Anno: 2013 | Autore: SALVATORE RUBERTI

 

Art. 260 del D.Lgs. n. 152 del 2006: l’abitualità e la quantità ingente di rifiuti nella valutazione unitaria dei requisiti della condotta illecita.

SALVATORE RUBERTI

La massima
Nel delitto contemplato dall’articolo 260 del d.lgs. 152/06 ritiene, tuttavia, la Corte che l’apprezzamento circa la soglia minima di rilevanza penale della condotta debba essere effettuato non soltanto attraverso il riferimento al mero dato numerico, ma, ovviamente, anche considerando gli ulteriori rimandi, contenuti nella norma a <più operazioni> ed all’<allestimento di mezzi ed attività continuative organizzate> finalizzate all’abusiva gestione di ingenti quantità di rifiuti.
…Inoltre, i requisiti della condotta indicati dalla legge – compimento di più operazioni e allestimento di mezzi ed attività continuative organizzate, attività di ricezione, concessione, trasporto, importazione, esportazione e comunque gestione abusiva di rifiuti, quantitativo ingente di rifiuti e finalità di ingiusto profitto – vanno considerati unitariamente e non singolarmente.

Con la sentenza n. 47229 del 6 dicembre del 2012, la Cassazione penale ha chiarito che la definizione e la precisa individuazione degli elementi oggettivi del reato deve essere raggiunta per il tramite di una valutazione unitaria di tutti i requisiti della condotta e sempre nell’ottica della finalità della norma in oggetto.

1. Gli elementi costitutivi della gestione abusiva di ingenti quantità di rifiuti
Il reato ex art. 260 del D.Lgs. n. 152 del 2006 sanziona chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti.
Il reato in oggetto si presenta come un illecito comune e monosogettivo; ciò significa che qualunque persona è potenzialmente dotata della capacità penale di mettere in atto un traffico illecito di rifiuti ed è un reato che può essere commesso da un solo soggetto come da una pluralità di persone.1
Si tratta, altresì, di un reato abituale perché la condotta si realizza con una reiterazione intervallata di più comportamenti tra loro identici o, comunque, omogenei collegati dal nesso dell’abitualità ed orientati verso un’unica intenzione criminosa.
La condotta incriminata viene in essere per mezzo di tutte le condotte commissive e/o omissive considerate nel loro insieme.
Per quanto riguarda il bene tutelato, è pacifico che il reato ex art. 260 D.Lgs. n. 152/06 offenda e comprometta la pubblica incolumità2 ma non vi è motivo di disattendere l’opinione secondo la quale, l’ulteriore bene protetto dalla norma, sia da rinvenire nella garanzia di efficacia dell’azione della PA preposta ai controlli ed alle funzioni competenti.
Si tratta, inoltre, di un reato di pericolo presunto in quanto la pericolosità alla quale il bene o i beni tutelati sono esposti si presume già in sede legislativa: una volta messa in essere, la condotta incriminata esprime un potenziale lesivo sufficiente perché si ricorra alla tutela in sede penale.
Un ultimo elemento costitutivo del reato è rappresentato dal luogo da identificarsi nella località in cui avviene la reiterazione delle condotte illecite.
Per meglio comprendere la portata del reato di traffico illecito di rifiuti è opportuno soffermarsi, brevemente, su tre requisiti della condotta descritta dalla norma penale, ossia: l’ingiusto profitto, la qualifica di “abusiva” della gestione dei rifiuti e la “quantità ingente” di materiale di scarto movimentato.
In merito al reato in oggetto, il legislatore ha disciplinato l’illecito penale ponendo, quali elementi fondanti, sia l’offesa del bene giuridico tutelato sia il profitto del reo; viene, cioè, evidenziato lo stretto legame tra un danno di natura ambientale, all’incolumità pubblica e alla compromissione dell’azione della PA e il vantaggio che il soggetto attivo consegue.
Il legislatore vuole evitare o punire la lesione al bene giuridico protetto e, al contempo, sanzionare l’illecito profitto che deriva dall’offesa perpetrata.
La Cassazione penale ha specificato che il profitto che deriva dall’attività illecita (ed per questo considerato ingiusto) non deve avere necessariamente carattere patrimoniale perché ben si può risolvere in altri concreti vantaggi.3
Un ingiusto profitto sarà, dunque, anche un risparmio in ordine ai costi dello smaltimento dei rifiuti quanto gli stessi non sono stoccati secondo le disposizioni di legge.4
La norma prescrive che la gestione dell’attività deve avvenire abusivamente; sul punto non vi sono grossi problemi interpretativi tenuto conto che il connotato di abusiva è dato dalla mancanza delle autorizzazioni  o comunicazioni previste dalla legge o quando, anche se presenti siano scadute o palesemente falsificate.
Sul termine “abusivamente” la Cassazione ha avuto modo di chiarire che rappresenta un esplicito richiamo alla mancanza di autorizzazione, che determina l’illiceità della gestione organizzata e costituisce l’essenza del  traffico illecito di rifiuti.5
In tal senso, si suole parlare di attività contra legem ricomprendendo anche i casi, purtroppo non isolati, nei quali è ignota la destinazione finale conferita ai rifiuti.
La casistica in merito alle principali attività organizzative rilevanti per il reato in oggetto è alquanto ampia ma, sicuramente, una delle più ricorrenti è la cosiddetta “ripulitura” formale dei rifiuti: in pratica si organizzano una serie di trasporti articolati a livello nazionale con una serie di passaggi intermedi ch servono per far passare i rifiuti sotto altri codici aventi un costo di lavorazione sempre più basso e certamente più conveniente e redditizio rispetto ai rifiuti pericolosi. Una vera e propria declassificazione che avviene a piccoli passi e alla fine i rifiuti così “ripuliti”, vengono smaltiti illegalmente , ma formalmente in modo perfettamente legale. Un altro sistema ancora più disastroso è quello per cui i rifiuti non giungono affatto verso alcun centro. Il viaggio è totalmente virtuale e solo sulla carta, cosicché  le copie dei formulari vengono compilate in modo fittizio e la forma documentale per i controlli è sempre salva, ma i rifiuti non arrivano mai presso il sito finale perché smaltiti illegalmente in modo occulto (sotto terra, in mare, in fognature).6
Nel caso in esame, ad esempio, veniva accertato che sulla documentazione la destinazione finale del materiale era stata modificata indicando una discarica diversa da quella originariamente indicata.
Le analisi chimiche, inoltre, non contenevano le dovute indicazioni utili per risalire all’effettiva natura e provenienza del materiale da stoccare.
Un altro elemento essenziale è l’allestimento di mezzi e attività continuamente organizzate, a fronte di una struttura organizzativa di tipo imprenditoriale, idonea ed adeguata a realizzare l’obiettivo criminoso preso di mira; tale struttura non deve essere necessariamente destinata solo ad attività illecite.
Per quanto attiene al requisito dell’ingente quantitativo di rifiuti, da sempre la dottrina prevalente ha ritenuto che fosse il giudice a doverlo valutare in base a criteri oggettivi, fondati sul mero dato quantitativo; altri invece lo hanno posto in riferimento all’ipotizzabile danno ambientale conseguente alla potenziale dispersione dei rifiuti nel sistema ed ai costi del ripristino ambientale. I La giurisprudenza, come meglio si vedrà in seguito, ha precisato che la nozione di ingente quantitativo deve essere riferito allo stock di materiale complessivamente gestito attraverso una pluralità di operazioni (a nulla rilevando l’eventuale esigua quantità di ogni singolo trasporto)  e che occorre tenere conto della finalità della norma e dell’interesse tutelato.
Secondo l’accusa, nel caso in esame, l’imputato aveva organizzato un’attività con il fine dello smaltimento illecito di ingenti quantità di rifiuti (nello specifico materiale roccioso) i quali erano stati depositati in una discarica inadeguata a ricevere il materiale in oggetto.
Tramite il passaggio attraverso diverse società, i rifiuti finivano per essere stoccati senza il previo e dovuto trattamento; inoltre, la dovuta documentazione inerente le specifiche analisi chimiche del materiale risultava essere contraffatta ed alterata.


2. I motivi di ricorso: la carenza degli elementi oggettivi

Appare necessario un breve richiamo ai motivi di ricorso al fine di meglio argomentare le decisioni prese dalla Cassazione.
Con il secondo motivo di ricorso, il soggetto imputato contestava l’inesistenza del reato per mancanza dell’elemento oggettivo dell’attività organizzata continuativa in quanto le condotte erano venute in essere in un intervallo di tempo così breve da non potersi figurare un reato abituale e che la reiterazione delle condotte, da sola, non è sufficiente a determinare il reato in oggetto.
In ordine al secondo motivo la Cassazione penale ha, in primis, riaffermato la natura di reato abituale dell’articolo 260 del D.Lgs. n. 152 del 2006 riportandosi a due sue precedenti pronunce: sentenza n. 46705 del 2009 e sentenza n. 29619 del 2010.7
La Suprema Corte, richiamandosi alle suddette significative ma non isolate pronunce, ha fermamente ribadito che non vi sono dubbi circa la natura di reato abituale dell’illecito penale ex art. 260 del D.Lgs. n. 152 del 2006  in quanto è integrato necessariamente dalla realizzazione di più comportamenti della stessa specie.
Il delitto in oggetto sanziona quei comportamenti non occasionali messi in atto da coloro che trovano una redditizia fonte di guadagno (ossia di ingiusto profitto) in una gestione di rifiuti non operata in modo illecito e conforme alle prescrizioni di legge.
“Per il perfezionamento del reato, necessita la predisposizione di una vera, sia pure rudimentale, organizzazione professionale (con allestimento di mezzi ed impiego di capitali) con cui gestire in modo continuativo ed illegale, ingenti quantitativi di rifiuti.
Consegue che il delitto implica una pluralità di condotte in continuità temporale –relative ad una o più delle diverse fasi nelle quali si concretizza ordinariamente la gestione dei rifiuti- e più operazioni illegali degli stessi. Queste operazioni, se considerate singolarmente, possono essere inquadrate sotto altre e meno gravi fattispecie, ma valutate in modo globale integrando gli estremi del reato previsto dall’art. 260 DLvo 162/2006; in altre parole, alla pluralità delle azioni, che è elemento costitutivo del fatto, corrisponde una unica violazione di legge.”8
Ricorre un’attività continuativa ed organizzata (in questo aiuta nuovamente quanto la Cassazione ha avuto cura di precisare in un diverso arresto) volta alla cessione, al ricevimento, al trasporto, all’esportazione e all’importazione e, comunque, alla gestione abusiva di ingenti quantitativi di rifiuti al fine di conseguire un ingiusto profitto, non solo quando esistono specifiche violazioni della normativa ambientale, ma anche allorché la condotta abituale, astrattamente e formalmente lecita, si attui in forme non controllabili e, conseguentemente, produttive di rischi per l’interesse tutelato nella norma incriminatrice.9
Pertanto, il reato deve considerarsi abituale dal momento che per il suo perfezionamento è necessaria la realizzazione di più comportamenti della stessa specie.
Il reato abituale si concretizza, dunque, in un sistema di comportamenti ossia un numero minimo di fatti la cui valutazione è affidata alla discrezionalità del Giudice.
Facendo una sorta di mea culpa la Cassazione ammette una lacuna giurisprudenziale in merito alla previsione del numero minimo di condotte che dovrebbero configurare l’abitualità del reato di cui all’articolo 260 D.Lgs. n. 162/06.
Sul punto, la dottrina, unanimemente, afferma che è sufficiente che si siano realizzati due comportamenti commissivi o omissivi perché sia concretamente accertata l’abitualità delle condotte.
Ma la Corte di Cassazione va oltre superando il mero dato fattuale dell’accertamento del numero delle condotte che, nel caso in oggetto, già sarebbero più che sufficienti visto che le indagini hanno accertato lo sversamento di 13 mila tonnellate di materiale in 13 differenti carichi (che si sono interrotti solo a seguito del sequestro della discarica di illecita destinazione).
I Giudici della Cassazione hanno seguito un ragionamento che consente di superare il problema del numero di condotte necessarie per configurare il reato di illecita gestione di rifiuti insistendo sul fatto che ogni elemento contenuto nella previsione legislativa deve essere valutato e considerato congiuntamente con gli altri.
Motivo per cui, appare del tutto conforme alla legge la valutazione dei giudici di merito i quali hanno ben considerato sussistente non solo l’ingente quantitativo (13 mila tonnellate) e la reiterazione delle condotte (13 carichi) ma hanno dimostrato come esistesse un “pianificazione sostanziale” e una “organizzazione strutturale” che si è concretizzata nell’accordo per l’illecito sversamento, nell’allestimento dei mezzi necessari, nella predisposizione della documentazione falsa e contraffatta nonché nei vari passaggi tra diverse società che ben configura il tentativo di voler occultare o rendere difficile il risalire ai veri responsabili.
Bisogna, inoltre, precisare che i mezzi utilizzati per il trasporto del materiale rappresentano lo strumento essenziale che integra gli estremi della fattispecie astratta di reato.
La discarica di destinazione non era idonea per lo stoccaggio dei materiali in oggetto e, tale ostacolo, era stato superato con l’ausilio di documentazioni palesemente contraffatte.
Questo era, in breve, il risultato degli accertamenti eseguiti e dei dati emersi nel corso dei precedenti dibattimenti ed è evidente che anche non limitandosi al numero (comunque rilevante) degli atti posti in essere, quanto emerso riguarda…una condotta plurisussistente sicuramente apprezzabile.
Seguendo tale filo logico, viene meno qualsiasi fondamento all’ulteriore considerazione richiamata dalla difesa in merito alla non configurabilità del reato abituale ex art. 260 D.Lgs. n. 152/06 in relazione al breve periodo di tempo che separava le condotte incriminate con la consequenziale assenza di un’attività organizzata continuativa.
Basti semplicemente richiamare quanto affermato dalla Cassazione la quale è chiara nell’affermare che la rilevanza penale del comportamento del reo deve essere valutata non solo in ordine alla reiterazione delle condotte ma, anche, in ordine agli altri elementi indicati nella suddetta norma, ossia: “più operazioni”; “allestimento di mezzi”; “abusiva gestione” e “ ingente quantità di rifiuti”.
Alla luce di questo importante principio di “valutazione complessiva ed unitaria” degli elementi della condotta indicati dalla legge, i Giudici della Corte di Cassazione dimostrano di non sottovalutare l’importanza di un accertamento analitico della condotta incriminata la quale deve, di per sé, già contenere una carica di offesa e pericolosità sufficiente a dare rilevanza penale al comportamento incriminato, stante la natura di reato di pericolo presunto del traffico illecito di rifiuti.
 


3. La Cassazione disattende la presunta mancato accertamento di un quantitativo ingente di rifiuti

Con il terzo motivo, il ricorrente respingeva le accuse in ordine all’ingente quantitativo di rifiuti che non sarebbe stato accertato in fase d’indagine.
Si tratta di un ulteriore rilievo della difesa che non è sufficiente a disattendere l’argomentazione sopra richiamata; ad ogni buon conto, i giudici della Cassazione puntualizzano che l’ingente quantità, richiamata dalla norma in esame, sfugge a una valutazione puramente di misura in quanto si tratta di  una stima che non può prescindere dalla finalità della disposizione e da un calcolo che non tenga conto di tutte le operazioni effettuate le quali, prese singolarmente, potrebbero anche essere di quantità irrilevanti ma sommate tra loro raggiungono “quell’ingente quantità” che la norma richiede per la configurazione del reato.
La giurisprudenza della Cassazione penale non ha mai limitato il dato dell’ingente quantità in un preciso ammontare ma ha preferito riportarsi a valutazioni che tenessero conto dei casi concreti e delle loro dinamiche nonché dalla comparazione con le atre figure di contravvenzioni.10
In un suo arresto, la Cassazione ha formalizzato un concetto che rappresenta un dato puntualmente richiamato da altre successive sentenze nelle quali i giudici sono stati chiamati a pronunciarsi sul dato del quantitativo ingente dei rifiuti; ebbene, la Suprema Corte ha specificato che l’ingente quantità dev’essere accertata e valutata con riferimento al dato oggettivo della mole dei rifiuti non autorizzati abusivamente gestiti.11
Ad ogni modo, la quantità ingente di rifiuti rappresenta un dato essenziale per la configurazione del reato e, anche se non è mai stato indicato un quantitativo minimo è pur vero che la Cassazione ha tenuto a precisare l’essenzialità dell’accertamento di una quantità rilevante di materiale di scarto individuata in un cospicuo accumulo di rifiuti…”indipendentemente dall’effettiva e concreta implicazione dei singoli carichi inquinanti…”12
Nel caso in oggetto la Cassazione penale si è riportata anche ad una sua precedente pronuncia per sgomberare il campo da ogni possibile censura di incostituzionalità in ordine all’indeterminatezza del quantitativo “ingente” contenuta nell’articolo 260 del D.Lgs. n. 152/2006 in riferimento all’articolo 25 della Costituzione.
Anche sotto questo aspetto rileva la coerenza del ragionamento seguito dalla Suprema Corte la quale aveva già avuto modo di stabilire che l’ambito applicativo della suddetta disposizione non presenta problemi in ordine alla sua individuazione perché la nozione di quantità ingente di rifiuti, in un contesto che consideri anche la finalità della norma, va riferita al quantitativo di materiale effettivamente gestito attraverso più operazioni rendendo, di conseguenza, irrilevante la più o meno modesta entità delle singole azioni.13
A titolo di completezza espositiva, bisogna anche segnalare che persiste un minoritaria parte della dottrina la quale insiste nel sostenere che l’elemento oggettivo delle ingenti quantità, appare contraria al principio di tassatività della norma penale, in quanto assolutamente indeterminata, nella parte in cui non è in alcun modo specificata la parametrazione del concetto – sia per qualità che per quantità – di ingenti quantitativi, anche per l’assolutamente generico riferimento all’avverbio abusivamente (oltre che per l’omissione relativa alla tipologia di rifiuti, la cui gestione integrerebbe il delitto in essere).14
L’articolo 260 del D.Lgs. n. 152/2006 contiene alcuni specifici presupposti della condotta incriminata: pluralità di operazioni, mezzi idonei e attività continuative; la presenza di tali elementi oggettivi condurrà inevitabilmente all’esistenza definibile ingente di rifiuti e che, pertanto, è nell’abito della stessa norma che l’interprete può ricavare criteri valutativi di natura oggettiva idonei a circoscrivere l’elasticità del concetto utilizzato dal legislatore.
“Deve, in definitiva, rilevarsi che la nozione di ingenti quantità di rifiuti <conclude la Corte>  non può essere individuata a priori attraverso riferimenti specifici a dati scientifici quali, ad esempio, quello ponderale, dovendosi al contrario basare…su un giudizio complessivo, che tenga conto, anche in questo caso, delle peculiari finalità perseguite dalla norma, della natura del reato e della pericolosità per la salute e l’ambiente e nell’abito del quale l’elemento quantitativo rappresenta solo uno dei parametri di riferimento…”.

1 È escluso, quindi, il concorso necessario; la partecipazione di altri soggetti è possibile, ad esempio, nella realizzazione delle singole attività abusive “senza però contribuire consapevolmente in alcun modo all’allestimento di mezzi ed attività continuative organizzate o al mantenimento delle stesse” Cassazione penale sent. n. 4503 del 3 febbraio 2006. Sulla natura monosoggettiva del reato in oggetto si veda anche Cass. Pen. sent. n. 30847 del 10 luglio 2008 e n. 15630 del 11 gennaio 2011 
2 Cassazione penale, sent. n. 25992 del 9 giugno 2004.
3 Cass. pen. sent. n. 40828 del 10 novembre del 2005.
4 Il c.d. “ingiusto profitto” è configurabile anche nella semplice riduzione dei costi aziendali. Cassazione penale del 4 luglio 2007.
5 Cassazione penale sent. n. 30373 del 13 luglio 2004.
6  M . SANTOLOCI, Il trasporto dei rifiuti, Buffetti Editore, 2002.
7  La sentenza n. 29619 del 2010, nel ribadire che il reato ex art. 260 del D.Lgs. n. 152/2006 è un reato abituale afferma che: “il luogo di consumazione dello stesso, in quanto si concreta nella commissione di una pluralità di operazioni di traffico illecito di rifiuti attraverso l’allestimento di mezzi ed attività continuative organizzate, si identifica con quello in cui avviene la reiterazione delle condotte illecite, in quanto elemento costitutivo del reato.”
8 Cassazione penale, sent. n. 46705 del 3 dicembre 2009.
9  Cassazione penale sent. n. 45598 del 16 dicembre 2005.
10   il quantitativo di rifiuti deve essere “ingente”: l’interprete dovrà valutare caso per caso questo requisito, traendo elementi di comparazione anche dalle previsioni di reati contravvenzionali in tema di rifiuti. Cassazione penale sent. n. 4503 del 3 febbraio 2006.
11  Nel caso in oggetto, la Cassazione, lungi dal determinare un parametro di riferimento per la misura della quantità, è giunta ad un’interessante conclusione affermando che è pienamente accertato il quantitativo ingente di materiale inquinante sversato in un pozzo è pienamente accertato a fronte del grave stato di inquinamento delle acque della falda; la Cassazione desume un’ingente quantità non da un dato puramente numerico bensì dal devastante effetto che il materiale sversato ha avuto sull’ambiente sotterraneo. Cassazione penale sent. n. 30373 del 13 luglio 2004.
12  Cassazione penale sent. n. 45598 del 16 dicembre 2005.
13  Cassazione penale sent. n. 358 del 20 novembre 2007.
14  Per una completa disamina sulle ragioni che inducono tale parte di dottrina a sostenere la propria tesi, si rimanda a V. TUFARIELLO, I delitti ambientali, 2008 pag.ne 237 e 238. E’ sufficiente, in questa sede, riportare quanto scritto dall’autore in ordine al fatto che per tale parte di dottrina, l’abusivo deve essere esplicitamente riferibile a norme di condotta individuate a priori dal legislatore, in modo da renderlo un contenitore in cui farci rientrare qualunque tipologia di reato.