Spunti di riflessione propedeutici ad uno studio sulla relazione fra il potere di governo degli interessi collegati all’uso del territorio e il diritto di proprietà.
Anno: 2015 | Autore: SERGIO MOROI vincoli urbanistici per la tutela dei c.d. interessi differenziati e dell’equilibrio ecologico: spunti di riflessione propedeutici ad uno studio sulla relazione fra il potere di governo degli interessi collegati all’uso del territorio e il diritto di proprietà.
Sommario: 1. Oggetto della ricerca: i vincoli di cui all’art. 7, comma 2, nr. 5, l. n. 1150/1942 (d’ora in avanti Vincoli). 2. Il presupposto della ricerca: i Vincoli non sono meramente ricognitiva di quelli previsti dalla normativa di settore, ma hanno un’autonoma efficacia costitutiva. 3. I Vincoli si articolano in due specie funzionali a tutelare rispettivamente: a) l’equilibrio ecologico; b) i c.d. interessi differenziati. La figura esemplificativa dei vincoli urbanistici con finalità paesaggistiche. 4.1. La natura dei vincoli funzionali a tutelare il c.d. equilibrio ecologico. 4.2. La natura dei vincoli urbanistici preordinati alla tutela dei c.d. interessi differenziati nel modello pianificatorio previsto dalla l. n. 1150/1942. 4.3. La natura dei vincoli urbanistici preordinati alla tutela dei c.d. interessi differenziati nel modello pianificatorio previsto dalle leggi regionali c.d. di terza generazione. 5. Conclusione: spunti di riflessione propedeutici ad uno studio sulla relazione fra il potere di governo degli interessi collegati all’uso del territorio e il diritto di proprietà.
1. Oggetto della ricerca: i vincoli di cui all’art. 7, comma 2, nr. 5, l. n. 1150/1942 (d’ora in avanti Vincoli).
“La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione” dispone l’art. 9 della Costituzione. E, precisa autorevole dottrina, il “termine Repubblica sta a indicare lo Stato ordinamento in tutte le sue possibili articolazioni” ivi compresi, quindi, “gli enti comunitari ad autonomia costituzionalmente garantita come le Regioni, i Comuni e le Province2”.
In questa prospettiva si inserisce la presente ricerca concernente il potere dei Comuni di prevedere – in sede di pianificazione urbanistica – “i vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale, paesistico” (d’ora in avanti Vincoli)3.
2. Il presupposto della ricerca: i Vincoli non sono meramente ricognitiva di quelli previsti dalla normativa di settore, ma hanno un’autonoma efficacia costitutiva.
La ricerca non può che prendere le mosse dall’individuazione dell’efficacia dei Vincoli. In particolare, è necessario verificare se siano meramente ricognitivi di quelli previsti dalla (o sulla base della4) normativa di settore5 oppure se siano il risultato di un’autonoma valutazione assunta dagli enti territoriali in sede di pianificazione.
La soluzione della questione in esame appare dirimente per il proseguo dell’indagine. Se, infatti, venisse accolta la prima delle due tesi significherebbe che i Vincoli non producono “alcuna innovazione sostanziale6 e che, quindi, hanno efficacia meramente dichiarativa; di conseguenza, ogni ulteriore indagine sarebbe inutile.
Delineato il problema di partenza e le ragioni della sua rilevanza è possibile iniziare a cercare le coordinate ricostruttive entro cui risolverlo.
Ab origine, i.e. nel periodo immediatamente successivo alla ricordata modifica del nr. 5, comma 2, dell’art. 7 della l. n. 1150/1942, la giurisprudenza ha sostenuto l’efficacia non meramente ricognitiva, ma costitutiva dei Vincoli sulla base di un percorso argomentativo articolato in tre passaggi: la disposizione statale in esame prevede l’apposizione di vincoli per la tutela dell’interesse ambientale; l’interesse ambientale non è oggetto di alcuna disciplina di settore; di conseguenza, i vincoli previsti dalla suddetta disposizione non possono essere ricognitivi, ma costitutivi. E tale conclusione è ritenuta applicabile pure ai vincoli previsti per tutelare interessi storici o paesaggistici perché “indistintamente accomunati” a quello ambientale dalla ricordata disposizione statale7.
Il percorso argomentativo esposto non è più conforme al diritto vigente. Attualmente, infatti, l’interesse ambientale è tutelato da una specifica e puntuale normativa di settore8.
Tuttavia l’esito cui perviene appare ancora pienamente condivisibile per due ragioni, una di ordine sistematico; l’altra, di ordine teleologico.
Sul piano sistematico, si richiama l’art. 9 della Costituzione da cui il Giudice delle Leggi ha desunto che la tutela dei beni culturali, del paesaggio e, più in generale, dell’ambiente “costituisce compito dell’intero apparato della Repubblica nelle sue diverse articolazioni” [ivi compresi] “gli enti locali”. Ne deriva che i Comuni – in sede di pianificazione urbanistica – possono, “imporre limiti e vincoli più rigorosi o aggiuntivi, anche con riguardo a beni vincolati, a tutela di interessi culturali ed ambientali”9.
Sul piano teleologico, si palesa che la funzione urbanistica si è evoluta in funzione di governo del territorio e, quindi, appare preordinata a garantire non più solo l’ordinato sviluppo edilizio dei luoghi, ma anche a realizzare un ragionevole contemperamento e bilanciamento fra la pluralità degli interessi di rilevanza costituzionale10. Tale evoluzione appare ormai essere stata codificata dalla giurisprudenza amministrativa a partire dalla nota sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato, 10 Maggio 2012, nr. 2710 che costituisce il leading case in materia e la cui ratio decidendi è stata confermata dalle sentenze successive11.
Alcuni passi di tale pronuncia meritano di essere riportati interamente perché – come autorevolmente rilevato – “nessun commento può interpretare meglio quanto espresso”12. Ivi, per quanto qui interessa, viene statuito che le prescrizioni urbanistiche “non possono essere intese […] solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie, […] ma devono essere ricostruite come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio in funzione [..] del modello di sviluppo che si intende imprimere ai luoghi stessi in considerazione della loro storia, tradizione, ubicazione e di una riflessione sulla propria essenza [..] svolta dalla comunità radicata sul territorio” alla luce “delle effettive esigenze di abitazione, delle concrete vocazioni dei luoghi, dei valori ambientali e paesaggistici, delle esigenze di tutela della salute e quindi della vita salubre degli abitanti, delle esigenze economico-sociali”. Tale ricostruzione, da un lato, appare coerente con il novellato titolo V, il cui art. 117 – come ampiamente noto – ha sostituito il termine “urbanistica” con quello più ampio di “governo del territorio” da intendersi come “il complesso delle norme che consentono di identificare e graduare gli interessi in base ai quali possono essere regolati gli usi ammissibili”13; dall’altro, sviluppa un’intuizione di una dottrina di antica data14.
Alla luce, quindi, dell’evoluzione della funzione urbanistica emerge che il Comune – in sede di pianificazione – può valutare autonomamente gli interessi [di cui al nr. 5, comma 2, art. 7 l. n. 1150/1942] ed, ove la valutazione sia positiva, prevedere vincoli per la loro tutela15.
3. I Vincoli si articolano in due specie funzionali a tutelare rispettivamente: a) l’equilibrio ecologico; b) i c.d. interessi differenziati. La figura esemplificativa dei vincoli urbanistici con finalità paesaggistiche.
La conclusione cui si è pervenuti è stata recepita dalle leggi regionali che – come intuito da autorevole dottrina – riconoscono ai Comuni il potere di prevedere due specie vincoli funzionali a tutelare due ordini di interessi16; ossia:
a) l’habitat umano e l’equilibrio ecologico limitando l’espansione dell’aggregato urbano e costituendo una sorta di “polmone verde” per gli insediamenti urbani (esemplificativa di tale specie di vincoli è la destinazione a verde agricolo)17;
b) i c.d. interessi differenziati18 (i.e. gli interessi idrogeologici, forestali, idrici, naturalistici, paesaggistici e culturali19), ferma restando comunque la necessaria compatibilità fra tale specie di vincoli (urbanistici) e i vincoli di settore20. Esemplificativa è la figura dei vincoli (urbanistici) preordinati alla “cura”21 del paesaggio22. Al fine di comprendere il loro significato appare utile ricordare che la nozione giuridica di paesaggio si articola in due “strati”23:
– il primo ha valenza culturale in quanto costituisce “la rappresentazione materiale e visibile dell’identità nazionale”24 e ricomprende i beni paesaggistici di cui all’art. 134 del d.lgs. 42/200425 nonché i c.d. “contesti paesaggistici” di cui all’art. 143, comma 1, lettera e) del d.lgs. 42/200426 (la tutela del primo strato di paesaggio è di natura prevalentemente conservativa27);
– il secondo è privo di valenza culturale ed include, fra l’altro, i c.d. paesaggi della vita quotidiana efficacemente definiti come “i paesaggi che, senza avere particolare valore, raccontano una loro storia e presentano una loro identità”28.
Ebbene i vincoli previsti dal P.R.G. possono essere funzionali:
– a garantire una tutela ulteriore e complementare a quella derivante dai vincoli aventi ad oggetto il primo “strato” di paesaggio; si pensi, ad esempio, alla previsione di inedificabilità assoluta di una c.d. bellezza di insieme oppure di un ambito circostante una c.d. bellezza individua29 (le c.d. bellezze individue e le c.d. bellezze di insieme sono soggette a vincolo paesaggistico ex art. 134 del d.lgs. 42/2004);
– a salvaguardare il paesaggio avente una valenza identitaria di rilevanza esclusivamente locale30;
– a “innalzare – rafforzare la qualità del paesaggio diffuso” privo di valenza culturale31.
4.1. La natura dei vincoli funzionali a tutelare il c.d. equilibrio ecologico.
Individuata la funzione dei Vincoli (i.e. i tipi di interessi alla cui cura sono preordinati) si deve verificare se la loro previsione sia esercizio della discrezionalità amministrativa o della c.d. discrezionalità tecnica. Esiste, infatti, un’ontologica differenza – la dottrina ormai appare concorde pur con alcuni rilevanti eccezioni32 – fra giudizio discrezionale e giudizio tecnico:
– il primo comporta la ponderazione degli interessi normativamente rilevanti in una determinata fattispecie concreta ed all’esito di tale ponderazione la scelta della soluzione più opportuna;
– il secondo, invece, è privo di tale specifica connotazione perché implica la mera valutazione dei fatti ai quali le disposizioni normative ricollegano determinante conseguenze giuridiche33 senza che rilevi, in questa sede, se detta valutazione sia da compiersi mediante l’applicazione di cognizioni proprie non solo del sapere specialistico, ma anche dell’esperienza comune34.
Ciò posto, si cerca di ricostruire la natura (discrezionale o discrezionale-tecnica) delle due specie dei vincoli in esame.
I vincoli della prima specie, come ricordato, sono preordinati garantire l’equilibrio fra aree libere ed aree edificate impedendo l’urbanizzazione delle aree ancora inedificate e il congestionamento delle aree già edificate35. Al fine, quindi, di realizzare il predetto equilibrio, il piano urbanistico può destinare un’area a verde agricolo sebbene tale area sia priva di un’oggettiva vocazione agricola36. Ne deriva che la previsione dei vincoli in esame è il risultato dell’esercizio della discrezionalità pianificatoria o, in altri termini, costituisce attuazione del modello di sviluppo dell’assetto territoriale deciso dagli (organi di indirizzo politico-amministrativo) degli enti territoriali (anche) sulla base delle osservazioni della comunità di riferimento37.
A suffragio di questa ricostruzione depone un ulteriore argomento: i vincoli in questione concorrono a garantire che lo sviluppo dell’assetto territoriale sia idoneo – si richiama l’efficace definizione del comma 1 dell’art. 3 quater del d.lgs. 152/2006 – “a soddisfa[re] i bisogni delle generazioni attuali” senza “compromettere la qualità della vita e le possibilità delle generazioni future”. In altri termini, i vincoli di cui sopra concorrono ad attuare il principio dello sviluppo sostenibile. Ebbene, come emerge dagli studi concernenti l’istituto della valutazione ambientale strategica38, non può essere negato che esiste una pluralità di soluzioni pianificatorie egualmente idonee a realizzare lo sviluppo sostenibile e che la scelta di una di esse è il risultato dell’esercizio della discrezionalità amministrativa39.
Esemplificando: posto che sia compatibile con lo sviluppo sostenibile la previsione di un vincolo ambientale sull’ambito X ovvero sull’ambito Y appare riconducibile al merito amministrativo la scelta dell’ambito sul quale porre il vincolo.
4.2. La natura dei vincoli urbanistici preordinati alla tutela dei c.d. interessi differenziati nel modello pianificatorio previsto dalla l. n. 1150/1942.
Dopo aver considerato i vincoli con finalità di tutela dell’equilibrio ecologico, si esamina i vincoli urbanistici preordinati alla tutela degli interessi c.d. differenziati.
Ebbene la previsione di tali vincoli appare l’esito di una decisione articolata sul piano logico in due fasi l’una subordinata all’altra:
– (prima) l’amministrazione apprezza se in un determinato ambito sussista o meno un interesse idrogeologico, forestale, idrico, naturalistico, paesaggistico, culturale;
– (poi) ove l’apprezzamento è positivo, l’amministrazione pondera detto interesse con gli altri interessi meritevoli di tutela40. Si tratta di un apprezzamento (tecnico) e di una ponderazione (discrezionale) da compiersi in sede (del procedimento) di pianificazione urbanistica nell’ambito del quale l’ente territoriale “organizza il territorio secondo una visione unitaria, di guisa che ogni utilizzazione prevista integri le altre, e tutte siano, per quanto possibile, di reciproco vantaggio”41 o, aderendo alla ricostruzione più recente precedentemente ricordata, sceglie “il modello di sviluppo dei luoghi […] sulla base di una riflessione svolta dalla comunità di riferimento”42.
In conclusione, quindi, la previsione di un vincolo urbanistico funzionale a tutelare – mediante un’autonoma valutazione – i c.d. interessi differenziati è il risultato non di un apprezzamento atomistico delle caratteristiche intrinseche di una determinata area, ma di una valutazione (complessiva e globale e, quindi, discrezionale) dell’assetto territoriale43.
A tale soluzione potrebbe obiettarsi che il comma 2 dell’art. 3 quater del d.lgs. 156/2006 prevede – in sede di esercizio della discrezionalità amministrativa – “la prioritaria considerazione” degli “interessi alla tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale” e che conseguentemente detti interessi non potrebbe essere oggetto di ponderazione con gli altri in sede di pianificazione urbanistica. Ne deriverebbe l’applicazione del seguente meccanismo decisionale: l’ente territoriale apprezza il valore culturale o ambientale di un ambito e ove tale apprezzamento sia positivo pone (rectius: deve porre) il vincolo.
L’obiezione appare superabile. Il predetto comma 2 dell’art. 3 quater, infatti, non sembra sia da interpretare nel senso che gli interessi in esame prevalgono in ogni caso sugli altri e che, quindi, non sia ammessa alcuna reciproca comparazione. In caso contrario, la disposizione normativa avrebbe utilizzato l’aggettivo “prevalente” che etimologicamente è un composto di “prae” e “valere” e semanticamente significa “essere più forte” o, se si vuole, “avere il primato”. Essa, invece, sembra sia da interpretarsi utilizzando la nota elaborazione concettuale di discrezionalità di derivazione gianniniana pervenendo, quindi, ad affermare che:
– gli interessi culturali ed ambientali sono interessi c.d. “primari”44; ossia interessi attribuiti alla cura funzionale della pubblica amministrazione ed in ordine ai quali sono da ponderare gli interessi c.d. “secondari” (i.e. gli interessi che incidono sulle modalità di realizzazione degli interessi primari o addirittura la precludono)45;
– detta ponderazione (i.e. la fissazione del valore dei differenti interessi emergente nella fattispecie concreta) deve essere adeguatamente e puntualmente motivata specie se gli interessi secondari siano ritenuti dall’amministrazione – nella fattispecie concreta – così meritevoli di tutela da prevalere su quelli primari (i.e. la tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale)46.
4.3. La natura dei vincoli urbanistici preordinati alla tutela dei c.d. interessi differenziati nel modello pianificatorio previsto da alcune delle leggi regionali c.d. di terza generazione.
Le risultanze acquisite devono essere discusse in relazione ai piani tipizzati da alcune leggi regionali c.d. di terza generazione. Al riguardo si evidenzia che i ragionamenti e le conclusioni di cui sopra non sono applicabili a tutti i modelli di piano previsti dalle vigenti leggi regionali. Non può negarsi, infatti, che alcune di tali leggi sottendano un meccanismo decisionale monofasico ai fini della previsione dei vincoli in esame; ossia l’amministrazione apprezza – si richiama l’esemplificazione di cui sopra – se un ambito è di interesse paesaggistico e vi pone il vincolo senza, quindi, operare una ponderazione fra l’interesse paesaggistico e gli altri meritevoli di tutela in sede di pianificazione urbanistica.
Si fa riferimento, in particolare, alle disposizioni delle leggi regionali dell’Emilia Romagna, della Toscana da cui si desume che il piano urbanistico accerta le qualità connaturali dei beni e pone il relativo vincolo o, se si vuole, disciplina la facoltà di godimento di detti beni in modo compatibile con la tutela delle loro caratteristiche intrinseche senza operare alcuna ponderazione fra gli interessi sottesi a tale tutela e gli altri interessi rilevanti in sede di pianificazione urbanistica47.
5. Conclusione: spunti di riflessione propedeutici ad uno studio sulla relazione fra il potere di governo degli interessi collegati all’uso del territorio e il diritto di proprietà.
Alla luce della ricostruzione esposta emerge che i Vincoli non hanno efficacia meramente ricognitiva di quelli previsti dalla normativa di settore, ma hanno efficacia costitutiva. Di conseguenza, producono una “innovazione sostanziale” sulla situazione giuridica soggettiva alla quale si riferiscono” (i.e. il diritto di proprietà).
Ciò premesso, lo studio ha:
– prima delineato la loro funzione e, quindi, ha cercato di ricostruire gli interessi alla cui cura i Vincoli sono preordinati;
– poi ne ha esaminato la loro natura cercando di dimostrare che sono esercizio della c.d. discrezionalità amministrativa ad eccezione di quelli previsti da alcune delle leggi regionali c.d. di terza generazione.
La ricostruzione esposta offre spunti di riflessioni propedeutici ad uno studio sulla relazione fra i Vincoli e il diritto di proprietà. In particolare, i risultati cui si è pervenuti sulla natura di detti vincoli ne rende problematica l’applicazione della nota ricostruzione della Corte Costituzionale secondo cui le limitazioni alla proprietà privata non hanno natura espropriativa quando riguardano una categoria di beni la cui individuazione in concreto è il risultato di “un giudizio tecnico”48. Di conseguenza, sarà necessario approfondire se la natura non espropriativa di detti vincoli potrà essere egualmente sostenuta avvalendosi di un differente percorso argomentativo, ossia dimostrando che essi non ledono “ciò che è connaturale al diritto dominicale quale viene riconosciuto nell’attuale momento storico” 49, i.e. il c.d. nucleo essenziale della proprietà quale concetto-valvola50 che rende possibile l’adeguamento dell’ordinamento al mutamento della realtà sociale51.
1Ricercatore di diritto amministrativo a tempo determinato afferente al Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università degli Studi di Verona.
2F. Merusi, Sub art. 9, in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca, Roma – Bologna, 1975, p. 438.
3P. L. Portaluri, L’ambiente e i piani urbanistici, in Diritto dell’ambiente, a cura di G. Rossi, Torino, 2015, p. 255, “la disposizione [i.e. l’art. 1 della l. n. 1187/1968] completò da un punto di vista sostanziale la previsione che nel ‘67 aveva riguardato il procedimento: al riconoscimento del potere di apportare d’ufficio al p.r.g. le modifiche indispensabili per la tutela dell’ambiente, seguì un anno dopo il potenziamento del contenuto del p.r.g. il quale deve ora indicare pure i vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale e paesistico”. L’A. fa riferimento all’art. 3, unico comma, l. n. 765/1967, il quale ha modificato l’art. 10, comma 2, lettera c), l. n. 1150/1942 prevedendo il potere del Ministero dei lavori pubblici (poi Regione) di modificare il P.R.G. per “la tutela dei complessi storici, monumentali, ambientali ed archeologici”.
4I vincoli previsti sulla base della normativa di settore hanno fonte o in provvedimenti puntuali o in piani adottati. Sul punto vedi P. Urbani, Vincoli paesaggistici e vincoli di settore a qualificazione ambientale: i rapporti con la tutela della proprietà e la necessità di un loro riordino, in Riv. giur. urb., 2008, p. 85: “l’attività di piano dovrebbe prevalere ampiamente su quella specifica propria dei provvedimenti puntuali anche se la legislazione prevede che, in casi particolari, si ricorra solo alla specifica individuazione dei beni di tutela fuori dal piano”.
5Cfr. V. Cerulli Irelli, Pianificazione urbanistica e interessi differenziati, in Riv. trim. dir. pubbl., 1985, p. 386 ss, spec. p. 387 – 397, il quale ricostruisce i “limiti della politica del territorio come quella imputata al governo regionale e locale, e segnatamente della funzione di pianificazione territoriale generale (‘urbanistica’) […] a fronte delle discipline differenziate che, in genere, sottendono interessi pubblici a caratteri e dimensione nazionale cui corrispondono funzioni imputate allo Stato o ai suoi enti ausiliari. Dunque: limiti alla pianificazione urbanistica e funzioni di politica territoriale ‘differenziate’. Ebbene queste funzioni possono essere dislocate a due categorie di oggetti. […]: la prima attiene agli interventi strutturali sul territorio […] funzionalizzate alla cura di interessi pubblici differenziati rispetto a quelli di carattere generale cui è intesa la politica del territorio” […]; la seconda […] è data dalle cose immobili o categorie di cose immobili che presentano in quanto tali, nel loro stesso essere, determinate qualità naturali e funzionali che devono essere conservate nella loro struttura senza modificazioni”.
6A. Falzea, Efficacia giuridica, voce in Enc. giur., vol. XIV, Milano, 1965, p. 504: “La dichiarazione di scienza, dunque, è una dichiarazione inserviente. Essa presuppone sempre una situazione giuridica della quale, in forma diretta o indiretta, afferma la esistenza. D’altra parte, essendo formato il suo contenuto da una mera conoscenza, questo tipo di dichiarazione non introduce alcuna innovazione sostanziale nella situazione giuridica alla quale si riferisce”.
7Cfr. Cons. Stato, 30 Settembre 1976, nr. 827, in Cons. Stato, I, 1976, p. 933: ex art. 7, comma 2, nr. 5 della l. n. 1150/1942, “il piano regolatore generale deve per l’appunto indicare i vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale e paesaggistico. E che siffatta indicazione abbia o possa avere natura propriamente costitutiva e non già meramente ricognitiva di prescrizioni discendenti da provvedimenti preesistenti, deriva dal fatto che sicuramente tale è la sua efficacia nei riguardi della tutela dell’interesse ambientale il quale, essendo privo di una considerazione globale specifica in altre leggi, non può trovare nel piano la sua fonte primaria ed autonoma di concreta protezione. Rilievo questo da cui è dato ulteriormente desumere che pari natura ed efficacia abbia o possa avere lo stesso piano anche nei riguardi degli interessi storici o paesistico, essendo essi al primo indistintamente dal citato art. 7 n. 3 accomunati”.
8Come evidenzia, ad esempio, E. Boscolo, La valutazione ambientale e strategica, in Riv. giur. ed., 2008, p. 3 – 17.
9Cfr. punto 4 dei considerato in diritto di Corte Costituzionale, 27 Luglio 2000 nr. 378 e punto 5 dei considerato in diritto di Corte Costituzionale, 26 Novembre 2002, nr. 478 da cui sono tratti gli enunciati di cui nel testo; punto 5.2. dei considerato in diritto di Corte Costituzionale, 7 Novembre 1994, nr. 379: “La riferita concezione ‘dinamica’ del paesaggio, e la più ampia apertura del concetto di urbanistica, hanno avuto per risultato una sorta di mutualità integrativa, per effetto della quale la tutela dei valori paesaggistico-ambientali si realizza anche attraverso la pianificazione urbanistica”; P. L. Portaluri, L’ambiente e i piani urbanistici, in Diritto dell’ambiente, a cura di G. P. Rossi, Torino, 2015, p. 255 – 256: “La giurisprudenza (anche) costituzionale ha [….] legittim[ato] la configurazione del PRG come sede per una tutela aggiuntiva o più rigorosa rispetto a quella di settore. […] Senza intaccare la distinzione concettuale tra l’interesse ambientale e quello urbanistico osserva quel formante giurisprudenziale che se l’ambiente costituisce oggetto di tutela da parte di Autorità e attraverso procedimenti diversi da quelli urbanistici, è pur vero che esso è complementare ed interferisce con le scelte inerenti la gestione del territorio e, pertanto, trova negli strumenti urbanistici la sede non solo per il recepimento delle disposizioni eteronome che lo riguardano, ma anche per una tutela ulteriore”.
10Cfr. P. Urbani, Le nuove frontiere del diritto urbanistico: potere conformativo e proprietà privata, in Dir. e proc. Amm., 2014, p. 15 – 16 il quale evidenzia che “la nuova visione prospettica della disciplina [urbanistica] non può non riflettersi anche a livello dei contenuti dello strumento urbanistico comunale lì dove la giurisprudenza amministrativa da tempo ha ritenuto che il potere di gestione in chiave urbanistica del territorio, proprio perché comprende tra i suoi fini anche la protezione dell’ambiente, quale fattore condizionante le relative scelte può legittimamente indirizzarsi verso valutazioni discrezionali che privilegino la qualità della vita, anche in parti del territorio comprensive di beni immobili non aventi le caratteristiche e peculiari che ne comportino livelli sovraordinati di tutela”.
11Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28 Novembre 2012, nr. 60; Cons. Stato, sez. IV, 21 Dicembre 2012, nr. 6656; Cons. Stato, sez. IV, 6 Maggio 2013, nr. 2427; Cons. Stato, Sez. IV, 13 Giugno 2013, nr. 3262; Cons. Stato, sez. IV, 9 Gennaio 2014, nr. 36.
12Cfr. P. Urbani, Le nuove frontiere del diritto urbanistico: potere conformativo e proprietà privata, in www.pausania.it.
13Cfr. punto 20 dei considerato in diritto di Corte Costituzionale, 28 Giugno 2004, nr. 198. Per una puntuale ricostruzione del dibattito sul significato della materia “governo del territorio” di cui all’art. 117, comma 2, Cost. vedi S. Amorosino, Il governo dei sistemi territoriali. Il nuovo diritto urbanistico, Padova, 2008, p. 3 – 13; T. Bonetti, Il diritto del “governo del territorio” in trasformazione. Assetto territoriali e sviluppo economico, Napoli, Editoriale Scientifica, 2011, p. 43- 55. Nella dottrina appare possibile individuare tre posizioni differenti rispetto a quella accolta dalla giurisprudenza costituzionale:
– la nozione di urbanistica non può essere ricondotta in quella di governo del territorio; di conseguenza, l’urbanistica sarebbe una materia riservata alla potestà legislativa esclusiva regionale. Tale potestà, tuttavia, sarebbe limitata dagli standards urbanistici fissati dallo Stato ex art. 117 comma 2 lettera m). Si tratta di una tesi fondata su un puntuale ed attento esame dei lavori preparatori della l. cost. 3/2001 (cfr. P. Portaluri, La civiltà della conversazione, in Poteri regionali ed urbanistica comunale, a cura di E. Ferrari, P. Portaluri, E. Sticchi Damiani, Milano, 2005, p. 415-426);
– l’urbanistica è la disciplina dell’assetto e dello sviluppo delle città, ossia dei centri abitati; il governo del territorio, invece, concerne la “gestione di una serie di interessi che in parte limitano l’urbanistica ed in parte se ne differenziano; interessi che riguardano la politica delle grandi infrastrutture, la politica dello sviluppo economico, (es. gli insediamenti industriali), la politica agricola”. Si tratta di una tesi che muove dal rilievo che la materia governo del territorio e la materia urbanistica sono nozioni differenti: la prima è espressamente nominata dall’art. 117 comma 3 e, di conseguenza, rientra nella potestà legislativa concorrente; la seconda, invece, non è menzionata; donde, è riconducibile alla potestà legislativa esclusiva regionale (cfr. V. Cerulli Irelli, Il “governo del territorio” nel nuovo assetto costituzionale, in Poteri regionali ed urbanistica comunale, cit., p. 501-507);
– il governo del territorio […] è l’urbanistica nel suo affermato significato di disciplina avente ad oggetto l’intero territorio indipendentemente dal grado della sua urbanizzazione”. Detto altrimenti, la l. cost. 3/2001 avrebbe semplicemente codificato che l’urbanistica ha ad oggetto non soltanto i centri abitati, ma l’intero territorio” (cfr. P. Stella Richter, Principi di diritto urbanistico, Milano; Id., Diritto Urbanistico. Manuale breve, Milano, 2012, p. 1-2).
14Come ricorda P. Urbani, Conformazioni dei suoli e finalità economico sociali, in Urb. e app., 2013, p. 69: “ritorna alla mente il dibattito fra Benvenuti e Miele negli anni ’50 lì dove si contrapponevano due tesi: la prima che sosteneva il nesso tra pianificazione territoriale e pianificazione economica giungendo alla conclusione in riferimento all’art. 41, ultimo comma Cost. di attribuire alla prima il compito della pianificazione di attività economiche. La seconda che riteneva che alla disciplina urbanistica non competesse limitare l’iniziativa economica bensì, più semplicemente, garantire che questa rispetti le regole giuridiche preposte all’ordinato sviluppo del territorio”.
15Così Cons. Stato, sez. V, 24 Aprile 2013, nr. 2265; Cons. Stato, sez. IV, 18 Novembre 2013, nr. 5452: “il p.r.g., nell’indicare i limiti da osservare per l’edificazione nelle zone a carattere storico, ambientale e paesistico, può disporre che determinate aree siano sottoposte a vincoli conservativi indipendentemente da quelli disposti dalle commissioni competenti nel perseguimento della salvaguardia delle cose di interesse storico, artistico, ambientale”; Cons. Stato, sez. IV, 16 Gennaio 2012, nr. 119: “In sede di pianificazione generale, alcune scelte limitative dell’edificabilità delle aree ben possono essere soddisfatte, attraverso l’attribuzione di destinazioni limitative o preclusive dell’edificazione, esigenze di contenimento dell’espansione dell’abitato nonché di salvaguardia di valori paesaggistici e ambientali, in vista del perseguimento di obiettivi di miglioramento della vivibilità del territorio comunale”; Cons. Stato, sez. IV, 13 Gennaio 2010, nr. 50: “le prescrizioni dei piani territoriali paesistici valgono come limite minimo inderogabile alla tutela paesaggistica con la conseguenza che […] non può essere esclusa la possibilità di introdurre – tramite varianti al P.R.G. – una disciplina più restrittiva traente legittimazione autonoma dall’esercizio del potere di gestione del territorio”; Cons. Stato, sez. VI, 11 Ottobre 2007, nr. 5329: “in sede di adozione di un P.R.G. o di una sua variante deve ritenersi consentito al Comune introdurre prescrizioni urbanistiche a fini di protezione ambientale, anche indipendentemente e oltre le specifiche normative di settore rientrando siffatto potere nell’attività di pianificazione generale di competenza del Comune”; Cons. Stato, sez. IV, 7 Settembre 2006, nr. 5199; Cons. Stato, sez. IV, 5 Ottobre 1995, nr. 781, in Foro amm., 1995, p. 2157; Cons. Stato, Ad. Pl., 19 Marzo 1985, nr. 6, in Riv. giur. ed., 1985, I, p. 284.
16Cfr. S. Civitarese Matteucci, Vincoli ambientali, pianificazione urbanistica ed affidamento del privato, in Riv. giur. amb., 1994, p. 923: “Il contenuto dei vincoli ambientali di piano regolatore – schematizzando – può essere così descritto: a) individuazione di determinati beni immobili con valore paesistico o storico, ecc. assimilabili, quanto a tipologia, alle bellezze naturali della legge n. 1497/1939; […]; b) previsione in sede di zoning di aree comunali a verde”.
17Cfr. art. 23, comma 2, lettera d), L.R. Campania 16/2004: “il piano urbanistico comunale […] individua le aree non suscettibili di trasformazione”; art. 20, comma 3, lettera e) e lettera l), L.R. Calabria 19/2002: “il piano strutturale comunale individua le aree per le quali sono necessari studi e indagini di carattere specifico ai fini della riduzione del rischio ambientale” e “individua gli ambiti di tutela del verde urbano e periurbano”; articolo A-25, comma 4, lettera c) dell’allegato alla L. R. Emilia Romagna 20/2000: “la pianificazione urbanistica individua le aree più idonee per la localizzazione […] delle dotazioni ecologiche e ambientali” come, ad esempio, “gli spazi verdi piantumati, bacini o zone umide, spazi aperti all’interno del territorio urbano e periurbano”; art. 10, comma 1, lettera c) ed art. 8, comma 1 ter), L. R. Lombardia 12/2005: “il piano delle regole individua le aree non soggette a trasformazione urbanistica” nel rispetto del documento di piano il quale “definisce la soglia comunale di consumo del suolo”; art. 43, comma 1, lettera c) e d art. 43, comma 2, lettera b), L. R. Veneto 11/2004 “il piano di assetto del territorio e il piano degli interventi individuano rispettivamente i limiti fisici alla nuova edificazione” e “gli ambiti in cui non è consentita la nuova edificazione”.
18Cfr. L.R. Abruzzo 18/1983 recante “Norme per la conservazione, tutela, trasformazione del territorio della Regione Abruzzo” ed, in particolare, l’art. 9, comma 3, lettera c): il piano regolatore generale “precisa le aree da sottoporre a speciali misure di salvaguardia per motivi di interesse naturalistico, paesistico, archeologico, difesa del suolo […] e forn[isce] le relative prescrizioni; art. 9, comma 3, lettera o): il Piano Regolatore Generale “individua le aree, i complessi e gli edifici di interesse storico, artistico ed ambientale su tutto il territorio comunale”; L.R. Campania 16/2004 recante “Norme sul governo del territorio” ed, in particolare, l’art. 23, comma 2, lettera b): il piano urbanistico comunale “raccorda la previsione di interventi di trasformazione con le esigenze di salvaguardia delle risorse naturali, paesaggistico-ambientali, agro-silvo-pastorali e storico-culturali disponibili”; L. R. Calabria 19/2002 recante “Norme per la tutela, governo ed uso del territorio” ed, in particolare, l’art. 20, comma 3, lettera i) e lettera j): il piano strutturale comunale “delimita e disciplina gli ambiti di tutela e conservazione delle porzioni storiche del territorio [e] gli ambiti a valenza paesaggistica ed ambientale”; L.R. Emilia Romagna 20/2000 recante “Disciplina generale sulla tutela e l’uso del territorio” ed, in particolare, l’art. 28, comma 2, lettera f): “Il PSC in particolare […] individua gli ambiti del territorio comunale secondo quanto disposto dall’Allegato”; l’articolo A-17 e l’articolo A-9 dell’Allegato alla L. R. 20/2000: il piano strutturale comunale “individua e disciplina […] le aree di valore naturale e ambientale” nonché “gli edifici di pregio storico-culturale e testimoniale con le relative aree di pertinenza”; L. R. Friuli Venezia Giulia 5/2007 recante “Riforma dell’urbanistica e disciplina dell’attività edilizia e del paesaggio” ed, in particolare l’art. 21, comma 2, lettera c), secondo capoverso: il piano operativo comunale “stabilisce le zone preordinate alla tutela ambientale e del territorio”; L. R. Liguria nr. 36/1997 recante “Legge urbanistica regionale” ed, in particolare, l’art. 28, comma 4, lettera b) e l’art. 50, comma 2, lettera c): il piano urbanistico comunale “definisce […] la disciplina paesistica degli ambiti” nonché l’art. 30, comma 2, lettera d): “Le norme degli ambiti specificano […] la disciplina paesistica degli ambiti”; L.R. Lombardia 12/2005 recante “Legge per il governo del territorio” ed, in particolare, l’art. 10, comma 4, lettera b): il piano delle regole “definisce le aree di valore paesaggistico-ambientale ed ecologiche” e detta “ulteriori regole di salvaguardia e di valorizzazione”; l’art. 57, comma 1: “il piano delle regole contiene […] l’individuazione delle aree a pericolosità e vulnerabilità geologica, idrogeologica e sismica, secondo i criteri e gli indirizzi di cui alla lettera a)”; L.R. Piemonte 56/1977 recante “Tutela ed uso del suolo” ed, in particolare, l’art. 13, comma 7, lettera a) e comma 8: il piano regolatore generale “identifica e delimita le aree inedificabili […] da salvaguardare per il loro pregio paesistico o naturalistico o di interesse storico, ambientale, etnologico ed archeologico”; l’art. 12, comma 2, nr. 2: Il piano regolatore “precisa le aree da sottoporre a speciali norme ai fini della difesa del suolo e della tutela dell’ambiente”; l’art. 14 bis, comma 3, lettera a): “gli elaborati [della componente operativa del PRG] comprendono gli elementi necessari a definire l’attuazione delle previsioni relative […] agli ambiti di interesse storico ed artistico [..]; agli ambiti di interesse paesaggistico ed ambientale riconosciuti in base alla legislazione vigente o agli ulteriori ambiti definiti all’interno di P.R.G.”; L.R. Puglia 20/2001 ed, in particolare, l’art. 9, comma 2, lettera a): le previsioni strutturali del piano urbanistico generale “identificano le linee fondamentali dell’assetto dell’intero territorio comunale […] con riguardo alle aree da valorizzare e da tutelare per i loro particolari aspetti ecologici, paesaggistici […]”; L. R. Toscana 65/2014 recante “Norme per il governo del territorio” ed, in particolare, il combinato disposto dell’art. 92, comma 3, lettera e) e dell’art. 3, comma 2, lettera a) e lettera d): il piano strutturale “contiene […] le regole di tutela e disciplina del patrimonio territoriale”, il quale è costituito, fra l’altro, dalla “struttura idro-geomorfologica che comprende i caratteri geologici, morfologici, pedologici, idrologici e idraulici” e “dalla struttura agro-forestale che comprende boschi, campi e relative sistemazioni […]”; L.R. Veneto 11/2004 recante “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio” ed, in particolare, l’art. 13, comma 1, lettera b): “Il piano di assetto del territorio disciplina, attribuendo una specifica normativa di tutela, le invarianti di natura geologica, geomorfologica, idrogeologica, paesaggistica, ambientale, storico-monumentale e architettonica, in conformità agli obiettivi ed indirizzi espressi nella pianificazione territoriale di livello superiore”; l’art. 13, comma 1, lettera d) e lettera e): “Il piano di assetto del territorio […] individua gli ambiti per la formazione dei parchi e delle riserve naturali di interesse comunale”; l’art. 40 il quale prevede che il piano di assetto del territorio “individua i beni culturali esistenti nei centri storici e prevede per tali beni una “tutela non sostitutiva di quella statale, ma diversa ed aggiuntiva”; l’art. 41, comma 1, lettere a), h), i), j), k), l): “Le zone di tutela che il piano di assetto del territorio individua e disciplina sono: [..] le aree soggette a dissesto idrogeologico, […], le aree boschive o destinate al rimboschimento nonché le aree destinate a bosco interessate da incendi; […] le aree di interesse storico, ambientale e artistico; […] le aree per il rispetto dell’ambiente naturale, della flora e della fauna; […] le aree relative ai contesti figurativi delle ville venete”.
19Cfr. la tassonomia di M. Renna, Vincoli alla proprietà e diritto all’ambiente, in Dir. amb., 2005, p. 715 ss. il quale fa riferimento ai vincoli:
– idrogeologici “finalizzati ad assicurare un buon regime delle acque e specialmente a preservare la stabilità del terreno di fronte ai pericoli di inondazioni, frane, smottamenti e altri simili eventi dannosi”,
– forestali “diretti alla protezione dei boschi […] finalizzati sia alla tutela dal rischio idrogeologico sia alla difesa di terreni o fabbricati dalla caduta di valanghe, dal rotolamento di sassi e da ulteriori simili accidenti sia alla conservazione del patrimonio boschivo in quanto tale […];
– per la tutela delle acque “funzionali alla tutela delle acque dagli inquinamenti integrata con la tutela quantitativa delle risorse idriche”;
– c.d. naturalistici “rivolti alla tutela di valori naturalistici ed ecologici, geologici e biologici, ma anche estetici e, in diverse ipotesi, […] finanche antropologici e storico-culturali”;
– c.d. paesaggistici “diretti alla conservazione di valori naturali, estetici e storico-culturali di particolare rilevanza all’interno di aree omogenee nelle quali detti valori, colti nel loro complesso, hanno un percepibile significato identitario del territorio in cui le stesse ricadono”;
– c.d. vincoli indiretti o di completamento per la tutela dei beni culturali.
20I modelli di prevalenza della normativa di settore sulla disciplina urbanistica appaiono di tre tipi: abrogazione, obbligo di adeguamento, salvaguardia. Al riguardo vedi P. Urbani, Il piano territoriale di coordinamento e le pianificazioni di settore, in Il piano territoriale di coordinamento e le pianificazioni di settore, a cura di G. Caia, Bologna, 2001, p. 95 – 96: le disposizioni dei piani di settore: “a) sono dotate di diretta precettività conformando direttamente le attività umane sul territorio ed abrogando in sostanza le disposizioni difformi contenute nei piani urbanistici; b) si limitano a produrre un obbligo di adeguamento a carico dell’autorità urbanistica, divenendo efficaci, quindi, soltanto a seguito della misura di adeguamento; c) assumono una funzione si salvaguardia [nel senso] di inibire le trasformazioni con esse incompatibili fino al predetto adeguamento”.
21Cfr. P. Marzaro, La ‘cura’ ovvero ‘l’amministrazione del paesaggio’: livelli, poteri e rapporti tra enti nella riforma del 2008 del Codice Urbani (dalla concorrenza dei poteri alla paralisi dei poteri?), in Riv. giur. urb., 2008, p. 416 ss.: “la materia [paesaggio] potrebbe trovare una propria complessiva definizione nel concetto di ‘cura’ del paesaggio, intesa nel senso latino del termine, proprio come ‘cura – amministrazione del paesaggio’ secondo un’accezione ampia, quindi, nella quale possono rientrare non soltanto la nozione giuridica di tutela, ma anche quella, affine ma non coincidente, di salvaguardia […] oltre a quella di valorizzazione-fruizione del paesaggio”.
22Come ricorda C. Marzuoli, Il paesaggio nel nuovo Codice dei beni culturali, in Aedon – Rivista di arti e diritto on line nr. 3/2008: “la tutela paesaggistica, pur se configurata come valore o interesse pubblico su altri prevalente in quanto ‘creato’ da una certa disciplina di settore (una tutela ‘parallela’) non si esaurisce però in quella disciplina, come è dimostrato dalla tradizionale ammissione della possibilità di misure della tutela del paesaggio e dell’ambiente sulla base delle norme, dei principi e dei poteri conferiti alle amministrazioni in sede di pianificazione territoriale e di pianificazione urbanistica”. Vedi, ancora prima delle modifiche apportate dall’art. 1 della l. n. 1187/1968 al nr. 5, del comma 2, dell’art. 7 della l. n. 1150/1942, A. M. Sandulli, Profili giuridici in materia di urbanistica e di paesaggio napoletani, in L’amministrazione italiana, 1957, p. 954, ora in Scritti giuridici, vol. VI, Napoli, 1990, p. 564: “il piano regolatore e il regolamento edilizio attengono specificamente alla disciplina urbanistica locale; ma nulla esclude che essi si occupino della tutela del paesaggio e dei monumenti in funzione non dell’interesse generale (del quale è interprete lo Stato), bensì nell’interesse del cittadino alla conservazione delle bellezze e delle caratteristiche locali tradizionali”; R. Lucifredi, Competenze e coordinamento delle competenze in materia di tutela delle bellezze naturali, in Atti del Convegno di studi giuridici sulla tutela del paesaggio svoltosi in Sanremo 8 – 10 Dicembre 1961, Milano, 1963, p. 38: “gli organi statali competenti […], in sede nazionale, possono talvolta sottovalutare, nella loro visione unitaria delle bellezze naturali di tutto lo Stato, paesaggi e panorami si possono riconoscere sussistenti e degni di tutela interessi paesistici locali di cui sia specifico portatore e tutore il Comune, senza che a ciò contrasti l’esistenza di una tutela statale delle bellezze naturali”; A. Predieri, Riserva della facoltà di edificare e proprietà funzionalizzata delle aree fabbricabili, in Urbanistica, tutela del paesaggio e espropriazione, Milano, 1969, p. 129: “dottrina e giurisprudenza hanno accolto il principio della cosiddetta doppia tutela paesistica affidata cioè tanto agli uffici preposti alla tutela paesistica con l’ordine di competenze e di procedimenti posti dalle leggi che regolano la materia quanto agli uffici preposti alla tutela urbanistica con il loro ordine di competenze e di procedimenti”.
23Così E. Boscolo, La tutela giuridica di paesaggio identitario ed il paesaggio ‘a strati’, in Riv. Giur. Urb., 2009, p. 68 il quale, peraltro, individua pure un “terzo strato” di paesaggio composto “dai paesaggi degradati (‘aree compromesse e degradate’) […], per i quali debbono essere identificate politiche di ricostituzione dei valori paesistici che hanno subito appannamenti”; G. Sciullo, Il paesaggio fra la Convenzione e il Codice, in Riv. giur. urb., 2009, p. 54 il quale fa riferimento a “due nozioni particolari di paesaggio che potremmo definire del paesaggio in senso culturale: l’una – in rapporto alla funzione di tutela, comprensiva dei beni paesaggistici e delle ‘caratteristiche paesaggistiche’ o ‘contesti paesaggistici’ non individuati (né individuabili) come beni paesaggistici […]; l’altra, in rapporto alla funzione di valorizzazione, comprendente anche ‘nuovi valori paesaggistici coerenti ed integrati’ […]”. In proposito, appaiono ancora illuminanti le riflessioni di M. S. Giannini, I beni culturali, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1976, p. 3 ss. spec. p. 10-13, ora in Massimo Severo Giannini. Scritti, vol. VI, Milano, 2005, p. 1005 ss. spec. p. 1011 ss., Il maestro, richiamando i lavori della Commissione Franceschini, esplicita le ragioni per cui i beni ambientali [oggi, si direbbe paesaggistici] sono qualificabili come beni culturali.
24Sulla nozione di “identità nazionale” vedi G. Cartei, Autonomia locale e pianificazione del paesaggio, in Riv. trim. dir. pubbl., 2013, p. 722 – 723: “l’identità cui allude il Codice, tuttavia, non comprende in alcun modo l’identità locale, ma unicamente quella nazionale — richiamata, del resto, dalla stessa disposizione e declinabile nel significato di memoria della comunità nazionale. In tal modo la locuzione, seppur in linea di principio riferibile ai valori dello Stato-comunità finisce di fatto per essere una concettualizzazione soprattutto simbolica, se non una nozione metaforica della sovranità dello Stato”.
25Come osserva M. Immordino e M. C. Cavallaro, Sub art. 134, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di A. M. Sandulli, Milano, 2007, p. 874, l’art. 134 del d.lgs. 42/2004 sostanzialmente riproduce la disciplina già contenuta nella l. n. 1497/1939 nonché nella l. n. 431/1985. Come ampiamente noto, la l. n. 1497/1939 riguarda le bellezze c.d. individue e le bellezze c.d. d’insieme da individuarsi mediante una valutazione prevalentemente estetica retta da criteri il più possibile oggettivi. La l. n. 431/1985 assoggetta invece a vincolo – per utilizzare le efficaci espressioni della Corte Costituzionale – “vaste porzioni e numerosi elementi del territorio individuati secondo tipologie paesistiche ubicazioni o morfologiche rispondenti a criteri largamente diffusi e consolidati nel tempo”. È una forma di tutela “improntata a integralità e globalità” che comporta una “riconsiderazione assidua dell’intero territorio nazionale alla luce ed in attuazione del valore estetico-culturale (cfr. Corte Costituzionale, 27 Giugno 1986, nr. 151)”.
26L’art. 143, comma 1, lettera e), d.lgs. 42/2004 attribuisce al piano paesaggistico regionale il potere di individuare e delimitare gli ambiti le cui “caratteristiche paesaggistiche” debbono essere “salvaguardate” mediante “apposite prescrizioni e previsioni”. Vedi G. Sciullo, Il paesaggio fra la Convenzione e il Codice, cit., p. 52: “Dall’insieme della disciplina contenuta nella parte III del Codice risulta inequivocabilmente che il regime di tutela concerne i tradizionali beni paesaggistici […], ma che per qualche aspetto li trascende. Il Codice, invero, si preoccupa della ‘salvaguardia’ (che costituisce una finalità della tutela) anche delle ‘caratteristiche paesaggistiche degli altri ambiti territoriali’ – ‘altri’ rispetto a quelli in cui sono presenti beni paesaggistici e che l’art. 143 comma 1 lettera e), definisce come ‘ulteriori contesti’ – affidando il compito di delinearne il regime specificamente alla pianificazione paesaggistica (art. 135 comma 4, lett. c) e art. 143 comma 1 lettera e) e in genere a ‘tutti i soggetti che, nell’esercizio di pubbliche funzioni, intervengono sul territorio nazionale’ (art. 135, comma 6). Emerge, pertanto, una seconda classe di entità paesaggistiche rilevanti ai fini di tutela, ossia le ‘caratteristiche paesaggistiche’ ovvero gli ‘ulteriori contesti’ che, sebbene non rientrino nei tipi dei beni paesaggistici (strettamente intesi) e quindi non sono sottoposti allo specifico regime di questi, pur sempre rilevano sub specie della funzione di tutela, in quanto vanno salvaguardati in particolare dalla pianificazione regionale”.
27Come già affermava, G. Berti, Problemi giuridici della tutela dei beni culturali nella pianificazione regionale, in Riv. Amm., 1970, p. 6; Id., Recensione a Alberto Predieri, Urbanistica, tutela del paesaggio, espropriazione, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1971, p. 1157; M. S. Giannini, “Ambiente”: saggio sui diversi suoi aspetti giuridici, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1973, p. 458: “tutti i beni ambientali – lo si è rilevato – sono in funzione conservativa: la funzione si esprime, secondo la dottrina – sul punto pacifica – con un vincolo di conservazione della sostanza del bene”; più recentemente, V. Mazzarelli, La disciplina del paesaggio dopo il d.lgs. 63/2008, in Giorn. Dir. Amm., 2008, p. 1069 che evidenza come “l’idea del paesaggio come bene nel quale si concentrano valori massimamente degni di tutela in sé medesimi; […] dà vita ad un regime di tutela essenzialmente statico, tendente a garantire che il bene subisca il minor numero possibile di manomissioni: ad imporre – enuncia il Codice al primo comma dell’art. 146 – che nei beni non si introducano modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione”; P. Urbani, Per una critica costruttiva all’attuale disciplina del paesaggio, in Dir. Econ., 2010, p. 58: “il vincolo provvedimentale subordina le trasformazioni ad autorizzazione differenziata al fine di tutelare i valori paesaggistici già riconosciuti dai vincoli. Trattasi in questo caso di salvaguardia che non riguarda le prospettazioni future ma attiene alla conservazione di paesaggi risalenti da tramandare alle generazioni future come testimonianze culturali di quella civiltà”.
28Sul piano del diritto positivo cfr. art. 143 comma 1 lettera i), d.lgs. 42/2004: “L’elaborazione del piano paesaggistico comprende almeno […] l’individuazione dei diversi ambiti e dei relativi obiettivi di qualità a termini dell’art. 135 comma 3”; art. 135 comma 3: “in riferimento a ciascun ambito, i piani predispongono specifiche normative d’uso per le finalità indicate negli articoli 131 e 133, ed attribuiscono adeguati obiettivi di qualità”; art. 135 comma 4: “Per ciascun ambito i piani paesaggistici definiscono apposite prescrizioni e previsioni ordinate in particolare: […] alla individuazione delle linee di sviluppo urbanistico ed edilizio, in funzione della loro compatibilità con i diversi valori paesaggistici”;
A livello dottrinale vedi G. Sciullo, Il paesaggio fra la Convenzione e il Codice, cit., p. 51 da cui sono tratti gli enunciati di cui nel testo; Id., Il paesaggio fra la Convenzione e il Codice, cit., p. 54: “anche tale paesaggio, va considerato ai fini della delimitazione per ‘ambiti’ del territorio regionale e anche in relazione ad esso la pianificazione paesaggistica è tenuta a fissare ‘adeguati obiettivi di qualità’ ed a individuare ‘linee di sviluppo urbanistico ed edilizio”; E. Boscolo, Il Piano paesaggistico della Sardegna tra beni paesaggistici e territori-paesaggio, cit., p. 1498: “sono i territori, e nel contempo, i paesaggi ‘feriali’, capaci comunque di esprimere – sempre in ragione del loro assetto materiale – messaggi di senso e non solo utilità d’uso; Id., La nozione giuridica di paesaggio identitario e il paesaggio ‘a strati’, in Riv. Giur. Urb., 2009, p. 70: “non si tratta di specifici beni, bensì di dimensioni e profili che conformano l’identità di un territorio, ossia di particolari caratteri che – ritornando alla definizione generale di cui al primo comma dell’art. 131 – sono idonei a rendere percepibili per la comunità valori di matrice propriamente identitaria. Caratteri che valgono anche a segnare una marca distintiva di quel particolare territorio, dando spessore ad una varietà di paesaggi che costituisce un valore da preservare rispetto ad ogni tendenza omologante (si pensi a quanto spazi sono receduti nel tempo recente ‘a non luoghi’) o semplificatoria (si pensi a come la diffusione di un’architettura stereotipata finisce per rendere banalmente uniformi molte aree di sfrangiamento periurbano)”.
29Come già osservava M. S. Giannini, “Ambiente”: saggio sui diversi suoi aspetti giuridici, in Riv. trim. dir. pubbl., p. 1 – 39; ora in Scritti 1970 – 1976, vol. VI, Milano, 2005, p. 482 – 483: “non ha senso conservare integro un quartiere medievale lasciandolo come fossa in un altopiano di casone, non ha senso conservare un verde paesaggio di collina suburbana in una cintura di stabilimenti industriali”.
30S. Civitarese Matteucci, Vincoli ambientali, pianificazione urbanistica ed affidamento del privato, in Riv. giur. amb., 1994, p. 923, la c.d. doppia tutela “viene giustificata con un richiamo implicito alla dimensione degli interessi, nel senso che la tutela approntata da discipline statali o regionali è dovuta alla esistenza di interessi ambientali rispettivamente nazionali o sovracomunali e costituisce la regola minima di garanzia degli interessi ambientali, mentre l’amministrazione locale rimane competente rispetto agli interessi ambientali di rilievo locale”; G. De Giorgi Cezzi, Il diritto all’identità minore. Beni culturali e tutela dello status, in Studi in onore di L. Mazzarolli, vol. III, Padova, 2007, p. 222 – 223: “alla tutela dei ‘monumenti nazionali’ o alla ‘bella natura del suolo’ patrio [si] affianca la tutela dei segni minori, di piccole e non necessariamente belle ‘cose’: quel mondo minore, se non minimo, privo di aura ‘nazionale’, fatto di stemmi, edicole votive, graffiti, ma anche di punti di vista e di belvedere, luoghi in cui i singoli, piccole collettività o anche istituzioni hanno trovato la ragione della loro edificazione, la faticosa costruzione di una identità minore, appunto”.
31Le espressioni nel testo sono tratte da E. Boscolo, Il Piano paesaggistico della Sardegna tra beni paesaggistici e territori-paesaggio, in Urb. ed App., 2009, p. 1499, il quale rileva che “la sfida più importante è dunque quella di far uscire dalla separatezza disciplinare la materia del paesaggio, facendola penetrare nella gestione dei territori che sono anche paesaggi, affinché la qualità cessi di rappresentare un fatto elitario, riservato a pochi luoghi e poche coorti di fruitori, per divenire elemento qualificante (parafrasando la Convenzione) della ‘vita quotidiana’ di ogni cittadino”; P. Urbani, La costruzione del piano paesaggistico, in Urb. ed App., 2006, p. 385: “il paesaggio ‘permea di valori e contenuti’ il territorio oggetto della pianificazione urbanistica che non può, quindi limitarsi alla determinazione delle destinazioni d’uso dei suoli ma deve determinare una qualità urbanistica o una compatibilità delle trasformazioni ammesse: si pensi al caso in cui il piano – in base ad una direttiva – preveda che i comuni nella formazione dei piani, gli conferiscano contenuti paesaggistici sulla base di queste indicazioni che traggo dalle NTA del piano paesistico della Sardegna: […]”; V. Mazzarelli, La disciplina del paesaggio dopo il d.lgs. 63/2008, cit., p. 1069 la definizione di paesaggio come “contesto territoriale che si caratterizza variamente in ragione della percezione che di esso e delle sue diverse specificità hanno le popolazioni che vi abitano […] collega paesaggio e territorio. Esso ruota intorno all’idea di un paesaggio inteso come rappresentazione di un contesto le cui caratteristiche vanno individuate per definire ‘gli obiettivi di qualità paesaggistica’ da rendere compatibile con le ‘aspirazioni delle popolazioni’ ad una migliore qualità della vita e si affida ad uno strumento necessariamente dinamico finalizzato al raggiungimento di obiettivi di miglioramento e perciò al piano”.
32Cfr., al riguardo, F. Cintioli, Giudice amministrativo, tecnica e mercato, Milano, 2005, p. 203 – 204: “è frequente riscontrare una linea di demarcazione molto sfuggente tra il momento della valutazione tecnica opinabile e quello della ponderazione dell’interesse pubblico. […] Non solo tra di essi è apprezzabile contestualità cronologica, ma addirittura parziale sovrapposizione concettuale sul piano logico. […] La valutazione tecnica e la ponderazione degli interessi, lungi dal potersi tenere distinte, appaiono talora fusi in un procedimento logico unitario”.
33Cfr. M. S. Giannini, Il potere discrezionale della pubblica amministrazione, Milano, 1939, p. 42: “la discrezionalità tecnica dà luogo a una valutazione di tipo scientifico, concernente cioè il fenomeno naturale in sé, non in coordinazione con gli altri fenomeni sociali; la discrezionalità in senso proprio dà luogo ad una valutazione di tipo politico in cui il fenomeno è non più naturale, ma sociale, coordinato cioè a un gruppo di altri fenomeni sociali”; Id., Diritto amministrativo, vol. II, Milano, 1993, p. 55 – 56: “Si potrebbe osservare che la ‘discrezionalità tecnica’ non ha proprio nulla di discrezionale, e che chiamandosi così per un errore storico della dottrina, l’errore potrebbe anche essere corretto. Gli è però che la locuzione è ormai entrata nell’uso comune, e anzi chi la impiega sa bene che essa è totalmente diversa dalla discrezionalità ‘pura’ o ‘amministrativa’ […]. La discrezionalità si riferisce infatti ad una potestà, e implica giudizio e volontà insieme; la discrezionalità tecnica si riferisce ad un momento conoscitivo, e implica solo giudizio: ciò che attiene alla volizione viene dopo, e può coinvolgere o non coinvolgere una separata valutazione discrezionale”; F. G. Scoca, La discrezionalità nel pensiero di Giannini, in Riv. trim. dir. pubbl., 2000, p. 1062: è “acquisita definitivamente la differenza profonda tra discrezionalità (vera e propria) e c.d. discrezionalità tecnica” la quale “riguarda la ricognizione, l’apprezzamento e la valutazione dei dati di fatto” ed è, quindi, insostenibile che “quest’ultima fosse trattata processualmente alla stregua della prima; ossia fosse ritenuta insindacabile in quanto attinente alla valutazione di interessi pubblici (alle scelte di opportunità)”; Id., Sul trattamento giurisprudenziale della discrezionalità, in Potere discrezionale e controllo giudiziario, a cura di V. Parisio, Milano, 1998, p. 113: “la discrezionalità è predicabile solo in relazione a scelte di opportunità, cioè a scelte il cui criterio di decisione consista – come ha insegnato Massimo Severo Giannini – – nella ‘massimizzazione’ dell’interesse pubblico. Tutte le altre scelte non sono discrezionalità amministrativa e, a mio avviso […] non sono per ciò stesso scelte di merito. Il merito coincide, cioè strettamente e rigorosamente con le scelte il cui criterio informatore è l’interesse pubblico. […] Non esiste pertanto una ‘discrezionalità tecnica’: esistono soltanto valutazioni, apprezzamenti tecnici”; C. Marzuoli, Potere amministrativo e valutazioni tecniche, cit., p. 211: “è da escludere che il criterio determinante l’accoglimento di una anziché di un’altra valutazione tecnica sia l’interesse pubblico, ove per tale si intenda quel fenomeno (comparazione e scelta fra interessi) in cui consiste l’apprezzamento discrezionale”; p. 214: “l’elemento che consente di superare l’opinabilità della questione tecnica appartiene all’ordine dei valori”; p. 218: “non si può negare che i valori espressi dall’amministrazione (per il fatto che essi scaturiscono dalla forzata compresenza di valori portati da gruppi individuati e individuabili in base a criteri diversi e per il fatto che sono sistematicamente mediati dall’indirizzo politico) siano più rappresentativi dell’insieme del corpo sociale, per un verso, e, per un altro, […], più facilmente influenzabili e controllabili dai cittadini”; F. Ledda, Potere, tecnica e sindacato giudiziario, in Dir. proc. amm., 1983, p. 428: “gli studi sulla discrezionalità amministrativa [ne hanno] posto in evidenza la relativa autonomia dalle valutazioni tecniche. Indubbiamente, molto spesso tali valutazioni sono precedute da una prima individuazione e ponderazione di quei pubblici interessi che concorrono a delimitare l’ambito del problema tecnico relativo ad una certa situazione; e forse ancor più spesso si hanno determinazioni discrezionali successive, che utilizzano i risultati dell’indagine tecnica per la risoluzione del problema amministrativo vero e proprio. Ciò nondimeno questi momenti, che talvolta si susseguono ed alternano secondo ordini seriali molto articolati, sono pur sempre suscettibili di distinzione; V. Cerulli Irelli, Discrezionalità amministrativa e sindacato di legittimità, in Dir. proc. amm., 1984, p. 477: “con l’espressione mera attuazione delle legge si intende invero fare riferimento ad un dato prettamente giuridico […] che sta in ciò, che nell’ambito delle attività così qualificabili all’amministrazione non è consentito procedere ad autonoma (discrezionale) valutazione dell’interesse pubblico o degli interessi pubblici in gioco”; p. 478: [nell’ipotesi di] attività amministrativa discrezionale […] la legge stessa, attribuendo ad un’autorità amministrativa la cura concreta di un interesse pubblico, le imputa con ciò solo, uno spazio libero dell’agire (più o meno ampio) nel quale essa è tenuta muoversi autonomamente, cioè a compiere scelte (circa la amministrazione dell’interesse pubblico medesimo) che sono sue proprie: di essa come quella che per legge è attributaria della cura dell’interesse; E. Capaccioli, Pagine scelte del manuale di diritto amministrativo, a cura di F. Merusi e D. Sorace, Padova, 1995, p. 88 – 89: “La discrezionalità […] è il criterio di valutazione onde si sceglie nel caso concreto la soluzione più adatta per soddisfare l’interesse pubblico in relazione al fine predeterminato dalla legge [….] Il rapporto “determinazione volitiva – interesse pubblico da soddisfare” è specifico ed esclusivo della discrezionalità; esso si giova della tecnica, ma non si confonde con essa. […] Il momento discrezionale comincia quando termina quello tecnico o finisce quando comincia quello tecnico”; G. Sala, Potere amministrativo e principi dell’ordinamento, Milano, 1993, p. 215: “L’identificazione di discrezionalità tecnica e discrezionalità amministrativa [è] diversa quanto diverso è un giudizio da un atto volitivo di scelta, risulta infatti la funzione amministrativa allorché opera la qualificazione di un fatto alla luce di criteri tecnici o scientifici, seppure a carattere valutativo, da quando invece definisce l’interesse pubblico prevalente secondo una valutazione di opportunità”; N. Paolantonio, Il sindacato di legittimità sul provvedimento amministrativo, Padova, 2000, spec. p. 92 – 158, p. 319 – 344, spec. p. 329: “ogni fatto che entra a far parte della struttura causale del provvedimento in esito alla fase di impostazione delle premesse [è oggetto] di un giudizio che […] non involge alcun momento discrezionale ed ha natura essenzialmente interpretativa della norma attributiva di potere o determinativa della competenza”; p. 331: “sul giudice incombe la responsabilità di isolare gli apprezzamenti dell’amministrazione che hanno concorso all’individuazione ed alla concretizzazione dell’interesse pubblico specifico dalle altre valutazioni, di pura opportunità, che afferiscono direttamente e specificamente alla identificazione della migliore soluzione del problema”. Nel primo caso, “si tratta di apprezzamenti che non comportano alcuna ponderazione di interessi”; D. DE PRETIS, Valutazioni amministrative e discrezionalità tecnica, Padova, 1996, che critica incisivamente la categoria della c.d. discrezionalità tecnica ed individua quella delle valutazioni non discrezionali; ossia prive di “ciò che è tradizionalmente proprio dell’attività discrezionale, cioè l’essere valutazione concernente gli interessi – riservata all’amministrazione in ragione della sua istituzionale funzione di complesso organizzatorio preordinato a perseguire in concreto nel migliore modo possibile l’interesse pubblico ad essa affidato dalla legge” (p. 234). Le valutazioni non discrezionali, a “differenza dell’attività vincolata [comportano] un apporto nuovo ed originale del soggetto applicante […]; tale apporto tuttavia, non avendo ad oggetto la valutazione comparativa degli interessi, si differenzierebbe dalla creatività propria dell’intervento discrezionale”; R. Caranta, I sassi e lo stagno (il difficile accesso al fatto del giudice amministrativo), in Urb. ed app., 2000, p. 1350: “il tentativo di assimilare le valutazioni tecniche alla discrezionalità amministrativa […] è divenuto impossibile nella misura in cui il proprium della discrezionalità amministrativa è stato individuato nel bilanciamento di contrapposti interessi”; E. Follieri, La sindacabilità delle valutazioni tecniche della pubblica amministrazione nella tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, in Studi in onore di Leopoldo Mazzarolli, vol. IV, Padova, 2007, p. 158: La discrezionalità amministrativa “è espressione di una scelta e di una decisione sull’opportunità di una determinata soluzione frutto della comparazione degli interessi pubblici, collettivi e privati presenti una determinata fattispecie concreta […]”; la discrezionalità tecnica, invece, “è manifestazione, nelle ipotesi di maggiore ampiezza e complessità, di un giudizio conseguente ad accertamenti di fatto […]”.
34Al riguardo vedi criticamente D. De pretis, Valutazioni amministrative e discrezionalità tecnica, cit., p. 178 – 189 con ampi richiami bibliografici, spec. p. 180 “il tratto comune alle posizioni della dottrina in merito alla c.d. ‘discrezionalità tecnica’ […] consiste in prevalente misura ancor oggi proprio nella qualificazione in termini positivi di ‘scientificità’ o comunque di ‘carattere specialistico’ delle regole nella cui applicazione la discrezionalità tecnica si esprime”; p. 182: “la dottrina – di gran lunga minoritaria – che si discosta dalla tendenza ad accentuare e a valorizzare il carattere della tecnicità-scientificità delle regole applicate, ove non si limiti a tacere sul punto, allargano magari il significato della tecnicità anche alle c.d. ‘regole di esperienza’, nel migliore dei casi propone come rilievo esplicito del tutto incidentale quello della sostanziale irrilevanza della ‘tecnica’ nella soluzione del problema delle valutazioni non discrezionali”.
35T.A.R. Lazio, sez. II, 13 Gennaio 2015, nr. 437; T.A.R. Molise, sez. I, 13 Marzo 2015, nr. 106; T.A.R. Puglia, Lecce, sez. III, 3 Gennaio 2014, nr. 12; T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 17 Luglio 2014, nr. 830; T.A.R. Lombardia, sez. II, 22 Luglio 2014, nr. 1975; T.A.R. Veneto, sez. II, 14 Febbraio 2014, nr. 202; T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. II, 22 Ottobre 2013; Cons. Stato, sez. IV, 27 Gennaio 2012, nr. 434; Cons. Stato, sez. IV, 18 Maggio 2012, nr. 2919; T.A.R. Sicilia, sez. I, 11 Luglio 2013, nr. 2031; T.A.R. Lombardia, sez. II, 4 Gennaio 2012, nr. 15; nr. 871; T.A.R. Veneto, sez. II, 7 Aprile 2011, nr. 580; T.A.R. Emilia Romagna, sez. I, 12 Aprile 2011, n. 341; Cons. Stato, sez. IV, 23 Dicembre 2010, nr. 9372; Cons. Stato sez. IV, 18 Ottobre 2010, nr. 7557; Cons. Stato, sez. IV, 13 Ottobre 2010, nr. 7478; Cons. Stato, sez. IV, 21 Dicembre 2009, nr. 8514; Cons. Stato, sez. IV, 07 Luglio 2008, nr. 3377.
36T.A.R. Campania, Salerno, 20 Aprile 2015, nr. 876; Cons. Stato, sez. V, 9 Settembre 2013, nr. 4472; Cons. Stato, sez. IV, 12 Febbraio 2013, nr. 830: “la destinazione a verde agricolo di un’area stabilita dallo strumento urbanistico generale non implica necessariamente che l’area soddisfi in modo diretto ed immediato gli interessi agricoli, potendo giustificarsi con le esigenze dell’ordinato governo del territorio quale la necessità di impedire un’ulteriore edificazione o un congestionamento delle aree, mantenendo un equilibrato rapporto tra aree libere ed edificate o industriali”; Cons. Stato, sez. IV, 11 Settembre 2012, nr. 4806; T.A.R. Abruzzo, sez. I, 9 Novembre 2011, nr. 628; T.A.R. Lombardia, sez. IV, 9 Settembre 2011, nr. 2199; Cons. Stato, sez. IV, 6 Luglio 2009, nr. 4308: “la destinazione di aree a zona E ben può essere utilizzata per esigenze di salvaguardia del paesaggio e dell’ambiente, e ciò anche derogando alle denominazioni di cui al D.M. 1444 del 1968”.
37Cfr., G. Cartei, La disciplina dei vincoli paesaggistici: regime dei beni ed esercizio della funzione amministrativa, in Urbanistica e Paesaggio, a cura di G. Cugurra, E. Ferrari, G. Pagliari, Napoli, 2005, p. 230: “un’area può essere considerata edificabile o agricola in funzione delle scelte di pianificazione generale e degli obiettivi di maggiore o minore espansione delle aree edificabili previste nello strumento generale. Malgrado la palese natura discrezionale della potestà amministrativa degli enti locali, tuttavia, anche in tal caso, la giurisprudenza ritiene che tali vincoli, al pari di quelli paesaggistici, non ricadono nella disciplina dell’art. 2 della L. n. 1187 del 1968 [e, quindi, siano conformativi]”.
38Sulla relazione di strumentalità fra V.A.S. e sviluppo sostenibile vedi Cons. Stato, sez. IV, 26 Febbraio 2015, nr. 975: “La valutazione ambientale di piani e programmi (VAS), e la valutazione di progetti (VIA), hanno entrambe la finalità di assicurare che l’attività antropica sia compatibile con le condizioni per uno sviluppo sostenibile (art. 4 comma 3 codice ambiente). Più in particolare: a) la valutazione ambientale di piani e programmi ha la finalità di garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente, contribuendo all’integrazione delle relative previsioni, con considerazioni specificamente ambientali, che siano tali da guidare l’amministrazione nell’effettuazione nelle scelte discrezionali, tipiche, per l’appunto, dei piani e dei programmi;F. Fracchia e F. Mattasoglio, Lo sviluppo sostenibile alla prova: la disciplina di V.I.A. e di V.A.S., in Riv. trim. dir. pubbl., 2008, p. 122: “la valutazione ambientale [….] dovrebbe assicurare che lo sviluppo sia sostenibile in chiave ambientale, garantendo la possibilità di consegnare alle generazioni future un patrimonio ed uno stock di risorse non inferiore rispetto a quello che noi abbiamo ereditato”; F. Fracchia, I procedimenti amministrativi in materia ambientale, in Diritto dell’ambiente, a cura di A. Crosetti, Roma – Bari, 2008, p. 419 – 426: “la valutazione ambientale strategica […] ha la finalità di garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente e contribuire all’integrazione di considerazioni ambientali all’atto dell’elaborazione, dell’adozione e dell’approvazione di detti piani e programmi assicurando che siano coerenti e contribuiscano alle condizioni per uno sviluppo sostenibile”; E. Boscolo, La VAS nel piano e la VAS del piano: modelli alternativi di fronte al giudice amministrativo, in Urb. ed app., 2010, p. 1108 ss, il quale evidenzia “i due diversi modelli ricostruttivi generali della valutazione strategica. Secondo un primo schema (“chi approva, valuta”) […] la VAS dovrebbe integrarsi strettamente con la procedura di pianificazione (VAS nel piano); secondo la diversa soluzione propugnata dal codice dell’ambiente, la VAS dovrebbe invece mantenersi nettamente esterna rispetto alla sequenza pianificatoria. Nella lettura ‘integrazionista’ la VAS assolverebbe la funzione di un ausilio della decisione e risulterebbe funzionale ad una introiezione dell’interesse ambientale entro la decisione di piano; nella lettura ‘separazionista’ la VAS avrebbe unicamente la funzione di un controllo ab externo circa la compatibilità ambientale dell’atto pianificatorio”; G. Pagliari, Pianificazione urbanistica e ambiente – V.I.A. e V.A.S., in Riv. giur. urb., 2011, p. 148 – 149: “Dalla letture delle definizioni [i.e. di cui al comma 3 dell’art. 4; alla lettera b) del comma 4 dell’art. 4; all’art. 5, comma 1, lett. c] si evince chiaramente che il sistema delle valutazioni ambientali, in una con l’autorizzazione ambientale integrata, è finalizzata a consentire la salvaguardia dello ‘sviluppo sostenibile”; G. Rossi, Funzioni e procedimenti, in Parte Generale – Diritto dell’Ambiente, a cura di G. Rossi, Torino, 2015, p. 74 – 83, spec. p. 74: “per alcuni procedimenti la tutela dell’ambiente è l’oggetto precipuo della funzione cui sono preposti Si tratta di quei procedimenti in cui [….] la ponderazione degli interessi è condotta avendo riguardo alla ottimizzazione del fattore ambientale”; p. 81 – 82: “il connotato ‘strategico’ di questa valutazione sta quindi proprio nella peculiarità di garantire un’analisi delle ricadute potenziali sull’ambiente delle possibili azioni pianificate, e delle differenti opzioni fra le quali l’amministrazione si trova a dover scegliere nella predisposizione […] di atti a contenuto generale”.
39B. G. Mattarella, Parchi naturali e sviluppo sostenibile, in Giorn. dir. amm., 2007, p. 567: “il concetto di sviluppo sostenibile riconduce, quindi, a strumenti concettuali che noi amministrativisti conosciamo bene [….]: la discrezionalità e il controllo sull’esercizio del potere discrezionale. In definitiva si tratta di compiere scelte e di ponderare interessi”; G. Pagliari, Pianificazione urbanistica e ambiente – V.I.A. e V.A.S., in Riv. giur. urb., 2011, p. 150: “il parametro dello sviluppo sostenibile […] è destinato a caratterizzare l’indagine per la poliedricità, la pluralità e l’eterogeneità dei profili che devono essere indagati. […] Ne emerge una configurazione dell’atto valutativo (senza entrare […] nel merito della natura giuridica della V.A.S. e della V.I.A.) particolarmente delicata e complessa, con un evidente intreccio tra accertamenti tecnici, che potrebbero lasciar precludere ad ipotesi di discrezionalità tecnica o di discrezionalità mista […] e istruttorie atecniche (cioè non richiedenti l’applicazione di regole tecniche) che aprono la porta alla discrezionalità amministrativa pura. Con tutto questo […] se si considera la complessità dell’indispensabile sintesi finale e la necessità di comparare analisi eterogenee per giungere al ‘giudizio’ non si può non concludere – prima facie – che nel senso della discrezionalità pura”.
40Cfr., ad esempio, F. G. Scoca, Caratteri e scopi delle pianificazione di settore e rappresentazioni procedimentali degli interessi pubblici, in Il piano territoriale di coordinamento e le pianificazioni di settore, Bologna, 2011, p. 24 – 25: “nella pianificazione urbanistica e territoriale […] non è dovuta né scontata la considerazione primaria delle esigenze conservative poiché nell’esercizio di questa funzione pianificatoria, l’obiettivo della tutela ambientale non è prioritario ed esclusivo, ma è il frutto del confronto e della mediazione tra i vari interessi implicati dall’assetto del territorio tra loro pariordinati, sicché, in tal contesto, l’interesse ambientale legittimamente può risultare cedevole rispetto ad altre necessità, magari espresse da gruppi più organizzati ed influenti nel contesto amministrativo locale”.
41P. Stella Richter, Profili funzionali dell’urbanistica, Padova, 1984, p. 23 – 37, spec. p. 31 – 32.
42Cfr. la ricordata sentenza del Cons. Stato, sez. IV, 10 Maggio 2012, nr. 2710.
43Cfr. Cons. Stato, sez. V, 24 Aprile 2013, nr. 2265: “non si realizza alcuna duplicazione rispetto alla sfera di azione della legislazione statale di settore in quanto il pregio del bene, pur se non sufficiente al fine di giustificare l’adozione di un provvedimento impositivo di vincolo culturale o paesaggistico in base alla considerazione atomistica delle caratteristiche del bene, viene valutato come elemento di particolare valore urbanistico e può, quindi, costituire oggetto di salvaguardia in sede di scelta pianificatoria. E tanto in coerenza con una nozione ampia della materia urbanistica, che valorizza la funzione di governo del territorio attraverso la disciplina, nella loro globalità di tutti i possibili insediamenti e delle altre utilizzazioni del territorio”; Cons. Stato, sez. IV, 18 Novembre 2013, nr. 5452: “la distinzione fra le forme di tutela previste dalla legislazione di settore e le scelte pianificatorie volte alla valorizzazione di complessi edilizi di interesse culturale, storico ed ambientale [….] risiede […] nel dato teleologico relativo alla diversa finalità che permea le rispettive statuizioni amministrative; il p.r.g. può recare previsioni vincolistiche […] quante volte [il vincolo], pur se puntuale sotto il profilo della portata, sia rivolta non alla tutela autonoma dell’immobile ‘ex se’ considerato ma al soddisfacimento di esigenze urbanistiche evidenziate dal carattere qualificante che il singolo immobile assume nel contesto dell’assetto territoriale”; T.A.R. Puglia, sez. I, 26 Maggio 2010, nr. 1248: “in sede di pianificazione urbanistica sono consentite sia la ricognizione dei vincoli imposti in virtù di leggi speciali sia la costituzione di vincoli autonomi per la tutela di valori ambientali e paesaggistici considerati in una prospettiva specificamente urbanistica così come si possono adottare varianti al P.R.G. dichiaratamente destinate a tutelare, tra gli altri valori, quello ambientale, motivandole, anche senza necessità di diffuse analisi argomentative, con riguardo al valore fondamentale del paesaggio, protetto dall’art. 9 Cost.”; S. Civitarese Matteucci, Vincoli ambientali e pianificazione urbanistica ed affidamento del privato, cit., p. 924 – 925: “secondo alcune pronunce, i vincoli devono avere un contenuto peculiare consistente nell’essere previsti in via generica e con riferimento all’assetto urbanistico complessivo. Si viene così ad inserire un elemento spurio nel consueto iter argomentativo, consistente nell’ammettere implicitamente che l’ipotetico accertamento tecnico sulla rilevanza paesistica di una zona, deve essere filtrato attraverso una valutazione complessiva del disegno urbanistico [..]”.
44M. Renna, I principi in materia di tutela ambientale, in Riv. giur. amb., 2012, p. 74: “La pubblica amministrazione, ove debba esercitare un potere discrezionale, è sempre tenuta, perciò, in osservanza del principio [dello sviluppo sostenibile], a considerare prioritariamente gli interessi ambientali, a prescindere da puntuali previsioni legislative in tal senso”.
45F. Fracchia, Lo sviluppo sostenibile. La voce flebile dell’altro tra protezione dell’ambiente e tutela della specie umana, Napoli, 2010, p. 229: “Risulta viziata – quanto meno sotto il profilo dell’eccesso di potere – una determinazione che non effettui un adeguato vaglio dei vari ‘interessi pubblici e privati’ (anche di quelli non ambientali) e che si limiti a valorizzare il profilo della protezione della natura. Esso, infatti, non è più decisivo e ciò conferma che l’introduzione dello sviluppo sostenibile nel nostro ordinamento, se da un lato, conferisce ulteriore dignità all’ambiente; dall’altro lato, lo ‘sdogana’, lo ‘relativizza’ rendendolo confrontabile con altri valori e con differenti esigenze”. Sulla ponderazione dell’interesse pubblico primario alla luce degli interessi pubblici secondari vedi M. S. Giannini, Il potere discrezionale della pubblica amministrazione, Milano, 1939, p. 77: “un determinato interesse pubblico non esiste mai isolato nel mondo sociale; assegnando la cura di questo interesse ad un organo, gli si deve allora permettere di tener conto di altri interessi che con quello concorrono o che a quello accedono. [….] Questi altri interessi di fronte all’interesse attribuito alla cura funzionale dell’autorità, che si può denominare interesse essenziale, hanno carattere secondario (e si possono denominare interessi secondari). [….] Gli interessi secondari hanno un’efficacia modificativa o impeditiva dell’interesse essenziale”.
46F. Fracchia, Lo sviluppo sostenibile. La voce flebile dell’altro tra protezione dell’ambiente e tutela della specie umana, cit., p. 228: “non necessariamente e non inevitabilmente l’interesse ambientale è destinato a prevalere su altre istanze; piuttosto, ove tale prevalenza non si verifichi, l’amministrazione deve puntualmente e adeguatamente motivare circa la sussistenza di interessi che, nel caso concreto, appaiono prevalenti”; M. Renna, I principi in materia di tutela ambientale, cit., p. 74: “Il peso specifico degli interessi ambientali, dunque, deve essere sempre maggiore del peso specifico degli altri interessi posti sulla bilancia della comparazione, anche se ciò – giova rimarcarlo – non implica che i primi debbano necessariamente prevalere sui secondi”. Sulla ponderazione degli interessi come attività volitiva vedi M. S. Giannini, Il potere discrezionale della pubblica amministrazione, cit., p. 79 – 80: “la ponderazione degli interessi dà luogo ad un’attività intellettiva in quanto si tratta di comprendere e stabilire come l’interesse essenziale sia atteggiato dal gioco degli interessi secondari. La fissazione dei valori dei diversi interessi termina in un’attività volitiva in quanto l’autorità si pone come regola la scala dei valori da se stessa fissati”.
47Cfr. L.R. Emilia Romagna nr. 20/2000: “La pianificazione territoriale e urbanistica, oltre a disciplinare l’uso e la trasformazione del suolo, accerta i limiti e i vincoli agli stessi che derivano: [..] da uno specifico interesse pubblico insito nelle caratteristiche del territorio, stabilito da leggi statali o regionali relative alla tutela dei beni ambientali, paesaggistici, culturali, alla protezione della natura e alla difesa del suolo” (art. 6, comma 1, lettera a); L.R. Toscana nr. 65/2014: “Per invarianti strutturali si intendono i caratteri specifici, i principi generativi e le regole che assicurano la tutela e la riproduzione delle componenti identitarie qualificative del patrimonio territoriale” (art. 5, comma 1); “L’individuazione delle invarianti strutturali riguarda l’intero territorio, comprese le sue parti degradate” (art. 5, comma 2); “L’individuazione, nell’ambito dello statuto del territorio, delle invarianti strutturali costituisce accertamento delle caratteristiche intrinseche e connaturali dei beni immobili in esso ricompresi” (art. 7); L. R. Umbria nr. 1/2015: “Il PRG, parte strutturale, identifica […] le componenti strutturali quali: […] gli elementi del territorio che costituiscono il sistema delle componenti naturali […]; le aree instabili a rischio”
48Cfr. punto 5 dei considerato in diritto di Corte Costituzionale, 29 Maggio 1968, nr. 66: “la legge imprime, per così dire, un certo carattere a determinate categorie di beni, identificabili a priori per caratteristiche intrinseche, salva la possibilità di accertare, con atti amministrativi di destinazione individuale, l’esistenza delle situazioni presupposte rispetto a singoli soggetti e a singoli beni. Solo per le imposizioni che comportano un sacrificio riguardo a beni che non si trovino nella situazione suddetta sorge […] il problema dell’indennizzabilità; e i beni che formano il patrimonio paesistico della comunità costituiscono essi stessi una categoria a contorni certi, dato il carattere tecnico del giudizio che la pubblica amministrazione è chiamata ad emettere per delinearla in concreto e che è suscettibile di sindacato giurisdizionale”. Vedi A. M. Sandulli, I limiti della proprietà privata nella giurisprudenza costituzionale, cit., p. 315: la sentenza nr. 6/1966 “dichiarò che l’esercizio della potestà di ‘configurazione’ dell’istituto della proprietà non può essere considerato tuttavia legittimo se non nella misura in cui il legislatore operi non per singole fattispecie di beni, ma ‘per categorie di beni’ sempre che si tratti di ‘categorie identificabili per caratteristiche intrinseche’ (e quindi non per scelte effettuate discrezionalmente dall’autorità amministrativa) (corsivo aggiunto)”; L. Paladin, Carattere non espropriativo di vincoli paesistici (tutela delle bellezze naturali ed ambientali dei Colli Euganei), in Giur. Cost, 1973, p. 42: “lo sforzo dei giudici costituzionali mira ad isolare le disposizioni legislative che ‘diano un certo carattere a determinate categorie di beni identificabili a priori per contrassegni intriseci’ onde la loro esecuzione in via amministrativa ne ‘acclara la corrispondenza alla…previsione normativa’; opponendole a quelle che invece riguardino complessi di beni indefiniti ed indefinibili in via preventiva cosicché alla pubblica amministrazione non compete l’accertamento di un limite già connaturato nel diritto di proprietà, ma spetta il potere di aggiungere al bene – caso per caso – ‘qualità di pubblico interesse non indicate dalla sua indole ed acquistate per la sola forza di un atto amministrativo discrezionale” (corsivo aggiunto); C. Marzuoli, Potere amministrativo e valutazioni tecniche, Milano, 1985, p. 232 – 233: la sentenza della Corte Costituzionale 29 Maggio 1968, nr. 56 “utilizza la locuzione ‘discrezionalità tecnica’ nel senso di valutazione non coinvolgente apprezzamenti di pubblico interesse”. Più recentemente P. Marzaro, La pianificazione urbanistica e gli immobili esistenti, Padova, p. 43 – 44: “il riferimento alla caratteristiche oggettive allo scopo di individuare uno specifico regime della proprietà, potrebbe allora essere foriero di sviluppi non soltanto dal punto di vista della misura dell’indennizzo, ma anche con riguardo alla garanzia del godimento del bene stesso, qui considerato per la sua appartenenza ad una categoria – giuridicamente – omogenea”; M. Renna, Vincoli alla proprietà e diritto dell’ambiente, cit., p. 715, il quale richiama la “celebre ricostruzione forgiata dalla sentenza nr. 56 del 1968” ed afferma che “i vincoli ambientali assoluti […] non sono perciò indennizzabili a norma dell’art. 42, comma 3 della costituzione giacché gli stessi vengono imposti ai sensi del comma 2 del medesimo articolo, in esito al riscontro di determinate condizioni fisiche e qualità intrinseche nei beni considerati e, pertanto, in seguito ad accertamenti e valutazioni che non dovrebbero varcare i confini della discrezionalità tecnica (corsivo aggiunto)”; D. De Pretis e B. Marchetti, La discrezionalità della pubblica amministrazione, in Diritto amministrativo e Corte Costituzionale, a cura di G. della Cananea e M. Dugato, Napoli, 2006, p. 371 – 372: “La distinzione fra discrezionalità amministrativa e discrezionalità tecnica è molto praticata dalla Corte. […] Uno dei momenti più significativi di elaborazione della differenziazione fra l’uno e l’altro tipo di discrezionalità (in qualche modo già anticipata nella sentenza 6/1996) è costituito dalle note sentenze 55 e 56/1968 in tema di jus aedificandi alla proprietà immobiliare privata. La Corte collega alla diversa natura della discrezionalità che starebbe alla base rispettivamente della scelta urbanistica da un lato (discrezionale in quanto comparativa degli interessi in gioco, sentenza 55) e della scelta paesaggistico – ambientale dall’altro (tecnica, in quanto semplicemente dichiarativa di una condizione del bene). Nel primo caso soltanto vi è vera discrezionalità e il vincolo va indennizzato ai sensi dell’art. 42 Cost. […]. Nel secondo caso alcun indennizzo è dovuto, giacché, se un bene presenta le caratteristiche di pregio che in base alla norma generale impongono il vincolo a tutti i beni di quel tipo, l’amministrazione ‘è tenuta’ a vincolare”.
49Cfr. terza, quarta e quinta proposizione del decimo capoverso del punto 4 di Corte Costituzionale, 9 Maggio 1968, nr. 55: “il legislatore può […] autorizzare imposizioni a titolo particolare, con diversa gradazione e più o meno accentuata restrizione delle facoltà di godimento e di disposizione. Ma tali imposizioni a titolo particolare non possono mai eccedere, senza indennizzo, quella portata al di là della quale il sacrificio imposto venga ad incidere sul bene, oltre ciò che è connaturale al diritto dominicale quale viene riconosciuto nell’attuale momento storico. Al di là di tale confine, essa assume carattere espropriativo (corsivo aggiunto)”. Vedi A. M. Sandulli, Profili costituzionali della proprietà privata, cit., p. 472: “L’art. 42 vuole dunque che il legislatore attinga alla realtà sociale (che è cosa diversa dalla costituzione materiale, la quale implica una normazione giuridicamente operante) al comune sentire del momento storico. Vuole cioè che a tali dati il legislatore si uniformi nel regolare e garantire i singoli istituti. Ecco perché in materia non è vaniloquenza richiamarsi alla ‘coscienza sociale’; S. Mangiameli, La proprietà privata nella costituzione. Profili generali, Milano, 1986, p. 61, il quale – pur criticandole – ricorda “alcune opinioni che, per definire il contenuto della proprietà, si richiamano all’elemento della coscienza sociale in evoluzione e del comune sentire” e riconosce che “su questa linea argomentativa la Corte Costituzionale ha fondato una sua celebre, quanto discussa, decisione in materia di proprietà urbana: la n. 55 del 1968”; F. Salvia, Il contributo di A. M. Sandulli alla ricostruzione della proprietà alla luce della costituzione repubblicana, in A. M. Sandulli(1915 – 1984). Attualità del pensiero giuridico del maestro, Milano, 2004, p. 460: “l’aspetto innovativo della tesi [del Sandulli] sta nell’aver precisato che la determinazione del contenuto della proprietà (pur lasciata alla valutazione politica del legislatore), non può essere considerata il frutto di scelte totalmente libere o peggio arbitrarie”.
50F. Salvia, Vincoli urbanistici ed uso della proprietà, in Il diritto urbanistico in 50 anni di giurisprudenza della corte costituzionale, a cura di M. A. Sandulli, R. Spasiano, P. Stella Richter, Napoli, 2007, p. 32 – 33: “La dottrina a tratti si è chiesta se potesse essere elaborato un criterio sicuro per fare uscire dalle sabbie mobili questo nucleo minimo essenziale della proprietà, solo in apparenza …solido e inamovibile. Si tratta, a mio avviso, di un tentativo vano perché la vera caratteristica dei “concetti valvola” è quella della loro indeterminatezza: di non poter esser cioè definiti “a priori”, se non al prezzo di perdere la loro natura.”.
51Cfr. M. Luciani, La produzione economica privata nel sistema costituzionale, Padova, 1983, p. 79 – 90 spec. p. 80 – 81: “la categoria fu elaborata per la prima volta da K. G. Wurzel in un libretto […] la cui tesi fondo suonava così: ‘in ogni caso, comunque, intenzionalmente o solo istintivamente in ogni sistema giuridico sono presenti concetti la cui funzione principale consiste nell’approntare una categorizzazione per l’imprevisto, nel prestare al diritto una certa flessibilità, una capacità di adattamento […] Io li definisco concetti valvola perché essi sono paragonabili a delle valvole di sicurezza’. Valvole di sicurezza, ovviamente, dell’ordinamento nel suo complesso”.
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