La Cassazione torna sulla legittimazione delle associazioni ambientaliste al risarcimento dei danni non patrimoniali per i reati ambientali
LUCA PRATI*
La Cassazione è recentemente tornata sulla legittimazione ad agire delle associazioni ambientaliste per il risarcimento del danno ambientale.
Come noto, la riforma del danno ambientale operata dal D.Lgs. 152/2006 ha riservato allo Stato l’azione per il risarcimento del danno ambientale, abrogando anche le previsioni che autorizzavano le associazioni ambientaliste a proporre, in caso di inerzia degli Enti territoriali, le azioni risarcitorie per danno ambientale (art. 9, comma 3, del D.Lgs. n. 267/2000, abrogato dall’art. 318 del D.Lgs. n. 152/2006).
Con la sentenza Cass. Pen. Sez. III, 26/09/2011 (Ud. 21/06/2011) n. 34761, il Supremo collegio ha affermato come il danno risarcibile secondo la disciplina civilistica possa sempre configurarsi anche “sub specie del pregiudizio arrecato all’attività concretamente svolta dall’associazione ambientalista per la valorizzazione e la tutela del territorio sul quale incidono i beni oggetto del fatto lesivo”.
Ha riaffermato la Corte, come già fatto in passato, che la normativa speciale del "danno ambientale" ex articoli 311 e 313, 7° comma, del D.Lgs. n. 152/2006 si affianchi alla disciplina generale del danno posta dal codice civile, sicché le associazioni ambientaliste – pure dopo l’abrogazione delle previsioni di legge che le autorizzavano a proporre le azioni risarcitorie per danno ambientale sostituendosi all’Ente – sono legittimate alla costituzione di parte civile "iure proprio", nel processo per reati che abbiano cagionato pregiudizi all’ambiente. Ciò tuttavia non per ottenere il risarcimento del danno all’ambiente come interesse pubblico (riservato al Ministero dell’Ambiente), bensì dei danni direttamente subiti, specifici, ulteriori e diversi rispetto a quello, generico di natura pubblica, della lesione dell’ambiente come bene pubblico.
Un tale danno sussisterebbe, ad esempio, nel caso in cui l’associazione ambientalista, radicata in un ben preciso contesto storico e territoriale, abbia sostenuto delle spese per l’attività di tutela ambientale resasi necessaria in connessione al compimento di fatti causativi di danno ambientale.
Ritiene però la Cassazione nella sentenza che si commenta che la possibilità di risarcimento in favore dell’associazione ambientalista non sia limitata all’ambito patrimoniale di cui all’art. 2043 c.c., posto che ogni reato, che abbia cagionato un danno anche non patrimoniale, obbliga il colpevole al risarcimento nei confronti del soggetto passivo del reato stesso e di chiunque possa ritenersi "danneggiato" per avere riportato un pregiudizio (patrimoniale o non patrimoniale) causalmente riconducibile all’azione od omissione del colpevole.
Sebbene condivisibile sul piano teorico, la legittimazione degli enti associativi al risarcimento di danni non patrimoniali connessi a reati ambientali, distinti ed ulteriori dal danno ambientale, lascia aperte numerose perplessità circa il rischio concreto che si verifichino duplicazioni delle voci risarcitorie, non necessariamente connesse alla plurioffensività delle condotte pregiudizievoli dell’ambiente.
Si tratta, forse, di un nuovo adombramento del “danno esistenziale da illecito ambientale” già più di una volta prospettato, più o meno implicitamente, dalla giurisprudenza, materia che costituisce un terreno scivolosissimo.
* Avvocato in Milano