La riforma della tassazione ambientale secondo il FMI
M. GABRIELLA IMBESI
1. Aspetti generali della tassazione ambientale
Un recente studio del Fondo monetario internazionale1 propone le linee guida per disegnare la nuova tassazione ambientale e lo fa ispirandosi alle esperienze di alcuni Stati ritenute particolarmente significative. I punti fermi della ricerca ruotano intorno a taluni principi standard che sfruttano la riduzione di emissioni di gas serra e nel contempo minimizzano i relativi costi amministrativi.
Lo studio affronta gli effetti della tassazione, riconoscendo che questo è solo uno degli strumenti ambientali di riferimento, cui si aggiungono i c.d. permessi negoziabili, i sussidi per la riduzione di emissioni e gli standard di prestazione.
Una fiscalità ambientale efficace è lo strumento naturale per internalizzare i danni ambientali ed attualmente le tasse ambientali (prime fra tutti quelle sui carburanti e sui veicoli) rappresentano circa il 3-10% del gettito nella maggior parte dei Paesi OECD.
I primi ad introdurre una tassazione ambientale sono stati alcuni Paesi del nord Europa (Paesi Bassi, Gran Bretagna e Germania), ma ora si stanno muovendo nella stessa direzione anche Paesi emergenti e in via di sviluppo come Cina, Vietnam, Cambogia, Sud Africa, Thailandia e Tunisia.
Il trend riconosciuto è quello dello spostamento della tassazione dal lavoro all’ambiente che tra l’altro, oltre a mitigare gli effetti dell’aumento di emissioni di gas serra e la conseguente congestione del traffico nelle aree urbane, dovrebbe anche migliorare la competitività.
L’uso del gettito derivante dalle tasse ambientali è definito “produttivo” proprio in quanto è destinato a ridurre le distorsioni conseguenti ad altre forme di tassazione e/o serve per contenere i relativi costi di applicazione.
In questa nuova visione la tassazione ambientale supera i confini della teoria pigouviana secondo la quale la tassa dovrebbe corrispondere al danno ambientale marginale ed essere rapportata direttamente alla fonte di emissione nociva. Nell’idea pigouviana la tassa eguaglia il danno marginale e spinge la riduzione delle emissioni fino al livello “efficiente”, cioè al punto nel quale il beneficio marginale (o l’incremento di danno evitato) eguaglia l’abbattimento marginale dei costi.
La ricerca propone di procedere secondo tre direttrici per ridurre i danni ambientali dell’inquinamento locale derivato da carburanti:
• istituzionalizzare l’uso di un modello che monitora la qualità dell’aria collegando la concentrazione di particelle nocive alla velocità del vento e ad altri fattori atmosferici che influenzano la dispersione delle particelle di gas;
• valutare gli effetti dell’inquinamento sulla salute in rapporto alle condizioni di esposizione della popolazione alle emissioni locali nocive;
• monetizzare tali effetti sulla salute, calcolando, per esempio, la riduzione del rischio di mortalità.
Si tratta comunque di parametri caratterizzati da una forte probabilità di incertezza, per cui la tassazione deve prevedere degli aggiustamenti. Se si fa riferimento alle tasse che gravano sui possessori di autoveicoli (tassa di possesso, tassa di circolazione, imposta di registro), può supporsi che la riduzione di emissioni di anidride carbonica dipenda per il 20% dall’aumento delle accise sui carburanti e per il restante 80% dalla riduzione dei chilometri percorsi e dai miglioramenti tecnologici dei carburanti. Ne discende che la tassa sul possesso degli autoveicoli potrebbe incidere soltanto per il 20% sulla riduzione di emissioni di CO2. In sostanza l’effetto della tassazione ambientale sarebbe circoscritto rispetto ad altri strumenti. Ma il presupposto del modello pigouviano è, invece, incentrato sul fatto che tutte le emissioni dovrebbero essere tassate in base al danno marginale prodotto nell’ambiente. Pertanto le emissioni dovrebbero essere tassate con la stessa aliquota indipendentemente dalla fonte di emissione (ovvero sia che colpiscano i carburanti sia gli automobilisti). Cosa che nella realtà non accade.
Inoltre l’uso dei diversi strumenti ambientali (compreso il sistema dei permessi negoziabili adottati nell’UE) è inefficiente senza adeguate politiche di armonizzazione.
2. Le esternalità pubbliche
Una delle problematiche più rilevanti riguarda la coesistenza di numerose esternalità. Per esempio, in materia energetica, la combustione dei carburanti produce una serie di emissioni inquinanti additive e diverse dall’anidride carbonica (CO2) che subiscono un trattamento fiscale non omogeneo.
Tasse sui carburanti a carico degli automobilisti
In proposito sono d’obbligo alcune osservazioni:
• le emissioni di CO2 sono proporzionate ai combustibili: la tassazione appropriata dovrebbe eguagliare la quantità di CO2 prodotta per unità di carburante avuto riguardo al relativo danno ambientale marginale;
• al contrario spesso le tasse sui carburanti riducono l’inquinamento locale ma in misura meno che proporzionale rispetto alla riduzione del consumo di carburante. Infatti le emissioni diminuiscono in quanto gli automobilisti utilizzano meno i veicoli a seguito dell’aumento del prezzo dei carburanti. In questo caso il danno ambientale dovrebbe essere calcolato come moltiplicatore della frazione di carburante diminuito grazie anche al cambiamento di abitudini dei consumatori;
• il medesimo comportamento “virtuoso” contribuisce a ridurre anche la congestione del traffico (l’esternalità è riferita alla circostanza che gli automobilisti non aggravano la congestione del traffico né aumentano i tempi di percorrenza degli altri automobilisti);
• la tassazione influisce indirettamente e positivamente pure sul numero degli incidenti automobilistici (l’esternalità riguarda il rischio di infortuni per i pedoni e per 1/3 coinvolge anche i danni alla proprietà degli autoveicoli).
Strumenti alternativi rispetto alla tassazione:
Secondo il rapporto, ci sono strumenti fiscali migliori della tassazione sui carburanti per compensare le esternalità degli autoveicoli. A parte le politiche complementari a quella fiscale (come la manutenzione della rete viaria per migliorare il flusso del traffico e ridurre il rischio di collisioni), la congestione del traffico potrebbe essere ridotta grazie ai pedaggi autostradali o comunque all’introduzione di barriere elettroniche nei tratti più congestionati. Queste dovrebbero regolare il flusso del traffico dilazionando la distribuzione delle partenze nei periodi ritenuti di traffico intenso e/o in caso di incidenti e code stradali. L’introduzione di queste forme di deterrenza al traffico e all’emissione di gas serra andrebbe dunque al di là degli scopi diretti favorendo un minor ricorso alla tassazione dei carburanti.
3. Elementi distorsivi della tassazione ambientale
La dottrina prevalente considera inoltre negativamente, ai fini ambientali, l’uso della tassazione sui consumi elettrici e sui possessori di autoveicoli. Queste tassazioni possono avere una giustificazione solo per quei Paesi emergenti con sistemi fiscali caratterizzati da larghe fasce di esenzione, problemi di copertura finanziaria del debito pubblico e diffusa evasione fiscale. In questa ipotesi la tassazione di alcuni prodotti di largo consumo può essere efficiente se coerente con l’intero sistema fiscale. Tuttavia, almeno in linea di principio, una base imponibile così ampia è spesso anche anelastica e questo può rappresentare un rischio rispetto alla tassazione sulle emissioni che hanno lo scopo di massimizzare l’impatto ambientale.
Non possono essere comunque sottovalutati gli aspetti redistributivi della tassazione ambientale, soprattutto per i Paesi in via di sviluppo dove i titolari di redditi bassi sono costretti a destinare un’ampia quota reddituale per acquistare beni e servizi energetici.
Gli effetti della redistribuzione dipendono in ogni caso dalle scelte politiche effettuate.
In conclusione, si possono trarre alcune considerazioni di massima:
• Le tasse sui carburanti rappresentano una fonte finanziaria da destinare alla mitigazione degli effetti di CO2 e di altri inquinanti tramite il rimborso fiscale o tramite aliquote ridotte per determinati carburanti ritenuti meno nocivi o per i consumatori finali;
• le tasse sui carburanti spiegano un’ampia gamma di esternalità;
• ciò premesso, il FMI propone il ridimensionamento della tassazione delle fonti rinnovabili, dell’elettricità e dei possessori di autoveicoli. Alla tassazione delle fonti rinnovabili è assimilabile quella dell’energia nucleare.
4. Alcune esperienze significative
La ricerca, confermando l’interesse per una diversa formulazione della tassazione ambientale, riporta le esperienze di Germania, Svezia, Turchia e Vietnam
• Germania: nel 1999 è stata introdotta una riforma fiscale comprensiva della tassazione ambientale che prevedeva, tra l’altro, l’aumento della tassazione sui carburanti e l’introduzione di nuove tasse su gas naturali, gasolio per riscaldamento, residuo dell’olio combustibile e soprattutto consumi di energia elettrica per uso domestico.
La riforma è stata piuttosto neutrale rispetto alle entrate, con circa l’80% delle entrate fiscali rimodulate seguendo un’equa distribuzione tra i ruoli delle risorse e quelli degli impieghi. Comunque la riforma è stata così contestata che, in seguito, le aliquote fiscali sono addirittura diminuite in termini reali. Alla fine il riordino fiscale ha assunto un connotato regressivo che non ha favorito la competitività del mercato.
Nell’ambito della revisione una parte delle imposte sugli affari per i prodotti energetici è stata collegata alla tassazione del settore manufatturiero per proteggere la competitività di tali prodotti nel contesto internazionale. Quindi le imposte sui consumi, che inizialmente erano all’80%, sono scese ora al 40% e in alcuni casi le aliquote effettive sono state quasi azzerate.
• Svezia:
La Svezia, entrando nell’Unione, ha fatto da apripista, all’inizio degli anni ’90, nella tassazione ambientale insieme ad altri Stati nord europei. Le tendenze riformiste si sono susseguite fino ai primi del 2000. La chiave di volta è concentrata nella tassazione indiretta, in particolare nell’IVA e nelle tasse ambientali, cui si è accompagnata una riduzione dell’imposizione sul lavoro così da stimolare l’occupazione. Tra le tasse ambientali introdotte, alcune colpiscono petrolio e gas naturali distinguendo le emissioni di anidride carbonica (CO2) e quelle di biossido di zolfo (SO2) e, per le imprese, tra gli ossidi di azoto e le loro miscele (NOx). Ad evitare però distorsioni nella competitività nel 1993 l’industria manufatturiera è stata esentata dalla tassazione energetica e dal 2004 è stata assoggettata a tassazione ad aliquota ridotta del 21% per l’emissione di CO2. Nel frattempo l’aliquota per le tasse sui carburanti, parallelamente all’affermarsi del sistema europeo di scambio di emissioni (Emission Trade System), è scesa progressivamente al 15%.
• Turchia:
La Turchia è un caso speciale in termini di tassazione ambientale. Sebbene il suo PIL pro capite la collochi in fondo alla classifica dei Paesi OECD, ha la tassa più alta sulla benzina (0,98 $ per litro). La relativa aliquota è cresciuta ponendo la Turchia in vetta ai Paesi OECD per la misura della tassazione ambientale. Le entrate fiscali sono state necessarie per il consolidamento finanziario dei primi anni 2000: la tassazione sui carburanti era più difficile da evadere rispetto al sistema di tassazione sulle persone fisiche. In questa prospettiva un incremento delle entrate fiscali potrebbe riferirsi alla tassazione sul possesso di autoveicoli piuttosto che sul carburante.
• Vietnam:
Nel 2004 è stato introdotto un sistema di tassazione ambientale frutto della profonda preoccupazione presente sul livello d’inquinamento. Tuttavia la crisi finanziaria del 2008 ha rimesso in discussione l’intero sistema fiscale che è ancora in fase di riformulazione.
Attualmente sono tassati anche carbone e benzina, ma in misura inferiore rispetto agli altri Paesi OECD, mentre il gas naturale non è soggetto a tassazione. Il Vietnam ha introdotto un sistema di oneri di protezione ambientale basato sulla tassazione ridotta delle risorse naturali estratte, accompagnata da significative sovvenzioni ai consumatori per l’acquisto di carburanti. Per quanto riguarda i consumi elettrici domestici, questi sussidi sono scaglionati così da sostenere i proprietari di case ritenuti meno abbienti.
5. Conclusioni
Un sistema di tassazione ben strutturato dovrebbe essere in grado di promuovere economie verdi, incentivando alcune forme di tassazioni e penalizzandone altre. In particolare potrebbe essere incentivata la tassazione di carbone, oli e gas naturali che emettono anidride carbonica ed altri gas serra. Si tratta di adottare un sistema che dalla tassazione tradizionale, che colpisce veicoli e combustibili, si sta spostando verso forme di tassazione nuove, la cui base imponibile è rapportata per esempio ai chilometri percorsi e/o al traffico stradale.
L’analisi condotta dimostra come il sistema fiscale riformato persegua inevitabilmente finalità politiche in termini di appiattimento della tassazione, allineando le aliquote ai danni prodotti nell’ambiente e limando la tassazione dei prodotti energetici.
L’orientamento espresso in sede FMI è dunque in linea con le ultime tendenze che dirottano la tassazione dalla produzione ai consumi. Condizione che consente di abbattere le emissioni inquinanti generate dall’attività di consumo piuttosto che di produzione. La conseguenza di tale impostazione dottrinale evita di compromettere la competitività internazionale del sistema produttivo. Inoltre la scelta di tassare i consumi piuttosto che la produzione innesca meccanismi virtuosi anche a livello ambientale. Al tempo stesso, però, la ricerca in questione non può fare a meno di ricordare, forse non sottolineandolo con l’enfasi che la crisi economica meriterebbe, che la soluzione proposta penalizza fondamentalmente i percettori di redditi più bassi.
1 Environmental tax Reform: Principles from Theory and Practice to Date, IMF Working Paper, D. Heine, J. Norregaard, I. W.H. Parry, 2012
Pubblicato su AmbienteDiritto.it il 6 novembre 2012