* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Realizzazione di un piazzale in cemento – Intervento di nuova costruzione – Art. 3, c. 1, lett. e) d.P.R. n. 380/2001
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 6^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 6 Febbraio 2018
Numero: 753
Data di udienza: 1 Febbraio 2018
Presidente: Maruotti
Estensore: Ponte
Premassima
* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Realizzazione di un piazzale in cemento – Intervento di nuova costruzione – Art. 3, c. 1, lett. e) d.P.R. n. 380/2001
Massima
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 6^ – 6 febbraio 2018, n. 753
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Realizzazione di un piazzale in cemento – Intervento di nuova costruzione – Art. 3, c. 1, lett. e) d.P.R. n. 380/2001
Ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e), del t.u. edilizia di cui al d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, costituiscono nuova costruzione gli interventi di trasformazione urbanistica comportanti la realizzazione di depositi di merci o di materiali, la realizzazione di impianti per attività produttive all’aperto ove comportino l’esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato; di conseguenza è "a fortiori" qualificabile come opera edile di nuova costruzione la realizzazione di un piazzale in cemento, la quale determina un "consumo di suolo" (con una cementificazione che si sostituisce al piano naturale di campagna) e dunque una trasformazione tendenzialmente irreversibile di quest’ultimo (cfr. in termini Consiglio di Stato, sez. V, 15 luglio 2014, n. 3700). Anche secondo la giurisprudenza penale (Cassazione penale sez. III 15 novembre 2016, n. 1308), integra un illecito edilizio l’esecuzione, in assenza del permesso di costruire, di interventi finalizzati a realizzare un piazzale mediante apporto di terreno e materiale inerte e successivo sbancamento e livellamento del terreno, in quanto tale attività, pur non comportando un’edificazione in senso stretto, determina una modificazione permanente dello stato materiale e della conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli è proprio.
(Conferma T.A.R. Lombardia, Brescia, n. 1181/2011) – Pres. Maruotti, Est. Ponte – E. s.r.l. (avv. Giavazzi) c. Comune di Sorisole (avv.ti Viva e Delli Santi)
Allegato
Titolo Completo
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 6^ - 6 febbraio 2018, n. 753SENTENZA
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 6^ – 6 febbraio 2018, n. 753
Pubblicato il 06/02/2018
N. 00753/2018REG.PROV.COLL.
N. 01304/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1304 del 2012, proposto dalla s.r.l. Edilinvestimenti, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Massimo Giavazzi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Luca Crippa in Roma, viale Mazzini, n. 55;
contro
Il Comune di Sorisole, in persona del Comune p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Daniela Viva e Riccardo Delli Santi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gianfilippo Delli Santi in Roma, via di Monserrato, n. 25;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia, Sez. I, n. 1181/2011, resa tra le parti, concernente un diniego di permesso di costruire in sanatoria a titolo di condono, nella parte in cui ingiunge di versare la somma complessiva di euro 41.307,60 a titolo di oneri di urbanizzazione e contributo allo smaltimento rifiuti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Sorisole;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 1° febbraio 2018 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti l’avvocato Massimo Giavazzi e l’avvocato Roberto Pellegrini, su delega dell’avvocato Riccardo Delli Santi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con l’appello in esame la società odierna parte appellante impugnava la sentenza n. 1181 del 2011, con cui il Tar per la Lombardia, Sezione di Brescia, respingeva l’originario gravame.
Quest’ultimo era stato proposto dalla stessa società, in qualità di proprietaria (per acquisto da procedura civilistica di esecuzione forzata) del bene immobile coinvolto, al fine di ottenere l’annullamento del provvedimento di sanatoria (condono edilizio ex legge 47\1985) ottenuto, nella parte in cui ingiunge alla stessa società di versare la somma di euro 41.307,60 a titolo di oneri di urbanizzazione e contributo allo smaltimento rifiuti.
Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante riproponeva le tre censure di primo grado, contestando le argomentazioni di rigetto poste a fondamento della sentenza appellata:
– insussistenza dell’obbligo di versamento delle somme richieste anche in capo all’avente causa del proprietario originario;
– intervenuta prescrizione del diritto di percepire i contributi richiesti, anche a fronte del formarsi del silenzio assenso sull’originaria domanda di condono;
– in subordine, l’erronea quantificazione del quantum debeatur.
Il Comune appellato si costituiva in giudizio e, controdeducendo punto per punto, chiedeva il rigetto dell’appello.
Alla pubblica udienza del 1° febbraio 2018, in vista della quale le parti depositavano memorie, la causa passava in decisione.
DIRITTO
1. L’appello è infondato.
In linea generale, va ribadito che l’obbligazione pecuniaria del pagamento dell’oblazione conseguente al provvedimento di rilascio del titolo edilizio in sanatoria si configura come del tutto accessoria e conseguenziale rispetto all’atto autoritativo con il quale è stata valutata la conformità dell’intervento edilizio nel contesto delle condizioni normativamente contemplate per l’emissione dell’atto che ne dispone la sanatoria (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. IV, 24 febbraio 2011, n. 1235).
2.1 In relazione al primo ordine di censure, costituisce jus receptum il principio in base al quale la normativa sul condono, nel disciplinare le obbligazioni ad esso connesse, include gli aventi causa tra i soggetti in ogni caso legittimati dal punto di vista passivo, configurando una sorta di obbligazioni propter rem legate alla proprietà del bene, sia con riferimento alle somme dovute a titolo di oblazione sia per gli altri oneri concessori.
In tal senso, depone a titolo esemplificativo l’art. 37, comma 1, l. n. 47 del 1985, in base al quale l’obbligazione per il pagamento dei contributi concessori, se non soddisfatto dal richiedente la sanatoria, grava comunque sugli altri soggetti indicati dall’art. 31, commi 1 e 3, tra i quali è da ricomprendere l’avente causa dal richiedente la sanatoria (quale è il ricorrente, pur se acquirente da esecuzione forzata).
A quest’ultimo specifico riguardo, la giurisprudenza civile, da cui non vi sono ragioni per discostarsi, è ferma nel ritenere che l’acquisto di un bene da parte dell’aggiudicatario in sede di esecuzione forzata, pur essendo indipendente dalla volontà del precedente proprietario in quanto da ricollegarsi ad un provvedimento del giudice dell’esecuzione, ha natura di acquisto a titolo derivativo e non originario, traducendosi nella trasmissione dello stesso diritto del debitore esecutato (cfr. ancora di recente Cassazione civile, sez. I 13 marzo 2017, n. 6386; cfr. nei medesimi termini ad es. Cassazione civile, sez. II, 25 ottobre 2010, n. 21830).
A sua volta, l’art. 39, comma 6, l. n. 724 del 1994 contiene una analoga previsione a carico dei soggetti aventi causa per il caso di mancato integrale versamento dell’oblazione.
Pertanto, se da un lato, la legge presuppone nei richiedenti la sanatoria la qualità di soggetti obbligati in via principale al pagamento degli oneri derivanti dalla medesima, dall’altro fa emergere come l’interesse azionato con la domanda di condono di un abuso edilizio sia comunque strettamente collegato alla titolarità dell’immobile abusivo.
In definitiva la normativa sul condono (in coerenza con il principio per il quale i poteri repressivi e sanzionatori prescindono dalle vicende civilistiche del bene), nel disciplinare le obbligazioni ad esso connesse, include gli "aventi causa" tra i soggetti in ogni caso legittimati dal punto di vista passivo, configurando una sorta di obbligazioni propter rem connesse alla proprietà del bene, sia con riferimento alle somme versate a titolo di oblazione sia per gli altri oneri concessori.
La stretta connessione evidentemente sussistente tra la titolarità dell’immobile e gli obblighi derivanti dalla concessione rende questi ultimi assimilabili alle obbligazioni propter rem, appunto caratterizzate dal fatto che l’obbligato è individuabile in base alla titolarità di un diritto reale su un determinato bene ed implica il trasferimento di essi in concomitanza con il trasferimento del diritto reale cui accedono.
D’altronde, altrimenti opinando, se per un verso sarebbe elevato il rischio di elusione degli obblighi connessi al peculiare assenso per condono, tramite la cessione del bene condonato, per un altro verso proprio per il caso di insolvibilità dell’originario proprietario è pienamente ragionevole una normativa secondo cui il beneficio della permanenza di un bene in base all’eccezionale meccanismo del condono venga sopportato (anche) dall’effettivo titolare e beneficiario del bene.
2.2 In relazione al secondo ordine di censure, concernente l’invocazione del silenzio assenso a fini di decorrenza del termine di prescrizione, oltre a quanto statuito in termini esecutivi dalla precedente sentenza del Tar Brescia (da cui è scaturito anche il rilascio in parte qua del titolo di sanatoria), assume rilievo dirimente il principio consolidato (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. IV, 18 gennaio 2017, n. 187) per il quale l’art. 35, commi 1 e 3, l. 28 febbraio 1985, n. 47, nel disciplinare il procedimento per la sanatoria, prevede che la domanda di concessione edilizia sia corredata dalla prova dell’eseguito versamento dell’oblazione e che alla stessa debbano essere allegati i documenti che vengono specificamente indicati; da tale norma emerge come il silenzio assenso si possa formare soltanto in presenza di tutti i presupposti da essa indicati e, in particolare, in presenza di una documentazione completa degli elementi richiesti dal cit. art. 35; il termine di prescrizione può decorrere soltanto nel caso in cui si sia formato un atto tacito di condono.
Pertanto, il decorso dei termini fissati dall’art. 35 comma 18, l. 28 febbraio 1985, n. 47 (ventiquattro mesi per la formazione del silenzio-accoglimento sull’istanza di condono edilizio e trentasei mesi per la prescrizione dell’eventuale diritto al conguaglio delle somme dovute), presuppone in ogni caso la completezza della domanda di sanatoria, accompagnata in particolare dall’integrale pagamento di quanto dovuto a titolo di oblazione per quanto attiene la formazione del silenzio-accoglimento (cfr. in tal senso anche Consiglio di Stato, sez. IV, 28 gennaio 2016, n. 314).
2.3 Parimenti infondato è il terzo ordine di censure, sollevato in due direzioni in merito ai parametri di determinazione del quatum debeatur.
2.3.1 Nella prima direzione, in ordine al regime applicabile nella determinazione delle tariffe, la giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. ad es. sez. IV, 11 settembre 2012, n. 4825) ha rilevato che l’articolo 4 l. Reg.. Lombardia n. 31 del 2004, al comma 6, oggetto della ordinanza della Corte Costituzionale n. 105 del 2010, prevede che in caso di condono edilizio si applichino le tabelle degli oneri di urbanizzazione vigenti all’atto del perfezionamento del procedimento di sanatoria.
Come ha osservato la Corte Costituzionale, la normativa applicabile potrebbe indifferentemente fare riferimento alla entrata in vigore della legge di condono, alla presentazione della domanda, al momento della chiusura dell’istruttoria, al momento della decisione amministrativa, al momento dell’effettivo rilascio del provvedimento favorevole.
Nella specie, la legge regionale abilita il riferimento al momento della fase decisoria ("il perfezionamento") del procedimento di sanatoria, per cui sono non accoglibili le pretese di ancorare il momento di determinazione delle tariffe a fasi precedenti, quali la fase introduttiva o di iniziativa o la fase istruttoria.
In mancanza di indicazioni in un determinato senso da parte della legge – che invece nella specie è chiaramente effettuata da parte della legge regionale, facendo riferimento al perfezionamento del procedimento di sanatoria e quindi al momento del rilascio del provvedimento favorevole – non sarebbe stato irragionevole fare riferimento alla legge vigente al momento nel quale l’istanza di condono viene esaminata, è cioè "matura", nel senso di avere effettuato tutte le valutazioni, la decisione amministrativa, oppure al momento nel quale viene presa formalmente la decisione amministrativa nel procedimento di sanatoria.
La legge regionale è però chiara, come detto, nel far riferimento alle tariffe o ai costi contributivi rilevanti al momento del perfezionamento del procedimento di sanatoria e tale perfezionamento non può non coincidere con l’adozione del provvedimento finale, avvenuta nella fattispecie dopo l’adeguamento tariffario.
La ratio della scelta del legislatore regionale è, come osservato anche dalla Corte nella sua ordinanza n.105 del 17 marzo 2010, di privilegiare l’interesse pubblico alla adeguatezza della contribuzione ai costi reali rispetto a quello antitetico del cittadino alla piena previsione dei costi incombenti al momento della formazione del consenso.
2.3.2 Nella seconda direzione risulta corretto l’argomentare della sentenza appellata in merito alla corretta qualificazione dell’intervento in termini di trasformazione del territorio per quanto concerne l’intero piazzale.
Infatti, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e), del t.u. edilizia di cui al d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, costituiscono nuova costruzione gli interventi di trasformazione urbanistica comportanti la realizzazione di depositi di merci o di materiali, la realizzazione di impianti per attività produttive all’aperto ove comportino l’esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato; di conseguenza è "a fortiori" qualificabile come opera edile di nuova costruzione la realizzazione di un piazzale in cemento, la quale determina un "consumo di suolo" (con una cementificazione che si sostituisce al piano naturale di campagna) e dunque una trasformazione tendenzialmente irreversibile di quest’ultimo (cfr. in termini Consiglio di Stato, sez. V, 15 luglio 2014, n. 3700).
Il medesimo orientamento è seguito dalla giurisprudenza penale (Cassazione penale sez. III 15 novembre 2016, n. 1308), secondo cui integra un illecito edilizio l’esecuzione, in assenza del permesso di costruire, di interventi finalizzati a realizzare un piazzale mediante apporto di terreno e materiale inerte e successivo sbancamento e livellamento del terreno, in quanto tale attività, pur non comportando un’edificazione in senso stretto, determina una modificazione permanente dello stato materiale e della conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli è proprio.
3. Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto.
Le spese del secondo grado di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 1304 del 2012, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna parte appellante al pagamento delle spese di giudizio in favore di parte appellata, liquidate in complessivi euro 2.000,00 (duemila\00), oltre accessori dovuti per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 1° febbraio 2018, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Bernhard Lageder, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Consigliere
Oreste Mario Caputo, Consigliere
Davide Ponte, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE
Davide Ponte
IL PRESIDENTE
Luigi Maruotti
IL SEGRETARIO