ACQUA E INQUINAMENTO IDRICO – DIRITTO DELL’ENERGIA – Art. 1, c. 30 l.r. Campania n. 10/2017 – Divieto di prospezione, ricerca, estrazione e stoccaggio di idrocarburi liquidi, nelle zone di affioramento di rocce carbonatiche – Illegittimità costituzionale.
Provvedimento: Sentenza
Sezione:
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 1 Giugno 2018
Numero: 117
Data di udienza: 17 Aprile 2018
Presidente: Lattanzi
Estensore: Carosi
Premassima
ACQUA E INQUINAMENTO IDRICO – DIRITTO DELL’ENERGIA – Art. 1, c. 30 l.r. Campania n. 10/2017 – Divieto di prospezione, ricerca, estrazione e stoccaggio di idrocarburi liquidi, nelle zone di affioramento di rocce carbonatiche – Illegittimità costituzionale.
Massima
CORTE COSTITUZIONALE – 1 giugno 2018, n. 117
ACQUA E INQUINAMENTO IDRICO – DIRITTO DELL’ENERGIA – Art. 1, c. 30 l.r. Campania n. 10/2017 – Divieto di prospezione, ricerca, estrazione e stoccaggio di idrocarburi liquidi, nelle zone di affioramento di rocce carbonatiche – Illegittimità costituzionale.
La questione di legittimità costituzionale promossa nei confronti dell’art. 1, comma 30, della legge reg. Campania n. 10 del 2017, in riferimento l’art. 117, terzo comma, Cost., con riguardo alle materie «produzione e trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» e «governo del territorio», in relazione all’art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006 e all’art. 1, comma 7, lettera n), della legge 23 agosto 2004, n. 239, è fondata. La disposizione impugnata, al dichiarato fine di tutelare e conservare le acque superficiali e sotterranee esistenti sul territorio regionale destinate al consumo umano, vieta infatti la prospezione, la ricerca, l’estrazione e lo stoccaggio di idrocarburi liquidi e gassosi, nonché la realizzazione delle relative infrastrutture tecnologiche nelle aree di affioramento di rocce carbonatiche, così come perimetrate ed evidenziate nella cartografia idrogeologica del Piano di gestione delle acque del distretto idrografico dell’Appenino meridionale. Tale unilaterale perimetrazione incide, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., nelle materie di competenza concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» e «governo del territorio». L’art. 1, comma 7, lettera n), della legge n. 239 del 2004, da ritenersi norma interposta, stabilisce che le determinazioni inerenti alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, ivi comprese le funzioni di polizia mineraria, siano adottate dallo Stato d’intesa con le Regioni interessate: lo Stato e la Regione esercitano, quindi, le rispettive funzioni attraverso lo strumento dell’intesa in senso forte, in conformità al principio di leale collaborazione. La preclusione imposta su alcune aree unilateralmente dal legislatore regionale contrasta con il suddetto principio. Per quanto inoltre, più specificamente, attiene alla realizzazione delle infrastrutture energetiche, parimenti oggetto di divieto da parte della legge in esame, le, norme statali che disciplinano la realizzazione di tali infrastrutture, subordinandole all’intesa con le Regioni (fra esse lo stesso art. 1, comma 7, lettera n, della legge n. 239 del 2004, su cui si è pronunciata la sentenza n. 117 del 2013), sono qualificabili come norme recanti principi fondamentali della materia. Dunque, l’art. 1, comma 30, della legge reg. Campania n. 10 del 2017 deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo per contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., con riguardo alle materie di potestà concorrente precedentemente richiamate.
Pres. Lattanzi, Est. Carosi – Presidente del Consiglio dei Ministri c. Regione Campania.
Allegato
Titolo Completo
CORTE COSTITUZIONALE – 1 giugno 2018, n. 117SENTENZA
CONSULTA ONLINE
SENTENZA N. 117
ANNO 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
– Giorgio LATTANZI Presidente
– Aldo CAROSI Giudice
– Marta CARTABIA ”
– Mario Rosario MORELLI ”
– Giancarlo CORAGGIO ”
– Giuliano AMATO ”
– Silvana SCIARRA ”
– Daria de PRETIS ”
– Franco MODUGNO ”
– Augusto Antonio BARBERA ”
– Giulio PROSPERETTI ”
– Giovanni AMOROSO ”
– Francesco VIGANÒ ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 4, lettere a), b), e c), 8, 10 e 30, della legge della Regione Campania 31 marzo 2017, n. 10 (Misure per l’efficientamento dell’azione amministrativa e l’attuazione degli obiettivi fissati dal DEFR 2017 – Collegato alla stabilità regionale per il 2017), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 30 maggio-8 giugno 2017, depositato in cancelleria il 6 giugno 2017, iscritto al n. 42 del registro ricorsi 2017 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell’anno 2017.
Visto l’atto di costituzione della Regione Campania;
udito nell’udienza pubblica del 17 aprile 2018 il Giudice relatore Aldo Carosi;
uditi l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Almerina Bove per la Regione Campania.
Ritenuto in fatto
1.‒ Con ricorso notificato il 30 maggio-8 giugno 2017 e depositato il successivo 6 giugno (reg. ric. n. 42 del 2017), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 4, lettere a), b) e c), 8, 10 e 30 della legge della Regione Campania 31 marzo 2017, n. 10 (Misure per l’efficientamento dell’azione amministrativa e l’attuazione degli obiettivi fissati dal DEFR 2017 – Collegato alla stabilità regionale per il 2017).
1.1.− L’art. 1, comma 10, della legge reg. Campania n. 10 del 2017 violerebbe gli artt. 81, terzo comma, 117, secondo comma, lettera e) – in materia di perequazione delle risorse finanziarie – e 120, secondo comma, della Costituzione, in tema di poteri sostitutivi, in relazione all’art. 2, comma 95, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello stesso (legge finanziaria 2010)».
Premesso il contenuto del comma 10 ‒ che stabilisce che «[n]elle more dell’attivazione del nuovo Policlinico Universitario di Caserta, al fine di incrementare i LEA della Provincia di Caserta, l’ASL e l’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, stipulano apposita convenzione volta a consentire l’utilizzo di spazi ospedalieri, per l’incremento di prestazioni aggiuntive a quelle già erogate» ‒ il Presidente del Consiglio dei ministri evidenzia che la menzionata disposizione determinerebbe un incremento dei livelli essenziali di assistenza nella Provincia di Caserta, in contrasto con l’art. 2, comma 95, della legge n. 191 del 2009, che vieterebbe alle Regioni sottoposte al piano di rientro di adottare provvedimenti nuovi che possano ostacolarne l’attuazione.
L’incremento delle prestazioni aggiuntive, stabilito dalla norma in esame, determinerebbe, difatti, maggiori oneri a carico del Servizio sanitario regionale, in contrasto con la cornice programmatoria e finanziaria del Piano di rientro regionale, con conseguente violazione dell’art. 81, terzo comma, Cost., in base al quale ogni legge che importi oneri maggiori provvede ai mezzi per farvi fronte; dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in materia di perequazione delle risorse finanziarie e dell’art. 120, secondo comma, Cost., in tema di poteri sostitutivi.
Il ricorrente rammenta che questa Corte ha più volte affermato che la disciplina dei piani di rientro dai deficit di bilancio in materia sanitaria sarebbe riconducibile alla potestà legislativa concorrente ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., e che quanto stabilito dall’art. 2, comma 95, della legge n. 191 del 2009, costituirebbe principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica (è citata la sentenza n. 266 del 2016).
Inoltre, le funzioni del Commissario ad acta, nominato dal Governo e come definite dal mandato conferitogli, «devono restare, fino all’esaurimento dei compiti commissariali, al riparo da ogni interferenza degli organi regionali ‒ anche qualora questi agissero per via legislativa ‒ pena la violazione dell’art. 120, secondo comma, Cost. (ex plurimis, sentenze n. 227 del 2015, n. 278 e n. 110 del 2014, n. 228, n. 219, n. 180 e n. 28 del 2013 e già n. 78 del 2011)» (sentenza n. 266 del 2016).
Ne deriverebbe, pertanto, l’illegittimità costituzionale della disposizione impugnata, in quanto interferisce con i poteri affidati al Commissario ad acta dal Governo e con le attività svolte nell’attuazione del piano di rientro del disavanzo sanitario e costituisce menomazione delle sue specifiche attribuzioni.
La conclusione secondo la quale le funzioni amministrative del Commissario dovrebbero essere messe al riparo da ogni interferenza degli organi regionali sarebbe legittimata, secondo la predetta giurisprudenza, dal fatto che l’azione del Commissario ad acta sopraggiungerebbe all’esito della persistente inerzia degli organi collegiali e che l’esercizio del potere sostitutivo sarebbe imposto dalla necessità di assicurare la tutela dell’unità economica della Repubblica e dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti un diritto fondamentale, qual è quello alla salute.
Tale interferenza sussisterebbe anche in presenza di interventi non previsti dal piano di rientro e che possono aggravare il disavanzo sanitario regionale o con l’introduzione di livelli di assistenza aggiuntivi non contemplati nel piano (è citata la sentenza n. 104 del 2013).
1.2.− Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, inoltre, il comma 30 del medesimo art. 1 della legge reg. Campania n. 10 del 2017 ‒ il quale, al dichiarato fine di tutelare e conservare le acque superficiali e sotterranee esistenti sul territorio regionale destinate al consumo umano, vieta la prospezione, la ricerca, l’estrazione e lo stoccaggio di idrocarburi liquidi e gassosi, nonché la realizzazione delle relative infrastrutture tecnologiche nelle aree di affioramento di rocce carbonatiche, così come perimetrate ed evidenziate nella cartografia idrogeologica del Piano di Gestione delle Acque del Distretto Idrografico dell’Appenino Meridionale ‒ che inciderebbe nelle materie «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» e «governo del territorio» di competenza concorrente, in violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione, in particolare, all’art. 6 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).
Nell’ambito di tali materie, difatti, lo Stato e la Regione eserciterebbero le proprie funzioni attraverso lo strumento dell’intesa in senso forte, in conformità al principio di leale collaborazione. Al contrario, il divieto unilaterale imposto dal legislatore regionale contrasterebbe con il suddetto principio «che impone il rispetto, caso per caso, di una procedura articolata, tale da assicurare lo svolgimento di reiterate trattative» (è citata la sentenza n. 117 del 2013), mentre la proibizione in esame equivarrebbe ad una «preventiva e generalizzata previsione legislativa di diniego di intesa» vanificando la bilateralità della relativa procedura (viene ancora citata la sentenza n. 114 del 2017 e sono inoltre richiamate le sentenze n. 39 del 2013, n. 179 del 2012, n. 33 del 2011, n. 121 del 2010 e n. 24 del 2007).
Peraltro, il ricorrente evidenzia che la disposizione prenderebbe in considerazione attività ontologicamente diverse tra loro, dal momento che, a differenza di quelle relative ad attività di estrazione e stoccaggio, le attività di prospezione e ricerca non comportano alterazioni dell’ambiente e, di conseguenza, non interferirebbero in alcun modo con la dichiarata finalità di tutelare e conservare le acque superficiali e sotterranee esistenti nelle aree di affioramento di rocce carbonatiche. Dette attività sarebbero comunque soggette alla valutazione di impatto ambientale, ai sensi del d.lgs. n. 152 del 2006 e, nel caso avessero implicazioni ambientali negative sulle aree di affioramento di rocce carbonatiche, non potrebbero ottenere, per ciò stesso, un giudizio positivo di compatibilità ambientale.
La disposizione censurata, infine, comporterebbe «il diniego implicito ex lege» dell’intesa regionale, già considerato illegittimo da questa Corte in relazione ad analoghe disposizioni in quanto: contrastavano con la normativa nazionale di riferimento; impedivano, di fatto, il rilascio della prescritta intesa da parte della Regione precludendo alle amministrazioni statali l’esercizio dell’azione amministrativa di loro competenza; violavano il principio di leale collaborazione (sono citate le sentenze n. 119 del 2010 e n. 282 del 2009, aventi ad oggetto la realizzazione di impianti eolici e n. 331 del 2010, in materia di impianti nucleari).
Più in generale, questa Corte avrebbe affermato che in nessun caso la Regione potrebbe utilizzare «la potestà legislativa allo scopo di rendere inapplicabile nel proprio territorio una legge dello Stato che ritenga costituzionalmente illegittima, se non addirittura dannosa o inopportuna» (sono citate le sentenze n. 331 del 2010 e n. 198 del 2004).
La natura concorrente della potestà legislativa in questione dimostrerebbe, inoltre, come già affermato da questa Corte, la ragionevolezza di una scelta legislativa che preveda l’intesa tra Stato e Regioni interessate per le «determinazioni inerenti la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi» (sono richiamate le sentenze n. 117 del 2013, n. 124 del 2010 e n. 282 del 2009). Inoltre l’art. 1, commi 7, lettera n), e 8, lettera b), numero 2, della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), che individuano nell’intesa lo strumento collaborativo, sono stati ritenuti principi fondamentali in materia (sono citate le sentenze n.117 del 2013, n. 124 del 2010, n. 282 del 2009 e n. 383 del 2005).
Analogamente, sarebbero afferenti alla medesima materia di potestà legislativa concorrente anche l’art. 29, comma 2, lettera g), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), che riserva allo Stato funzioni amministrative e autorizzatorie in materia di impianti costituenti parte della rete energetica nazionale (sono citate le sentenze n. 313 del 2010 [recte: 331 del 2010] e n. 383 del 2005) e la disciplina relativa ai procedimenti di autorizzazione di infrastrutture lineari energetiche contenuta nel decreto legislativo 27 dicembre 2004, n. 330 (Integrazioni al D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, in materia di espropriazione per la realizzazione di infrastrutture lineari energetiche).
Dette norme avrebbero ridefinito in modo unitario i procedimenti di autorizzazione delle maggiori infrastrutture lineari energetiche in considerazione della necessità di riconoscere un ruolo fondamentale agli organi statali nell’esercizio delle corrispondenti funzioni amministrative (è richiamata la sentenza n. 6 del 2004). La competenza legislativa statale in questi casi sarebbe dunque effetto della “chiamata in sussidiarietà” e la previsione di forme di collaborazione e coordinamento con le autonomie ne sarebbe conseguenza fondamentale. Il necessario coinvolgimento delle Regioni di volta in volta interessate sarebbe pertanto assicurato mediante l’intesa in senso “forte”, che garantirebbe a queste ultime una adeguata partecipazione.
1.3.− Anche l’art. 1, comma 4, lettere a), b) e c), della medesima legge regionale campana, che modifica il comma 237-quater dell’art. 1 della legge della Regione Campania 15 marzo 2011, n. 4, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2011 e pluriennale 2011-2013 della Regione Campania (Legge finanziaria regionale 2011», è impugnato per violazione del riparto di competenze in materia di tutela della salute (art. 117, terzo comma, Cost.), e 120, secondo comma, Cost.
Secondo le menzionate disposizioni, il fabbisogno della rete ospedaliera andrebbe soddisfatto prioritariamente tramite le strutture private provvisoriamente accreditate, tenendo conto dell’organizzazione dei servizi ospedalieri di diagnosi e cura offerta in regime di accreditamento provvisorio, con le correlate prestazioni ospedaliere erogate nell’ambito delle specialità espresse e riconosciute. In caso di sussistenza di ulteriore fabbisogno non destinato alle strutture pubbliche, verificato agli esiti della definizione dei procedimenti di accreditamento definitivo delle strutture sanitarie e sociosanitarie secondo la predetta legge reg. Campania n. 4 del 2011, le strutture già autorizzate ed in possesso dei requisiti tecnico-sanitari, nonché in possesso degli ulteriori requisiti previsti per l’accreditamento istituzionale, possono essere accreditate fino alla copertura del fabbisogno dei posti letto dando priorità al raggiungimento della soglia dei 60 posti letto di cui al punto 2.5 dell’Allegato 1 al decreto del Ministro della salute 2 aprile 2015, n. 70 (Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera).
Secondo il ricorrente, l’organizzazione ospedaliera dovrebbe, invece, essere rapportata ai fabbisogni attuali e delineata secondo quanto disposto dai vigenti provvedimenti di riorganizzazione della rete ospedaliera regionale, adottati in attuazione dei Programmi operativi 2016-2018 e non tramite le strutture private accreditate in via provvisoria, come, invece, previsto nella norma regionale impugnata che, dunque, contrasta con il citato d.m. n. 70 del 2015 ed, in particolare con il punto 2.5. dell’Allegato 1.
La ratio della disposizione di cui al menzionato punto 2.5 dell’Allegato 1 al d.m. citato sarebbe, difatti, quella di realizzare l’efficientamento della rete ospedaliera, attraverso un processo che preveda il superamento della parcellizzazione delle strutture erogatrici, il cui numero dovrebbe essere contenuto in rapporto ai bacini di utenza, operando, se necessario, i ridimensionamenti utili a ricondurre le strutture sanitarie entro un numero definito in base all’utenza.
Da quanto precede deriverebbe l’illegittimità delle citate disposizioni, in quanto interferiscono con i poteri del Commissario ad acta e con le attività svolte nell’attuazione del piano di rientro del disavanzo sanitario e costituiscono menomazione delle specifiche attribuzioni.
Anche in tal caso, dunque, le funzioni amministrative del Commissario dovrebbero essere messe al riparo da ogni interferenza degli organi regionali, dal momento che l’azione del Commissario ad acta sopraggiungerebbe all’esito della persistente inerzia degli organi collegiali e che l’esercizio del potere sostitutivo sarebbe imposto dalla necessità di assicurare la tutela dell’unità economica della Repubblica e dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti un diritto fondamentale, qual è quello alla salute.
1.4.− Infine, l’art. 1, comma 8, della legge reg. Campania n. 10 del 2017 ‒ che prevede che, su istanza dei laboratori di analisi che hanno già aderito ad una aggregazione nell’ambito del riassetto della rete, la competente Azienda sanitaria locale (ASL), acquisito il parere del Commissario ad acta, può prorogare i termini per gli adempimenti intermedi previsti dai decreti del suddetto Commissario, fissando, altresì, il termine finale per il conseguimento della soglia minima di 200.000 prestazioni per anno al 30 giugno 2018 ‒ sarebbe parimenti lesivo dell’art. 117, terzo comma, in materia di tutela della salute e dell’art. 120, secondo comma, Cost., in riferimento all’art. 1, comma 796, della legge n. 296 del 2006.
Secondo il ricorrente, la previsione di tale proroga sarebbe «generica», essendo il differimento del termine integralmente rimesso alla ASL, sia per quanto attiene all’an, sia per quanto attiene al quantum, e non sarebbe coerente con i piani di programmazione regionale. Essa inoltre si porrebbe in contrasto con l’art. 1, comma 796, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», che ha definito una serie di disposizioni per garantire il rispetto degli obblighi comunitari e la realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2007-2009; la lettera o) del citato comma 796 ha previsto, peraltro, che «le regioni provvedono, entro il 28 febbraio 2007, ad approvare un piano di riorganizzazione della rete delle strutture pubbliche e private accreditate eroganti prestazioni specialistiche e di diagnostica di laboratorio, al fine dell’adeguamento degli standard organizzativi e di personale coerenti con i processi di incremento dell’efficienza resi possibili dal ricorso a metodiche automatizzate».
In attuazione di dette disposizioni, è stato, quindi, adottato l’accordo Stato -Regioni del 23 marzo 2011 nel quale, tra l’altro, è stata ribadita la previsione di una soglia minima di attività nei criteri di accreditamento, al di sotto della quale non si può riconoscere la prevista idoneità di produttore accreditato e a contratto.
La Regione Campania, con la disposizione in esame, non avrebbe rispettato dette soglie. Inoltre, per quanto specificamente collegato al Piano di rientro dal disavanzo sanitario, detta disposizione contrasterebbe anche con quanto disposto dal crono-programma stabilito nel Programma Operativo 2016-2018 (adottato con determinazione del Commissario ad acta n. 14 del 1° marzo 2017), che ha previsto le aggregazioni per almeno la metà dei laboratori entro il 30 giugno 2017 e per il totale dei laboratori entro il 31 dicembre 2017.
Anche l’art. 1, comma 8, della legge n. 10 del 2017, sarebbe, dunque, in contrasto con la programmazione del Piano di rientro regionale e, in particolare, con il punto 2.5. dell’Allegato 1 al d.m. n. 70 del 2015, con conseguente illegittimità costituzionale, in quanto interferirebbe con i poteri del Commissario ad acta e con le attività svolte nell’attuazione del piano di rientro del disavanzo sanitario, nonché menomerebbe le sue specifiche attribuzioni.
Come per le altre disposizioni, dunque, le funzioni amministrative del Commissario ad acta dovrebbero essere messe al riparo da ogni interferenza degli organi regionali, dal momento che la sua azione sopraggiungerebbe all’esito della persistente inerzia degli organi collegiali, e che l’esercizio del potere sostitutivo sarebbe imposto dalla necessità di assicurare la tutela dell’unità economica della Repubblica e dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti un diritto fondamentale, qual è quello alla salute.
2.‒ La Regione Campania, nel costituirsi in giudizio, ha eccepito l’inammissibilità o la non fondatezza del ricorso.
2.1.‒ Con successiva memoria ha replicato alle deduzioni del Presidente del Consiglio dei ministri.
In particolare, con riferimento all’art. 1, comma 10, della legge reg. Campania n. 10 del 2017, ha innanzitutto rilevato che con decreto commissariale n. 8 del 2018, che richiama la sentenza del Consiglio di Stato, terza sezione, 7 maggio 2013, n. 2470, è stato approvato il Piano di riassetto della rete ospedaliera, il quale non ha fatto riferimento alla convenzione citata dalla norma impugnata, volta a consentire l’utilizzo di spazi ospedalieri da parte dell’Università Vanvitelli. Secondo la Regione Campania ciò dovrebbe comportare l’improcedibilità del ricorso «per tacita abrogazione della norma impugnata e mancata applicazione della stessa nel periodo».
In relazione all’art. 1, comma 30, della medesima legge regionale, la resistente evidenzia come la disposizione si sostanzierebbe in una legittima applicazione del “criterio di localizzazione”, dal momento che essa non precluderebbe del tutto le menzionate attività, ma le consentirebbe in presenza di interessi particolarmente pregnanti, secondo quanto già affermato dalle sentenze n. 278 del 2010 e n. 331 del 2003.
In definitiva, la norma in esame sarebbe volta a preservare «interessi particolarmente pregnanti affidati alle cure del legislatore regionale», costituiti dalla tutela delle acque di fonte, minerali, idrotermali e dai fluidi geotermici che, ascritte al patrimonio regionale, sono conservate nelle rocce carbonatiche che costituiscono l’ambiente naturale più favorevole grazie alla loro elevata permeabilità e porosità.
In riferimento al comma 4, dell’art. 1, lettere a), b) e c), della medesima legge regionale campana, che modifica il comma 237-quater dell’art. 1 della legge reg. Campania n. 4 del 2011, la Regione resistente assume che, diversamente da quanto dedotto dal Presidente del Consiglio dei ministri, esso ricondurrebbe il menzionato art.1, comma 237-quater, al Piano Regionale di Programmazione della Rete Ospedaliera adottato, ai sensi del d.m. n. 70 del 2015, con decreto commissariale n. 33 del 2016.
Peraltro, il contenuto dell’art. 1, comma 4, in esame risulterebbe poi recepito nel «Piano regionale di Programmazione della rete ospedaliera ai sensi del D.M. 70 del 2015 2016-2018-Aggiornamento del 18 gennaio 2018» di cui al già menzionato decreto commissariale n. 8 del 2018, che ratificherebbe il menzionato articolo.
Infine, per quanto concerne l’impugnativa del comma 8 dell’art. 1 della legge reg. Campania n. 10 del 2017, esso non modificherebbe affatto l’impianto organizzativo della rete dei laboratori disciplinato dal decreto commissariale n. 109 del 2011 [recte: 2013]. La proroga ivi prevista, difatti, non si porrebbe in contrasto con il cronoprogramma dei progetti operativi, in quanto le richieste di “proroga” avanzate dai «Centri» e assentite dalle ASL dovrebbero comunque essere corredate dal parere del Commissario che sarà tenuto a garantire il rispetto del limite del 50 per cento delle aggregazioni.
Rammenta, infine, che già diverse proroghe erano state accordate (come con il decreto commissariale n. 83 del 2016 e altri) su invito del giudice amministrativo e in riscontro a richieste delle ASL, e resterebbe comunque fermo il termine ultimo al 2018, entro il quale concludere il processo.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 4, lettere a), b) e c), 8, 10 e 30, della legge della Regione Campania 31 marzo 2017, n. 10 (Misure per l’efficientamento dell’azione amministrativa e l’attuazione degli obiettivi fissati dal DEFR 2017 – Collegato alla stabilità regionale per il 2017).
1.1.– L’art. 1, comma 10, della legge campana impugnata si porrebbe in contrasto con la cornice programmatoria e finanziaria del piano di rientro regionale, stabilendo l’incremento di prestazioni aggiuntive e determinando maggiori oneri a carico del Servizio sanitario regionale senza prevedere i mezzi per farvi fronte. La disposizione violerebbe, quindi, gli artt. 81, terzo comma, 117, secondo comma, lettera e) – in materia di perequazione delle risorse finanziarie – e 120, secondo comma, della Costituzione, in tema di poteri sostitutivi. La disposizione impugnata interferirebbe con i poteri affidati al Commissario ad acta dal Governo nell’attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario e costituirebbe una menomazione delle sue specifiche attribuzioni. Le funzioni del Commissario ad acta definite dal mandato dovrebbero restare, invece, al riparo da ogni interferenza degli organi regionali, pena la violazione dell’art. 120, secondo comma, Cost.
1.2.– Le disposizioni contenute nell’art. 1, comma 4, lettere a), b) e c), della legge reg. Campania n. 10 del 2017 non sarebbero conformi alla cornice programmatoria e finanziaria del piano di rientro regionale e sarebbero in contrasto con gli artt. 117, terzo comma – in materia di tutela della salute – e 120, secondo comma, Cost., in quanto interferirebbero con i poteri affidati al Commissario ad acta dal Governo e con le attività svolte nell’attuazione del piano di rientro, menomando le sue specifiche attribuzioni.
Tali disposizioni, le quali modificano il comma 237-quater dell’art. 1 della legge della Regione Campania 15 marzo 2011, n. 4, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio 2011-2013 della Regione Campania (Legge finanziaria regionale 2011)», stabiliscono che il fabbisogno della rete ospedaliera deve essere prioritariamente soddisfatto tramite le strutture private provvisoriamente accreditate, tenendo conto dell’organizzazione dei servizi ospedalieri di diagnosi e cura rappresentata e offerta in regime di accreditamento provvisorio, con le correlate prestazioni ospedaliere erogate nell’ambito delle specialità riconosciute. Il ricorrente rileva che l’organizzazione ospedaliera dovrebbe essere rapportata ai fabbisogni attuali e delineata secondo quanto disposto dai vigenti provvedimenti di riorganizzazione della rete ospedaliera regionale, adottati in attuazione dei Programmi operativi 2016-2018, e non tramite le strutture private accreditate in via provvisoria, come, invece, previsto nella norma regionale. Il comma 4 risulterebbe quindi in contrasto con l’obiettivo di efficientamento della rete ospedaliera, che prevede il superamento della parcellizzazione delle strutture erogatrici e il contenimento del loro numero in rapporto ai bacini di utenza e non sarebbe conforme alla cornice programmatoria e finanziaria del piano di rientro regionale.
1.3.– Il comma 8 dell’art. 1 della legge reg. Campania n. 10 del 2017 sarebbe in contrasto con gli artt. 117, terzo comma, in materia di tutela della salute, e 120, secondo comma, Cost., in relazione all’art. 1, comma 796, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», in quanto non rispetterebbe gli standard organizzativi e di personale coerenti con i processi di incremento dell’efficienza.
La disposizione prorogherebbe in modo generico il termine finale per il conseguimento della soglia minima di 200.000 prestazioni all’anno, rimettendo tale determinazione integralmente all’azienda sanitaria locale (ASL), sia nell’an che nel quantum, e non risulterebbe coerente con i piani di programmazione regionale.
Inoltre, per quanto specificamente collegato al piano di rientro dal disavanzo sanitario, il comma 8 contrasterebbe anche con il cronoprogramma stabilito nel Programma operativo 2016-2018, che ha previsto le aggregazioni per almeno il cinquanta per cento del totale dei laboratori entro il 30 giugno 2017 e le aggregazioni per il totale dei laboratori entro il 31 dicembre 2017.
Anche tale disposizione interferirebbe con i poteri del Commissario e con le attività svolte nell’attuazione del piano di rientro del disavanzo sanitario e costituirebbe menomazione delle sue specifiche attribuzioni.
1.4.– L’art. 1, comma 30, della legge reg. Campania n. 10 del 2017, che vieta la prospezione, la ricerca, l’estrazione e lo stoccaggio di idrocarburi liquidi e gassosi, nonché la realizzazione delle relative infrastrutture tecnologiche nelle aree di affidamento delle rocce carboniche, ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, sarebbe illegittimo, in quanto inciderebbe nella materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» e in quella del governo del territorio, introducendo un divieto di natura pregiudiziale e ponendosi così in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., che stabilisce per tali materie la potestà legislativa concorrente Stato-Regioni, con il principio di leale collaborazione, nonché con l’art. 6 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).
Nell’ambito delle aree di competenza legislativa concorrente l’amministrazione statale e quella regionale dovrebbero esercitare le proprie funzioni attraverso lo strumento dell’intesa, in conformità al principio di leale collaborazione. L’inibizione assoluta recata dalla disposizione regionale equivarrebbe a una «preventiva e generalizzata previsione legislativa di diniego di intesa», vanificando la bilateralità della relativa procedura. Il divieto unilaterale imposto dal legislatore regionale contrasterebbe con il suddetto principio di leale collaborazione, che impone il rispetto, caso per caso, di una procedura articolata, tale da assicurare lo svolgimento di reiterate trattative.
Ad avviso del ricorrente, la norma sarebbe poi del tutto irrazionale, poiché porrebbe sullo stesso piano attività e interventi oggettivamente e tecnicamente diversi: a differenza delle attività di estrazione e stoccaggio, le attività di prospezione e ricerca non comporterebbero alterazioni dell’ambiente e di conseguenza non interferirebbero in alcun modo con la finalità di tutelare e conservare le acque superficiali e sotterranee esistenti nelle aree di affioramento di rocce carbonatiche. Tra l’altro, se le attività e gli interventi previsti avessero implicazioni di impatti ambientali negativi sulle aree di affioramento di rocce carbonatiche, non otterrebbero, per ciò stesso, un giudizio positivo di compatibilità ambientale.
Inoltre, la norma in questione comporterebbe il diniego implicito ex lege dell’intesa regionale per impianti e attività localizzati «nelle aree di affioramento di rocce carbonatiche, così come perimetrate ed evidenziate nella cartografia idrogeologica del Piano di Gestione delle Acque del Distretto Idrografico dell’Appenino Meridionale», comportando un «effetto automatico e ineludibile» di incompatibilità implicita, predeterminando l’esito negativo delle istanze di rilascio dei titoli minerari in tali zone eventualmente proposte dai soggetti interessati.
1.5.− La Regione Campania, nel costituirsi in giudizio, ha sostenuto l’inammissibilità o, comunque, la non fondatezza del ricorso, replicando, con successiva memoria, alle deduzioni del Presidente del Consiglio dei ministri.
Innanzitutto, con riferimento all’art. 1, comma 10, della legge reg. Campania n. 10 del 2017, ha rilevato che, con decreto commissariale n. 8 del 2018, che richiama la sentenza del Consiglio di Stato, terza sezione, 7 maggio 2013, n. 2470, è stato approvato il Piano di riassetto della rete ospedaliera, il quale non ha fatto riferimento alla convenzione citata dalla norma impugnata volta a consentire l’utilizzo di spazi ospedalieri da parte dell’Università Vanvitelli. Secondo la Regione Campania, ciò dovrebbe comportare l’improcedibilità del ricorso «per tacita abrogazione della norma impugnata e mancata applicazione della stessa nel periodo». A tal fine ha depositato, in udienza, nota del direttore generale della ASL in cui si dà atto della mancata attivazione della convenzione in esame.
In riferimento all’art. 1, comma 4, lettere a), b) e c), della medesima legge regionale – il quale modifica l’art. 1, comma 237-quater, della legge reg. Campania n. 4 del 2011 – la resistente assume che, diversamente da quanto dedotto dal Presidente del Consiglio dei ministri, esso ricondurrebbe il menzionato art. 1, comma 237-quater, al Piano regionale di programmazione della rete ospedaliera adottato, ai sensi del decreto del Ministro della salute 2 aprile 2015, n. 70 (Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera), con decreto commissariale n. 33 del 2016. Peraltro, il contenuto dell’art. 1, comma 4 in esame, risulterebbe poi recepito nel «Piano regionale di Programmazione della rete ospedaliera ai sensi del D.M. 70 del 2015 2016-2018-Aggiornamento del 18 gennaio 2018», di cui al già menzionato decreto commissariale n. 8 del 2018, che ratificherebbe il menzionato articolo.
Per quel che concerne il comma 8 dell’art. 1 della legge reg. Campania n. 10 del 2017, esso non modificherebbe affatto l’impianto organizzativo della rete dei laboratori disciplinato dal decreto commissariale n. 109 del 2011 [recte: 2013]. La proroga ivi prevista, difatti, non si porrebbe in contrasto con il cronoprogramma dei progetti operativi, in quanto le richieste di “proroga” avanzate dai laboratori di analisi e assentite dalle ASL dovrebbero comunque essere corredate dal parere del Commissario, che sarà tenuto a garantire il rispetto del limite del cinquanta per cento delle aggregazioni. Rammenta, infine, che già diverse proroghe erano state accordate (come con il decreto commissariale n. 83 del 2016 e altri) su invito del giudice amministrativo e in riscontro a richieste delle ASL, e resterebbe comunque fermo il termine ultimo al 2018, entro il quale concludere il processo.
Infine, per quanto concerne l’art. 1, comma 30, della medesima legge regionale impugnata, la resistente evidenzia come la disposizione si sostanzi in una legittima applicazione del “criterio di localizzazione”, dal momento che essa non precluderebbe del tutto le menzionate attività, ma le consentirebbe in presenza di interessi particolarmente pregnanti, secondo quanto già affermato dalle richiamate sentenze n. 278 del 2010 e n. 331 del 2003 di questa Corte.
In definitiva, la norma in esame sarebbe volta a preservare «interessi particolarmente pregnanti affidati alle cure del legislatore regionale», costituiti dalla tutela delle acque di fonte, minerali, idrotermali e dai fluidi geotermici che, ascritte al patrimonio regionale, sono conservate nelle rocce carbonatiche che costituiscono l’ambiente naturale più favorevole grazie alla loro elevata permeabilità e porosità.
2.– È opportuno premettere che i commi 4, lettere a), b) e c), 8 e 10 dell’art. 1 della legge reg. Campania n. 10 del 2017 riguardano il Servizio sanitario regionale, mentre il successivo comma 30 inerisce alla materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» e a quella «governo del territorio» e in quest’ordine è opportuno scrutinarle, poiché le questioni inerenti alla sanità sono intrinsecamente collegate e interdipendenti, a prescindere dal diversificato riferimento ai parametri costituzionali che caratterizza il ricorso.
3.– Con riguardo alle censure coinvolgenti il Servizio sanitario nazionale, occorre ricordare che la Regione Campania è caratterizzata, ormai da diversi esercizi, dalla soggezione al piano di rientro dal disavanzo sanitario e che, conseguentemente, la sanità è gestita da apposito Commissario, in conformità al regime di risanamento finanziario. Il piano di rientro è ispirato all’esigenza di assicurare l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA) e al superamento della grave crisi strutturale della finanza regionale, nella prospettiva di un sicuro ritorno alla fisiologia gestionale dell’ente territoriale e delle sue aziende.
Il lungo protrarsi del commissariamento costituisce tuttavia un sintomo negativo dell’andamento di tale processo, cosicché si accentua l’esigenza di soluzioni strutturali univoche ed efficaci e del rigoroso rispetto delle regole a tale scopo concepite.
In sintonia con tale esigenza, l’art. 2, comma 95, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)», norma interposta invocata dal ricorrente, dispone che «[g]li interventi individuati dal piano di rientro sono vincolanti per la regione, che è obbligata a rimuovere i provvedimenti, anche legislativi, e a non adottarne di nuovi che siano di ostacolo alla piena attuazione del piano di rientro».
È utile aggiungere che in tale prospettiva l’art. 120, secondo comma, Cost., nel consentire l’esercizio del potere sostitutivo straordinario del Governo, assicura contemporaneamente l’unità economica della Repubblica e i livelli essenziali delle prestazioni concernenti il diritto fondamentale alla salute (sentenza n. 14 del 2017).
Questa Corte ha costantemente affermato che le funzioni esercitate dal Commissario ad acta «devono restare, fino all’esaurimento dei compiti commissariali, al riparo da ogni interferenza degli organi regionali – anche qualora questi agissero per via legislativa […]. L’illegittimità costituzionale della legge regionale sussiste anche quando l’interferenza è meramente potenziale e, dunque, a prescindere dal verificarsi di un contrasto diretto con i poteri del Commissario incaricato di attuare il piano di rientro» (ex plurimis, sentenza n. 190 del 2017).
Le esposte considerazioni sono prodromiche all’esame di tutte le questioni afferenti al Servizio sanitario regionale.
4.– Tanto premesso, la questione concernente l’art. 1, comma 10, della legge reg. Campania n. 10 del 2017, promossa in riferimento agli artt. 81, terzo comma, e 120, secondo comma, Cost., in relazione all’art. 2, comma 95, della legge n. 191 del 2009, è fondata.
La norma stabilisce che «[n]elle more dell’attivazione del nuovo Policlinico Universitario di Caserta, al fine di incrementare i LEA della Provincia di Caserta, l’ASL e l’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, stipulano apposita convenzione volta a consentire l’utilizzo di spazi ospedalieri, per l’incremento di prestazioni aggiuntive a quelle già erogate».
È evidente l’ingerenza della disposizione, sia nella forma che nella sostanza, nelle prerogative del Commissario ad acta. Essa, infatti, entra in un perimetro normativo che le è precluso fintanto che dura il commissariamento e lo fa dettando regole organizzative e convenzionali, con ciò invadendo scelte di merito consustanziali al piano stesso.
4.1.– Non possono essere prese in considerazione le eccezioni della resistente in ordine alla pretesa “tacita abrogazione” della norma impugnata. L’assenza di menzione nel piano di rientro della convenzione, volta a consentire l’utilizzo di spazi ospedalieri da parte dell’Università “Luigi Vanvitelli”, e la mancata sottoscrizione di atti di tal genere fino all’approvazione del nuovo piano di riassetto della rete ospedaliera non determinano affatto «la improcedibilità del relativo motivo di ricorso, per tacita abrogazione della norma impugnata e mancata applicazione della stessa nel medio periodo».
La mancata menzione della convenzione nel piano di rientro non dimostra affatto che la norma impugnata non sia stata attuata dalla Regione; semmai costituisce ulteriore indizio che tale intervento non sia ricompreso nell’inderogabile programmazione del piano. Inconferente è, poi, il richiamo alla sentenza del Consiglio di Stato, sezione terza, 7 maggio 2013, n. 2470, dal momento che – contrariamente a quanto sostenuto dalla Regione – essa fa riferimento al potere commissariale esercitato in deroga e non a quello legislativo della Regione.
In realtà, la Regione non tiene in adeguata considerazione la costante giurisprudenza della Corte, secondo cui l’illegittimità costituzionale della legge regionale «sussiste anche quando l’interferenza è meramente potenziale e, dunque, a prescindere dal verificarsi di un contrasto diretto con i poteri del Commissario incaricato di attuare il piano di rientro (sentenza n. 110 del 2014)» (sentenze n. 190, n. 106 e n. 14 del 2017 e n. 227 del 2015).
4.2.– La ratio inequivocabile della norma è quella di «incrementare i LEA». Tale intento è costituzionalmente illegittimo sotto due profili: il primo attiene alla competenza esclusiva del legislatore statale nella determinazione dei LEA (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost., parametro che, ancorché non evocato dal ricorrente, è, nella fattispecie in esame, inscindibilmente collegato al principio della copertura di cui all’art. 81, terzo comma, Cost., e ai presupposti del potere sostitutivo ex art. 120, secondo comma, Cost.); il secondo riguarda l’espresso divieto, per le Regioni commissariate, di estendere la spesa sanitaria oltre i LEA contenuti nel piano di rientro e nelle determinazioni attuative del Commissario.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare che l’interferenza con l’attività del Commissario sussiste anche in presenza di interventi non previsti dal piano di rientro che possono aggravare il disavanzo sanitario regionale (sentenza n. 104 del 2013). Tale contesto non preclude certamente alla Regione di far valere gli interessi della collettività amministrata, ma ciò deve avvenire entro i limiti imposti dal legislatore nel delicato periodo del risanamento. Se è incontrovertibile l’illegittimità di qualsiasi provvedimento integrativo dei LEA in corso di risanamento, rimane alla Regione il potere di vigilare affinché il piano di rientro e i provvedimenti attuativi dello stesso garantiscano la somministrazione dei LEA e di individuare correttamente nel bilancio regionale le risorse previste dal piano di rientro.
La prestazione dei LEA comporta infatti una spesa «costituzionalmente necessaria» (sentenza n. 169 del 2017); se, nel caso di specie, la proiezione di tali livelli in termini di fabbisogno regionale è temporaneamente demandata al Commissario anziché alla Regione, ben può quest’ultima interagire per il rispetto dei canoni costituzionalmente necessari, ma non può sostituirsi al Commissario stesso, addirittura attraverso una normativa primaria integrativa.
Per quel che concerne la corretta configurazione della spesa sanitaria nel bilancio regionale, soccorre l’art. 20 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42), il quale prevede che «[n]ell’ambito del bilancio regionale le regioni garantiscono un’esatta perimetrazione delle entrate e delle uscite relative al finanziamento del proprio servizio sanitario regionale […]. A tal fine le regioni adottano un’articolazione in capitoli tale da garantire, sia nella sezione dell’entrata che nella sezione della spesa, […la] spesa sanitaria corrente per il finanziamento dei LEA […]; [la] spesa sanitaria per il finanziamento di disavanzo sanitario pregresso; […] accertano ed impegnano nel corso dell’esercizio l’intero importo corrispondente al finanziamento regionale del disavanzo sanitario pregresso. […] I gettiti derivanti dalle manovre fiscali regionali e destinati al finanziamento del Servizio sanitario regionale sono iscritti nel bilancio regionale nell’esercizio di competenza dei tributi. […] La quota dei gettiti derivanti dalle manovre fiscali regionali destinata obbligatoriamente al finanziamento del servizio sanitario regionale, ai sensi della legislazione vigente sui piani di rientro dai disavanzi sanitari, è iscritta nel bilancio regionale triennale, nell’esercizio di competenza dei tributi, obbligatoriamente per l’importo stimato dal competente Dipartimento delle finanze del Ministero dell’economia e delle finanze, ovvero per il minore importo destinato al Servizio sanitario regionale ai sensi dell’art. 1, comma 80, della legge 23 dicembre 2009, n. 191. […]».
Il suddetto principio contabile che, in tema di spese “costituzionalmente necessarie”, costituisce attuazione dell’art. 8 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione) nell’ambito della materia sanitaria è il chiaro paradigma dei limiti entro i quali la Regione può e deve operare in pendenza del piano di rientro affidato al Commissario.
Fermi restando l’espresso divieto di integrare i livelli essenziali delle prestazioni fino all’effettivo rientro dal deficit strutturale e il potere di impulso e vigilanza affinché il risanamento finanziario non superi – nell’ambito della pianificazione finanziaria – il limite negativo della “essenzialità” dell’assistenza, la Regione deve cooperare per il superamento della situazione di emergenza.
Detta cooperazione si configura secondo profili formali e sostanziali che, sulla base del predetto art. 20 del d.lgs. n. 118 del 2011, possono essere così riassunti: a) «perimentrazione delle entrate e delle uscite» relative al finanziamento del Servizio sanitario regionale; b) determinazione del costo dei LEA, in conformità al piano di rientro e ai provvedimenti attuativi del Commissario, e tenendo conto che l’onere finanziario dei LEA è il limite invalicabile della spesa fino al superamento dell’emergenza; c) corretta allocazione delle risorse per fronteggiare il disavanzo sanitario pregresso; d) evidenziazione delle manovre fiscali regionali per finanziare il Servizio sanitario regionale «ai sensi della legislazione vigente sui piani di rientro dai disavanzi».
In tale contesto finanziario è evidente che non vi è spazio né per l’incremento dei LEA e neppure per la fissazione di modalità organizzative e convenzionali diverse da quelle prescritte dalla specifica legislazione statale e dalle determinazioni del Commissario.
Dunque, la trasparenza dei conti e la cooperazione nelle operazioni finalizzate al rientro dal deficit costituiscono la vera “cifra” del ruolo riservato alla Regione nel particolare momento storico.
La determinazione di prestazioni aggiuntive stabilita dalla norma impugnata induce maggiori oneri a carico del Servizio sanitario regionale, in palese contrasto con la cornice programmatoria e finanziaria del piano di rientro regionale.
4.3.– In definitiva, se nel corso della situazione di emergenza della Regione Campania devono essere salvaguardati i livelli essenziali delle prestazioni, non può essere unilateralmente innalzato il fabbisogno standard, quando detta emergenza non risulti definitivamente superata.
Il comma 10 deve essere dunque dichiarato costituzionalmente illegittimo, sia in riferimento all’art. 81 Cost., per l’indebita interferenza sugli equilibri del bilancio sanitario, sia in riferimento all’art. 120, secondo comma, Cost., per l’invasione della sfera operativa riservata al Commissario ad acta dal legislatore statale.
Resta assorbita l’ulteriore questione sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti di tale disposizione in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
5.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4, lettere a), b) e c), della legge Regione Campania n. 10 del 2017, sollevata in riferimento agli artt. 117, terzo comma, in materia di tutela della salute, e 120, secondo comma, Cost., è fondata con riguardo ad entrambi i parametri invocati.
La disposizione impugnata, nell’innovare l’art. 1, comma 237-quater, della legge reg. Campania n. 4 del 2011, stabilisce che detta disposizione è così modificata: «a) dopo le parole “provvisoriamente accreditate alla data del 1 luglio 2007,” sono inserite le seguenti: “tenendo conto dell’organizzazione dei servizi ospedalieri di diagnosi e cura rappresentata e offerta a tal data in regime di accreditamento provvisorio, con le correlate prestazioni ospedaliere erogate nell’ambito delle specialità così come espresse e conseguenzialmente riconosciute”; b) dopo le parole “In caso di sussistenza di ulteriore fabbisogno” sono inserite le seguenti: “non destinato alle strutture pubbliche”; c) dopo le parole “fino alla copertura del fabbisogno dei posti letto” sono inserite le seguenti: “dando priorità al raggiungimento della soglia dei 60 posti letto di cui al punto 2.5 del decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70 (Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera)”».
L’art. 1, comma 237-quater, così come modificato dalla disposizione impugnata, prescrive che: «[f]erma restando la sussistenza del fabbisogno e delle condizioni di cui agli articoli 8-ter e 8-quater, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della L. 23 ottobre 1992, n. 421), in conformità ai principi generali del sistema, ai sensi dell’articolo 1, comma 796, lettere s) e t), della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), il fabbisogno va soddisfatto, prioritariamente, attraverso l’accreditamento delle strutture private transitoriamente accreditate, da intendersi provvisoriamente accreditate alla data del 1° luglio 2007, tenendo conto dell’organizzazione dei servizi ospedalieri di diagnosi e cura rappresentata e offerta a tal data in regime di accreditamento provvisorio, con le correlate prestazioni ospedaliere erogate nell’ambito delle specialità così come espresse e conseguenzialmente riconosciute successivamente delle strutture private già in esercizio e solo successivamente mediante l’accreditamento delle strutture o attività di nuova realizzazione. Il rilascio di nuove autorizzazioni per la realizzazione, nonché l’accreditamento di nuove strutture è subordinato al completamento delle procedure di cui ai commi da 237-quinquies a 237-unvicies. In caso di sussistenza di ulteriore fabbisogno non destinato alle strutture pubbliche verificato agli esiti della definizione dei procedimenti di accreditamento definitivo delle strutture sanitarie e sociosanitarie ai sensi dell’articolo 1, commi da 237-bis a 237-tervicies della legge regionale n. 4/2011, le strutture sanitarie e socio-sanitarie già autorizzate ed in possesso dei requisiti tecnico-sanitari, nonché in possesso degli ulteriori requisiti previsti per l’accreditamento istituzionale di cui al Reg. reg. 22 giugno 2007, n. 1 (Regolamento recante la definizione dei requisiti ulteriori e le procedure per l’accreditamento istituzionale dei soggetti pubblici e privati che erogano attività di assistenza specialistica in regime ambulatoriale, in regime di ricovero ed in regime residenziale) possono essere accreditate fino alla copertura del fabbisogno dei posti letto dando priorità al raggiungimento della soglia dei 60 posti letto di cui al punto 2.5 del decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70 (Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera), sempre e comunque nell’osservanza delle disposizioni impartite dal Commissario ad acta per la prosecuzione del Piano di rientro dal disavanzo sanitario».
Ancorché sollevata in riferimento a parametri parzialmente diversi da quelli evocati nei confronti del comma 10, la questione ha a oggetto una fattispecie normativa sostanzialmente analoga a quella precedente. Anche in questo caso il comma 4 eccede la competenza regionale e non è neppure coerente – come rileva il Presidente del Consiglio dei ministri – con la cornice programmatoria del piano di rientro regionale.
Pertanto, anch’esso interferisce con i poteri affidati al Commissario e con gli standard qualitativi, strutturali e quantitativi relativi alla assistenza ospedaliera, riconducibili al parametro costituzionale della tutela della salute.
Per questi motivi, il comma 4, lettere a), b) e c), dell’art. 1 della legge reg. Campania n. 10 del 2017 deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo per contrasto con gli artt. 117, terzo comma – in materia di tutela della salute – e 120, secondo comma, Cost.
6.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 8, della legge reg. Campania n. 10 del 2017, promossa in riferimento agli artt. 117, terzo comma, in materia di tutela della salute, e 120, secondo comma, Cost., e in relazione all’art. 1, comma 796, della legge n. 296 del 2006, è fondata.
Il comma 796 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006 detta misure per la riorganizzazione della rete delle strutture pubbliche e private accreditate eroganti prestazioni specialistiche e di diagnostica di laboratorio, al fine dell’adeguamento degli standard organizzativi e di personale coerenti con i processi di incremento dell’efficienza resi possibili dal ricorso a metodiche automatizzate.
La norma impugnata stabilisce che «[i]n fase di prima applicazione del piano di riassetto ed efficientamento della rete dei laboratori di analisi operanti in ambito regionale, su istanza dei soggetti che hanno già aderito ad una aggregazione rientrante esclusivamente nelle figure giuridiche disciplinate dai decreti del Commissario ad acta per il piano di rientro, i termini per gli adempimenti intermedi previsti dai predetti decreti possono essere prorogati dalla competente ASL, acquisito il parere del Commissario ad acta. I soggetti che, trascorsi 30 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, siano al di sotto della soglia delle 70.000 prestazioni equivalenti e che non abbiano aderito ad un’aggregazione decadono dall’accreditamento istituzionale. In pendenza di motivata istanza di proroga del predetto termine presentata dalla struttura interessata e fino alla pronuncia della competente ASL, che deve provvedere nei 30 giorni successivi all’istanza, i termini sono sospesi. Nel provvedimento aziendale con cui l’ASL si pronuncia motivatamente sull’istanza, in caso di provvedimento favorevole, vengono ragionevolmente rideterminati i termini per gli adempimenti intermedi previsti dalle vigenti disposizioni commissariali. Al fine di garantire la progressiva piena attuazione del processo di riorganizzazione e efficientamento della rete laboratoristica ed il rispetto della soglia minima di efficienza delle 200.000 prestazioni equivalenti su base annua per tutti i soggetti accreditati, il termine per il conseguimento della predetta soglia minima è fissato al 30 giugno 2018. A partire dal primo luglio 2018, i laboratori che non raggiungono, in forma singola o aggregata, la soglia minima di efficienza di 200.000 prestazioni equivalenti su base annua decadono dall’accreditamento istituzionale».
Anche in questo caso la sostanza normativa non è dissimile dalle precedenti.
L’impugnato comma 8 introduce una proroga generica del sistema di accreditamento dei laboratori, invadendo la competenza del Commissario ad acta che – per i motivi già specificati – sostituisce nel periodo di vigenza del piano di rientro la Regione. Per di più, la disposizione impugnata non è neppure conforme agli standard organizzativi stabiliti dal legislatore statale per rendere più efficiente ed economico il sistema inerente alla tutela della salute in ambito regionale.
Il comma 8 dell’art. 1 della legge reg. Campania n. 10 del 2017 deve essere pertanto dichiarato costituzionalmente illegittimo per contrasto con gli artt. 117, terzo comma, in materia di tutela della salute, e 120, secondo comma, Cost.
7.– In sostanza, tutte le disposizioni dianzi esaminate sono riconducibili a una malintesa concezione del ruolo della Regione nel periodo di vigenza del piano di rientro e della gestione commissariale. Tale ruolo non può consistere in una sovrapposizione legislativa e amministrativa alle funzioni commissariali, ma deve limitarsi a compiti di impulso e vigilanza per la garanzia dei LEA e a una trasparente e corretta trasposizione delle entrate e degli oneri finanziari per la sanità nel bilancio regionale, secondo i canoni previsti dall’art. 20 del d.lgs. n. 118 del 2011.
8.– Anche la questione promossa nei confronti dell’art. 1, comma 30, della legge reg. Campania n. 10 del 2017, in riferimento l’art. 117, terzo comma, Cost., con riguardo alle materie «produzione e trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» e «governo del territorio», in relazione all’art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006 e all’art. 1, comma 7, lettera n), della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), è fondata.
La disposizione impugnata, al dichiarato fine di tutelare e conservare le acque superficiali e sotterranee esistenti sul territorio regionale destinate al consumo umano, vieta la prospezione, la ricerca, l’estrazione e lo stoccaggio di idrocarburi liquidi e gassosi, nonché la realizzazione delle relative infrastrutture tecnologiche nelle aree di affioramento di rocce carbonatiche, così come perimetrate ed evidenziate nella cartografia idrogeologica del Piano di gestione delle acque del distretto idrografico dell’Appenino meridionale.
Tale unilaterale perimetrazione incide, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., nelle materie di competenza concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» e «governo del territorio».
L’art. 1, comma 7, lettera n), della legge n. 239 del 2004, richiamato nella motivazione del ricorso e da ritenersi norma interposta, stabilisce che le determinazioni inerenti alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, ivi comprese le funzioni di polizia mineraria, siano adottate dallo Stato d’intesa con le Regioni interessate. Alla stregua della menzionata disposizione, difatti, «[s]ono esercitati dallo Stato, anche avvalendosi dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, i seguenti compiti e funzioni amministrativi […]». Fra tali compiti e funzioni rientrano, da una parte, «l’identificazione delle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale con riferimento all’articolazione territoriale delle reti infrastrutturali energetiche dichiarate di interesse nazionale ai sensi delle leggi vigenti» (lettera g) e, dall’altra, «l’utilizzazione del pubblico demanio marittimo e di zone del mare territoriale per finalità di approvvigionamento di fonti di energia» (lettera l).
Alla luce del descritto quadro normativo, lo Stato e la Regione esercitano, quindi, le rispettive funzioni attraverso lo strumento dell’intesa in senso forte, in conformità al principio di leale collaborazione.
La preclusione imposta su alcune aree unilateralmente dal legislatore regionale contrasta con il suddetto principio «che impone il rispetto, caso per caso, di una procedura articolata, tale da assicurare lo svolgimento di reiterate trattative» (sentenza n. 117 del 2013).
Per quanto più specificamente attiene alla realizzazione delle infrastrutture energetiche, parimenti oggetto di divieto da parte della legge in esame, questa Corte ha già avuto modo di esaminare, da ultimo con la sentenza n. 131 del 2016, norme statali che disciplinano la realizzazione di tali infrastrutture, subordinandole all’intesa con le Regioni (fra esse lo stesso art. 1, comma 7, lettera n, della legge n. 239 del 2004, su cui si è pronunciata la sentenza n. 117 del 2013), e le ha qualificate come norme recanti principi fondamentali della materia. In tal senso, con riguardo agli artt. 1, commi 7, lettera g, e 8, lettera b, numero 2, della medesima legge n. 239 del 2004 e all’art. 52-quinquies del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità (Testo A)», si è pronunciata la sentenza n. 182 del 2013. Le norme interposte evocate dal Presidente del Consiglio dei ministri «ridefiniscono, “in modo unitario ed a livello nazionale, i procedimenti di localizzazione e realizzazione” delle opere, “in base all’evidente presupposto della necessità di riconoscere un ruolo fondamentale agli organi statali nell’esercizio delle corrispondenti funzioni amministrative, a fronte di esigenze di carattere unitario” […], ma anche in relazione “ai criteri indicati dall’art. 118 Cost. per la allocazione e la disciplina delle funzioni amministrative, nonché al principio di leale collaborazione […]” (sentenza n. 117 del 2013)» (sentenza n. 39 del 2017).
Deve dunque essere condivisa la censura del Presidente del Consiglio dei ministri, il quale ritiene che la norma impugnata costituisce una preclusione di principio al confronto e, in quanto tale, vanifica in radice la bilateralità della procedura d’intesa necessaria per inserire in modo coerente nel quadro dei principi fissati dal legislatore statale le peculiarità degli interessi ambientali e pianificatori della Regione.
L’unilateralità della procedura adottata dalla resistente rende infondata anche l’eccezione secondo cui la legge regionale non avrebbe introdotto «limitazioni alla localizzazione», bensì meri «criteri di localizzazione», ancorché formulati «in negativo». Anche i criteri di localizzazione, infatti, devono essere condivisi con lo Stato e non essere predeterminati in questo modo dal legislatore regionale.
Neppure può ragionevolmente sostenersi che l’intesa con lo Stato possa intervenire – ove in ipotesi quest’ultimo ritenesse condivisibile la scelta della Regione – dopo l’emanazione della disposizione contestata.
Dunque, l’art. 1, comma 30, della legge reg. Campania n. 10 del 2017 deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo per contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., con riguardo alle materie di potestà concorrente precedentemente richiamate.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, commi 4, lettere a), b) e c), 8, 10 e 30, della legge della Regione Campania 31 marzo 2017, n. 10, recante «Misure per l’efficientamento dell’azione amministrativa e l’attuazione degli obiettivi fissati dal DEFR 2017 – Collegato alla stabilità regionale per il 2017».
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 aprile 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Aldo CAROSI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l’1 giugno 2018.