Anno: 2011 | Autore: CARLO RAPICAVOLI

 

La soppressione delle Province nella manovra estiva – Decreto Legge 13 agosto 2011 n. 138.

CARLO RAPICAVOLI*

 

LE DISPOSIZIONI DEL D. L. 138/2011

L’art. 15 del D. L. 138/2011 ha previsto la soppressione delle Province diverse da quelle la cui popolazione rilevata al censimento generale della popolazione del 2011 sia superiore a 300.000 abitanti o la cui superficie complessiva sia superiore a 3.000 chilometri quadrati.

La soppressione decorre dalla data di scadenza del mandato amministrativo provinciale.
Entro lo stesso termine, i Comuni del territorio della circoscrizione delle Province soppresse dovrebbero esercitare l’iniziativa di cui all’articolo 133 della Costituzione al fine di essere aggregati ad un’altra provincia all’interno del territorio regionale, nel rispetto del principio di continuità territoriale.
In assenza dell’iniziativa dei Comuni, le funzioni esercitate dalle province soppresse sono trasferite alle Regioni, che possono attribuirle, anche in parte, ai Comuni già facenti parte delle circoscrizioni delle Province soppresse oppure attribuirle alle Province limitrofe a quelle soppresse, delimitando l’area di competenza di ciascuna di queste ultime.
In tal caso, con decreto del Ministro dell’Interno, sono trasferiti alla Regione personale, beni, strumenti operativi e risorse finanziarie adeguati.
E’ posto infine il divieto di  istituire Province in Regioni con popolazione inferiore a 500.000 abitanti.

ANALISI CRITICA DELLA NORMA
Nel merito della disposizione in esame, va considerato che:

–    Non appare conforme ai requisiti richiesti per la decretazione d’urgenza dall’art. 77 della Costituzione un intervento ordinamentale, di non immediata efficacia e di cui non sono e non possono essere quantificati al momento gli effetti economici;

–    Le modalità previste dall’art. 15 del D. L. 138/2011 per la soppressione delle Province e la modifica delle circoscrizioni provinciali non appare coerente con l’art. 133 della Costituzione con il fondato rischio di incorrere nella censura di incostituzionalità;

–    Non risultano definite le modalità per l’attribuzione e l’esercizio delle funzioni degli Enti soppressi.

Un intervento d’urgenza come quello attuato con il D. L. 138/2011 non appare altresì coerente con il processo di attuazione del federalismo fiscale.

L’effetto naturale del federalismo fiscale è quello di favorire un naturale processo di riunificazione delle competenze in capo al soggetto che meglio è in grado di disciplinarle, amministrarle e gestirle. Il rischio di un neo centralismo regionale deve quindi essere evitato proprio per massimizzare il circuito virtuoso che il federalismo fiscale può avviare. L’effetto di un circuito virtuoso è, infatti, quello di consentire di abbassare la pressione fiscale regionale, provinciale e locale.

E’ in corso di esame da parte del Senato della Repubblica il disegno di legge per la revisione del Testo Unico degli Enti Locali.  Appare questa la sede più idonea per affrontare sistematicamente e con adeguato confronto con le Autonomie Locali il tema.

In tale sede andrebbero posti come elementi imprescindibili per dare efficienza all’organizzazione amministrativa della Repubblica e conseguire gli obiettivi di semplificazione, razionalizzazione e risparmio di spesa da tutti auspicati i seguenti punti:

•    Lo Stato e le Regioni devono procedere pertanto ad una profonda revisione della loro legislazione per la soppressione di tutte le strutture, gli enti o gli uffici che esercitano funzioni riconducibili alle Province (ATO acque e rifiuti, consorzi, agenzie, enti strumentali, uffici statali e regionali decentrati a livello provinciale,…).

•    Ridefinire chiaramente il ruolo delle Province, nelle funzioni di governo del territorio, di programmazione e di pianificazione territoriale e su quei compiti che non possono essere svolti adeguatamente a livello comunale, e ricondurre in modo organico in capo alle Province le funzioni di governo di area vasta.

•    Procedere ad un forte riordino istituzionale che consenta di semplificare la pubblica amministrazione, individuando le funzioni fondamentali di Comuni e Province e riorganizzando in modo organico tutte le funzioni amministrative intorno alle istituzioni che compongono la Repubblica, colpendo le reali inefficienze e superando enti e strutture ridondanti a livello nazionale e a livello regionale, che non hanno una diretta legittimazione democratica.

In questo contesto possono essere meglio discusse le revisioni delle circoscrizioni provinciali, l’individuazione di criteri generali di popolazione e di estensione territoriale che possano determinare la definizione degli ambiti ottimali affidati al governo dell’Ente Provincia e la razionalizzazione e riduzione del numero delle Province.

IL DIBATTITO SULLA SOPPRESSIONE DELLE PROVINCE
Ormai da anni il dibattito politico spesso richiama l’abolizione della Province come un toccasana sia per l’organizzazione dello Stato che per l’economia: vengono fornite cifre sul risparmio che ne conseguirebbe dell’ordine di 13-16 miliardi di Euro.
Se così fosse non si comprende perché si aspetti ancora prima di provvedere!
Lo affermano numerosi esponenti politici, qualche organo di stampa ne ha fatto una battaglia storica; ma concordano anche autorevoli istituti di ricerca.
Tutto questo è un’ulteriore dimostrazione di quanto purtroppo oggi prevalga lo scoop, la frase ad effetto, rispetto all’analisi seria, alla riflessione, alla paziente ricerca delle soluzioni possibili.
La realtà, infatti, è ben diversa da quanto emerge oggi da una campagna mediatica e propagandistica sul tema svolta senza approfondire effettivamente la questione.
Il tema della cancellazione delle Province è tornato formalmente all’attenzione delle istituzioni e degli studiosi negli ultimi giorni del maggio 2010 in occasione della predisposizione della manovra finanziaria allorché, per trovare le risorse necessarie, si è ipotizzato – e poi escluso – di operare con legge statale (o meglio con decreto-legge) la cancellazione delle Province con meno di 220.000 abitanti.

Rispetto al passato, la questione si è posta in termini nuovi: non abolire con legge statale ordinaria o costituzionale la categoria dell’ente territoriale autonomo, ma cancellare con decreto-legge solo alcune Province, sulla base del criterio demografico corretto da quello di confine; ipotesi prima annunciata, poi stralciata, quindi inserita nella nuova carta delle autonomie per essere nuovamente eliminata.

Recentemente la Camera dei Deputati il 7 luglio 2011 ha bocciato a larga maggioranza un ordine del giorno sulla soppressione delle Province.

Va detto che talune esagerazioni si sono prodotte nella creazione di nuove Province che insistono su estensioni territoriali e numero di cittadini amministrati che non richiedono istituzioni complesse come quelle che esercitano le nuove funzioni di governo di area vasta. Ben otto Province in Sardegna governano lo stesso numero di abitanti amministrati da una sola Provincia del Nord Italia e non è il solo esempio in Italia.

E’ però inaccettabile la generalizzazione ed estendere a tutte le Province, anche quelle che funzionano ed operano efficacemente nella programmazione territoriale di sistema, un superficiale ed affrettato giudizio di inutilità, smentendo il disposto costituzionale che attribuisce a Comuni e Province pari dignità con lo Stato nel governo del proprio territorio.

I COSTI DELLE PROVINCE

Secondo i dati diffusi dall’UPI1, nel 2010 le spese sostenute dalle Province sono state pari a circa 12 miliardi di euro, in marcata flessione rispetto al triennio precedente (- 1 miliardo 360 milioni di euro rispetto al 2008).

Queste le singole voci:

–    Mobilità, Viabilità, Trasporti: gestione trasporto pubblico extraurbano; gestione di circa 125 mila chilometri di strade nazionali extraurbane.  Spesa complessiva 1 miliardo 532 milioni di euro.

–    Servizi e infrastrutture per la tutela ambientale: difesa del suolo, prevenzione delle calamità,  tutela delle risorse idriche ed energetiche;  smaltimento dei rifiuti. Spesa complessiva 827 milioni di euro.

–    Edilizia scolastica, funzionamento delle scuole e formazione professionale: gestione di oltre 5000 gli edifici, quasi 120 mila classi e oltre 2 milioni e 500 mila allievi. Spesa complessiva 2 miliardi 306  milioni di euro.

–    Sviluppo economico e Servizi per il mercato del lavoro: gestione dei servizi di collocamento attraverso 854 Centri per l’impiego; sostegno all’imprenditoria, all’agricoltura, alla pesca; promozione delle energie alternative e delle fonti rinnovabili. Spesa complessiva 1 miliardo 159 milioni di euro

–    Promozione della cultura. Spesa complessiva  247 milioni di euro

–    Promozione del turismo e dello sport. Spesa complessiva  235 milioni di euro

–    Servizi sociali. Spesa complessiva 325 milioni di euro

–    Costo del personale. Spesa complessiva  2 miliardi 343 milioni di euro (Il personale delle Province ammonta a circa 61.000 unità).

–    Spese generali dell’amministrazione e spese di manutenzione del patrimonio (informatizzazione, patrimonio immobiliare, cancelleria, costi utenze telefoniche, elettricità, etc.).  Spesa complessiva 749  milioni di euro

–    Indennità degli amministratori. Spesa complessiva 113 milioni di euro lordi

Sul tanto proclamato risparmio derivante dall’abolizione delle Province va semplicemente osservato che un intero Consiglio Provinciale ed un intera Giunta Provinciale “costano meno” dei parlamentari che quella provincia manda a Roma.

Sono pur sempre i cittadini che pagano con le tasse i costi anche della loro Provincia, oltre che quelli, ben più pesanti, di uno Stato, ben più lontano: possono quindi meglio giudicare quali siano i livelli di decisione più efficienti, più utili, più efficaci, più economici.

IL FUTURO  DELLE PROVINCE

Le Province invece devono essere mantenute, riformate se si vuole, rivalutate nelle funzioni che oggi sono svolte da una infinità di altri Enti sovra comunali ad ampio raggio, sopprimendo invece questi.

Va, infatti, piuttosto valorizzato il ruolo delle Province come presidio democratico del territorio provinciale: una comunità che si organizza a livello provinciale in tutti i suoi aspetti (economico, sindacale, politico, religioso, associativo…) deve essere governata da un’istituzione democraticamente rappresentativa, attraverso l’elezione diretta del Presidente della provincia e del consiglio provinciale.

Allora diventa ormai inderogabile la definizione delle funzioni fondamentali delle Autonomie Locali in attuazione dell’art. 117 della Costituzione, tale adempimento oggi rappresenta una vera e propria emergenza.

Il livello di governo dell’area vasta identificabile nella dimensione provinciale assume un’importanza strategica; le funzioni fondamentali delle Province debbono esser essenzialmente quelle di pianificazione e coordinamento dello sviluppo economico locale oltre che quelle di sussidiarietà a supporto dei Comuni. Politiche che non possono essere surrogate dall’iniziativa polarizzante delle città capoluogo, ma debbono proiettarsi sul territorio in un’ottica di riequilibrio complessivo.

Una pianificazione complessiva che comprenda e finalizzi organicamente ed in modo coerente oltre che le politiche del lavoro, della formazione e programmazione scolastica, ovviamente, la pianificazione territoriale di area vasta.

Una pianificazione che attraverso Piani Territoriali di Coordinamento Provinciali di nuova generazione sia in grado di inglobare e legare organicamente le varie pianificazioni di settore, comprendenti il governo del territorio, dell’ambiente, delle risorse idriche ed energetiche, della gestione dei rifiuti, la pianificazione e la gestione del sistema dei trasporti e della mobilità, a completamento e consolidamento delle storiche competenze provinciali sulle reti territoriali della viabilità. Non può sfuggire infatti l’organicità di tutto il complesso di tali materie se si intendono perseguire politiche coerenti che puntino al progresso economico in un quadro di sostenibilità.

In coerenza con tutto ciò assume un carattere devastante l’esistenza di quella miriade di organismi, agenzie, ATO, consorzi ed enti di secondo grado, proliferati in questi anni al di fuori dei livelli di governo individuati dal titolo V della Costituzione, non allo scopo della gestione associata di servizi (cosa che sarebbe ancorché virtuosa), ma con l’intento di disgregare la governance organica del territorio e delle sue risorse moltiplicando, questi si, i posti ed i costi della politica.

Al riguardo c’è chi sostiene, in nome dell’efficienza, che le agenzie o i consigli di amministrazione sono più funzionali all’assolvimento di compiti istituzionali quasi che il voto popolare sia un intralcio alla modernità.
In un suo recente intervento2, il prof. Valerio Onida, già Presidente della Corte Costituzionale, ha sottolineato come “Sono lontani i tempi in cui si diceva che le Province servivano solo per strade, manicomi e assistenza agli illegittimi. Le Province continuano ad occuparsi di strade, ma le loro funzioni sono andate crescendo. Nella legge del 1990 sulle autonomie locali e nel testo unico del 2000 la Provincia è definita come l’“ente locale intermedio tra Comune e Regione,” che “rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi, ne promuove e ne coordina lo sviluppo”. Tra le funzioni delle Province vi sono quelle, riguardanti “vaste aree intercomunali o l’intero territorio provinciale”, nei settori della difesa del suolo, della difesa dell’ambiente, dei trasporti, dello smaltimento dei rifiuti, dell’istruzione secondaria di secondo grado. Alla Provincia fanno poi capo rilevanti funzioni di programmazione, in particolare il piano territoriale di coordinamento che determina gli indirizzi generali di assetto del territorio.
“Chi dovrebbe svolgere queste funzioni, – si chiede l’illustre costituzionalista –  se venissero soppresse le Province? Non è pensabile che compiti di “area vasta” possano essere attribuiti agli oltre 8.000 Comuni (dei quali circa 7.500 con meno di 15.000 abitanti): dunque essi andrebbero in gran parte alle Regioni.
In teoria sarebbe anche possibile immaginare un sistema di “enti intermedi” costituiti da associazioni di Comuni, con uffici e strutture condivisi.
Ma l’esperienza dice che mettere d’accordo fra loro 20 o 100 Comuni della stessa area per esercitare insieme delle funzioni è assai complicato, e non è detto costi meno che affidare tali funzioni ad un ente autonomo come la Provincia.
Né, ovviamente, è proponibile un accorpamento massiccio dei piccoli Comuni: l’autonomia comunale si nutre della storia e del senso di autoidentificazione delle comunità, grandi e piccole, sul quale è destinato ad infrangersi ogni disegno “razionalizzatore” astratto. Sarebbe anche possibile immaginare che la Regione decentri i suoi uffici nel territorio.
Le unità organizzative (e il personale) però non diminuirebbero.
Si “risparmierebbe” solo l’elezione di Presidenti e di consigli: ma siamo sicuri – conclude il prof. Onida – che l’accentramento politico in capo alla Regione, che ne risulterebbe, sia una soluzione soddisfacente?
Uno dei timori e dei rischi che da sempre caratterizzano il nostro sistema delle autonomie è quello del “centralismo” regionale. Non è affatto detto che un semplice decentramento amministrativo della Regione sia in grado di soddisfare le aspirazioni di autogoverno delle popolazioni”.

LE PROPOSTE DI RIFORMA

Più volte le Province, tramite l’UPI, hanno formalmente richiesto e sostenuto l’adozione di scelte rigorose per l’eliminazione delle spese inutili derivanti dalla sovrapposizione di enti e strutture che esercitano le funzioni che possono essere attribuite agli enti territoriali, concentrando le risorse finanziarie pubbliche in modo razionale nei settori più importanti sotto il profilo dello sviluppo economico, sociale e civile del Paese.

L’attuazione della riforma costituzionale del 2001 derivante dall’approvazione della legge delega sul federalismo fiscale impone una coerente individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane e un profondo ripensamento dell’adeguatezza dimensionale di ogni livello di governo affinché le istituzioni territoriali possano esercitare effettivamente le loro funzioni in autonomia e responsabilità.

Allo stesso tempo, la scelta di rafforzare le istituzioni territoriali previste dalla Costituzione impone al legislatore statale e regionale di sopprimere gli enti e le strutture decentrate che non hanno una diretta legittimazione democratica. Queste strutture costituiscono il vero costo nascosto dell’amministrazione e della politica. Le inchieste di stampa e le analisi di diversi organismi di studio hanno posto in evidenza, al di là delle deviazioni e degli sperperi, come in ogni caso tutto ciò costituisca un fattore di aggravio di spesa, confusione nella ripartizione dei ruoli e delle funzioni e di aumento della pressione fiscale complessiva. Analizzando i bilanci di queste strutture è evidente come la gran parte dei fondi sia destinata alle spese di funzionamento e solo una minima parte sia ridistribuita ai cittadini, sotto forma di servizi e di opere pubbliche.

L’UPI ha anche predisposto e presentato il 21 luglio scorso una proposta di legge che prevede una dimensione adeguata per l’esercizio delle funzioni fondamentali, di cui all’articolo 21 della legge 5 maggio 2009, n. 42 e che ai fini della razionalizzazione delle circoscrizioni territoriali, lo Stato e le Regioni procedono all’accorpamento delle piccole Province e dei piccoli Comuni, nel rispetto delle modalità previste dall’art. 133 della Costituzione.

E’ evidente dunque che un tema così rilevante come la struttura organizzativa dello Stato non può cedere agli attacchi strumentali e demagogici ed essere risolto con la decretazione d’urgenza senza un effettivo confronto ed approfondimento.
 

 

 * Direttore Generale e Coordinatore dell’Area – Gestione del Territorio della Provincia di Treviso

Unione delle Province d’Italia, Dossier “Le Province allo specchio: i bilanci, le cifre, le funzioni, i costi”, luglio 2011
2  Cfr. Valerio Onida, Le Province sono davvero inutili o è la retorica dell’antipolitica?, su Corriere della Sera del 23 luglio 2011, pag. 44