dei rifiuti urbani e speciali della Regione Veneto.

E ciò nella parte in cui il Piano prevede (art. 1.3.7.2, distanza minima dalle abitazioni ed edifici pubblici – all. A), che la distanza degli impianti di recupero aerobico e anaerobico di matrici organiche non possa essere inferiore a 500 metri da edifici pubblici e abitazioni, anche singole, purchè stabilmente occupate.

La sentenza impugnata – rigettate talune eccezioni di inammissibilità del ricorso, in particolare per difetto di interesse, e richiamata la giurisprudenza della Corte costituzionale in tema di prorogatio (tra le altre, sentenze nn. 468/1991, 515/1995, 81/2015) – afferma in particolare:

– “il Consiglio Regionale, nel momento in cui emanava la delibera n. 30/2015, risultava essere in regime di prorogatio, in quanto i cinque anni di cui all’art. 5, co. 1, della l. 165/2004 risultavano già scaduti”;

– “ l’ordinaria amministrazione consente l’esercizio soltanto di alcuni dei poteri, al fine di rispondere a speciali contingenze, quale l’adozione di regolamenti amministrativi aventi natura di atti dovuti, ovvero imposti da circostanze straordinarie ed urgenti non differibili”;

– inoltre, “se, infatti, è indubitabile che l’art. 199 del d. lgs. 152/2006 prevede il 12 dicembre 2013 quale termine ultimo per approvare detto punto, è altrettanto indiscusso che l’esistenza di detta scadenza consente di qualificare l’atto di cui si tratta quale atto “dovuto” e non certo costituisce una dimostrazione dell’urgenza e dell’indifferibilità dell’approvazione di detto piano” (cioè del Piano regionale di gestione dei rifiuti urbani e speciali); né la procedura Eu-Pilot, per le caratteristiche sue proprie, comporta obblighi o sancisce il venire in essere di un inadempimento da parte di uno stato membro;

– lo Statuto della Regione Veneto, a differenza di quello di altre Regioni (Abruzzo), non prevede l’esercizio di poteri da parte del Consiglio Regionale in regime di prorogatio, oltre che nei casi di necessità ed urgenza, anche per eventuali interventi che si rendono dovuti in base ad impegni derivanti dall’appartenenza all’Unione Europea, a disposizioni costituzionali e legislative statali.

Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello:

a) error in iudicando; illegittimità del rigetto della preliminare eccezione di inammissibilità del ricorso di I grado per carenza di interesse; ciò in quanto la sentenza ha rilevato un interesse dei ricorrenti ad impugnare la disposizione del Piano, nella inibizione della loro possibilità di presentare un progetto per la costruzione di un impianto di gestione dei rifiuti per la produzione di biocarburante e compost sul terreno di proprietà della società Litoranea, mentre “il progetto in oggetto non è stato mai sottoposto all’attenzione dell’organismo regionale preposto alla valutazione (Commissione VIA), né ad altro organo della Regione”;

b) error in iudicando; violazione art. 35, co. 2, dello Statuto della Regione Veneto; ciò in quanto la Corte costituzionale “ha più volte ribadito che la doverosità della legge da assumere sia motivo sufficiente per fondare il potere del Consiglio Regionale di provvedere in regime di prorogatio”, poiché “la doverosità o l’indifferibilità costituzionale rappresentano un caso distinto dall’urgenza o dalla necessità”; in tal senso, l’approvazione del piano rifiuti è un atto doveroso sia in base alla legislazione nazionale sia in base alla legislazione europea. In definitiva, “la sentenza appellata applica erroneamente l’orientamento della Corte costituzionale che individua i casi in cui il Consiglio regionale può legiferare in regime di prorogatio, poiché dimentica che tra di essi vi è anche quello in cui l’atto da assumere sia dovuto in base agli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea”;

c) error in iudicando; violazione art. 35, co. 2, Statuto della Regione Veneto; carenza di motivazione; poiché la sentenza applica una giurisprudenza della Corte costituzionale riferita alla funzione legislativa anche alla funzione amministrativa, essendo intervenuta nel caso di specie l’approvazione di un atto amministrativo anche se con efficacia generale; e “la norma dello Statuto che proroga i poteri del Consiglio va letta in modo differente a seconda dei poteri (legislativi o amministrativi) che il Consiglio esercita”.

2. Si sono costituiti in giudizio gli appellati, come in epigrafe indicati, che hanno concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.

Gli appellati hanno altresì riproposto i motivi assorbiti dalla sentenza impugnata (pagg. 10-15 memoria del 10 febbraio 2017), e precisamente:

violazione del principio di libertà economica e di concorrenza; violazione dei principi di autosufficienza e prossimità; violazione artt. 182-bis e 199 d. lgs. n. 152/2006; violazione e falsa applicazione artt. 13, 21 ss. e 32 l. reg. Veneto n. 3/2000; eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione; errore sui presupposti di fatto; illogicità manifesta; sviamento; ciò in quanto:

a1) “l’imposizione della distanza minima di 500 metri degli impianti in questione dai centri abitati e da case sparse non appare rapportata da alcuna istruttoria né da alcuna motivazione”;

b1) “la prescrizione della distanza minima . . . si traduce in concreto in un sostanziale divieto di nuove realizzazioni di impianti di recupero aerobico e anaerobico di matrici organiche, il che comprime la concorrenza, impedendo che possano essere realizzati impianti più nuovi e più efficienti, a tutto vantaggio dei vecchi impianti”;

c1) il Piano adottato prevedeva che la distanza minima fosse di m. 250, distanza giudicata congrua dalla Commissione VAS, quale distanza dalle abitazioni, anche sparse, e dagli edifici pubblici, laddove il Piano definitivamente approvato raddoppia tale distanza, senza alcuna motivazione, di modo che “non è pertanto dato in alcun modo comprendere quale sia l’esigenza sottostante all’inasprimento della previsione concernente la distanza rispetto ali impianti in questione”;

d1) la prescrizione della distanza viola anche la l. reg. n. 3/2000, che non prevede alcuna distanza minima agli impianti di recupero; né, peraltro, “è la prescrizione di una distanza arbitrariamente determinata a garantire che non vi siano emissioni capaci di arrecare disturbo, ma piuttosto l’imposizione di limiti alle stesse e l’adozione di tecnologie adeguate”,

3. Si sono altresì costituiti in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.

Dopo il deposito di ulteriori memorie e repliche, all’udienza di trattazione la causa è stata riservata in decisione.

DIRITTO

4. L’appello della Regione Veneto è fondato e deve essere, pertanto, accolto, in relazione al secondo motivo proposto.

4.1. Deve essere, invece, rigettato il primo motivo di appello, con il quale la appellante Regione ripropone, in sostanza, l’eccezione di inammissibilità del ricorso instaurativo del giudizio di I grado per difetto di interesse.

Come ha condivisibilmente affermato la sentenza impugnata, la prescrizione diretta ad impedire la realizzazione di impianti, quali quelli in esame nella presente sede, ad una distanza di non meno di 500 metri dalle abitazioni, ha l’effetto di incidere sul regime della proprietà e sullo jus aedificandi a questa connesso, impedendo e/o limitando in modo considerevole la realizzazione di nuove strutture.

Peraltro, gli appellati hanno affermato, senza contestazione della Regione sul punto, che il progetto, lungi dall’essere “de futuro” era già stato presentato ed approvato dal Comune, divenendo tuttavia irrealizzabile proprio alla luce della prescrizione impugnata; di modo che appare irrilevante, ai fini della verifica della sussistenza dell’interesse ad agire, che il progetto medesimo non fosse stato ancora sottoposto alla Commissione VIA o ad altro organo della Regione

4.2. E’, invece, fondato il secondo motivo di appello (sub lett. b) dell’esposizione in fatto).

Come evidenziato nell’esposizione in fatto, l’atto impugnato è stato approvato dal Consiglio Regionale durante il regime di prorogatio e. sul punto, la sentenza impugnata ha escluso che “il Piano regionale di gestione dei rifiuti urbani e speciali” possa rientrare tra gli atti per i quali è consentita l’approvazione durante il predetto regime.

Orbene, sul punto appare innanzi tutto necessario evidenziare che i principi a più riprese affermati dalla Corte Costituzionale in materia di esercizio dei poteri dei Consigli Regionali in prorogatio (tra le tante: Corte Costituzionale, 15 luglio 2015, n. 158, 31 marzo 2015 n. 55, 17 aprile 2015, n. 64, 15 maggio 2015, n. 81, e, da ultimo, 22 novembre 2016, n. 243) appaiono applicabili al caso in esame. E ciò ancorchè la Corte Costituzionale si sia pronunciata in ordine all’esercizio di poteri legislativi, mentre nel caso di specie si controverte in ordine alla latitudine del potere di adozione di atti amministrativi, seppur di portata generale (quale è il Piano rifiuti impugnato).

4.3. Ciò premesso, nella Regione Veneto fino al completamento delle operazioni di proclamazione degli eletti sono per norma statutaria prorogati i poteri del precedente Consiglio (art. 35, comma 2, dello Statuto). Tali poteri devono intendersi riferiti non solo a quelli legislativi, ma anche a quelli afferenti l’attività amministrativa.

Quanto invece alla limitazione all’esercizio degli stessi poteri durante la fase di prorogatio, essa deve ravvisarsi in primo luogo, come ha rilevato la Corte Costituzionale, nell’esigenza di “comunque astenersi, al fine di assicurare una competizione libera e trasparente, da ogni intervento legislativo che possa essere interpretato come una forma di captatio benevolentiae nei confronti degli elettori” (sentenza n. 68 del 2010).

Nell’ambito di questo limite va dunque esaminata la questione di cui è causa, rilevando che è stato a più riprese affermato che in fase di prorogatio i Consigli regionali “dispongono di poteri attenuati, confacenti alla loro situazione di organi in scadenza” (sentenza n. 468 del 1991).

Pertanto, in mancanza di esplicite indicazioni contenute negli statuti, tali poteri devono limitarsi al “solo esercizio delle attribuzioni relative ad atti necessari e urgenti, dovuti o costituzionalmente indifferibili”, evitando comunque, come detto, intromissioni nella competizione elettorale (cfr. anche sentenza della Corte costituzionale n. 55 del 2015 e n. 243 del 2016).

D’altra parte, la stessa Corte Costituzionale (sentenza n. 68 del 2010) ha rilevato come “il quadro normativo e applicativo sia notevolmente mutato a seguito della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1 (Disposizioni concernenti l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l’autonomia statutaria delle Regioni). Questa ha attribuito allo statuto ordinario la definizione della forma di governo e l’enunciazione dei princìpi fondamentali di organizzazione e funzionamento della Regione, in armonia con la Costituzione (art. 123, primo comma, Cost.), e ha demandato, nel contempo, la disciplina del sistema elettorale e dei casi di ineleggibilità e di incompatibilità allo stesso legislatore regionale, sia pure nel rispetto dei princìpi fondamentali fissati con legge della Repubblica, “che stabilisce anche la durata degli organi elettivi”.

Cosicché, anche sulla base di quanto successivamente previsto nella legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione) è stato affermato che “una interpretazione sistematica delle citate nuove norme costituzionali conduce a ritenere che la disciplina della eventuale prorogatio degli organi elettivi regionali dopo la loro scadenza o scioglimento o dimissioni, e degli eventuali limiti dell’attività degli organi prorogati, sia oggi fondamentalmente di competenza dello statuto della Regione, ai sensi del nuovo articolo 123, come parte della disciplina della forma di governo regionale” e che, nel disciplinare questo profilo, gli statuti “dovranno essere in armonia con i precetti e con i principi tutti ricavabili dalla Costituzione, ai sensi dell’art. 123, primo comma, della Costituzione” (sentenza della Corte Costituzionale n. 64 del 2015).

In sostanza, è stato valutato che il limite discendente dalla situazione di prorogatio può non operare, laddove il Consiglio Regionale proceda all’adozione di “un atto che costituisce adempimento di impegni derivanti dall’appartenenza all’Unione europea, da disposizioni costituzionali o legislative statali o che è caratterizzato da urgenza e necessità”.

5.Tanto rappresentato, occorre verificare se l’adozione del Piano in adempimento di impegni derivanti dall’appartenenza all’Unione europea sia comunque consentita al Consiglio Regionale durante il regime di prorogatio.

5.1. Orbene, se è vero che l’art. 199 del d.lgs. n. 152 del 2006, prevedeva il 12 dicembre 2013 quale termine ultimo per approvare il Piano di Gestione dei Rifiuti da parte delle Regioni ed il termine è rimasto inosservato nel Veneto, tale prolungata inerzia non può determinare l’illegittimità della tardiva adozione dell’atto in quanto una simile conclusione finirebbe con il rendere sempre e comunque illegittimo qualsiasi atto adottato dall’amministrazione durante il regime di prorogatio e, per l’effetto, condurrebbe ad una interpretatio abrogans dei richiamati principi contenuti nelle plurime decisioni della Corte Costituzionale, che hanno enucleato una serie di atti che non risentono della preclusione nascente dal regime di prorogatio, tra i quali quelli rientranti nel novero dell’ adempimento di impegni derivanti dall’appartenenza all’Unione europea (Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 2017 n. 2305).

5.2. Quanto poi alla circostanza evidenziata nella sentenza impugnata – secondo cui la procedura EU-Pilot, per le caratteristiche sue proprie, non comportava obblighi e non sanciva il venire in essere di un inadempimento da parte di uno Stato membro, in quanto diretta (unicamente) a integrare una forma di dialogo "strutturato" tra la Commissione EU e lo stesso Stato, al fine di risolvere preventivamente una "possibile" violazione del diritto dell’UE e, quindi, di evitare di ricorrere a procedimenti formali d’infrazione ex art. 258 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea – la stessa non può ritenersi dirimente, in quanto la inosservanza di impegni derivanti dall’appartenenza all’Unione europea può essere inverata anche laddove non sia immediatamente attivato un intervento repressivo/sanzionatorio da parte di quest’ultima.

E’ invece evidente che il sistema EU Pilot, lanciato nel 2008 dalla Comunicazione della Commissione “Un’Europa dei risultati – Applicazione del diritto comunitario” (COM (2007)502), è un meccanismo istituito tra Commissione europea e Stati membri per lo scambio di informazioni e la risoluzione di problemi in tema di applicazione del diritto dell’Unione europea o di conformità della legislazione nazionale alla normativa UE, concepito per la fase antecedente all’apertura formale della procedura di infrazione ex art. 258 TFUE.

La Commissione utilizza l’EU-Pilot per comunicare con gli Stati membri su questioni di conformità della legislazione nazionale al diritto dell’UE o di corretta applicazione del diritto dell’UE. Il sistema EU-Pilot ha sostituito la pratica precedente, per cui la Commissione, prima di avviare una procedura di infrazione, inviava lettere di carattere amministrativo alle autorità nazionali per confrontarsi con loro sui profili del diritto interno che potevano sollevare dubbi di conformità a quello europeo. Nel sistema EU-Pilot, invece, lo scambio di comunicazioni avviene direttamente, tramite un sistema informatico, tra la Commissione e l’amministrazione nazionale (per l’Italia, il Dipartimento per le Politiche europee, il quale si occupa a sua volta di coinvolgere le amministrazioni regionali o locali eventualmente interessate); è inoltre fissato un termine generale di 20 settimane (10 per gli Stati membri e 10 per la Commissione) per lo scambio di comunicazioni.

5.3. Infine, nel caso di specie, la Commissione europea ha inviato una lettera di messa in mora al Governo Italiano il 23 ottobre 2015 cui ha fatto seguito un parere motivato che ha aperto formalmente una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia il 15 febbraio 2017 per elusione della direttiva 2008/98/CE nella parte relativa ai piani di gestione rifiuti. In tale parere è stata esclusa, tra le Autorità inadempienti, la Regione Veneto, proprio per il fatto che, nel frattempo, essa ha adottato e comunicato il Piano di cui è causa.

5.4. Per le considerazioni sopra esposte, si deve, dunque, ritenere che una lettura corretta dei principi affermati dalla Corte Costituzionale imponga di considerare anche l’adozione dell’atto costituente adempimento di impegni derivanti dall’appartenenza all’Unione europea come legittima, pur se essa intervenga durante il regime di prorogatio.

Da ciò consegue che l’appello della Regione Veneto deve essere accolto e, per l’effetto, deve essere riformata la sentenza impugnata.

6. L’accoglimento sotto questo profilo dell’appello della Regione Veneto comporta la necessità di esaminare i motivi del ricorso instaurativo del giudizio di I grado assorbiti dalla sentenza impugnata e riproposti dagli appellati nella presente sede (sub lett. da a1) a d1) dell’esposizione in fatto).

I motivi sono fondati, in relazione al lamentato vizio di eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, e devono essere, pertanto, accolti in relazione a tale censura – con assorbimento degli altri motivi -, con conseguente annullamento del Piano regionale di gestione dei rifiuti urbani e speciali della Regione Veneto, nella parte in cui esso prevede (art. 1.3.7.2, distanza minima dalle abitazioni ed edifici pubblici – all. A), che la distanza degli impianti di recupero aerobico e anaerobico di matrici organiche non possa essere inferiore a 500 metri da edifici pubblici e abitazioni, anche singole, purchè stabilmente occupate.

Rileva il Collegio che la previsione della distanza minima di 500 metri, come innanzi indicata, non risulta supportata da alcuna particolare istruttoria; né la Regione ha motivato la necessità di un sensibile “aggravamento” della limitazione (pari al raddoppio della distanza originariamente prevista), e ciò pur in presenza di un parere favorevole della Commissione VAS sulla limitazione di minore entità.

La stessa Regione Veneto, d’altra parte, afferma (v. pag. 8 memoria del 12 maggio 2017) che la disposizione è stata inserita con un emendamento nel corso della discussione in Consiglio Regionale e che essa costituisce “espressione di una scelta discrezionale dell’organo legislativo regionale”.

Orbene, è senza dubbio da confermare la consolidata giurisprudenza del giudice amministrativo, che afferma sia che la Pubblica Amministrazione gode di piena discrezionalità in ordine alle scelte operate in tema di atti di pianificazione del territorio; sia che non ha il dovere di motivare in modo puntuale ogni singola scelta effettuata; sia, infine che la motivazione delle scelte di governo del territorio, sufficientemente espressa in via generale, è desumibile sia dai documenti di accompagnamento all’atto di pianificazione urbanistica, sia dalla coerenza complessiva delle scelte effettuate dall’amministrazione (Cons. Stato, sez. IV, 25 maggio 2016 n. 2221; sez. IV, 26 marzo 2014 n. 1459.

Ma, nel caso di specie, per un verso dai documenti di accompagnamento (piano adottato, parere commissione VAS) risulta una diversa previsione della limitazione in esame; per altro verso, non vi è alcuna istruttoria supplementare e motivazione che riesca a far comprendere la ragione della diversa decisione assunta sul punto.

In definitiva, ciò che è richiesto non è una motivazione “specifica” in luogo di una motivazione generale e complessivamente desumibile da tutta la documentazione, ma una diversa istruttoria o un diverso ragionevole apprezzamento di quella già svolta che rendano intellegibile il mutamento della scelta in precedenza operata dalla medesima Amministrazione.

7. Per tutte le ragioni esposte, l’appello della Regione Veneto deve essere accolto e devono essere altresì accolti i motivi riproposti dagli appellati nel presente grado di giudizio, nei sensi e limiti precedentemente esposti.

Da ciò consegue che, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso instaurativo del giudizio di I grado deve essere accolto, con conseguente annullamento del Piano regionale di gestione dei rifiuti urbani e speciali della Regione Veneto, nella sola parte in cui esso prevede (art. 1.3.7.2, distanza minima dalle abitazioni ed edifici pubblici – all. A), che la distanza degli impianti di recupero aerobico e anaerobico di matrici organiche non possa essere inferiore a 500 metri da edifici pubblici e abitazioni, anche singole, purchè stabilmente occupate.

Stante la natura, complessità e novità delle questioni trattate e la parziale, reciproca soccombenza, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese ed onorari del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta),

definitivamente pronunciando sull’appello proposto dalla Regione Veneto (n. 9754/2016 r.g.):

a) accoglie l’appello nei termini indicati in motivazione;

b) accoglie i motivi riproposti dagli appellati nel presente grado di giudizio, nei sensi e limiti di cui in motivazione;

c) per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, annulla il provvedimento impugnato, nei limiti indicati in motivazione;

d) compensa tra le parti spese ed onorari del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 giugno 2017 con l’intervento dei magistrati:

Paolo Troiano, Presidente
Oberdan Forlenza, Consigliere, Estensore
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere
Leonardo Spagnoletti, Consigliere
Nicola D’Angelo, Consigliere

L’ESTENSORE
Oberdan Forlenza
        
IL PRESIDENTE
Paolo Troiano
        
        
IL SEGRETARIO

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