Anno: 2014 | Autore: GIANCARLO ANTONIO FERRO

 

 

Giancarlo A. Ferro*
 

L’accesso dei soggetti disabili al concorso in magistratura: riflessioni a margine di un caso recente

 

 
 
1. I fatti
 
A seguito della pubblicazione del bando di concorso per l’accesso alla carriera dei magistrati ordinari, un candidato affetto da grave disabilità – che lo costringeva a sottoporsi a trattamento emodialitico trisettimanale a giorni alterni con sessioni della durata di cinque ore – aveva presentato istanza al Ministero di giustizia al fine di ottenere lo svolgimento delle prove scritte in giorni non consecutivi.
Rigettata l’istanza, il Ministero con d.m. 7 marzo 2014 fissava il calendario d’esame in tre giorni consecutivi.
Il candidato provvedeva, pertanto, ad impugnare dinnanzi al Tar Lazio il decreto ministeriale de quo e ne richiedeva la sospensione in sede cautelare.
Con ordinanza collegiale n. 2563 del 2014, il giudice capitolino, in accoglimento dell’istanza del ricorrente, disponeva la sospensione.
Secondo il giudice capitolino, infatti, la domanda del ricorrente di articolazione dello svolgimento delle prove scritte in tre giorni non consecutivi non poteva ritenersi in contrasto con nessuna disposizione precettiva di legge. Il r.d. 1860/1925 (e successive modificazioni e integrazioni) non impone, infatti, che le prove scritte si svolgano in tre giorni consecutivi.
In secondo luogo, la scelta dell’Amministrazione non rispondeva ad esigenze indefettibili di garanzia dell’anonimato e del buon andamento della procedura, sotto i profili della trasparenza, linearità e selezione dei migliori.
Inoltre, ad avviso del Tar, le ragioni giustificatrici addotte dall’Amministrazione a fondamento della scelta predetta, connesse a profili di spesa o di organizzazione del lavoro degli addetti alla procedura concorsuale (spese di affitto dei locali, attività di custodia del materiale delle prove ecc.), andavano considerate recessive rispetto alla primaria esigenza di garanzia della possibilità di accesso del ricorrente alle prove in parità di condizioni con gli altri concorrenti.
A tre giorni di distanza, su ricorso del Ministero e sempre in sede cautelare, con decreto presidenziale emesso ai sensi dell’art. 56 c.p.a., la quarta sezione del Consiglio di Stato provvedeva a riformare l’ordinanza del Tar Lazio.
Successivamente allo svolgimento delle prove scritte, è intervenuta l’ordinanza n. 4873/2014, con la quale il Consiglio di Stato in accoglimento delle doglianze ministeriali ha riformato (annullato) la citata ordinanza n. 2563/14 del Tar Lazio, accogliendo l’appello erariale e respingendo, pertanto, l’ordinanza cautelare pronunciata in primo grado.
I giudici di Palazzo Spada hanno, infatti, evidenziato che l’amministrazione aveva pienamente rispettato il dettato dell’art. 16, concedendo al candidato tempi aggiuntivi ed autorizzandolo a farsi sostituire per delega nella consegna dei codici nei giorni precedenti allo svolgimento delle prove.
Il giudice d’appello ha, altresì chiarito che la richiesta di poter svolgere le prove scritte in giorni alterni era da considerarsi del tutto eccessiva rispetto alla situazione sanitaria esistente, in quanto
il trattamento necessario era agevolmente affrontabile, mediante il ricorso alle strutture sanitarie esistenti in Roma che, tra l’altro, operano anche in orari serali del tutto compatibili con lo svolgimento delle prove in esame.
L’amministrazione aveva, dunque, correttamente adempiuto agli obblighi di legge predisponendo le speciali modalità di svolgimento delle prove di esame, senza sacrificare inutilmente le aspettative degli altri concorrenti.
Inoltre, nell’ordinanza in questione è stato evidenziato che, a posteriori, non poteva ravvisarsi alcun profilo di danno, in quanto il candidato aveva, poi, effettivamente sostenuto le prove, consegnando gli elaborati, fruendo, da un lato, del tempo aggiuntivo di un’ora per la redazione di ogni elaborato e, dall’altro, dell’assistenza nefrologica di una casa di cura situata nelle vicinanze della sede di svolgimento delle prove, con relativo collegamento tramite ambulanza privata.
 
 
2. Il contenuto del principio costituzionale del pubblico concorso
 
La vicenda in esame intercetta numerosi principi costituzionali, di cui è opportuno – seppur brevemente – dar conto.
Basti, in primo luogo, osservare che le specifiche misure previste dal legislatore per garantire ai soggetti diversamente abili la partecipazione ai concorsi rappresentano la declinazione in chiave sostanziale del principio di eguaglianza (art. 3 Cost., da leggere oggi anche alla luce dell’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea) nell’accesso ai pubblici uffici, espressamente previsto dall’art. 51, co. 1, Cost., da leggere in ideale collegamento con il principio del pubblico concorso di cui agli artt. 97, co. 3, Cost. e all’art. 106, co. 1, Cost.
Come è stato osservato, l’eguale possibilità di accesso dei cittadini alle cariche pubbliche è espressione di uno Stato rappresentativo, ove al modello procuratorio del titolo di investitura per l’esercizio di potestà pubbliche, si sostituisce un modello fondato sull’appartenenza professionale «ad una carriera, in cui si è entrati per il comprovato possesso di capacità tecniche» (Cariola).
Nell’ottica del costituente, infatti, il pubblico concorso rappresenta la forma generale e ordinaria di reclutamento per le pubbliche amministrazioni, che si sostanzia «in una selezione trasparente, comparativa, basata esclusivamente sul merito e aperta a tutti i cittadini in possesso di requisiti previamente e obiettivamente definiti. Il rispetto di tale criterio è condizione necessaria per assicurare che l’amministrazione pubblica risponda ai principi della democrazia, dell’efficienza e dell’imparzialità» (Caranta).
Sotto il primo profilo, il concorso pubblico è «condizione per la piena realizzazione del diritto di partecipazione all’esercizio delle funzioni pubbliche da parte di tutti i cittadini, fra i quali oggi sono da includersi, per la maggior parte degli impieghi, anche quelli di altri Stati membri dell’Unione europea. In diretta attuazione degli artt. 3 e 51 Cost., il concorso consente infatti ai cittadini di accedere ai pubblici uffici in condizioni di eguaglianza e “senza altra distinzione che quella delle loro virtù e dei loro talenti”, come fu solennemente proclamato dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789» (Corte cost. sent. 293 del 2009).
Sotto altro profilo, invece, il pubblico concorso è un meccanismo strumentale ai principi di buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione (artt. 97 e 98 Cost.).
Per un verso, infatti, si ritiene che la selezione meritocratica migliori il rendimento delle pubbliche amministrazioni. Per altro verso, invece, il pubblico concorso rappresenta «il metodo migliore per la provvista di organi chiamati ad esercitare le proprie funzioni in condizioni di imparzialità e al servizio esclusivo della Nazione».
Attraverso il merit system concorsuale, del resto, non viene tutelato solo un interesse  dell’amministrazione, quanto piuttosto per l’amministrazione. In altri termini, l’interesse pubblico affidato alla P.A. non va inteso in modo autoreferenziale, in quanto esso comprende in primo luogo l’interesse degli amministrati ad una buona gestione della cosa pubblica.
Per quel che ci occupa, quindi, la selezione dei migliori secondo criteri meritocratici, trasparenti ed oggettivi si traduce in garanzia (almeno in astratto) di poter ottenere da chi esercita pubbliche funzioni  un servizio preordinato alla migliore tutela di propri diritti fondamentali: così un buon medico tutelerà al meglio il diritto alla salute dell’amministrato; un buon giudice garantirà al meglio l’effettiva tutela dei diritti e degli interessi legittimi etc.
La professionalità fa, inoltre, da pendant con l’imparzialità dell’impiegato pubblico nell’esercizio dell’attività amministrativa, in particolare nella fase di conoscenza ed esecuzione delle decisioni pubbliche.
La partecipazione aperta a tutti coloro che possiedano i requisiti minimi richiesti (c.d. criterio della casualità) e la valutazione comparativa delle capacità professionali dei futuri dipendenti (c.d. criterio meritocratico) costituiscono, pertanto, l’ossatura del pubblico concorso secundum Constitutionem, derogabile in via d’eccezione dal legislatore, giusta la riserva contenuta nell’art. 97, co. 3, Cost..
Tuttavia, nel prevedere altre forme di selezione, la legge deve ispirarsi al canone della ragionevolezza, il cui rispetto in subiecta materia è stato numerose volte oggetto di stretto scrutinio da parte della Corte costituzionale.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale, infatti, «l’area delle eccezioni» al concorso deve essere «delimitata in modo rigoroso» e le deroghe sono pertanto legittime solo in presenza di «peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico» idonee a giustificarle.
Nel quadro costituzionale, la dimensione organizzativa dell’accesso ai pubblici uffici mediante concorso richiede di essere coniugata con il tessuto assiologico della Legge fondamentale, che trova nel principio personalista il proprio punto archimedico.
Il mutato assetto dei rapporti tra poteri e diritti si riflette, infatti, anche sul modo di intendere i principi sull’organizzazione amministrativa.
Nella rinnovata ottica della Costituzione repubblicana, ad esempio, imparzialità, efficienza e buon andamento non possono essere letti come qualità tutte interne all’amministrazione, quanto piuttosto come principi funzionali anch’essi alla realizzazione dei diritti della persona umana.
Ne consegue che l’accesso ai pubblici uffici da parte dei cittadini in possesso delle capacità professionali richieste e in condizioni di eguaglianza (art. 51, c. 3, Cost.) rappresenta nell’ordito costituzionale uno dei modi in cui si può esprimere la personalità umana (art. 2 Cost.), con possibile attuazione del diritto al lavoro (art. 4 Cost.) (Cavallo Perin).
Non può, del resto, trascurarsi che per i candidati una selezione concorsuale costituisce la miglior garanzia della parità di chances, ovvero del diritto garantito a tutti i cittadini – italiani e comunitari – di accedere agli uffici pubblici.
Pertanto, come è stato osservato in dottrina,  con l’affermazione dell’ordinamento repubblicano le eccezioni al principio del pubblico concorso «trovano nei valori costituzionali un nuovo fondamento», che ne rafforza il carattere inderogabile, «imponendo un nuovo bilanciamento, che non è riconducibile a logiche proprie della sola organizzazione pubblica, ma deve tenere conto della protezione ora accordata a soggetti che sono ad essa ancora estranei e che vorrebbero, in parità di condizioni, concorrere per divenirne parte» (Cavallo Perin).
 
 
3. La partecipazione dei soggetti disabili ai concorsi pubblici
 
A volte, la tutela del diritto al lavoro si coniuga con obblighi di solidarietà sociale, che impongono l’adozione di misure di protezione qualificata del diritto di accedere agli impieghi (tanto pubblici quanto privati) dei soggetti in particolare posizione di svantaggio.
In questo crinale si inseriscono, ad esempio, le misure dettate dal legislatore italiano al fine di garantire anche ai soggetti diversamente abili l’effettivo godimento del diritto costituzionalmente garantito ad una piena partecipazione all’esercizio di pubbliche funzioni, e, quindi, di concorrere, in condizioni di eguaglianza, alle pubbliche selezioni per l’accesso ai ranghi della P.A.
Nella precipua materia che ci occupa, occorre porre mente all’art. 20, co. 1, della legge 104 del 1992, a tenore del quale la persona diversamente abile «sostiene le prove d’esame nei concorsi pubblici e per l’abilitazione alle professioni con l’uso degli ausili necessari e nei tempi aggiuntivi eventualmente necessari» in relazione alla specifica disabilità. Nella domanda di partecipazione dovrà essere, altresì, specificato l’ausilio necessario in relazione alla propria disabilità, nonché l’eventuale necessità di tempi aggiuntivi (co. 2).
Ulteriori specificazioni sono contenute nell’art. 16 della legge n. 68 del 1999 (contenente “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”), a tenore del quale «i disabili possono partecipare a tutti i concorsi per il pubblico impiego, da qualsiasi amministrazione pubblica siano banditi. A tal fine i bandi di concorso prevedono speciali modalità di svolgimento delle prove di esame per consentire ai soggetti suddetti di concorrere in effettive condizioni di parità con gli altri».
Ben si comprende che il quadro dei principi fissati dal legislatore richiede, per la sua concreta attuazione, l’intervento della pubblica amministrazione.
Ed infatti, se per un verso si prevede, in un’ottica di ragionevole differenziazione, che al fine di consentire al soggetto diversamente abile la partecipazione al concorso pubblico occorre che i bandi prevedano speciali modalità di svolgimento delle prove d’esame, per altro verso dovrà essere l’amministrazione interessata a predisporre, nell’esercizio della propria discrezionalità ed alla luce delle richieste del concorrente diversamente abile, le misure adeguate allo scopo.
La disciplina legislativa è, dunque, meritoriamente elastica, attesa peraltro l’esistenza di una pluralità di forme di disabilità, ciascuna bisognevole di trattamenti specifici.
In materia, si segnala una recente sentenza del Tar Campobasso (sez. I, sent. 27 dicembre 2012, n. 789), con la quale i giudici amministrativi hanno accolto le doglianze di un concorrente disabile, che in sede di concorso aveva trovato un ausilio diverso rispetto a quello in precedenza richiesto alla P. A.. Inoltre, gli erano stati concessi tempi aggiuntivi non richiesti.
Dopo aver premesso che non compete alla P.A. stabilire cosa intendere per “ausili”, in quanto è evidente che il concorrente disabile conosca meglio di chiunque altro l’ausilio necessario, in relazione alla specifica disabilità, il collegio ha chiarito che «il fatto di disporne nella prova d’esame costituisce, comunque, elemento psicologico di conforto e rassicurazione. Viceversa, non disporne, ovvero disporre di ausili diversi da quelli richiesti, sia pure all’apparenza equivalenti, può essere causa di insicurezza o di turbamento per un concorrente che parte da una condizione di svantaggio psico-fisico, talché può incidere negativamente sull’espletamento della prova. Per tale ragione, la locuzione “ausili necessari” si riferisce, senza dubbio, a quelli ritenuti tali e richiesti dal disabile, il quale, avendoli prenotati con congruo anticipo, deve disporne nella prova d’esame, sempreché si tratti di “ausili” di non difficile reperimento e non particolarmente costosi. Invero, non si può pretendere dall’Amministrazione uno sforzo organizzativo o finanziario eccessivo, né che essa renda disponibili ritrovati tecnologici costosissimi o non ancora messi in commercio».
Ulteriori problemi interpretativi riguardano il riferimento alle speciali modalità di svolgimento dell’esame, previste dall’art. 16 della legge n. 68 del 1999, al fine di consentire al soggetto diversamente abile di prendere parte alla prova concorsuale in condizioni di effettiva parità con gli altri canditati.
Potrebbe ritenersi che dal combinato disposto dell’art. 20 della legge 104/92 e dell’art. 16 della legge 69/99 le modalità speciali debbano limitarsi alla sola predisposizione degli ausili richiesti e/o dai tempi aggiuntivi eventualmente necessari.
In tal modo, si finirebbe per irrigidire la previsione legislativa che, invece, come si è sopra osservato, sembra caratterizzata da una elasticità tale da renderla conformabile alle specifiche forme di disabilità.
Ed infatti, sul punto, il Tar Lazio nell’ordinanza in commento ha specificato che «la previsione di cui all’art. 20 della legge n. 104/1992, relativa al diritto del disabile ammesso alla partecipazione a concorsi pubblici, di chiedere l’ausilio necessario in relazione al proprio handicap, nonché la concessione di tempi aggiuntivi, non esaurisce l’ambito degli strumenti di modulazione delle modalità di svolgimento delle prove concorsuali ipotizzabili per il conseguimento degli obiettivi perseguiti dalla successiva generale disposizione normativa di cui al citato art. 16 della legge 12.3.1999 n. 68».
Per una retta interpretazione della disposizione dovrà, pertanto, aversi riguardo al tessuto costituzionale sopra sommariamente tracciato.
Ed infatti, si è sottolineato che il principio del pubblico concorso nel prisma della Costituzione non è soltanto un principio interno dell’organizzazione amministrativa ma intercetta l’intero orizzonte assiologico della Legge fondamentale: per un verso è funzionale ai principi di buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione, per altro verso, invece, rappresenta uno strumento per attuare taluni diritti fondamentali della persona, tra i quali spiccano il diritto di partecipazione all’esercizio di funzioni pubbliche (art. 51 Cost.) ed il diritto al lavoro (art. 4 Cost.).
Dalla giurisprudenza costituzionale in materia di deroghe ragionevoli al principio costituzionale del pubblico concorso è emerso che il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, può sì prevedere forme di selezione diverse ma non lesive del nucleo duro della public competion, purchè congrue in relazione allo scopo da raggiungere e all’interesse da soddisfare.
Se scopo da raggiungere è l’ingresso nella P.A. di professionalità tecniche qualificate, comparativamente valutate secondo un criterio meritocratico, e l’interesse da soddisfare è quello ad una good administration, le modalità d’esame individuate dalla P.A. dovranno anch’esse ispirarsi a questi principi.
In altri termini, la ragionevolezza che, in ambito legislativo, funge da limite alle deroghe al principio del pubblico concorso, dovrebbe essere utilizzata dalla P.A. anche nell’esercizio della propria discrezionalità in materia.
Ne consegue, secondo la lettura qui accolta, che laddove la speciale modalità d’esame richiesta per venire incontro alle esigenze del soggetto diversamente abile ledesse, in qualche modo, il principio di una valutazione neutrale ed oggettiva fondata sul merito dei candidati e inficiasse gli esiti della procedura, non potrebbe ammettersi alcuna deroga all’ordinario svolgimento della prova da parte della P.A., dovendosi in tal caso discorrere, piuttosto, di una discriminazione al contrario.
Nelle ipotesi in cui, invece, possa essere individuata una speciale modalità d’esame che garantisca la partecipazione del soggetto diversamente abile, in condizione di parità con gli altri concorrenti, nel pieno rispetto delle rationes di fondo del principio del pubblico concorso, l’Amministrazione ha il dovere di provvedere, caso per caso, all’accomodamento ragionevole delle forme di organizzazione della procedura selettiva, adeguandole alle esigenze manifestate dal disabile.
In caso contrario, ci si troverebbe di fronte ad un comportamento discriminatorio nei confronti di un concorrente in ragione della propria disabilità.
 
 
4. Concorso pubblico in magistratura e partecipazione di soggetti affetti da gravi patologie disabilitanti
 
Si è già puntualizzato che, ai sensi dell’art. 97, co. 3, Cost., il principio del pubblico concorso può essere derogato, nei limiti sopra precisati, dal legislatore.
Nessuna deroga – se non negli specifici casi individuati in Costituzione – è, invece, ammessa per l’accesso ai ranghi della magistratura ordinaria, ai sensi dell’art. 106, co. 1, Cost., ove ancor più stringenti sono le esigenze di imparzialità e, soprattutto, di indipendenza dell’organo giudiziario.
Ne consegue che, in quanto unico meccanismo previsto per l’accesso al pubblico ufficio di magistrato, la disciplina del concorso deve in questi casi essere sottoposta ad una rigorosa interpretazione, non solo in relazione all’accertamento delle competenze tecniche dei candidati, ma anche e soprattutto in punto di accessibilità  alla procedura di concorso da parte di tutti coloro che possiedano i requisiti richiesti dalla vigente normativa, così come previsto dall’art. 51, co. 1. Cost.
Pertanto, la normativa di protezione volta a garantire la partecipazione del soggetto disabile alle pubbliche selezioni deve trovare rigorosa applicazione, secondo la lettura sopra proposta, soprattutto nelle procedure d’accesso alla magistratura ordinaria.
Nella fattispecie che ci occupa, un candidato affetto da patologia disabilitante aveva rappresentato al Ministero della giustizia che la propria condizione di salute non avrebbe consentito di prendere parte al concorso, da svolgersi, secondo il calendario prefissato, in tre giorni consecutivi.
Si tratta, in questo caso, di comprendere se la richiesta del mutamento del calendario delle prove di concorso possa essere inclusa, o meno, tra le “speciali modalità d’esame” ex art. 16 della legge n. 68 del 1999.
Per rispondere all’interrogativo bisogna preliminarmente comprendere se la fissazione di un calendario per lo svolgimento delle prove concorsuali in giorni consecutivi risponda alle inderogabili ragioni di struttura del principio del pubblico concorso.
Certamente, la fissazione preventiva delle date è da considerare un elemento indefettibile di un pubblico concorso, in quanto espressione del principio di buon andamento dell’organizzazione amministrativa, consentendo alla P.A. una migliore predisposizione del necessario per lo svolgimento delle prove. Al contempo, l’indicazione delle date di concorso risponde ad esigenze organizzative dei singoli candidati, soprattutto laddove la sede di concorso sia lontana dal luogo in cui risiedono o hanno abituale domicilio.
Più dubbio è, invece, pensare che il modo in cui sia stabilito il calendario delle date di concorso (giorni consecutivi o giorni alternativi) incida sull’imparzialità della procedura selettiva, salvo ad absurdum ritenere che la valutazione meritocratica ed in condizione di parità per i candidati possa essere fatta in alcuni giorni, piuttosto che in altri.
Ed infatti, come il Tar capitolino ha sottolineato, la scelta del Ministero della giustizia, di articolazione dello svolgimento delle prove scritte in tre giorni continuativi non solo non è “a rime obbligate” rispetto ad una normativa che sul punto nulla prevede, ma non risponde «ad esigenze indefettibili di garanzia dell’anonimato e del buon andamento della procedura, sotto i profili della trasparenza, linearità e selezione dei migliori».
Non sembra, dunque, che un calendario a date consecutive possa rientrare tra gli elementi indefettibili del pubblico concorso, trattandosi piuttosto di scelte discrezionali compiute dall’amministrazione, alla luce degli interessi in gioco, e censurabili dal giudice amministrativo.
Nella valutazione di questi interessi, non può non tenersi eventualmente conto dell’esigenza di un concorrente affetto da disabilità, il quale abbia in precedenza palesato la difficoltà di esercitare il diritto di partecipazione, costituzionalmente sancito dall’art. 51, co. 1, Cost.
Tra le speciali modalità d’esame deve ricomprendersi, pertanto, anche l’eventuale predisposizione preventiva di un calendario che, nella fissazione delle date, tenga anche in considerazione la peculiare situazione – oggettivamente documentata – del candidato affetto da disabilità.
In caso contrario, si ravviserebbe un’ipotesi di discriminazione indiretta nei confronti di un concorrente, la cui fisiologica situazione di svantaggio richiederebbe, invece, un concreto intervento dei pubblici poteri per rimuovere gli ostacoli al pieno esercizio di diritti costituzionalmente garantiti.
Di contrario avviso, invece, il Consiglio di Stato che, nell’ordinanza dell’1 luglio 2014 ha sottolineato che la richiesta del candidato era stata eccessiva rispetto alla situazione sanitaria esistente, in quanto il trattamento necessario era agevolmente affrontabile, mediante il ricorso alle strutture sanitarie esistenti in Roma che, tra l’altro, operavano anche in orari serali del tutto compatibili con lo svolgimento delle prove in esame.
Epperò il ragionamento dei giudici di Palazzo Spada sembra, francamente, provar troppo.
Per un verso, infatti, non si tiene conto delle peculiarità del trattamento in questione che potrebbe non essere procrastinabile e richiedere, invece, lo svolgimento in precisi orari.
Per altro verso, si tratta di una valutazione effettuata solo ex post dal giudice amministrativo, quando ormai – detto francamente – la materia del contendere era da considerarsi cessata ed il disagio per il concorrente si era ormai verificato.
Inoltre, non può trascurarsi che il Consiglio di Stato abbia erroneamente interpretato le disposizioni legislative in materia di “adeguamento” della prova alle esigenze del disabile, adeguamento che – come detto – non può dirsi limitato ai soli tempi aggiuntivi o agli ausili necessari.
 
 
5. Osservazioni conclusive.
 
Nei provvedimenti in commento, i giudici amministrativi sono stati chiamati – in una sede del tutto peculiare, qual è il giudizio cautelare – a dover sciogliere i nodi dell’apparente conflitto tra interesse pubblico e tutela dei diritti fondamentali del singolo. 
Nell’ordinanza del Tar le ragioni del soggetto debole sono ritenute prevalenti sulle ragioni di spesa addotte dalla difesa erariale, che ne risultano, così, primo visu sacrificate; nel decreto presidenziale  e nell’ordinanza del Consiglio di Stato, invece, l’ottica sembra capovolgersi a tutto vantaggio del pubblico interesse.
Il conflitto, dunque, si poneva tra esigenze di salvaguardia delle pubbliche finanze e diritto del disabile a prendere parte, in condizione di parità, alla procedura concorsuale.
Anche qui può essere d’ausilio la giurisprudenza della Corte costituzionale, che si è trovata più volte a dover bilanciare – in sede di controllo della legittimità costituzionale delle scelte discrezionali operate dal legislatore – esigenze di finanza pubblica ed effettivo godimento dei diritti da parte dei soggetti diversamente abili.
In particolare, la questione riguardava la diminuzione ope legis delle ore di sostegno garantite agli alunni diversamente abili, in ossequio al diritto costituzionale all’istruzione.
In quella sede, il giudice delle leggi ebbe a precisare che se è vero che nell’individuazione delle misure necessarie a tutela delle persone disabili il legislatore gode di discrezionalità (soprattutto, in ragione delle esigenze di bilancio sempre più pressanti), è altresì vero che tale discrezionalità non può mai spingersi fino a comprimere il nucleo indefettibile di garanzie necessarie a rendere effettivo il diritto fondamentale all’istruzione del disabile.
Può cogliersi, tra le pieghe del ragionamento della Corte, un principio destinato ad operare ben al di là dei processi di legittimità costituzionale e a porsi, piuttosto, come criterio guida tanto per la giurisdizione, quanto per l’amministrazione nell’esercizio di attività discrezionale che implichi il contemperamento tra diritti individuali e tutela delle pubbliche risorse.
Ipotesi, queste, dove ogni forma di bilanciamento trova comunque un limite insuperabile nella rigorosa salvaguardia dei diritti fondamentali della persona umana e, in particolare, dei soggetti deboli.
Nella vicenda in esame, non sembra che il Ministero della giustizia abbia seguito il predetto criterio. Piuttosto, come si è già argomentato, sembra potersi ravvisare una lesione del nucleo intangibile del fondamentale diritto del candidato diversamente abile di partecipazione, in condizione di parità, alla selezione concorsuale.
Non può, altresì, sostenersi che l’amministrazione abbia perseguito il pubblico interesse.
Per un verso, infatti, occorre tenere presente il radicale mutamento del concetto di “interesse pubblico” in un ordinamento pluralista e democratico. In tale contesto, infatti, l’interesse pubblico perde la coloritura autoritativa e non può essere considerato come entità statica. Esso assume, di contro, una valenza procedimentale e si pone quale risultato di un bilanciamento tra interessi differenti, tutti egualmente in concreto coinvolti.
Ne consegue che, nella valutazione dell’interesse pubblico da parte dell’amministrazione avrebbe dovuto tenersi senz’altro conto di esigenze di contenimento della spesa, oltre che dell’interesse degli altri candidati al regolare svolgimento della prova. Ma non può dimenticarsi che nel rivolo degli interessi coinvolti v’era pure quello del candidato diversamente abile, il quale aveva già in congruo anticipo informato l’amministrazione della propria affezione patologica e richiesto specifici interventi. Interventi che, come si è sopra cercato di argomentare, non avrebbero affatto inficiato l’”anima” del pubblico concorso.
L’inerzia del Ministero ha, dunque, più il sapore di un bilanciamento ineguale, che di una concreta attuazione dell’interesse pubblico.
Di questo sembra essersi reso conto il Tar capitolino, che in modo condivisibile ha ritenuto, per un verso, i profili di spesa recessivi rispetto al diritto del candidato diversamente abile di partecipare al concorso e, per altro verso, ha tutelato l’interesse pubblico attraverso il bilanciamento di tutti gli interessi in gioco, ritenendo meritevole di tutela anche e soprattutto la posizione del soggetto debole.
Non così, invece, nel decreto presidenziale e nell’ordinanza del Consiglio di Stato, ove si è offerta copertura al discutibile esercizio di discrezionalità del resistente Ministero.
È pur vero che la sospensione disposta in prima battuta dal Tar a pochi giorni dallo svolgimento delle prove scritte del concorso in magistratura avrebbe, forse, prodotto più problemi di quanti intendesse risolverne, anche in considerazione della posizione degli altri concorrenti.
Resta, tuttavia il segno di una motivazione-monito nei confronti di una Pubblica Amministrazione non sempre attenta all’inveramento dei valori costituzionali e che, tuttavia, il Consiglio di Stato sembra aver voluto salvaguardare.
 
 

 
N. 02832/2014 REG.PROV.CAU.
N. 04783/2014 REG.RIC.
 
REPUBBLICA ITALIANA
Il Consiglio di Stato
 
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
 
ha pronunciato la presente
 
ORDINANZA
 
 
sul ricorso numero di registro generale 4783 del 2014, proposto da:
 
Ministero della giustizia, in persona del ministro legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso la stessa domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi n.12;
 
contro
 
-OMISSIS-, non costituito in giudizio;
 
per la riforma dell’ ordinanza cautelare del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE I QUA n. 02563/2014, resa tra le parti, concernente dell’ ordinanza cautelare del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE I QUA n.02563/2014, resa tra le parti, concernente rigetto istanza tesa ad ottenere lo svolgimento in giorni non consecutivi delle prove scritte del concorso per magistrato ordinario – mcp
 
Visto l’art. 62 cod. proc. amm;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Vista la impugnata ordinanza cautelare del Tribunale amministrativo regionale di accoglimento/reiezione della domanda cautelare presentata dalla parte ricorrente in primo grado; Viste le memorie difensive;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 1 luglio 2014 il Cons. Diego Sabatino e udita per le parti l’avvocato dello Stato Varrone;
 
Considerato che l’originario ricorrente ha evidenziato all’amministrazione di doversi sottoporre a trattamento emodialitico trisettimanale a giorni alterni con sessioni della durata di cinque ore;
Considerato che l’amministrazione ha concesso al candidato di fruire dei tempi aggiuntivi necessari e di potersi fare sostituire per delega nella consegna dei codici nei giorni precedenti allo svolgimento delle prove;
Considerato che l’ulteriore richiesta si svolgere le prove scritte in giorni alterni, non accolta dall’amministrazione, appare del tutto eccessiva rispetto alla situazione sanitaria esistente, in quanto il trattamento necessario è agevolmente affrontabile, come ben illustrato dagli atti di causa, mediante il ricorso alle strutture sanitarie esistenti in Roma che, tra l’altro, operano anche in orari serali del tutto compatibili con lo svolgimento delle prove in esame;
Considerato che quindi l’amministrazione ha correttamente adempiuto a quanto impostole dall’art.16 della legge 12 marzo 1999, n. 68, predisponendo le speciali modalità di svolgimento delle prove di esame sopra rimarcate, senza sacrificare inutilmente le aspettative degli altri concorrenti;
Considerato che l’insussistenza del profilo di danno è confermata, a posteriori, dalla circostanza che il candidato ha effettivamente sostenuto le prove, consegnando gli elaborati, fruendo, da un lato, del tempo aggiuntivo di un’ora per la redazione di ogni elaborato e, dall’altro, dell’assistenza nefrologica di una casa di cura situata nelle vicinanze della sede di svolgimento delle prove, con relativo collegamento tramite ambulanza privata;
 
 
P.Q.M.
 
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
Accoglie l’appello (Ricorso numero: 4783/2014) e, per l’effetto, in riforma dell’ordinanza impugnata, respinge l’istanza cautelare proposta in primo grado.
Compensa integralmente tra le parti le spese della presente fase cautelare.
La presente ordinanza sarà eseguita dall’Amministrazione ed è depositata presso la segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 luglio 2014 con l’intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Nicola Russo, Consigliere
Michele Corradino, Consigliere Diego Sabatino, Consigliere, Estensore
Andrea Migliozzi, Consigliere
  
 
L’ESTENSORE
 
IL PRESIDENTE 

 _______________________

* Ricercatore di diritto costituzionale nell’Università degli studi di Catania
 
 
 
 
Pubblicato su AmbienteDiritto.it l’1 Luglio 2014
 
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