Lo status giuridico dello psicologo psichiatrico transita dall’esegesi del Giudice Amministrativo alla giurisdizione del Giudice del Lavoro.
di Carmine Cagnazzo e Fedele Bellacosa Marotti
La sentenza in commenta afferma i diritti economici di uno psicologo psichiatrico in attuazione della c.d. “equiparazione” al personale medico. Il precedente giurisprudenziale del Giudice del Lavoro fonda la decisione sulla storia professionale dello Psicologo appellante, come documentata in giudizio; storia che è il riflesso della evoluzione storica e giuridica della figura dello “psicologo psichiatrico” nella normativa pregressa e vigente.
Sono note le circostanze storiche e politiche che hanno condotto alla c.d. “chiusura dei manicomi” in Italia. All’epoca di quella storica stagione non era stato ancora compiutamente istituito il Servizio Sanitario Nazionale; né introdotte le AA.SS.LL; né tanto meno adottati i profili professionale del personale UU.SS.LL..
Era il corpus normativo sulla istituzione dei servizi territoriali di psichiatria che prevedeva anche norme specifiche per il personale sanitario ivi impiegato, con disposizioni pure di natura economica.
Il D.M. 6 dicembre 1968 disciplinava il trattamento economico del personale medico di ruolo in servizio presso le istituzioni psichiatriche dipendenti degli enti pubblici e stabiliva (artt. 3 e 6) la corresponsione di detto trattamento non solo ai medici ma anche in favore delle figure professionali sanitarie equiparabili per funzioni.
A corredo, la L. 21.6.71 n.515 ha espressamente disponeva: “a decorrere dal 1° luglio 1971 e fino alla data indicata all’articolo 1 è corrisposta ai medici e agli psicologi degli ospedali psichiatrici e dei centri o servizi di igiene mentale una indennità, non utile ai fini previdenziali e assistenziali, pari alla differenza tra il trattamento economico in godimento alla predetta data e quello attualmente in vigore per i medici dipendenti dagli enti ospedalieri di corrispondente funzione e anzianità” (art.3).
Dette norme trovavano (e trovano ancora) applicazione in favore del primo gruppo “storico” di “psicologo” assunto dalla Pubblica Amministrazione per l’assistenza psichiatrica territoriale (nella specie in commento gli psicologi del Servizio di Igiene Mentale della Provincia di Bari, assunti nel 1978).
Come spiega anche la sentenza della Corte d’Appello di Bari, il beneficio della c.d. “equiparazione” riguarda così solo gli psicologi di c.d. “prima generazione”, assunti presso le strutture di assistenza territoriali (comunque denominate), prima della istituzione del SSN.
Questa la conclusione a cui, dopo qualche iniziale incertezza, era pervenuto il Giudice Amministrativo.
“Nella ricordata decisione n. 6663 del 27 ottobre 2003 è stato anche precisato, a conforto delle argomentazioni ivi sviluppate, che è stata dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale delle più volte ricordate n. 431 del 1968 e n. 515 del 1971, con riferimento agli articoli 3, 35, 36 e 97 della Costituzione, per la parte in cui non consentono che gli psicologi assunti successivamente alle predette leggi possono conseguire l’equiparazione ai medici psichiatri (C.d.S., sez. V, 2 marzo 2000, n. 1091), ritenendosi pertanto del tutto errate le considerazioni svolte dai primi giudici in ordine alla mancata previsione dell’attribuzione agli psicologi delle indennità riconosciute ai medici, biologi, chimici e fisici, atteso che la norma indicata a parametro della pretesa illegittimità (e cioè l’articolo 14, 3° comma, della legge 20 maggio 1985, n. 207) non aveva in alcun modo stabilito, in via generale e definitiva, l’equiparazione tra psicologi e medici e rilevandosi che non era neppure pertinente il richiamo operato nella impugnata sentenza alla legge n. 56 del 1989, che ha disciplinato la professione di psicologo, non solo perché tale normativa riguarda l’attività libero – professionale dello psicologo e non già quella espletata da tale figura professionale, quale dipendente del servizio sanitario nazionale, ma anche – e soprattutto – perché essa è successiva a quella del D.P.R. 20 maggio 1987, n. 270, e pertanto non può essere in alcun modo considerata quale elemento di comparazione della ragionevolezza e dalla razionalità della normativa contestata”1.
Secondo questo indirizzo, pienamente condiviso dal collegio, l’art. 14 comma 3 l. 20 maggio 1985 n. 207 (in forza del quale “gli psicologi psichiatri, equiparati agli psichiatri a norma delle l. 18 marzo 1968 n. 431 e 21 giugno 1971 n. 515, in quanto svolgenti funzioni psicoterapiche, hanno il trattamento giuridico normativo di equiparazione anche ai fini dell’inquadramento nei ruoli nominativi regionali”) ha natura interpretativa e transitoria, nel senso che l’equiparazione agli psichiatri degli psicologi psichiatrici dipendenti dalle Usl, ai fini dello svolgimento delle funzioni psicoterapiche presso ospedali psichiatrici o servizi e centri di igiene mentale, spetta soltanto a coloro che alla data di entrata in vigore del d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761 avevano già acquisito il diritto a tale equiparazione sulla base della previgente legislazione (Cons. Stato, Sez. V, 9 ottobre 1997, n. 1121; Cons. Giust. Amm. Sic., sez. Giurisdiz., 26 febbraio 1998, n. 105; 16 dicembre 1993, n. 1322 e 7 maggio 1994, n. 431, 23 novembre 1995 n. 1623)…
Pertanto, secondo questo indirizzo, dal quale il Collegio non ritiene di discostarsi, lo psicologo, dipendente dall’Unità sanitaria locale, può essere equiparato al medico psichiatra soltanto se abbia svolto funzioni psicoterapiche nelle strutture previste dalle menzionate leggi n. 431 del 1968 e n. 215 del 1971 anteriormente all’entrata in vigore del D.P.R. 761/1979
…. In questo senso si è precisato che l’art. 14 comma 3 l. 20 maggio 1985 n. 207 si è limitato a prevedere un contenuto ed una estensione già inclusi nello “status” dei dipendenti beneficiari, consolidando tale posizione, anche ai fini del citato inquadramento. La funzione transitoria della norma, rende evidente che la disciplina dello status degli psicologi psichiatrici non deve intendersi “a regime” e non deroga, pertanto al sistema delineato dalla riforma sanitaria, che considera ben distinti i profili professionali dei medici e degli psicologi (Consiglio Stato sez. V, 7 maggio 1994, n. 431).……..
La disposizione, infatti mantiene una sua precisa funzione, in quanto è diretta a chiarire, in modo definitivo, che l’equiparazione precedentemente affermata continua ad operare anche nel nuovo assetto giuridico ed economico del personale ospedaliero e delle strutture sanitarie e di igiene mentale, determinato per effetto della riforma del 1978 e della sua attuazione (con riferimento allo stato giuridico del personale) realizzata mediante il D.P.R. 761/1979. ……..
Inizialmente, la legge 18 marzo 1968, n. 431 -recante provvedimenti per l’assistenza psichiatrica- dopo aver disposto agli artt. 2 e 3 la formazione, in ogni ospedale ed in ogni centro o servizio di igiene mentale, di équipes di sanitari con la partecipazione, tra gli altri, di un medico psichiatra e di uno psicologo, ha demandato (5° comma dell’art. 5) ad un decreto interministeriale la fissazione degli stipendi tipo per ciascuna categoria di personale addetto al settore; il decreto interministeriale 6 dicembre 1968, emanato ai sensi dell’anzidetta norma, ha determinato, all’art. 2, lo stipendio base pensionabile del “personale medico di ruolo” tra cui, nei livelli di primario ed aiuto, figuravano, accanto ai medici-psichiatri, anche gli psicologi…..
La menzionata legge n. 431 del 1968, con il relativo decreto interministeriale di esecuzione limitava, quindi, l’assimilazione tra le due categorie (medici psichiatri e psicologi) al solo trattamento economico, senza coinvolgere lo stato giuridico, mentre la legge n. 515 del 1971 non faceva altro che attribuire, agli uni e agli altri, una indennità non pensionabile, al fine di equipararne il trattamento economico a quello dei medici ospedalieri.
Peraltro, anche per ciò che riguarda il trattamento economico, l’assimilazione disposta dall’art. 3 della citata legge n. 515 del 1971 non aveva carattere definitivo, perchè era destinata a restare in vigore solo “fino all’entrata in funzione della riforma sanitaria relativamente all’ordinamento dell’assistenza psichiatrica”; lo stesso carattere contingente aveva l’art. 25 del D.P.R. 1 giugno 1979 n. 191, che manteneva l’equiparazione al trattamento economico del personale ospedaliero “in via provvisoria e in attesa dell’applicazione della legge istitutiva del servizio sanitario nazionale”.
Con l’entrata in vigore della riforma sanitaria, la posizione dei medici diviene nettamente separata e distinta da quella degli psicologi poichè questi ultimi sono ascritti a tabelle diverse ed ammessi in carriera attraverso prove di esame diversificate e distinti criteri di valutazione dei titoli. D’altra parte, in base al principio di omogeneizzazione delle posizioni giuridiche ed economiche del personale, posto dalla legge quadro sul pubblico impiego (art. 4 della legge 29 marzo 1983, n. 93) – ed al quale certamente si ispira il D.P.R. 25 giugno 1983 n. 348, con cui viene approvato il primo accordo di lavoro del personale delle unità sanitarie locali, ai sensi dell’art. 47, 8° comma, della legge n. 833 del 1978 e dell’art. 30 del D.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761- la figura professionale dello psicologo è disciplinata in maniera univoca dagli artt. 16, 17 e 18 del D.P.R. 7 settembre 1984, n. 821, che determina le attribuzioni del personale “non medico” delle unità sanitarie locali” 2.
Come evidenziato, il beneficio ha contenuto essenzialmente economico; le norme richiamate prevedono la corresponsione di una indennità che ragguaglia il trattamento stipendiale dello psicologo psichiatrico a quello del medico; attualmente l’Amministrazione sanitaria attua il precetto corrispondendo in favore di questo personale, in aggiunta al trattamento contrattuale previsto per lo psicologo ASL, quelle indennità che i contratti collettivi di settore di volta in volta, prevedono in via esclusiva per il personale medico di corrispondente posizione funzionale.
Diritto dal contenuto patrimoniale (nel caso in commento garantito da giudicato) che consegue ad uno status giuridico che è stato assicurato e protetto nel tempo da successive norme di legge statale.
Tutela, come spiga la giurisprudenza, introdotta dall’art. 68 della L. n. 23 dicembre 1978, n. 8333 e confermata dall’art.14 della L.n.207/85. Norma, quest’ultima, specifica, che rafforza le previsioni legislativa di garanzia nel passaggio di questo personale al Servizio Sanitario Nazionale, previste dagli artt. 64 e 68 della L. 833/78 (Istituzione del servizio sanitario nazionale. Riforma sanitaria) e trasferisce quel diritto alla equiparazione del trattamento economico al rapporto di servizio presso l’amministrazione sanitaria di transito del servizio (SSN).
Il beneficio della c.d. “equiparazione” segue così (come conferma la Corte d’Appello di Bari) il dipendente in tutti suoi sviluppi di carriera e nei passaggi previsti ex lege tra vari enti di appartenenza.
Tutela che, come spiega la sentenza in commento, trova odierna conferma nelle disposizioni del codice civile 4.
In applicazione delle disposizioni del codice civile il Giudice del lavoro converge sull’orientamento del Giudice amministrativo, conferendo nuova attualità a quella consolidata esegesi di seguito richiamata nei suoi tratti essenziali.
Anche davanti al Giudice del Lavoro si confermano, così, principi consolidati in favore di una categoria che ha segnato la storia giuridica del contenzioso in materia; ancora attuale, benché personale prossimo al pensionamento.
Avv. Carmine Cagnazzo
Avv. A. Fedele Bellacosa Marotti
studiolegalemarotti@pec.giuffre.it
1 Cons .Stato n. 2252/06; in termini 1764/00; 1066/03; 2252/06.
2 Cons. Stato, sent. 1764/00.
3 L’art. 68 della L. n. 23 dicembre 1978, n. 833 (in rubrica: Norme per il trasferimento del personale di enti locali) infatti, prevede che ”1. Con legge regionale entro il 30 giugno 1979 è disciplinata l’iscrizione nei ruoli nominativi regionali di cui al quarto comma, numero 1), dell’art. 47 del personale dipendente dagli enti di cui alle lettere a) e b) del primo comma dell’articolo 66 nonché dai comuni che risulti addetto ai servizi sanitari trasferiti, in modo continuativo da data non successiva al 30 giugno 1977, salvo le assunzioni conseguenti a concorsi pubblici espletati fino alla entrata in vigore della presente legge. ……
4. Il personale di cui ai precedenti commi è assegnato alle unità sanitarie locali, nella posizione giuridica e funzionale corrispondente a quella ricoperta nell’ente di provenienza, secondo le tabelle di equiparazione previste dall’articolo 47, terzo comma, numero 3”.
4 L’art. 31 del d.lgs. 265/01 (“passaggio di dipendenti per effetto di trasferimento di attività”) che “ fatte salve le disposizioni speciali, nel caso di trasferimento o conferimento di attività, svolte da pubbliche amministrazioni, enti pubblici o loro aziende o strutture, ad altri soggetti, pubblici o privati, al personale che passa alle dipendenze di tali soggetti si applicano l’articolo 2112 del codice civile e si osservano le procedure di informazione e di consultazione di cui all’articolo 47, commi da 1 a 4, della legge 29 dicembre 1990, n. 428”.
L’art. 2112 c.c. (in rubrica: “mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda”) sancisce che: “in caso di trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano.
Il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. …………..
Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d’azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l’usufrutto o l’affitto di azienda.
Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento. ……….”
TESTO INTEGRALE: SENTENZA N.1758/2015 CORTE DI APPELLO DI BARI (sez. Lavoro)