Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Rifiuti Numero: 29652 | Data di udienza: 9 Novembre 2017

RIFIUTI – Materiali di dragaggio – Impianto di recupero di fanghi – Tracciabilità del rifiuto – Necessità – Mancata verifica degli specifici adempimenti – Test di cessione – Concentrazioni soglia di contaminazione (Csc) – Artt. 184-ter, 184-quater, 208, 256 d. lgs. n.152/2006 – Giurisprudenza.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 2 Luglio 2018
Numero: 29652
Data di udienza: 9 Novembre 2017
Presidente: DI NICOLA
Estensore: GALTERIO


Premassima

RIFIUTI – Materiali di dragaggio – Impianto di recupero di fanghi – Tracciabilità del rifiuto – Necessità – Mancata verifica degli specifici adempimenti – Test di cessione – Concentrazioni soglia di contaminazione (Csc) – Artt. 184-ter, 184-quater, 208, 256 d. lgs. n.152/2006 – Giurisprudenza.



Massima

 

 


CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 02/07/2018 (Ud. 09/11/2017), Sentenza n.29652
 
 
RIFIUTI – Materiali di dragaggio – Impianto di recupero di fanghi – Tracciabilità del rifiuto – Necessità – Mancata verifica degli specifici adempimenti – Test di cessione – Concentrazioni soglia di contaminazione (Csc) – Artt. 184-ter, 184-quater, 208, 256 d. lgs. n.152/2006 – Giurisprudenza.
 
La mancata verifica degli specifici adempimenti previsti dall’art. 184-quater non consente di ritenere che i fanghi di dragaggio abbiano cessato la loro qualifica di rifiuti e possano conseguentemente essere trasportati senza il FIR, la cui presenza è imprescindibile ai fini della tracciabilità del rifiuto, e, insieme ad esso, alla dichiarazione di conformità, attestante a sua volta il regolare adempimento alla procedura di recupero. Sicché, secondo il nuovo art. 184-quater, i materiali dragati, sottoposti ad operazioni di recupero in casse di colmata o in altri impianti autorizzati, cessano di essere rifiuti qualora, all’esito di operazioni di recupero (che possono consistere anche in operazioni di cernita e selezione) soddisfino una serie di requisiti e siano utilizzati in conformità a determinate condizioni, diversi a seconda che i materiali di dragaggio siano utilizzati in un sito o direttamente all’interno di un ciclo produttivo. Pertanto, secondo il disposto dei commi 1 e 2, se utilizzati in un sito, occorrerà che i materiali di dragaggio: 1) non superino i valori delle concentrazioni soglia di contaminazione (Csc) di cui alle colonne A e B della Tabella 1 dell’Allegato 5 al Titolo V della Parte IV, D.L.vo n. 152/2006, con specifico riferimento alla destinazione urbanistica del sito di utilizzo; 2) vengano utilizzati direttamente, presso un sito di destinazione certo, anche a fini di riuso o di rimodellamento ambientale, senza rischi per le matrici ambientali interessate ed in particolare senza determinare contaminazione delle acque sotterranee e superficiali; 3) siano sottoposti a specifici test di cessione secondo le metodiche e i limiti di cui all’Allegato 3 del D.M. 5 febbraio 1998. Rimane ininfluente la circostanza, che la realizzazione e la gestione dell’impianto sia stata autorizzata dal competente ente territoriale atteso che il conseguimento delle autorizzazioni previste dall’art. 208 decreto legislativo 152/2006 è soltanto il presupposto affinchè l’operazione di cessazione della qualifica di rifiuto possa essere realizzata (Sez. 3, n. 52838 del 14/07 /2016 – dep. 14/12/2016, Serrao e altri), senza che possa tuttavia ritenersi assorbita dal titolo abilitativo, relativo all’impianto di smaltimento dei rifiuti, l’inosservanza delle specifiche procedure previste dall’art. 184 quater in relazione ai rifiuti.

(annulla con rinvio ordinanza in data 23.5.2017 – TRIBUNALE DI GORIZIA) Pres. DI NICOLA, Rel. GALTERIO, Ric. PM in proc. Luci
 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 02/07/2018 (Ud. 09/11/2017), Sentenza n.29652

SENTENZA

 

 

 
 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 02/07/2018 (Ud. 09/11/2017), Sentenza n.29652
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
sul ricorso proposto dal PROCURATOREDELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI GORIZIA
 
nei confronti di LUCI GRAZIANO, nato a Lusevera il 23.11.1953
 
avverso la ordinanza in data 23.5.2017 del Tribunale di Gorizia;
 
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
 
udita la relazione svolta dal consigliere Donatella Galterio;
 
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Sante Spinaci che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio;
 
udito il difensore, avv. Vincenzo Pellegrini che ha concluso per il rigetto del ricorso.
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. Con ordinanza in data 23.5.2017 il Tribunale di Gorizia ha confermato, rigettando l’appello del Procuratore della Repubblica del Tribunale di Gorizia, il provvedimento con cui il GIP non aveva accolto la richiesta inoltrata dal PM di sequestro preventivo dell’impianto di recupero dei fanghi di dragaggio, unitamente agli automezzi ivi impiegati, gestita dalla Gesteco s.p.a. in persona dell’amministratore Graziano Luci, indagato del reato di cui all’art.256 d. lgs. 152/2006 per aver svolto attività di gestione illecita dei rifiuti costituiti da materiali di dragaggio i quali, uscivano dall’impianto con lo stesso documento di trasporto (DDT) invece che con il formulario di identificazione rifiuti (FIR), senza che fosse mai stata attivata la procedura prevista dall’art. 184-quater d. lgs. 152/2006 la quale consente di escludere i fanghi trattati dalla gestione dei rifiuti.
 
2. Avverso la suddetta ordinanza il Procuratore della Repubblica ha proposto ricorso per cassazione articolando un unico motivo con il quale deduce, in reazione al vizio di violazione di legge, che la normativa introdotta dall’art. 184- quater d. lgs. 152/2006 configura una norma speciale all’interno della deroga già introdotta dall’art.184-ter che definisce la cessazione della qualifica di rifiuto, implicante un processo di recupero del materiale volto a soddisfare i requisiti espressamente fissati dalla stessa norma, per divenire prodotto nuovamente utilizzabile solamente all’esito di detto procedimento, e perciò non all’uscita dell’impianto di trattamento, bensì solo allorquando perviene nel sito di destinazione, con la conseguenza che per uscire dall’impianto di trattamento ed essere trasportati nel luogo di destinazione i materiali trattati devono essere accompagnati da FIR e non da DDR. Nell’ambito di tale procedura generale si inserisce l’art. 184-quater che, nel disciplinare una particolare categoria di rifiuti, i fanghi di dragaggio, prevede per essi una specifica procedura, all’esito della quale, per perdere la qualifica di rifiuto, debbono presentare determinati requisiti, fra cui il mancato superamento della soglia di contaminazione verificato attraverso appositi test e la certezza del sito di destinazione; solo per i fanghi che siano stati sottoposti alla suddetta procedura è consentito il trasporto con DDT per raggiungere la destinazione finale già certa, laddove i fanghi in esame, non essendo stati mai sottoposti a tale procedura ed avendo perciò conservato la natura di rifiuti, necessitano per le operazioni di trasporto il FIR. Sostiene pertanto il ricorrente che la tesi sostenuta dal Tribunale, secondo la quale nello stabilimento gestito dal Luci e regolarmente autorizzato i fanghi all’esito del trattamento venivano distinti in merce (composta da limo, sabbia o ghiaia) e rifiuti (legno, plastica, ferro, etc.), possono essere destinati al trasporto presso le mete stabilite anche non accompagnati da FIR, senza aver accertato se fossero stati sottoposti ad analisi, si risolve in una patente disapplicazione dell’art.184- quater determinando, una volta consentita l’uscita del sottoprodotto accompagnato da DDR, la sostanziale impossibilità di tracciare i rifiuti.
 
3. Con memoria ritualmente depositata Graziano Luci ha eccepito, per il tramite del proprio difensore, che l’art. 184-quater decreto legislativo 152/2006, pur costituendo norma speciale rispetto al regime generale previsto dal successivo art. 208, rimasto comunque in vigore, esaurisce il suo campo di applicazione alla sola ipotesi di riutilizzo diretto dei materiali da dragaggio, laddove tutte le altre forme di recupero, consistenti in una trasformazione del rifiuto in ingresso, restano assoggettati alla disciplina del preesistente art. 208 che implica l’autorizzazione dell’impianto deputato alla gestione del rifiuto nella quale si completa e si perfeziona l’intera procedura. Sostiene pertanto la difesa che, essendo stata all’impianto in esame rilasciata specifica autorizzazione ex art. 208 da parte della Provincia di Gorizia, sottoposta a periodici controlli da parte degli enti preposti, è la stessa autorizzazione a garantire che i fanghi che entrano nell’impianto come rifiuti ne escono automaticamente, a seguito del processo di trasformazione cui vengono sottoposti, come sabbia o limo, nel senso che quelli che non rispettino i requisiti analitici di legge vengono avviati direttamente allo smaltimento come rifiuti: conseguentemente, se tutti i fanghi che entrano nell’impianto hanno la natura di rifiuto, facendovi ingresso accompagnati dal FIR, solo quelli che completano il processo di recupero in RS perdono tale qualifica e ne escono come merce, venendo dunque gestiti con DDT nella successiva fase di trasporto finale verso l’utente, mentre gli altri, che non abbiano completato il processo di recupero ovvero non risultino conformi ai valori di legge, restano rifiuti, di talché solo per questi ultimi occorre il FIR per essere trasportati, in quanto destinati allo smaltimento, presso una discarica autorizzata. Sulla base di tale costrutto normativo del tutto erronea risulta, secondo la difesa, l’affermazione del PM ricorrente, secondo cui i rifiuti cessano di essere tali solo ed esclusivamente nel luogo di destinazione prima di raggiungere il quale devono uscire dall’impianto accompagnati da FIR, atteso che le operazioni di recupero e riciclaggio codificate dall’operazione RS, in quanto svolte nel rispetto dell’autorizzazione rilasciata dall’Ente competente – la cui sussistenza non risulta contestata nemmeno dal PM – all’impianto gestito dal Luci e dunque garantendo a monte il rispetto dei requisiti di legge, permettono al rifiuto di trasformarsi in merce direttamente all’interno dell’impianto e di uscire da esso come tale.

CONSIDERATO IN DIRITTO
 
Premesso che il controllo della Corte deve essere limitato alla congruità e coerenza in diritto delle valutazioni compiute in sede di merito e che esse non si sottraggono al sindacato di legittimità se il processo formativo del convincimento del giudice sia stato condizionato da un procedimento induttivo contraddittorio ovvero da un esame incompleto e impreciso, va puntualizzato che, nel procedimento incidentale di sequestro, l’imposizione della misura cautelare reale è subordinata al controllo del fumus commissi delicti, ossia all’accertamento dell’astratta possibilità di sussumere il fatto attribuito all’agente in una determinata ipotesi di reato, non occorrendo l’esistenza di gravi indizi di colpevolezza. Nello stabilire l’astratta configurabilità del reato ipotizzato, il giudice, pur dovendosi limitare ad una presa d’atto della tesi accusatoria, non può, però, prescindere dall’individuazione di concreti elementi di fatto che, in tema di reati ambientali, attengono anche alla natura delle sostanze indicate come rifiuti, sicché su tale base fattuale deve essere operata la verifica dell’astratta possibilità di inquadrare il fatto attribuito all’indagato nelle ipotesi di reato enunciate.
 
La questione che si presenta all’esame di questa Corte, su cui si fonda il diniego della richiesta di sequestro preventivo confermata in sede di appello dall’ordinanza impugnata, consiste nel valutare se i materiali in uscita dall’impianto gestito dalla GESTECO s.p.a., di cui l’indagato riveste la carica di Presidente del Consiglio di Amministrazione, deputato al trattamento dei fanghi derivanti dal dragaggio, mantenessero o meno la qualifica di rifiuti e dovessero perciò essere accompagnati nel trasporto fino al sito di destinazione da FIR, presupponendo la mancanza del suddetto formulario, sul piano del fumus, una gestione illecita di rifiuti.
 
Sostiene il Tribunale che, essendo l’impianto in questione regolarmente in esercizio in base alle autorizzazioni rilasciate dalla Provincia di Gorizia ed assicurando perciò il trattamento ed in particolare la vagliatura del materiale in entrata attraverso la sua distinzione tra i fanghi sussumibili come merce, una volta trasformati in limo, ghiaia o sabbia, e quelli qualificabili come rifiuti, i fanghi che avevano regolarmente completato il processo di recupero in R5 e perciò erano risultati conformi, all’esito delle analisi, a quanto richiesto dalla legge, ben potessero essere trasportati fuori dall’impianto fino al luogo di destinazione finale senza FIR.
 
L’assunto non può essere condiviso.
 
La circostanza che l’art. 184-quater, introdotto dal D.L. 24 giugno 2014, n. 91 (c.d. Decreto Competitività), come convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, non abbia abrogato il preesistente art. 183-ter non elimina la necessità, doverosa per l’interprete, di verificare la portata precettiva della novella e dei suoi rapporti con le disposizioni già in vigore. Se è vero che entrambe le norme disciplinano la cessazione della qualifica di rifiuto, non vi è dubbio che l’art. 184-quater, riferendosi ai soli materiali di dragaggio, si ponga in rapporto di specialità rispetto all’art.183-ter che regolamenta in generale la procedura cd. di end of waste, ponendo le condizioni imprescindibili da osservare in termini generali, e cioè che la sostanza o l’oggetto sia comunemente usato per scopi specifici, che soddisfi i requisiti tecnici per gli scopi specifici, che sussista un mercato e una domanda del materiale recuperato e non comporti impatti complessivamente negativi sull’ambiente e sulla salute umana. Invece, secondo il nuovo art. 184-quater, i materiali dragati, sottoposti ad operazioni di recupero in casse di colmata o in altri impianti autorizzati, cessano di essere rifiuti qualora, all’esito di operazioni di recupero (che possono consistere anche in operazioni di cernita e selezione) soddisfino una serie di requisiti e siano utilizzati in conformità a determinate condizioni, diversi a seconda che i materiali di dragaggio siano utilizzati in un sito o direttamente all’interno di un ciclo produttivo. Infatti, secondo il disposto dei commi 1 e 2, se utilizzati, come nel caso in esame, in un sito, occorrerà che i materiali di dragaggio: 1) non superino i valori delle concentrazioni soglia di contaminazione (Csc) di cui alle colonne A e B della Tabella 1 dell’Allegato 5 al Titolo V della Parte IV, D.L.vo n. 152/2006[5], con specifico riferimento alla destinazione urbanistica del sito di utilizzo; 2) vengano utilizzati direttamente, presso un sito di destinazione certo, anche a fini di riuso o di rimodellamento ambientale, senza rischi per le matrici ambientali interessate ed in particolare senza determinare contaminazione delle acque sotterranee e superficiali; 3) siano sottoposti a specifici test di cessione secondo le metodiche e i limiti di cui all’Allegato 3 del D.M. 5 febbraio 1998. Se la sottoposizione ad un’operazione di recupero, che non necessariamente si compendia in una trasformazione potendo anche soltanto limitarsi ad un’attività di cernita o di verifica, costituisce la costante che percorre trasversalmente tutte le modifiche legislative intervenute in materia di end of waste, non vi è dubbio che ben più specifici risultano i requisiti che, rispetto alle condizioni previste dall’art. 183-ter, i materiali di dragaggio debbono soddisfare al fine di acquisire la qualifica di cessato rifiuto in quanto volti a perseguire, secondo le finalità programmatiche dell’intervento legislativo del 2014, obiettivi di semplificazione dei procedimenti per la bonifica e per la messa in sicurezza dei siti contaminati e del sistema di tracciabilita’ dei rifiuti, nonche’ di adeguamento dell’ordinamento interno agli obblighi derivanti, in materia ambientale, dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea (art. 1 D.L. 91/2014).
 
Non è dirimente al riguardo la circostanza, inopinatamente evidenziata dai giudici dell’appello cautelare, che la realizzazione e la gestione dell’impianto sia stata autorizzata dal competente ente territoriale atteso che il conseguimento delle autorizzazioni previste dall’art. 208 decreto legislativo 152/2006 è soltanto il presupposto affinchè l’operazione di cessazione della qualifica di rifiuto possa essere realizzata (Sez. 3, n. 52838 del 14/07 /2016 – dep. 14/12/2016, Serrao e altri, Rv. 268921), senza che possa tuttavia ritenersi assorbita dal titolo abilitativo, relativo all’impianto di smaltimento dei rifiuti, l’inosservanza delle specifiche procedure previste dall’art. 184 quater in relazione ai rifiuti.
 
L’ordinanza impugnata, con argomentazioni contraddittorie, si limita ad affermare sul punto specifico che i fanghi non possono più considerarsi rifiuti se risultano conformi a quanto previsto dalla legge in merito alle analisi, ma non prende alcuna posizione sulla circostanza che i test di cessione necessari ad escludere il rischio di contaminazione, di cui al secondo comma dell’art. 184 quater, fossero stati in concreto effettuati, non facendo peraltro mai menzione della procedura prevista dalla suddetta disposizione se non per asserire in via preliminare che la sua entrata in vigore non ha abrogato quanto precedentemente stabilito in materia dall’art. 183-ter (sia pure indicato con un evidente refuso come l’art. 184-quater), lasciando così intendere che sia quest’ultima la norma passibile di applicazione nel caso di specie.
 
E’ invece soltanto all’esito della suddetta procedura cd. di recupero che il detentore dei materiali entrati nell’impianto deve redigere una dichiarazione di conformità in ordine alle attività effettuate in relazione ai singoli materiali oggetto di utilizzo, da presentare all’ARPA e all’autorità competente per il recupero 30 giorni prima delle operazioni di conferimento, termine entro il quale quest’ultima può vietare l’utilizzo dei materiali indicati, che rimangono in tal caso assoggettati alla disciplina dei rifiuti (art. 184-quater, terzo e quarto comma). E poiché il successivo quinto comma prevede nella fase della movimentazione per il raggiungimento del sito di destinazione che i materiali di dragaggio debbano essere accompagnati dalla dichiarazione di conformità e dal documento di trasporto (DDT), si trae da tale disposizione ulteriore conferma del fatto che solo dopo l’osservanza dell’indicata procedura materiali che escono dall’impianto, senza quindi essere accompagnati dal FIR, abbiano cessato di essere rifiuti.
 
Pertanto la mancata verifica degli specifici adempimenti previsti dall’art. 184-quater non consente di ritenere che i fanghi di dragaggio utilizzati dalla Gesteco s.p.a. avessero cessato la loro qualifica di rifiuti e potessero conseguentemente essere trasportati senza il FIR, la cui presenza è imprescindibile ai fini della tracciabilità del rifiuto, e, insieme ad esso, alla dichiarazione di conformità, attestante a sua volta il regolare adempimento alla procedura di recupero.
 
L’ordinanza impugnata, che descrive il procedimento, limitatamente peraltro alle operazioni di recupero, solo in astratto, ma non esamina la sussistenza del fumus in relazione alla specifica violazione contestata costituita dal trasporto dei fanghi senza essere accompagnati dal FIR, deve essere conseguentemente annullata con rinvio al Tribunale di Gorizia per nuovo esame
 
P.Q.M.
 
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Gorizia per nuovo esame
 
Così deciso il 9.11.2017
 

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