Accesso all’informazione ambientale del concessionario demaniale: illegittima ogni limitazione soggettiva ed oggettiva
PAOLA BRAMBILLA*
La vicenda è singolare: un concessionario di una porzione del demanio marino, su cui sbocca un rio utilizzato come fognatura e cielo aperto, chiede anche ai sensi del d.lgs. 195/2005, al Comune di Genova e alla concessionaria del servizio di fognatura tutta la documentazione relativa alla costruzione e approvazione dei progetti, alla manutenzione degli impianti realizzati, ai controlli esercitati sugli impianti e sui reflui, ai formulari di trasporto dei fanghi del depuratore, e infine i dati della qualità delle acque del Rio e del tratto marino prospiciente la foce.
La domanda è originata dalla volontà di ottenere la cessazione di uno scarico dannoso per la propria attività, sia per i miasmi e la pessima qualità delle acque scaricate nel tratto di mare concesso, sia per comprendere le cause dell’interramento progressivo dello specchio d’acqua in concessione, causato dai sedimenti trasportati dal corso d’acqua divenuto fognatura.
I vari enti coinvolti rispondono parzialmente e in modo sommario: alcuni riferiscono di non avere documentazione o di non poterla reperire – la domanda era diretta ad ottenere chiedeva dieci anni di documentazione – altri consegnano solo deliberazioni senza elaborati progettuali, altri infine – la concessionaria del servizio di fognatura – si limitano a rispondere che il servizio funziona correttamente.
Il ricorso viene respinto in primo grado, con condanna della società alle spese. La sentenza del T.A.R. Liguria viene però ribaltata dal Consiglio di Stato, sez. VI, con sentenza 3329 del 6 giugno 2012.
Il collegio si sofferma preliminarmente su taluni principi cardine della normativa in tema, ricordando come il diritto di accesso all’informazione ambientale abbia ad oggetto un campo di applicazione vastissimo, come il richiedente non debba fornire alcuna giustificazione o motivazione della propria richiesta, per poi scendere agli specifici aspetti della vicenda statuendo l’illegittimità della risposta che si limiti ad affermare stentorea il funzionamento del servizio, evadendo una domanda diretta invece all’ottenimento di documentazione e dati. Conclude infine bollando di illegittimità anche l’affermazione dell’ente di inesistenza della documentazione richiesta, qualora contenuta in una semplice nota a firma dell’impiegato di turno.
Rispetto ai principi già noti in tema di accesso all’informazione ambientale, la particolarità della pronuncia consiste nell’affermazione del principio per cui, in caso di inesistenza della documentazione, tale circostanza deve essere attestata dal legale rappresentante dell’ente richiesto, con un’apposita dichiarazione a sua firma.
La valenza di responsabilizzazione della P.A. sino ai vertici istituzionali è chiarissima.
Rilevante infine anche la statuizione per cui la domanda di accesso ad atti e documenti che sia priva dell’indicazione della data esatta e del numero di protocollo non è generica, né esplorativa, in quanto l’ente a cui la domanda è rivolta è tenuto a conoscere la propria documentazione e a ricercarla.
L’evoluzione giurisprudenziale dunque conduce a restringere sempre di più il campo di operatività delle limitazioni ed eccezioni al diritto di accesso all’informazione ambientale, che oramai sono riconducibili alle sole ipotesi in cui l’autorità richiesta non sia una pubblica amministrazione o un incaricato di pubblico servizio (cfr. T.A.R. Lazio, 30 gennaio 2012, n. 966, nel caso di un gestore privato di una discarica), ai casi di procedimenti legislativi e di riservatezza codificata normativamente (Corte di Giustizia UE, 14 febbraio 2012, causa C-204-09) salvo quelli in cui il procedimento sia concluso e non vi siano norme sulla segretezza opponibili, e in quelle tassative fattispecie previste dalla direttiva 2003/04 sull’accesso del pubblico alle informazioni ambientali; casi in cui, tra l’altro, il giudice comunitario ha di recente ricordato che anche se una singola limitazione non può essere prevalente sull’interesse del pubblico alla divulgazione dell’informazione ambientale, quando concorrono più eccezioni allora esse devono essere valutate cumulativamente, perchè se ne apprezzi il peso congiunto, al fine della risoluzione del bilanciamento tra i contrapposti interessi (Corte di Giustizia UE, 28 luglio 2011, causa 71-10).
Altro caso in cui l’accesso può essere negato è quello in cui esso si traduca in un mero sindacato ispettivo sull’attività amministrativa. Anche in materia di “accesso ambientale”, infatti, è stato deciso che la domanda di accesso alle informazioni ambientali può consistere anche in una generica richiesta di informazioni sulle condizioni di un determinato contesto ambientale, purché questo contesto sia specificato e la richiesta appunto non sia mirata ad un mero sindacato ispettivo sull’attività dell’amministrazione (Consiglio Stato, sez. VI, 16 febbraio 2007, n. 668, e n. 555 del 10 febbraio 2006, nonché sez. VI – 11 gennaio 2010, n. 24).
Sono pronunce che, lette quali epigoni dell’attuale, confermano a contrario come l’accesso possa fungere a strumento di controllo mirato delle attività cui amministrazioni pubbliche e incaricati di pubblico servizio sono tenute, comprese quelle di monitoraggio, analisi e apprestamento degli interventi necessari per fronteggiare situazioni di inquinamento o compromissione ambientale da cui si originino danni anche in capo a soggetti diversi dalla classiche associazioni ambientaliste non profit.
* Avvocato in Bergamo
Note:
1 DONATA BORGONOVO RE, Informazione ambientale e diritto di accesso, in Codice dell’ambiente, (a cura di) Stefano Nespor e Ada Lucia De Cesaris, Giuffrè Ed., Milano, 2009; ENZO PELOSI, Rafforzamento dell’accesso all’informazione ambientale alla luce della direttiva 2003/4/CE, in Rivista giuridica dell’ambiente, 2004, 1, p. 23; AA.VV, Informazione ambientale e diritto di accesso, (a cura di) Giorgio Recchia, Cedam 2007.