Anno: 2017 | Autore: AA. VV.

 


IL QUADRO NORMATIVO E GIURISPRUDENZIALE DI RIFERIMENTO 
 

 
L’in house providing è un istituto di origine pretoria. Pertanto, preliminarmente alla ricostruzione del contesto normativo di riferimento, si ritiene necessario richiamare sinteticamente i principali passi dell’evoluzione giurisprudenziale di tale istituto, con particolare riferimento alle pronunce della Corte di giustizia dell’Unione europea. Successivamente, si darà conto delle innovazioni apportate dalle ultime direttive europee di settore, per poi illustrare come tali novità siano state trasposte nel nuovo codice degli appalti di cui al d.lgs. n. 50/2016.
 
La giurisprudenza comunitaria e nazionale in tema di in house providing
 
Con l’espressione «in house providing» si fa riferimento all’affidamento da parte di un ente pubblico di un appalto o di una concessione in favore di una società controllata dall’ente medesimo, senza ricorso alle procedure di evidenza pubblica, in virtù della peculiare relazione intercorrente tra l’ente pubblico e il soggetto affidatario, per cui quest’ultimo – nonostante sia una persona giuridicamente distinta – può essere qualificato come una «derivazione» o una longa manus dell’amministrazione. Si tratta di un istituto creato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. In particolare, la giurisprudenza ha riconosciuto la legittimità dell’affidamento diretto (senza gara) di appalti e concessioni tutte le volte in cui l’organismo affidatario, ancorché dotato di autonoma personalità giuridica, presenti connotazioni tali da giustificare la sua equiparazione a un «ufficio interno» dell’amministrazione affidante. In tali casi, il rapporto tra i due enti (affidante e affidatario) è solo apparentemente un rapporto intersoggettivo, configurandosi di fatto come un rapporto di delegazione interorganica. Conseguentemente, la Corte ha ritenuto che in presenza di tale relazione – di cui ha precisato presupporti e limiti – non si configura un ricorso delle amministrazioni al mercato finalizzato all’approvvigionamento di beni o servizi (outsourcing) ma una forma di «autoproduzione» di quei beni o servizi mediante strumenti propri (in house). L’autoproduzione, escludendo la concorrenza per il mercato e un rapporto contrattuale in senso stretto tra due soggetti distinti, giustifica la sottrazione di tali affidamenti alle regole dell’evidenza pubblica senza che ciò comporti una violazione dei principi del Trattato. La Corte, a partire dalla nota sentenza sul caso Teckal S.r.l. (18 novembre 1999, causa C-107/98), ha individuato due condizioni, poi costantemente ribadite con le pronunce successive, che devono essere presenti per poter legittimamente sostenere la ricorrenza di un rapporto di in house tra l’ente affidante e l’ente affidatario (e, quindi, l’affidamento senza gara):
a) il controllo analogo, ossia una situazione nella quale l’ente affidante sia in grado di esercitare sul soggetto affidatario un controllo analogo a quello che lo stesso ente esercita sui propri «servizi interni»;
b) che il destinatario dell’affidamento diretto svolga la parte più importante della propria attività in favore dell’ente che esercita su di esso il controllo.
 
In ordine al requisito del controllo analogo la Corte ha chiarito che per poterne affermarne la ricorrenza occorre:
– una partecipazione pubblica totalitaria nella società affidataria (Corte di Giustizia UE, 11 gennaio 2005, causa C-26/03 e, da ultimo, 19 giugno 2014, causa C-574/12), ritenendo che la partecipazione, anche minoritaria, di un’impresa privata esclude che l’amministrazione possa esercitare un controllo analogo, dal momento che qualunque investimento di capitale privato in un’impresa obbedisce a considerazioni proprie degli interessi privati e persegue obiettivi differenti rispetto a quelli di interesse pubblico perseguiti dall’amministrazione; inoltre, l’impresa privata presente nel capitale della società affidataria riceverebbe un vantaggio rispetto ai suoi concorrenti, pregiudicando i principi di concorrenza libera e di parità di trattamento;
– la presenza di strumenti di controllo da parte dell’ente pubblico più incisivi rispetto a quelli previsti dal diritto civile a favore del socio totalitario, dovendo l’amministrazione aggiudicatrice essere in grado di esercitare un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti dell’ente affidatario e il controllo esercitato deve essere effettivo, strutturale e funzionale (Corte di Giustizia UE, sez. III, sentenza 29 novembre 2012, C-182/11 e C
-183/11). In tal caso, la capacità dell’ente controllante di influire sul funzionamento del soggetto affidatario e l’assenza di autonomia che ne deriva per quest’ultimo consentono di negare qualsiasi concretezza al contratto stipulato tra i due.
 
Inoltre, la Corte di Giustizia ha riconosciuto anche la possibilità di un controllo congiunto, ossia che il controllo analogo sia esercitato congiuntamente da più autorità pubbliche che possiedono in comune l’entità affidataria, non essendo necessario che ciascuna di esse detenga da sola un potere di controllo individuale su tale entità (Cortedi Giustizia UE, 13 novembre 2008, causa C-324/07, Coditel Brabant; 29 novembre 2012, cause C-182/11e e C-183/11, Econord,secondo cui il controllo congiunto è soddisfatto qualora ciascuna delle autorità pubbliche partecipi sia al capitale sia agli organi direttivi dell’entità incaricata di adempiere compiti di servizio pubblico ad esse spettanti).
 
Con riferimento al concetto di «attività prevalente», la Corte di Giustizia ha stabilito che occorre considerare che il fatturato determinante è rappresentato da quello che l’impresa in questione realizza in virtù delle decisioni di affidamento adottate dall’ente controllante, compreso quello ottenuto con gli utenti in attuazione di tali decisioni. Infatti, le attività di un’impresa aggiudicataria da prendere in considerazione sono tutte quelle che quest’ultima realizza nell’ambito di un affidamento effettuato dall’amministrazione aggiudicatrice, indipendentemente dal fatto che il destinatario sia la stessa amministrazione aggiudicatrice o l’utente delle prestazioni (Corte di Giustizia UE, 11 maggio 2006, Carbotermo e  Consorzio Alisei, causa C-340/04).
 
I requisiti dell’in house providing sopra descritti, costituendo un’eccezione alle regole generali del diritto comunitario, vanno interpretati restrittivamente (Corte di Giustizia CE, 6 aprile 2006, causa C-410/04).

La giurisprudenza nazionale ha ribadito nelle proprie pronunce i principi generali affermati dalla Corte di Giustizia UE in tema di in house providing, delineando le coordinate di riferimento del concetto di prevalenza dell’attività svolta per l’amministrazione affidante e i contorni essenziali della nozione di controllo analogo (v. ex multis Cons. St., Ad. pl., 3 marzo 2008, n. 1). In particolare, è stato affermato che:
a) lo statuto della società non deve consentire che una quota del capitale sociale, anche minoritaria, possa essere alienata a soggetti privati (Cons. Stato, sez. V, 30 agosto 2006, n. 5072);
b) il consiglio di amministrazione della società non deve avere rilevanti poteri gestionali e all’ente pubblico controllante deve essere consentito esercitare poteri maggiori rispetto a quelli che il diritto societario riconosce normalmente alla maggioranza sociale (Cons. Stato, sez. VI, 3 aprile 2007, n. 1514);
c) l’impresa non deve avere acquisito una vocazione commerciale che rende precario il controllo dell’ente pubblico e che risulterebbe, tra l’altro: dall’ampliamento dell’oggetto sociale; dall’apertura obbligatoria della società, a breve termine, ad altri capitali; dall’espansione territoriale dell’attività d ella società all’estero (v. Cons. St., Ad. pl., 3 marzo 2008, n. 1, che richiama C. giust. CE: 10 novembre 2005, C -29/04, Mödling o Commissione c. Austria; 13 ottobre 2005, C-458/03, Parking Brixen);
d) le decisioni più importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante (Cons. Stato, sez. V, 8 gennaio 2007, n. 5, che ha affermato che se il consiglio di amministrazione ha poteri ordinari non si può ritenere sussistente un controllo analogo).
 
Ne consegue che l’in house ricorre se l’organismo affidatario si trova in condizioni di soggezione nei confronti dell’ente affidante che è in grado di determinarne le scelte e se è sotto l’influenza dominante dell’ente. In tema di controllo congiunto (per il quale la dottrina utilizza anche le espressioni di «in house frazionato» o «pluripartecipato»), la giurisprudenza italiana ha chiarito che ciò che rileva non è la configurabilità di un controllo totale e assoluto di ciascun ente pubblico sull’intera società, ma che, in forza di idonei strumenti giuridici, ciascun ente sia in grado di assumere il ruolo di dominus nelle decisioni operative rilevanti circa il frammento di gestione relativo al proprio territorio (in tal senso cfr. T.A.R. Lombardia – Brescia, II, 23.9.2013, n. 780). Ad ogni modo, il controllo della mano pubblica sull’ente affidatario deve essere prima di tutto effettivo.
 
Al riguardo, si è ritenuto essenziale il concorso dei seguenti ulteriori fattori, tutti idonei a concretizzare una forma di controllo che sia effettiva, e non solo formale o apparente (v. Cons. giust. amm. reg. sic. 4 settembre 2007, n. 719):
a) il controllo del bilancio;
b) il controllo sulla qualità dell’amministrazione;
c) la spettanza di poteri ispettivi diretti e concreti;
d) la totale dipendenza dell’affidatario diretto in tema di strategie e politiche aziendali.
 
Le nuove direttive europee in materia di appalti e concessioni L’istituto dell’in house providing ha ricevuto una prima codificazione normativa con il nuovo pacchetto di direttive europee sugli appalti e le concessioni del 2014. Le direttive europee, sebbene non utilizzino l’espressione «in house», regolano tale istituto con riguardo alle concessioni tra enti nell’ambito del settore pubblico di cui all’art. 17 della direttiva concessioni 2014/23/UE , agli appalti pubblici tra enti nell’ambito del settore pubblico di cui all’art. 12 della direttiva appalti 2014/24/UE e agli appalti tra amministrazioni aggiudicatrici di cui all’art. 28 della direttiva settori speciali 2014/25/UE, con disposizioni pressoché di analogo tenore. In tali articoli i principi precedentemente affermati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di in house sono stati in gran parte recepiti con alcune precisazioni e novità.
 
In particolare, il legislatore europeo, dopo aver ribadito la libertà degli Stati membri in ordine alla scelta tra l’autoproduzione di beni e servizi e l’esternalizzazione degli stessi, prevede l’applicazione delle nuove direttive solo nei casi in cui le amministrazioni decidano di rivolgersi al mercato e individua negli articoli sopra richiamati gli ambiti esclusi dall’applicazione delle stesse.
 
Al paragrafo 1 dell’art. 12 della Direttiva 2014/24/UE sono elencate le condizioni, di seguito riportate, che devono essere contemporaneamente soddisfatte affinché possa essere escluso dall’ambito di applicazione della direttiva l’affidamento di un appalto da parte di un’amministrazione aggiudicatrice a una persona giuridica di diritto pubblico o privato:
a) l’amministrazione aggiudicatrice esercita sulla persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi;
b) oltre l’80 % delle attività della persona giuridica con trollata sono effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore di cui trattasi;
c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.
 
La prima novità rispetto alle regole fissate dalla giurisprudenza europea riguarda il requisito della partecipazione pubblica totalitaria: sono esclusi, infatti, gli obblighi di evidenza pubblica disciplinati dalle nuove direttive europee non solo in caso di affidamenti a soggetti interamente partecipati dal soggetto pubblico committente ma anche in caso di affidamenti a soggetti che presentano partecipazioni di capitali privati, purché siano osservate le condizioni prescritte dal legislatore europeo (ossia, che tali partecipazioni private non comportino controllo o potere di veto, che siano prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati e che non determino un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata).
 
Sul punto, il considerando 32 della dir. 2014/24/UE fornisce ulteriori indicazioni. Il legislatore europeo osserva, infatti, che – in via generale – in caso di partecipazione diretta di un operatore economico privato al capitale della persona giuridica controllata, l’aggiudicazione di un appalto pubblico senza una procedura competitiva offrirebbe all’operatore economico privato che detiene una partecipazione nel capitale della persona giuridica controllata un indebito vantaggio rispetto ai suoi concorrenti. Tuttavia, «date le particolari caratteristiche degli organismi pubblici con partecipazione obbligatoria, quali le organizzazioni responsabili della gestione o dell’esercizio di taluni servizi pubblici, ciò non dovrebbe valere nei casi in cui la partecipazione di determinati operatori economici privati al capitale della persona giuridica controllata è resa obbligatoria da una disposizione legislativa nazionale in conformità dei trattati, a condizione che si tratti di una partecipazione che non comporta controllo o potere di veto e che non conferisca un’influenza determinante sulle decisioni della persona giuridica controllata». In tale considerando si chiarisce, quindi, che il legislatore europeo intende riferirsi esclusivamente ai casi in cui la partecipazione di privati al capitale della società pubblica è resa «obbligatoria» da una disposizione legislativa nazionale. Si aggiunge altresì che ad essere rilevante è esclusivamente la partecipazione privata diretta al capitale della persona giuridica controllata e non anche la partecipazione di capitali privati nell’amministrazione aggiudicatrice controllante. In tale ultimo caso, quindi, non è preclusa l’aggiudicazione di appalti pubblici alla persona giuridica controllata, senza applicare le procedure previste dalla presente direttiva, in quanto tali partecipazioni non incidono negativamente sulla concorrenza tra operatori economici privati.
 
La seconda novità riguarda il requisito della prevalenza dell’attività svolta dalla società in house: è stato fissato, infatti, nell’80% il valore quantitativo dell’attività da svolgere in favore del soggetto controllante. Al riguardo, il legislatore ha precisato che per la determinazione di tale percentuale si prende in considerazione il fatturato totale medio, o una idonea misura alternativa basata sull’attività, quali i costi sostenuti dalla persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice in questione nei campi dei servizi, delle forniture e dei lavori per i tre anni precedenti l’aggiudicazione dell’appalto. Se, a causa della data di costituzione o di inizio dell’attività della persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice in questione, ovvero a causa della riorganizzazione delle su e attività, il fatturato, o la misura alternativa basata sull’attività, quali i costi, non è disponibile per i tre anni precedenti o non è più pertinente, è sufficiente dimostrare, segnatamente in base a proiezioni dell’attività, che la misura dell’attività è credibile.
 
Le direttive europee forniscono, inoltre, una compiuta definizione del «controllo analogo», nella quale sono recepiti gli ultimi arresti in materia della giurisprudenza della Corte di Giustizia (Corte di Giustizia, Sez. V, 8 maggio 2014, causa C-15/13).
 
Il controllo analogo ricorre quando l’amministrazione aggiudicatrice esercita un’influenza decisiva sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative della persona giuridica controllata. Occorre evidenziare, altresì, l’espresso riconoscimento normativo da parte del legislatore europeo di differenti modi di configurazione dell’istituto dell’in house. All’art. 12, par. 1, Dir. 2014/24/UE è previsto il cd in house «a cascata», che ricorre quanto il controllo analogo è esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall’amministrazione aggiudicatrice. In tal caso, c’è un’amministrazione capofila che esercita un controllo analogo su un ente che, a sua volta, esercita un controllo analogo sulla società in house ed è consentito l’affidamento diretto anche se tra l’amministrazione capofila e la società in house non sussiste una relazione diretta.
 
Al paragrafo 2 della Dir. 2014/24/UE è riconosciuto, inoltre, il cd. «in house verticale invertito» o «in house capovolto», che ricorre quando una persona giuridica controllata, che è un’amministrazione aggiudicatrice, aggiudica un appalto alla propria amministrazione aggiudicatrice controllante. Pertanto, è consentita una sorta di bidirezionalità dell’affidamento in house. Al medesimo paragrafo è prevista anche la legittimità del cd. «in house orizzontale», che ricorre quando una persona giuridica controllata, che è un’amministrazione aggiudicatrice, aggiudica un appalto a un altro soggetto giuridico controllato dalla stessa amministrazione aggiudicatrice, a condizione che nella persona giuridica alla quale viene aggiudicato l’appalto pubblico non vi sia alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata. In tal caso, ritorna come nel caso dell’affidamento in house a cascata, la presenza di tre soggetti. Tuttavia tra il soggetto che affida l’appalto e quello affidatario non sussiste una relazione di in house, nemmeno indiretta o a cascata, ma entrambi sono in relazione in house con un terzo soggetto che esercita il controllo analogo su entrambi.
 
 
Il d.lgs. 50/2016 di attuazione delle Direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25 UE in materia di concessioni e appalti pubblici.
 
Le disposizioni codicistiche in materia di affidamenti in house ricalca no sostanzialmente le previsioni delle direttive europee, riprendendo i principi ivi affermati con riferimento al controllo analogo, all’attività prevalente in favore dell’amministrazione controllante e, seppur con qualche significativa differenza, alla partecipazione dei privati.
In particolare, l’art. 5 del Codice, che disciplina i principi comuni in materia di esclusione per appalti, concessioni e accordi tra enti e amministrazioni aggiudicatrici, individua i presupposti al ricorrere dei quali gli affida menti effettuati da un’amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore ad una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato (c.d. in house «classico» ) sono sottratti all’applicazione del Codice e possono quindi avvenire con affidamento diretto. I presupposti individuati dalla norma ricalcano quelli previsti a livello europeo:
a) l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore esercita sulla persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi;
b) oltre l’80 per cento delle attività della persona giuridica controllata è effettuata nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore di cui trattasi;
c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati previste dalla legislazione nazionale, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.
 
Il controllo analogo sussiste quando un’amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore esercita un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici (es. decisioni riguardanti la produzione, la fissazione dei prezzi, gli investimenti o la destinazione degli utili) che sulle decisioni significative della persona giuridica controllata.
 
Il Codice ammette espressamente le varianti dell’in house «a cascata» (art. 5, comma 2) e dell’in house «invertito» (art. 5, comma 3) prevedendo, in tale ultimo caso, che eventuali partecipazioni di privati al capitale sociale della società in house siano prescritte dalla legge e non comportino l’esercizio di un controllo o di un potere di veto, né un’influenza determinante. Infine, al comma 4 dell’articolo in esame, è ammessa la configurabilità dell’in house «frazionato» che ricorre allorquando più amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori esercitano su una persona giuridica un controllo congiunto che si desume dalla contemporanea sussistenza di tutte le seguenti condizioni:
a) gli organi decisionali della persona giuridica controllata sono composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti. Singoli rappresentanti possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti;
b) tali amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori sono in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica;
c) la persona giuridica controllata non persegue interessi contrari a quelli delle amministrazioni aggiudicatrici o degli enti aggiudicatori controllanti.
 
In tale fattispecie dovrà verificarsi che l’esercizio dell’influenza determinante sia effettivamente congiunto e non venga svolto, invece, esclusivamente dall’amministrazione o dalle amministrazioni che detengono la partecipazione maggioritaria.
 
Con riferimento al requisito dello svolgimento della prevalente attività in favore dell’amministrazione controllante, il Codice – dando attuazione alla direttiva – individua per la prima volta la soglia al di sotto della qua le l’attività svolta dalla società controllata nell’interesse dell’ente affidante non può dirsi prevalente e fornisce indicazioni operative finalizzate alla determinazione della percentuale minima individuata (oltre l’80%). Stabilisce, altresì, che debba essere preso a riferimento il fatturato totale medio o altra misura alternativa basata sull’attività, entrambi riferiti al triennio precedente l’aggiudicazione dell’appalto o della concessione. La norma replica, inoltre, la previsione europea secondo cui, se a causa della costituzione della società in house in epoca antecedente al triennio o dell’intervenuta riorganizzazione della relativa attività i dati di cui sopra non siano disponibili, è sufficiente la dimostrazione, effettuata sulla base di proiezioni, della credibilità della misura dell’attività.
 
Riguardo alla partecipazione dei privati si registra una differenza lessicale rispetto alla previsione delle Direttive. L’art. 5, comma 1, lett. c) prevede, infatti, che nella persona giuridica controllata non debba esserci alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione delle forme di partecipazione di capitali privati «previste» dalla legislazione nazionale, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata. Le direttive, invece, fanno riferimento a forme di partecipazione di capitali privati «prescritte» dalle disposizioni legislative nazionali in conformità dei trattati. La differenza non è solo testuale: il riferimento alla «prescrizione» contenuto nelle direttive comporta che la partecipazione da parte di privati nelle società in house è ammessa solo se imposta (e non anche soltanto consentita) dalle disposizioni di legge nazionale (così come chiarito nel considerando 32 del la dir. 2014/24/UE, sopra richiamato). Il dubbio interpretativo è ad ogni modo fugato dalla previsione del decreto legislativo 175/2016 che, all’art. 16, consente affidamenti diretti alle società in house soltanto se non vi sia partecipazione di privati, riproponendo l’eccezione riferita a lle ipotesi di partecipazioni «prescritte» da disposizioni di legge.
 
Del resto, è da osservare che anche lo stesso art. 5, al comma 3, laddove descrive l’in house invertito, fa riferimento alla «prescrizione» di partecipazione di capitali privati da parte della legislazione nazionale e non alla semplice previsione della partecipazione. Pertanto, si ritiene che anche la previsione di cui al comma 1, dell’art. 5, debba essere interpretata nel senso indicato dalle direttive, non apparendo giustificata una diversa disciplina delle due tipologie di affidamento in house e viste le previsioni del T.U. sulle società partecipate.
 
A parte il sopra descritto art. 5, il Codice disciplina gli affidamenti in house anche nella Parte IV dedicata al partenariato pubblico privato e al contraente generale e, in particolare, nel Titolo II, all’art. 192.
 
La norma introduce una serie di garanzie finalizzate a controbilanciare la possibilità di procedere ad affidamenti diretti con la previsione di adeguate forme di pubblicità e trasparenza (iscrizione nell’elenco istituito presso l’ANAC e obbligo di pubblicazione e aggiornamento di tutti i dati concernenti l’affidamento), oltre che il rispetto dei principi di economicità ed efficienza (richiedendo la preventiva valutazione di congruità economica dell’offerta dei soggetti in house in caso di servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza). Con particolare riferimento all’elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house, la norma in esame prevede che l’iscrizione avvenga a domanda, dopo la verifica della sussistenza dei requisiti che giustificano l’affidamento in house, da effettuarsi secondo modalità e criteri definiti dall’Autorità con proprio atto.
  
 
Il D.lgs. n.175/2016 – Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica.
  
Le disposizioni del Codice vanno coordinate con le previsioni del d.lgs. 175/2016 e, in particolare, con l’art. 4, che individua le finalità perseguibili mediante l’acquisizione e la gestione di partecipazioni pubbliche e l’art. 16 che reca la disciplina delle società in house.
L’art. 4, al comma 4, stabilisce che le società in house hanno come oggetto sociale esclusivo una o più delle attività di cui al comma 2, lettere a), b), d) ed e) del medesimo articolo. Pertanto, dette società possono occuparsi:
– della produzione di un servizio di interesse generale*, ivi compresa la realizzazione e la gestione delle reti e degli impianti funzionali ai servizi medesimi;
– della progettazione e realizzazione di un’opera pubblica sulla base di un accordo di programma fra amministrazioni pubbliche ai sensi dell’art. 193 del d.lgs. n. 50/2016;
– dell’autoproduzione di beni o servizi strumentali all’ente partecipante;
– di servizi di committenza, ivi compresa la committenza ausiliaria, apprestati a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici.
 
La disposizione precisa altresì che tali società operano in via prevalente con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, salvo quanto previsto dall’art. 16. Detto art. 16, infatti, oltre a prevedere – in conformità al Codice – che oltre l’80% del fatturato delle società in house sia effettuato nello svolgimento dei compiti a esse affidati dall’ente pubblico o dagli enti pubblici soci, fornisce ulteriori indicazioni sulla possibilità di svolgimento della « produzione ulteriore» (per la residua quota inferiore al 20%) stabilendo che tale attività è consentita soltanto a condizione che la stessa permetta di conseguire economie di scala o altri recuperi di efficienza sul complesso dell’attività principale della società. Il mancato rispetto del limite quantitativo descritto non comporta lo scioglimento del rapporto, ma configura una grave irregolarità ai sensi dell’art. 2409 del cod. civ. e dell’art. 15 del T.U. A detta situazione consegue, quindi, la possibilità di denunziare i fatti al tribunale competente da parte de i soci che rappresentano le percentuali del capitale sociale previste dalla norma o dallo statuto, del collegio sindacale, del consiglio di sorveglianza o del comitato per il controllo sulla gestione, nonché, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, del pubblico ministero. All’esito della denuncia, il tribunale può ordinare l’ispezione dell’amministrazione della società oppure, sospendere temporaneamente il procedimento se l’assemblea sostituisce gli amministratori e i sindaci con soggetti di adeguata professionalità, che si attivano senza indugio per accertare se le violazioni sussistono e, incaso positivo, per eliminarle, riferendo al tribunale sugli accertamenti e le attività compiute. Se le violazioni denunziate sussistono ovvero se gli accertamenti e le attività compiute ai sensi del terzo comma risultano insufficienti alla loro eliminazione, il tribunale può disporre gli opportuni provvedimenti provvisori e convocare l’assemblea per le conseguenti deliberazioni. Nei casi più gravi può revocare gli amministratori ed eventualmente anche i sindaci e nominare un amministratore giudiziario, determinandone i poteri e la durata.
 
L’art. 16 prevede, inoltre, che la suddetta irregolarità possa essere sanata ricorrendo, nel termine di tre mesi, a due possibilità alternative: la rinuncia a una parte dei rapporti di fornitura con soggetti terzi, risolvendo i relativi rapporti contrattuali, oppure la rinuncia agli affidamenti diretti da parte dell’ente pubblico socio, sciogliendo i relativi rapporti. In questo caso, le attività che erano state affidate alla società controllata devono essere riaffidate mediante procedure competitive nei sei mesi successivi allo scioglimento del rapporto contrattuale. Al fine di garantire la continuità nell’erogazione dell’attività oggetto di affidamento alla società in house, è previsto che nelle more dello svolgimento delle procedure di gara, la società controllata continui ad eseguire il contratto. La norma stabilisce, altresì, che le società in house sono tenute all’acquisto di lavori, servizi e forniture con le procedure previste dal D.lgs. n.50/2016 e fa salvo il disposto dell’art. 192 del Codice medesimo.
 
Giova richiamare, infine, l’art. 26 che stabilisce che le società a controllo pubblico già costituite all’atto dell’entrata in vigore del Testo Unico adeguano i propri statuti alle disposizioni contenute nel predetto decreto entro il 31 dicembre 2016 (tale termine è esteso al 31 dicembre 2017 per le società miste costituite per le finalità di cui all’art. 4, comma 2, lett. c), che tuttavia non possono costituire oggetto sociale degli organismi in house ai sensi del medesimo art. 4, comma 4).
 
 
* L’art. 2, lett h) del d.lgs. 175/2016 definisce i «servizi di interesse generale» come le «attività di produzione e fornitura di beni e servizi che non sarebbero svolte dal mercato senza un intervento pubblico o sarebbero svolte a condizioni differenti in termini di accessibilità fisica ed economica, continuità, non discriminazione, qualità e sicurezza che le amministrazioni pubbliche, nell’ambito delle rispettive competenze, ass umono come necessarie per assicurare la soddisfazione dei bisogni della collettività di riferimento, così da garantire l’omogeneità dello sviluppo e della coesione sociale, ivi inclusi i servizi di interesse economico generale».