Anno: 2012 | Autore: VALENTINA CAVANNA

Note sulla Valutazione di Impatto Ambientale e lo sviluppo sostenibile

VALENTINA CAVANNA1

La Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) è uno tra i primi strumenti adottati in vista della tutela dell’ambiente e costituisce indubbiamente un tassello fondamentale in vista del c. d. sviluppo sostenibile; di ciò si darà atto nel presente contributo.

I.    Una breve ricostruzione in chiave storica.

Nel corso del XX secolo gli Stati Uniti conoscono gli effetti di un pervasivo impatto ambientale, risultato dell’espansione industriale. Negli anni Sessanta, in particolare, vengono in evidenza le insufficienze del sistema di controlli esistente: si avverte il bisogno di una legislazione federale più incisiva. Si elabora dunque il National Environmental Policy Act (NEPA) del 19692. Alle Agenzie federali viene assegnato il compito di verificare preventivamente le conseguenze ambientali di progetti e di politiche, piani e programmi. L’obbligo comporta la preparazione, da parte dell’agenzia proponente, di un valutazione preliminare da trasmettere alle Agenzie interessate e da porre a disposizione della popolazione. Il documento finale deve tenere conto di tutte le osservazioni ed è oggetto, prima dell’approvazione, di un dibattito pubblico. Nel 1970 viene costituita l’Agenzia Federale per l’Ambiente (EPA). La valutazione di impatto ambientale opera a diversi livelli: per i progetti più importanti la procedura è gestita dalla EPA in ambito federale (l’“Environmental Impact Statement”); inoltre, i singoli stati emanano proprie legislazioni in materia ambientale per sottoporre a valutazione progetti minori, attraverso un procedimento basato su un “environmental impact report”.
Per quanto riguarda l’Italia, la Costituzione, nella sua versione originaria, non considera l’ambiente quale oggetto di una specifica tutela. La dottrina ricava un principio di salvaguardia indiretta dell’ambiente attraverso un’operazione interpretativa facendo leva soprattutto sugli articoli 2 (garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo), 9 (tutela del paesaggio e del patrimonio storico della Nazione) e 32 (tutela del diritto alla salute)3, nonchè sugli articoli 41 e 42 relativi ai limiti della proprietà privata in vista anche della sicurezza e del razionale sfruttamento del suolo4. Negli anni Settanta sono emanate diverse normative di settore che prevedono procedure ricollegabili alla VIA, tra cui le leggi per la salvaguardia di Venezia del 1971 e 1973 e la legge sulla localizzazione degli impianti di produzione di energia elettrica del 19735.
Per quanto concerne l’Unione Europea, né il Trattato di Roma istitutivo della Comunità Economica Europea (1957), né i Trattati istitutivi della CECA (1951) e dell’EURATOM (1957) contengono alcun riferimento ad una politica ambientale comunitaria. Le prime misure europee in materia sono costituite dalla direttiva del 1967 sulle sostanze e i preparati pericolosi e quella del 1970 sull’inquinamento acustico ed atmosferico causato dalla circolazione dei veicoli a motore6.
A partire dagli anni settanta si verifica un’accresciuta sensibilità sociale per le questioni ambientali7.
Nel 1971 la Commissione presenta al Consiglio la prima comunicazione con cui chiede l’inizio di una politica comunitaria in materia ambientale.
Nel 19728  è organizzata dalle Nazioni Unite la Conferenza sull’ambiente umano, avente l’obiettivo di tracciare le linee guida della politica ambientale internazionale degli anni successivi. Risultato della Conferenza è la Dichiarazione di Stoccolma. Viene introdotto un piano d’azione in base al quale tutti gli Stati si impegnano a monitorare lo stato di salute dell’ambiente, cercare soluzioni idonee a fronte dei problemi ecologici esistenti, contemperare le esigenze di sviluppo con la tutela delle risorse ambientali ed informare il pubblico circa le attività di protezione dell’ambiente. La promozione delle iniziative viene affidata all’UNEP, il Programma ambientale delle Nazioni Unite, che assume il ruolo di osservatorio internazionale per il coordinamento delle azioni degli Stati9. A Stoccolma, inoltre, viene definitivamente accolto il principio secondo cui l’ambiente è patrimonio comune dell’umanità10  e, pertanto, le azioni di tutela devono essere affidate al controllo internazionale.
Sempre nel 1972 si tiene la Conferenza dei capi di Stato della Comunità Europea11, nella quale viene rivolto un invito alle istituzioni comunitarie affinché elaborino un programma d’azione.
Nel 1973 viene realizzato dunque il Primo Programma (1973-1977), con cui la Comunità si assume ufficialmente il compito di guidare i Paesi membri verso la realizzazione di una politica ambientale uniforme. Tra gli obiettivi vi sono: la prevenzione, la riduzione e, ove possibile, l’eliminazione dei danni ambientali; una gestione equilibrata delle risorse naturali; una maggiore attenzione ai problemi ambientali nei settori dell’urbanistica e, in generale, nella gestione del territorio. Nasce il principio della prevenzione, che diventa cardine della politica ambientale comunitaria.
Uno dei primi Stati europei a prendere in considerazione l’esigenza di introdurre una valutazione d’impatto ambientale per determinati progetti, in modo similare agli Stati Uniti, è la Francia, ove la VIA assume la forma di “Etude d’impact”12. La legge istitutiva è del 10 luglio 197613. L’“Etude d’impact” è una procedura amministrativa che ha l’obiettivo di evitare, attraverso lo studio anticipato degli effetti sull’ambiente, che un’opera si riveli dannosa.
Nel 1985 è adottata la direttiva 85/337/CEE del 27 giugno 198514, che introduce la Valutazione di impatto ambientale in tutti gli stati della Comunità Economica Europea.
Il 17 febbraio 1986 viene firmato l’Atto Unico Europeo15: per la prima volta si afferma l’esistenza di un’azione comunitaria in materia ambientale, che viene disciplinata dal titolo VII del Trattato CEE. Con l’articolo 130R è introdotto il principio di sussidiarietà, con la previsione che “la Comunità agisce in materia ambientale nella misura in cui gli obiettivi… possano essere meglio realizzati a livello comunitario piuttosto che a livello dei singoli Stati membri”.
In Italia la legge n. 349 dell’ 8 luglio 1986 istituisce il Ministero dell’Ambiente, introduce un regime “transitorio”16  per la valutazione di impatto ambientale e riconosce il diritto all’informazione ambientale.
Nel 1987 viene pubblicato il c. d. Rapporto Brundtland17, che contiene una serie di “Principi legali per la protezione ambientale”. In questo rapporto, per la prima volta, viene usata a livello ufficiale la locuzione “sviluppo sostenibile”18. Tale principio si identifica in uno “sviluppo che è in grado di soddisfare i bisogni della generazione presente, senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri“19. È dunque un processo di cambiamento tale per cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e i cambiamenti istituzionali siano resi coerenti con i bisogni futuri oltre che con quelli attuali. La comunità internazionale, nel cammino iniziato con la Conferenza di Stoccolma, prende sempre più coscienza degli effetti negativi della crescita economica e industriale, nella convinzione che si debba avere presente l’interazione tra economia, società e ambiente, nonchè tenere conto della scarsità delle risorse ambientali. Lo sviluppo sostenibile si pone così quale compromesso tra l’espansione economica e la tutela dell’ambiente.
Nel 1990 viene emanata la Direttiva 90/313/CEE concernente la libertà di accesso all’informazione in materia di ambiente, che affronta la questione della trasparenza dell’attività posta in essere dalle autorità pubbliche.
Nel 1991 è stipulata la Convenzione di Espoo, che introduce la Valutazione di impatto ambientale in un contesto transfrontaliero, ossia relativamente ad un progetto che può avere un impatto ambientale negativo al di là delle frontiere dello stato su cui il progetto stesso viene realizzato.
Il 7 febbraio 1992 viene firmato il Trattato di Maastricht sull’Unione Europea, che entra in vigore il 1° novembre 1993: si passa da un’azione in campo ambientale ad una vera e propria politica. Viene introdotta la nozione di sostenibilità dello sviluppo: l’art. 2 assegna alla Comunità Europea il compito di promuovere uno sviluppo armonioso ed equilibrato delle attività economiche, attraverso una “crescita sostenibile che rispetti l’ambiente”. All’ambiente è dedicato il titolo XVI del trattato CE20.
Le tematiche del Rapporto Brundtland vengono riprese nel corso della Conferenza di Rio de Janeiro organizzata nel 1992 dalle Nazioni Unite sul tema ambiente e sviluppo con la partecipazione di 175 Paesi21. La Dichiarazione finale contiene ventisette principi guida su cui basare la cooperazione internazionale per la tutela dell’ambiente. La Dichiarazione è affiancata da un documento programmatico, una linea di azione per il ventunesimo secolo: l’Agenda 2122.
Sempre nel 1992 viene istituita la Commissione per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite (CSD)23, con il compito di assicurare l’effettivo rispetto di quanto stabilito dalla Conferenza di Rio24.
Nella dichiarazione di Rio si afferma che gli esseri umani “hanno diritto ad una vita sana e produttiva in armonia con la natura” (principio uno). Il principio tre della dichiarazione stabilisce che “il diritto allo sviluppo deve essere realizzato in modo da soddisfare equamente le esigenze relative all’ambiente ed allo sviluppo delle generazioni future”. Il principio dieci prevede come principio-cardine dello sviluppo sostenibile la partecipazione dei cittadini. Viene anche affermata l’importanza del “modello precauzionale”, inteso come regola per l’adozione di misure adeguate ed oggettive, dirette a prevenire il degrado ambientale25. Al Principio diciassette si disciplina la valutazione di impatto ambientale, da effettuare “nel caso di attività che siano suscettibili di avere effetti negativi rilevanti sull’ambiente e dipendano dalla decisione di una autorità nazionale competente”26.
Nel 1998 il principio dieci della Dichiarazione di Rio è tradotto nella Convenzione Internazionale di Aarhus, entrata in vigore nel 2001, a cui aderisce anche l’Unione Europea. Essa è considerata da molti il più importante esempio di democrazia ambientale: le autorità pubbliche devono mettere a disposizione del pubblico le informazioni sull’ambiente che vengano loro richieste.
Nel 2001 viene introdotta con la Direttiva 2001/42/CE in tutti gli Stati dell’Unione Europea la Valutazione Ambientale Strategica (VAS), con l’obiettivo di identificare, descrivere e valutare i possibili effetti ambientali significativi di piani e programmi.
Dal 26 agosto al 2 settembre 2002 l’ONU organizza a Johannesburg il Vertice Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile. In tale vertice si riempie di maggior significato il concetto di sviluppo sostenibile grazie al nuovo collegamento tra povertà, ambiente e risorse naturali. Il documento finale è articolato in due parti:
– la Dichiarazione politica, in cui viene ribadita la necessità di contemperare economia e ambiente e si riflette sui tre principali vertici sullo sviluppo sostenibile (Stoccolma, Rio de Janeiro, Johannesburg);
– il Piano d’Azione sullo Sviluppo Sostenibile, che contiene 152 obiettivi concreti da realizzare divisi in cinque principali aree d’azione (acqua, energia, sanità, agricoltura e biodiversità e gestione degli ecosistemi).
In Italia, con la delibera CIPE 2 agosto 2002, n. 57 è approvata la “Strategia d’azione ambientale per lo sviluppo sostenibile in Italia 2002-2010”, che si preoccupa di individuare gli obiettivi e gli strumenti d’azione indispensabili ad una crescita sostenibile del Paese. Tra gli strumenti individuati vi è l’integrazione del fattore ambientale in tutte le politiche di settore, con una efficiente ed efficace applicazione della valutazione di impatto ambientale e con la verifica della sostenibilità ambientale dei piani e dei programmi27.
Alla luce della Convenzione di Aarhus, nel 2003 la Comunità Europea emana la Direttiva 2003/4/CE, sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale (recepita in Italia dal D. Lgs. 19 agosto 2005, n. 195), e la Direttiva 2003/35/CE, che prevede la partecipazione del pubblico nell’elaborazione di taluni piani e programmi in materia ambientale e modifica la direttiva 85/337/CEE.
A seguito della legge-delega 308/200428, in Italia viene emanato il Decreto legislativo 152/2006, con la finalità della “promozione dei livelli della qualità della vita umana, da realizzare attraverso la salvaguardia ed il miglioramento delle condizioni dell’ambiente e l’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali”. L’art. 3-quater, c. 1, in particolare, afferma che “ogni attività umana giuridicamente rilevante ai sensi del presente codice deve conformarsi al principio dello sviluppo sostenibile”29. Il “Codice dell’Ambiente” disciplina la Valutazione di Impatto Ambientale, la Valutazione Ambientale Strategica (VAS) e l’Autorizzazione integrata ambientale (AIA) e si occupa anche dei rifiuti, nonché della tutela di acqua, aria e suolo30.
In data 1/12/2009 entra in vigore il Trattato di Lisbona, che prevede che la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (la c.d. Carta di Nizza) assuma la stessa efficacia dei trattati. L’art. 37 della suddetta Carta dispone: “Un livello elevato di tutela dell’ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell’Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile”.  Inoltre, secondo quanto previsto dall’art. 11 TFUE, tutte le tematiche dell’Unione devono tener conto delle esigenze connesse alla salvaguardia dell’ambiente31. L’art. 3 TUE, inoltre, prevede che l’Unione si adoperi per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato, tra l’altro, su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente.
Successivamente, nel 2009 viene emessa la Direttiva 2009/31/CE relativa allo stoccaggio geologico di biossido di carbonio e recante modifiche alla Direttiva che disciplina la Valutazione di Impatto ambientale, con l’aggiunta di ulteriori progetti da sottoporre alla procedura (in tema di trasporto, cattura e stoccaggio di biossido di carbonio).
Da ultimo, la direttiva 85/337/CEE e quelle che la modificano (emanate nel 1997, nel 2003 e nel 200932) vengono codificate, “per motivi di chiarezza e di razionalizzazione”, nella Direttiva 2011/92/UE del 13 dicembre 201133.


II.    Sull’efficacia della Valutazione di Impatto Ambientale.

La finalità della VIA è “proteggere la salute umana, contribuire alla qualità della vita, provvedere al mantenimento della varietà delle specie e conservare la capacità di riproduzione dell’ecosistema in quanto risorsa essenziale della vita”34. Secondo il D. Lgs. 152/2006, essa ha lo scopo di “assicurare che l’attività antropica sia compatibile con le condizioni per uno sviluppo sostenibile”, nonché “di proteggere la salute umana, contribuire con un migliore ambiente alla qualità della vita, provvedere al mantenimento delle specie e conservare la capacità di riproduzione dell’ecosistema in quanto risorsa essenziale per la vita”.
La VIA è una procedura35  preordinata a verificare, in via preventiva, la compatibilità o meno con l’ambiente36  di progetti relativi a determinate opere, sia pubbliche che private. Svolge la funzione di valutare e prevenire gli effetti di un progetto su una pluralità di fattori, quali l’uomo, la flora, la fauna, il suolo, l’acqua, l’aria, il clima, il paesaggio, i beni materiali e archeologici e l’interazione tra loro37. Consente inoltre di scegliere, tra le diverse soluzioni progettuali, quella che presenta il minor impatto ambientale, nonchè di introdurre eventuali varianti che possano mitigare o compensare gli effetti negativi.
Il procedimento di Via si può così sintetizzare: vi è la redazione di uno studio di impatto ambientale (SIA) del progetto che si intende realizzare, nel quale si considera lo stato dell’ambiente attuale, si descrivono le caratteristiche dell’opera e si prevedono le conseguenze sull’ambiente derivanti dall’esecuzione dell’opera stessa38. Il SIA è analizzato da un’autorità apposita (che tiene conto anche della fase di consultazione di altre autorità e cittadini) e, se il progetto risulta compatibile con l’ambiente, viene emessa una valutazione di impatto ambientale positiva; se invece non v’è compatibilità, il progetto viene modificato o, in casi estremi, non realizzato39.
La Valutazione di Impatto Ambientale è una procedura complessa, in quanto necessita di conoscenze esperte in molti diversi settori40; inoltre, in essa occorre fare ricorso ad “una tecnica di analisi multicriteri”41. Infatti, nella predisposizione del SIA occorre individuare gli impatti potenziali, attraverso metodologie molto varie (parere di esperti, questionari, check list, matrici, ecc.)42.
La VIA costituisce il frutto di una progressiva evoluzione della sensibilità culturale, sociale e politica circa la tutela dell’ambiente, che si è tradotta, sul piano giuridico, nella creazione di strumenti diretti a prevenire le attività dell’uomo nocive per l’ambiente, piuttosto che sanzionarle una volta realizzate. Alcuni autori hanno osservato come la finalità della disciplina della VIA sia quella di “conciliare le esigenze dello sviluppo economico-produttivo con quelle della salvaguardia del patrimonio ambientale, attraverso una scelta di compromesso che pregiudichi nella minor misura possibile il secondo in favore del primo”43.
La VIA è perciò istituto con queste caratteristiche: “preventivo”, “globale”, “procedimentale” e “tecnico”:
–   “preventivo”, perché si propone di prevedere e valutare i possibili effetti perturbativi sull’ambiente di un determinato intervento prima che esso sia realizzato44;
–   è uno strumento ad approccio “globale”, perché associa in un’unica contestuale valutazione l’incidenza che la realizzazione di uno specifico progetto può avere su tutti i molteplici fattori (naturalistici e antropici) di cui l’ambiente è composto, considerati complessivamente e anche nelle loro possibili interazioni;
–    è un istituto a struttura “procedimentale”: è un procedimento “di massa”, poichè è potenzialmente aperto alla partecipazione di un numero anche elevato di soggetti, e “partecipativo”;
–    la VIA è, infine, uno strumento di natura “tecnica”, ma presenta pure tratti di discrezionalità. Non vi è consenso se si tratti di discrezionalità amministrativa pura o tecnica45, né sulla titolarità della competenza ad emanare il provvedimento all’interno del Ministero dell’Ambiente.
La VIA può essere contemporaneamente inquadrata e utilizzata come atto amministrativo e come azione giuridica: “quando la si considera come atto amministrativo (quindi, nel suo aspetto statico), della VIA si mette in risalto la specifica funzione di strumento che consente al soggetto interessato alla realizzazione dell’opera di superare le incertezze insite nel problema della compatibilità ambientale dell’intervento. Se, invece, si guarda la VIA nel suo aspetto dinamico (come azione giuridica), la principale funzione che essa svolge è di dar voce ad un interesse, quello ambientale, che altrimenti rischierebbe di rimanere marginale nelle scelte (essenzialmente di carattere economico) che il committente e il progettista compiono preliminarmente alla realizzazione di un‘opera”46; “la via costituisce in un procedimento la sintesi delle valutazioni amministrative dal punto di vista ambientale (è atto amministrativo) ed ha effetti in quanto elabora e fa pesare sul risultato del procedimento le valutazioni dal punto di vista ambientale (è azione giuridica)… L’amministrazione pubblica può fermarsi per le valutazioni dal punto di vista ambientale alla determinazione dell’effetto della VIA, oppure può utilizzare la determinazione dell’effetto della VIA per successive azioni”, usando la VIA in un procedimento47.
Per tentare dunque di dare una definizione di valutazione di impatto ambientale, si può innanzitutto affermare che l’impatto ambientale sia “l’insieme di tutti gli effetti di una certa rilevanza – positivi e negativi, diretti e indiretti, temporanei e permanenti, nonché cumulativi e sinergici – che il compimento di un determinato intervento provoca a carico dei vari fattori ambientali (naturalistici e antropici) globalmente considerati”48. La valutazione di impatto ambientale diventa dunque “un procedimento incidentale – ossia destinato ad innestarsi sul procedimento principale autorizzatorio – aperto alla partecipazione del pubblico e che sfocia, a seguito di una istruttoria a carattere tecnico-scientifico e interdisciplinare, in un giudizio in ordine alla compatibilità ambientale di un progetto (pubblico o privato) la cui realizzazione appare suscettibile di provocare effetti rilevanti sull’ambiente globalmente considerato; giudizio che tiene conto delle caratteristiche del progetto, delle modalità della sua realizzazione e delle peculiarità del contesto ambientale su cui è destinato ad incidere”49.
Non solo la VIA è finalizzata a perseguire l’obiettivo della protezione dell’ambiente e della qualità della vita, bensì essa rappresenta anche una “notevole opportunità di razionalizzazione del pluriarticolato sistema istituzionale di governo del territorio nazionale”; è un “istituto che mira a definire, in modo preciso ed in via preventiva, il rapporto tra lo sfruttamento delle risorse naturali e le condizioni di vita dell’uomo”50.
Per quanto concerne le funzioni dunque, la VIA è polivalente:
–   innanzitutto ha una funzione di prevenzione: negativa (laddove impedisca la realizzazione di un’opera), positiva (con cui si assumono misure precauzionali per evitare eventi negativi), prevenzione-previsione (con cui si adottano misure volte ad attenuare i rischi di danno);
–    ancora, ha funzione di programmazione (la VIA deve tenere conto degli strumenti di pianificazione e programmazione, che vanno indicati nel quadro di riferimento programmatico)51;
–    infine, svolge una funzione di partecipazione.
Nel corso degli anni si sono predisposti numerosi “report” a livello comunitario e nazionale al fine di comprendere e valutare l’efficacia della VIA52.
In particolare, la Relazione COM(2009) 378 del 23 luglio 2009 afferma testualmente: “la VIA assicura che le considerazioni di carattere ambientale siano tenute in considerazione sin dalle prime fasi del processo decisionale. In secondo luogo, coinvolgendo il pubblico la procedura di VIA garantisce maggiore trasparenza nei processi decisionali e, di conseguenza, una migliore accettazione da parte dei cittadini… è ampiamente riconosciuto che i vantaggi derivanti dallo svolgimento di una VIA superano i costi sostenuti per realizzarla…”. Anche se sono state rinvenute alcune problematiche nel recepimento della VIA e nell’applicazione della procedura a livello nazionale (quali, ad esempio, il superamento da parte degli stati della discrezionalità ad essi concessa dall’Unione Europea in tema di verifica di assoggettabilità, una scarsa qualità delle informazioni utilizzate in molti procedimenti, la mancanza di pratiche armonizzate per la partecipazione del pubblico, la necessità di un migliore coordinamento tra la VIA ed altre procedure per la tutela dell’ambiente), “gli obiettivi della direttiva VIA sono, in generale, stati raggiunti” e “nel processo decisionale, divenuto più trasparente, si tiene conto delle considerazioni di ordine ambientale”.
Si può pertanto concludere che, soprattutto se affiancata ad altri strumenti come la VAS e se eseguita con informazioni di qualità e dettagliate53, la VIA sia uno strumento dotato di grandi potenzialità in vista della realizzazione dello sviluppo sostenibile54.

1  Avvocato in Genova.
2  V. E. Romagnoli, La procedura di Valutazione di Impatto Ambientale (V.I.A.): evoluzione normativa e procedurale, in http://www.ambientediritto.it/dottrina/Politiche%20energetiche%20ambientali/politiche%20e.a/via_romagnoli.htm. La finalità generale che il Congresso si è posto con l’introduzione di questo atto è “riconoscere il profondo impatto ambientale” delle attività umane; si vuole dunque “reintegrare  e preservare la qualità ambientale per il benessere generale e lo sviluppo dell’uomo“, nonché “creare e mantenere condizioni nelle quali uomo e natura possano esistere in armonia produttiva”, e “soddisfare le necessità sociali, economiche e di altra natura e delle presenti e delle future generazioni di cittadini americani”. Per una analisi della procedura statunitense, v. Guida alla professione di Ingegnere – La valutazione di impatto ambientale (VIA) e la valutazione ambientale strategica (VAS), 2007.
3  Cfr. ad esempio E. Capaccioli e F. Dal Piaz, Ambiente (tutela dell’). Parte generale e diritto amministrativo, voce Appendice Novissimo Digesto Italiano, Torino, 1980, I.
4  V. Sentenza Corte di Cassazione, III sez. penale, 20 gennaio 1983. Già a partire dagli anni ’70 dottrina e giurisprudenza sono divise nel modo di concepire l’ambiente: alcuni autori, come Giannini, ricostruiscono l’ambiente non in termini unitari, bensì in modo frazionato, costituito per un verso dagli istituti concernenti la tutela delle bellezze paesistiche e naturali (dunque ambiente come bellezze naturali, centri storici, parchi naturali, foreste), per un altro dagli istituti concernenti la lotta contro gli inquinamenti (dunque ambiente come suolo, aria, acqua), per un altro ancora gli istituti concernenti il governo del territorio (dunque ambiente come territorio interessato dagli insediamenti umani, dalle strade e così via): cfr. M. S. Giannini, “Ambiente”: saggio sui diversi suoi aspetti giuridici, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., XXIII, 1973, n.1. Invece la giurisprudenza parla ad esempio di “diritto all’ambiente salubre”: v. Corte di Cass, SS. UU., n. 5172/1979. Autori come Patti  e Giampietro superano la concezione pluralista, considerando unitariamente l’oggetto e le misure giuridiche della tutela ambientale: S. Patti, Diritto all’ambiente e tutela della persona, in Giur. It., 1980, I e F. Giampietro, Diritto alla salubrità dell’ambiente, 1980. Cfr. Nespor, De Cesaris, Codice dell’ambiente, Milano, 2003. Cfr. anche F. Fonderico, Ambiente e amministrazione in Italia, in Riv. Giur. Amb., 5/1997; G. Cordini, Bibliografia giuridica dell’ambiente. Rassegna ragionata dei volumi e articoli pubblicati in Italia dal 1975 al1990 – Il diritto dell’ambiente, in www.ittig.cnr.it; V Dini, Il diritto soggettivo all’ambiente, in www. giuristiambientali.it.  Con la riforma del titolo V della Costituzione del 2001 la “tutela dell’ambiente” è stata inserita nell’art. 117. La Giurisprudenza della Corte Costituzionale si è occupata di definire l’ambiente sul piano giuridico, di delineare il quadro dei rapporti fra ambiente ed economia, nonchè del problema giuridico concernente la ripartizione delle competenze fra Stato e Regioni nelle materie che, come quella forestale, riguardano non solo l’ambiente, ma anche le sue utilizzazioni. Per una ricognizione di detta Giurisprudenza, si veda F. Giampietro, La nozione di ambiente nelle recenti decisioni della Corte Costituzionale e gli effetti sul riparto di competenze tra Stato e Regioni, in Ambiente & Sviluppo, 6/2009, pagina 505. Secondo un’opinione diffusa, l’ambiente non costituirebbe una “materia”, bensì un “valore costituzionale”: per una ricostruzione della questione si veda P. Dell’Anno, La tutela dell’ambiente come «materia» e come valore costituzionale di solidarietà e di elevata protezione, in Ambiente & Sviluppo, 7/2009, pagina 585. Una revisione della Giurisprudenza della Corte Costituzionale sul concetto di ambiente si è avuta a partire dalle sentenze 367 e 368 del 2007: l’ambiente è oggi da considerare un bene materiale, complesso e sistemico. Sul punto si veda P. Maddalena, La nuova giurisprudenza costituzionale in tema di tutela dell’ambiente, in Ambiente & Sviluppo, 1/2012, pagina 5.
5  V. art. 4 legge 18 dicembre 1973, n. 880.  Cfr. Nespor, De Cesaris, Codice dell’ambiente, Milano, 2003.
6  Questi interventi, come quelli degli anni ’80, hanno come basi giuridiche gli articoli 100 TCE (possibilità di adottare direttive volte al ravvicinamento delle legislazioni che abbiano diretta incidenza sull’instaurazione o sul funzionamento del mercato comune) e 235 TCE  (che conferisce i c. d. “poteri impliciti”: azione necessaria per raggiungere, nel funzionamento del mercato comune, uno degli scopi della Comunità). Tali basi sono state considerate fondate dalla Corte di Giustizia nella sentenza 18 marzo 1980, causa 91/1979.
7  Questo ha determinato il riconoscimento di un interesse alla protezione dell’ambiente, «tutelabile attraverso i diritti garantiti dalla CEDU». Ciò è avvenuto, in particolare, in relazione alle situazioni soggettive tutelate dall’art. 8 della Convenzione (diritto al rispetto della vita privata e familiare), piuttosto che in rapporto ad altre situazioni soggettive, quali il diritto alla vita e il divieto di trattamenti degradanti (art. 2 e 3 della Convenzione). In tal modo è stata perseguita una tutela ambientale anticipata, rendendo possibile «un intervento prima che lo stato dell’ambiente circostante l’individuo sia così degenerato da mettere in pericolo la sopravvivenza di quest’ultimo: indirettamente, per questa via, si rende possibile preservare forme più gravi e irrimediabili di inquinamento». Tale principio viene sostanzialmente affermato anche nella pronuncia della Corte europea del 2 novembre 2006. In applicazione dell’art. 8 CEDU e della Giurisprudenza della Corte di Giustizia UE si ritiene che l’espletamento di una VIA postuma integri presupposto per il risarcimento del danno eventualmente subito dal privato. Sul punto si veda A. Milone, VIA postuma: il TAR Lombardia conferma i principi della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Ambiente & Sviluppo, 8/2008, pagina 737.
8  Nel 1972 veniva pubblicato il saggio “I limiti dello sviluppo – The Limits to Growth” (Meadows et alii, 1972), in cui un gruppo di ricercatori del MIT mostrava quale sarebbe stato il risultato nel lungo periodo di una crescita economica continua e incontrollata. Il saggio è stato poi aggiornato nel 2004 (Limits to Growth: The 30-Year Update).
9  L’UNEP è un organo sussidiario dell’ONU, creato dall’Assemblea Generale allo scopo di proteggere e valorizzare l’ambiente per le generazioni presenti e future.
10  Significativamente, il motto della Conferenza è “noi abbiamo una sola Terra”.
11  La Conferenza si tiene a Parigi il 19 e 20 ottobre 1972.
12  Questo nonostante la Costituzione Francese ed il suo Preambolo non facciano originariamente riferimento all’ambiente in modo esplicito. L’art. 1 della legge 10 luglio 1976 prevede espressamente il diritto alla protezione dell’ambiente naturale; secondo la dottrina si ricaverebbe una precisa definizione di ambiente che si estende sino a comprendere l’ambiente umano, pur in assenza di una definizione legislativa. La VIA francese è comunque differente rispetto a quella statunitense, anche per il fatto che ne sono esclusi i progetti di pianificazione territoriale e gli strumenti urbanistici. L’ “etude d’impact” è un sub-procedimento rispetto al procedimento autorizzatorio del progetto. L’ambito di applicazione è costituito da tutti i lavori e gli usi di opere e beni, a meno che non rientrino nell’elenco di quelli esclusi, sostanzialmente secondo un criterio delle dimensioni o comunque della scarsa ripercussione sull’ambiente. Nel decreto attuativo è previsto quale debba essere il contenuto minimo dello studio d’impatto (che è realizzato dallo stesso autore del progetto dell’opera). La VIA francese offre lo spunto per la direttiva 85/337/CEE: cfr. C. Sartoretti, La valutazione ambientale in Francia, in Ferrara, La valutazione di impatto ambientale, 2000. Occorre comunque ricordare che, in Europa, il governo tedesco il 9 settembre 1972 ha emanato una decisione che pone l’obbligo, per ogni autorizzazione amministrativa rilasciata, di attestare l’assenza di effetti dannosi sull’ambiente dell’opera da assentire: v. A. Gratani, La Germania non è più l’ “allievo modello” della Comunità europea in campo ambientale, in Riv. Giur. Amb., 2/1995. La Francia nel 2004 ha adottato la “Carta per l’ambiente”, che ha rango costituzionale. Da notare come invece la Spagna già nella Costituzione del 1978 si occupi della tutela dell’ambiente: l’art. 45 prevede il diritto dei cittadini di godere di un ambiente adeguato per lo sviluppo della persona, e il loro dovere d conservarlo. Le autorità vegliano sull’uso razionale delle risorse naturali, in modo da proteggere e migliorare la qualità della vita e difendere e restaurare l’ambiente, facendo leva sulla indispensabile solidarietà collettiva.
13  Il decreto attuativo è del 12 ottobre 1977 e la procedura entra in vigore il 1° gennaio 1978.
14  La direttiva dà concreta attuazione al principio della prevenzione.
15  Sulle diverse tappe dell’evoluzione della Comunità Europea ed anche sul principio di sussidiarietà v. M. P. Chiti, Diritto Amministrativo Europeo, II ed., Milano, 2004.
16  Le virgolette sono d’obbligo, considerato che questa normativa è stata l’unica per più di dieci anni. Una disciplina generale della valutazione di impatto ambientale si ha con il D. Lgs. 152/2006, entrato in vigore il 31 luglio 2007. Esso, comunque, non si applica alle istanze precedenti a tale data. Anche il c. d. Codice dell’Ambiente ha subito “rallentamenti” nella sua applicazione a causa della mancata emanazione della normativa di attuazione. Sul punto di veda A. Muratori, Se il legislatore (ambientale) e` … di memoria corta: le discipline «mutilate» per omessa emanazione delle norme esecutive (parte seconda), in Ambiente & Sviluppo, 4/2009, pagina 305; Se il legislatore (ambientale) e`… di memoria corta: le discipline «mutilate» per omessa emanazione delle norme esecutive (parte terza), in Ambiente & Sviluppo, 6/2009, pagina 528. il D. Lgs. 152/2006 è stato da ultimo integrato e modificato dal D. Legge n. 5/2012, convertito con Legge 35/2012, pubblicato su GU n. 82 del 6-4-2012 – Suppl. Ordinario n.69.
17  Report of the World Commission on Environmental and Development “Our Common Future”. Sul rapporto Brundtland e sullo sviluppo sostenibile, con la necessità di passare da un modello di economia di mercato ad un’economia ecologica di mercato (in cui anche l’ambiente figuri come un fattore di produzione), v. P. Caratti – R. Tarquini, La Valutazione Ambientale Strategica tra valutazione di impatti e processo decisionale, Convegno Prospettive di Sviluppo della Valutazione Ambientale Strategica in Italia, 5 febbraio 2002, in www.formez.it.
18  Il principio dello sviluppo sostenibile è da alcuni autori ritenuto il fondamento della c. d. “eco-condizionalità” che riguarda il finanziamento dei progetti nei paesi in via di sviluppo (usata ad esempio per i prestiti effettuati dal Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale); può essere negativa (si evita la promozione di progetti di cooperazione agricola, industriale ecc. o di investimenti che potrebbero costituire un attentato all’ambiente) e positiva (si concede un vantaggio supplementare se l’attività comporta un miglioramento ambientale). V. S. B. Pentinat, L’impatto ambientale della clausola di condizionalità: globalizzazione sostenibile?, in Riv. Giur. Amb., 3-4/2006. Sul tema dello “sviluppo sostenibile” si veda il contributo di F. Fonderico, Sviluppo sostenibile e principi del diritto ambientale, in Ambiente & Sviluppo, 10/2009, pagina 921.
19  Giovanni Francescon riprende questo concetto, mettendo in relazione l’ambiente con l’economia: “Si prospetta, dunque, un non lontano futuro in cui, spingendo il progresso tecnico verso un’espansione dell’offerta dei beni privati, e non di quelli ambientali, e mancando un sistema dei prezzi che sia capace di contrastare questa tendenza ad esternalizzare i costi d’uso delle risorse e ad internalizzare i benefici, le generazioni future si troveranno con uno stock di beni pubblici ambientali quantitativamente e qualitativamente inferiore a quello necessario per mantenere lo stesso alto tasso di produzione e consumo che la generazione attuale avrà lasciato in eredità. Diviene allora evidente la necessità di un intervento pubblico che riporti ad un livello di razionalità ed efficienza l’allocazione delle risorse ambientali che il mercato rischia di far esaurire. Di conseguenza, è necessario dotare l’operatore pubblico degli strumenti atti a valutare la razionalità degli interventi rispetto agli obiettivi fissati e ad analizzare la loro desiderabilità complessiva, sia economica che sociale”: v. G. Francescon, La valutazione di impatto ambientale,Verona, 1996.
20  In base al nuovo articolo 130R la politica della Comunità in materia ambientale contribuisce a perseguire i seguenti obiettivi: a) salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente; b) protezione della salute umana; c) utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali; d) promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell’ambiente a livello regionale o mondiale. La politica della Comunità in materia ambientale “mira a un elevato livello di tutela… E’ fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, anzitutto alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio “chi inquina paga”. Le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nella attuazione delle altre politiche comunitarie”.
21  L’Earth Summit è stato preceduto da lunghi lavori preparatori. Durante questi incontri sono emerse forti differenze di vedute tra i Paesi industrializzati e i Paesi in via di sviluppo sul modo di intendere in vincolo ambientale. Nell’ambito del convegno è stata adottata la Convenzione Quadro sui cambiamenti climatici (UNFCCC). A partire da questa, ed al fine della riduzione dei gas ad effetto serra, è stato poi stipulato il Protocollo di Kyoto, sottoscritto nel 1997 e ratificato dall’Unione Europea il 31 maggio 2002. È entrato in vigore nel 2005. Con la decisione del Consiglio dei Ministri dell’Ambiente dell’UE 17 giugno 1998 (cosiddetto Burden Sharing Agreeement), l’obiettivo collettivo dell’Unione è stato ripartito tra gli Stati membri. Il sistema ha trovato la sua implementazione nella Direttiva 2003/87/CE, modificata dalla Direttiva 2004/101/CE. Sul punto, si veda G. Golini, Il sistema comunitario di quote di emissione: valutazione della prima fase e prospettive, in Ambiente e Sviluppo, 7/2008, pagina 647; si vedano anche A. Muratori, Emission trading: mentre l’Europa guarda avanti, l’Italia affina gli strumenti ma si interroga sul domani, in Ambiente & Sviluppo, 8/2008, pagina 754; E. Cancila – F. Iraldo, Il contributo dei governi locali al raggiungimento degli obiettivi di Kyoto, in Ambiente & Sviluppo, 10/2008, pagina 931; A. Savaresi – M. Davide, Cambiamenti climatici e negoziati: una prospettiva italiana, in Ambiente & Sviluppo, 4/2012, pagina 357.
22  Con l’Agenda 21 Locale si vuole dare inizio ad un processo di sensibilizzazione e di potenziamento delle risorse locali, anche recuperando e valorizzando elementi abbandonati e nascosti, che possono caratterizzare l’identità culturale dei territori stessi. Agenda 21 letteralmente significa: programma di “cose da fare” per il ventunesimo secolo. “Cose da fare” per tradurre, appunto, in azioni i presupposti teorici dello sviluppo sostenibile. L’Agenda 21 locale è lo strumento di attuazione di tali azioni a livello locale che ogni autorità locale è chiamata a attivare dalla stessa dichiarazione di Rio, nel capitolo 28. “Non esiste uno schema rigido e codificato di Agenda 21 Locale in quanto i problemi da affrontare e risolvere nei singoli contesti locali sono molto differenziati. Unico è invece l’obiettivo: un’azione condivisa, programmata e responsabile per la sostenibilità locale, idonea a determinare positivi effetti sulle condizioni ambientali globali”: così in Guida europea all’Agenda 21 Locale – La sostenibilità ambientale: linee guida per l’azione locale, di Fondazione Lombardia per l’Ambiente, 2004. L’Agenda 21 si prefigge di elaborare e portare all’attuazione un Piano di Azione per uno sviluppo sostenibile a livello locale. Garano ricollega l’agenda 21 locale alla VAS, dicendo che la seconda ha tra le sue basi proprio la prima, poiché “immette i principi di sostenibilità dell‘A21L in un quadro istituzionale preciso quale è quello dell‘attività di pianificazione e di programmazione degli interventi”: cfr. M. Garano, (a cura di) La pianificazione ambientale e la pianificazione territoriale, in M. Garano (a cura di), La valutazione ambientale strategica – La decisione strategica nelle politiche, nei piani e nei programmi urbanistici, Roma, 2004. Nel 1994 si è tenuta ad Aalborg, in Danimarca, la “Conferenza Europea delle città sostenibili”, nel corso della quale è stata approvata la “Carta delle Città Europee per un modello urbano sostenibile” detta “Carta di Aalborg”. Nella Carta è ribadita la necessità di orientare lo sviluppo urbano europeo verso un modello di sostenibilità, al fine di raggiungere obiettivi di equità sociale, sostenibilità economica e sostenibilità ambientale; si promuovono, inoltre, la negoziazione e il coinvolgimento delle comunità locali nei processi decisionali. La Carta di Aalborg costituisce il primo passo per l’attuazione dell’Agenda 21 Locale in Europa. Per maggiori approfondimenti sulle tematiche dello sviluppo sostenibile e dell’Agenda 21 Locale, si veda Agenda 21 Locale 2003 – Dall’Agenda all’azione: linee di indirizzo ed esperienze, dell’APAT, 2004 e Guida europea all’Agenda 21 Locale – La sostenibilità ambientale: linee guida per l’azione locale, di Fondazione Lombardia per l’Ambiente, 2004.
23  Per maggiori approfondimenti si veda il sito http://www.un.org/esa/dsd/csd/csd_aboucsd.shtml.
24  Con la Risoluzione RES/64/236 del 23 dicembre 2009, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha stabilito di organizzare la Conferenza sullo Sviluppo Sostenibile “RIO+20”, che si terrà a Rio de Janeiro dal 20 al 22 Giugno 2012.
25  Sul principio di precauzione v. G. Moriani, M. Ostoich, E. Del Sole, Metodologie di valutazione ambientale, Milano, 2006, secondo cui “il principio di precauzione riconosce che le persone e l’ambiente naturale devono essere protette con adeguate misure anche in assenza di conclusioni scientificamente certe sui rischi derivanti da un fenomeno, un prodotto o un procedimento che anno un impatto negativo sull’ambiente naturale”.
26  Certa dottrina tuttavia sottolinea come “a Rio molte aspettative sono andate deluse, soprattutto perché gli Stati non hanno trovato una forte convergenza su scelte operative, in grado di rendere attuali le dichiarazioni di programma”: così G. Cordini, Diritto ambientale comparato, 1997. Altri autori invece definiscono la Conferenza come uno “spartiacque storico”, un evento di “straordinaria importanza”: così M. Garano, La pianificazione ambientale e la pianificazione territoriale, in M. Garano (a cura di), La valutazione ambientale strategica – La decisione strategica nelle politiche, nei piani e nei programmi urbanistici, Roma, 2004.
27  La Strategia d’Azione Ambientale dell’Italia si articola in quattro grandi aree tematiche prioritarie: cambiamenti climatici e ozono; natura e biodiversità; qualità dell’Ambiente e qualità della vita negli ambienti urbani; prelievo delle risorse e produzione di rifiuti. Nel documento viene riconosciuta l’ esigenza di nuove normative per la pianificazione del territorio e standard costruttivi per gli edifici. L’azione ambientale deve essere improntata sul principio precauzionale, secondo le linee definite in ambito comunitario. Alla luce del principio di sussidiarietà, nella Strategia viene fatto presente come gli obiettivi e le azioni della Strategia stessa debbano trovare continuità nel sistema delle Regioni, delle Province autonome e degli Enti locali. Si afferma l’importanza della integrazione della sostenibilità nella Pianificazione territoriale e paesistica locale. L’Agenda 21 locale è vista come strumento di programmazione delle azioni a favore dello sviluppo sostenibile. Vi è la necessità di una maggiore partecipazione (“consapevole”) del pubblico. Si veda Agenda 21 Locale 2003 – Dall’Agenda all’azione: linee di indirizzo ed esperienze, dell’APAT, 2004.
28  Sulla legge delega, v. F. Fonderico, Il riordino del procedimento di valutazione di impatto ambientale nella legge delega 308/2004, in Riv. Giur. Amb., 3-4/2005.
29  Vi sono tuttavia, nel concreto, molti ambiti in cui gli interessi ambientali e paesaggistici si contrappongono ad altri interessi ed esigenze. Un esempio di (difficile) coordinamento tra istanze ambientali ed esigenze socio-economiche è rappresentato dall’accordo di programma per l’area industriale di Taranto, di cui all’art. 5, comma 20, D.Lgs. n. 59/2005 stipulato a Bari in data 11 aprile 2008. Sul punto si veda A. Buonfrate, AIA e impianti di rilevante impatto e preminente interesse nazionale: l’accordo dell’«area industriale di Taranto» (parte seconda), in Ambiente & Sviluppo, 8/2009, pagina 733. Difficile contemperamento tra le esigenze di tutela ambientale e la soluzione di situazioni di emergenza si rinviene anche nel caso delle ordinanze contingibili e urgenti in materia di rifiuti, di cui all’art. 191 del D. Lgs. 152/2006, come modificato dall’art. 9, comma 8 del D.L. n. 90/2008. Sul punto di veda S. Maglia – M. V. Balossi, Le ordinanze contingibili e urgenti dopo le modifiche operate dal D.L . n. 90/2008, in Ambiente & Sviluppo, 8/2008, pagina 705.
30  Va comunque precisato la disciplina contenuta nel Codice dell’Ambiente viene integrata dalla legislazione emessa in ambito regionale. Infatti, con le modifiche operate dal D. Lgs. 4/2008, si è previsto un unico procedimento di VIA, con la sostituzione dei due procedimenti distinti (statale e regionale) previsti originariamente dal Codice. Sulla VIA in ambito regionale, si veda A. Scialò, Le procedure VIA regionali alla luce del Testo unico ambientale: quali prospettive dopo il D.Lgs. n. 4/2008?, in Ambiente & Sviluppo, 4/2009, pagina 343.
    Inoltre, alla normativa generale si affiancano innumerevoli procedure di settore, che spesso risultano difficili da armonizzare. Sul punto si veda, di questo autore, La Valutazione di Impatto Ambientale (V.I.A.) e il suo coordinamento con altri procedimenti per la tutela dell’ambiente. Quadro di sintesi aggiornato alla legge 23 Luglio 2009, n. 99, in http://www.ambientediritto.it/dottrina/Dottrina_2009/via_cavanna.htm. Si può fare, a titolo di esempio, riferimento alla procedura di autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili ex art. 12 D. Lgs. 387/2003. Esso ha trovato specificazione nel Decreto del Ministero dello sviluppo economico 10 settembre 2010, recante “Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili”, approvato in Conferenza unificata, al fine del “bilanciamento tra le esigenze connesse alla produzione di energia e gli interessi ambientali” (Corte Cost., sent. 192/2011). Sul punto si vedano i seguenti contributi di A. Quaranta:  Le linee guida «rinnovabili» e la mancanza di una programmazione energetica» (parte prima), in Ambiente & Sviluppo 1/2011, pagina 47; Le linee guida «rinnovabili» e la mancanza di una programmazione energetica» (parte seconda), in Ambiente & Sviluppo, 2/2011, pagina 141; Una analisi delle prime linee guida «rinnovabili» regionali (parte prima), in Ambiente & Sviluppo, 7/2011, pagina 653; Una analisi delle prime linee guida «rinnovabili» regionali (parte seconda), in Ambiente & Sviluppo, 8-9/2011, pagina 753. Sull’autorizzazione ex art. 12 D. Lgs. 387/2003 e il coordinamento con VIA e AIA si veda A. Milone, Il procedimento autorizzatorio degli impianti di produzione di energia rinnovabile: rapporti con VIA e AIA, in Ambiente & Sviluppo, 12/2009, pagina 1123. sul coordinamento tra autorizzazione unica e VIA si veda: S. R. Cerruto, Fonti energetiche rinnovabili e valutazione di impatto ambientale: un rapporto controverso, in Ambiente & Sviluppo, 10/2010, pagina 832. Sempre sul rapporto tra la VIA e l’autorizzazione unica (e le sopravvenienze rispetto ad un parere già espresso in sede di VIA), si veda A. Quaranta, La VIA, il procedimento unico e la ricerca della massima  semplificazione possibile (nota a TAR Brescia n. 282/2011), in Ambiente & Sviluppo, 2/2012, pagina 155. Si veda anche S. Fienga, Energia da fonti rinnovabili e procedure autorizzatorie (nota a Corte Cost. n. 119/2010), in Ambiente & Sviluppo, 7/2010, pagina 645. Il procedimento di autorizzazione all’installazione di impianti di energia da fonti rinnovabili di cui al D. Lgs. 387/2003 è stato integrato e modificato dal D. Lgs. 28/2011, il quale ha modificato il termine per la conclusione del procedimento di autorizzazione unica, nonché ha previsto la c.d. “procedura abilitativa semplificata” (PAS).
    Un altro caso è quello dell’autorizzazione integrata ambientale (AIA), la cui norma di coordinamento con la VIA è costituita dall’art. 10 del D. Lgs. 152/2006 come modificato dal D. Lgs. 128/2010. Sul punto si vedano: A. Milone, Le nuove norme in materia di VIA nel D. Lgs. N. 128/2010: rapporti tra VIA e AIA, in Ambiente & Sviluppo – Inserto 12/2010, pagina XXVIII; S. Valeri, Il coordinamento tra le procedure di AIA e di VIA in relazione agli impianti produttivi già esistenti: l’esperienza della Regione Abruzzo, in Ambiente & Sviluppo 4/2012, pagina 325.
    Da ultimo, il D. L. 5/2012, convertito con L. 35/2012 (art. 23), ha introdotto l’Autorizzazione Unica Ambientale a favore delle piccole e medie imprese (PMI). Sul punto, A. Muratori, Decreto «Semplificazioni»: in arrivo l’Autorizzazione Ambientale Unica, in Ambiente & Sviluppo, 3/2012, pagina 205. Inoltre, il D. L. 5/2012, all’articolo 57, ha dettato disposizioni in tema di insediamenti energetici strategici (come i depositi di stoccaggio di prodotti petroliferi e di G.P.L., prevedendo un’autorizzazione rilasciata a seguito di un procedimento unico che deve coordinarsi con quello di VIA.
31 All’ambiente sono dedicati gli articoli 191 e seguenti TFUE.
32  Per una disamina della Giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea si veda “Environmental Impact Assessment of Projects . Rulings of the Court of Justice”, 2010, in http://ec.europa.eu/environment/eia/pdf/eia_case_law.pdf.
33  Va detto poi che, invece, per quanto riguarda gli Stati Uniti, è stato dato nuovo impulso alle tematiche ambientali a seguito della “strategia” del Presidente Obama. Molti sono coloro che ragionano in termini keynesiani, laddove si intende utilizzare il libero mercato per la salvaguardia dell’ambiente. Sul punto si veda E. Cancila, Crisi economica e politiche ambientali: è tempo di Green Deal?, in Ambiente & Sviluppo, 8/2009, pagina 723.
34  Così la direttiva 2011/92/UE al considerando 14. Si veda Consiglio di Stato, 4246/2010 del 5/7/2010: “Questo spiega, ed al contempo giustifica, sul piano costituzionale, la valenza di principio fondamentale insita nella disciplina sulla v.i.a.: essa è preordinata alla salvaguardia dell’habitat nel quale l’uomo vive che assurge a valore primario ed assoluto in quanto espressivo della personalità umana (cfr. Cons. St., sez. VI, 18 marzo 2008, n. 1109), attribuendo ad ogni singolo un autentico diritto fondamentale, di derivazione comunitaria (direttiva 85/337 cit.), che obbliga l’amministrazione a giustificare, quantomeno ex post ed a richiesta dell’interessato, le ragioni del rifiuto di sottoporre un progetto a v.i.a. all’esito di verifica preliminare (cfr. Corte giust. 30 aprile 2009, c-75/08, Mellor). E’ stato chiarito che nel rendere il giudizio di valutazione di impatto ambientale (ed a maggior ragione nell’effettuare la verifica preliminare), l’amministrazione esercita una amplissima discrezionalità tecnica sebbene censurabile sia per macroscopici vizi logici, sia per errore di fatto, sia per travisamento dei presupposti (cfr. Trib. Sup. acque pubbliche, 11 marzo 2009, n. 35; Cons. St., sez. VI, 19 febbraio 2008, n. 561; sez. VI, 30 gennaio 2004, n. 316); … alla stregua della disciplina comunitaria e nazionale (ed eventualmente regionale), la v.i.a. non può essere intesa come limitata alla verifica della astratta compatibilità ambientale dell’opera ma si sostanzia in una analisi comparata tesa a valutare il sacrificio ambientale imposto rispetto all’utilità socio economica, tenuto conto delle alternative praticabili e dei riflessi della stessa “opzione zero”; la natura schiettamente discrezionale della decisione finale (e della preliminare verifica di assoggettabilità), sul versante tecnico ed anche amministrativo, rende allora fisiologico ed obbediente alla ratio su evidenziata che si pervenga ad una soluzione negativa ove l’intervento proposto cagioni un sacrificio ambientale superiore a quello necessario per il soddisfacimento dell’interesse diverso sotteso all’iniziativa; da qui la possibilità di bocciare progetti che arrechino vulnus non giustificato da esigenze produttive, ma suscettibile di venir meno, per il tramite di soluzioni meno impattanti in conformità al criterio dello sviluppo sostenibile e alla logica della proporzionalità tra consumazione delle risorse naturali e benefici per la collettività che deve governare il bilanciamento di istanze antagoniste (cfr. Cons. St., sez. VI, 22 febbraio 2007, n. 933). In questa direzione la giurisprudenza comunitaria conferisce alla procedura di v.i.a., nel quadro dei mezzi e modelli positivi preordinati alla tutela dell’ambiente un ruolo strategico valorizzando le disposizioni della direttiva 85/337 cit. che evidenziano come la politica comunitaria dell’ambiente consista, ante omnia, nell’evitare fin dall’inizio inquinamenti ed altre perturbazioni, anziché combatterne successivamente gli effetti: conformemente ai principi “costituzionali” dei trattati, scopo dell’U.E. è la tutela preventiva dell’ambiente (cfr. Corte giust., sez. V, 21 settembre 1999, c-392/96; sez. VI, 16 settembre 1999, c-435/97)”. Per tali motivi, la Giurisprudenza ha affermato la doverosità dell’esercizio del potere di riesame da parte della Pubblica Amministrazione per la tutela degli interessi ambientali: in particolare, la sentenza T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 25 maggio 2011, n. 957  ha ritenuto legittimo e conforme al principio di massima precauzione l’atto di ritiro di un provvedimento di VIA, rilasciato in assenza di una previa valutazione (nell’ambito dello studio di impatto ambientale) dei possibili impatti cumulativi di un’opera sull’ambiente. Sul punto si veda  A. Milone, Brevi note sull’esercizio del potere di riesame in materia di VIA (nota a TAR Puglia n. 957/2011), in Ambiente & Sviluppo, 3/2012, pagina 241.          
35  Degna di nota è la modifica dell’art. 5 del D. Lgs. 152/2006 avvenuta con il D. Lgs. 128/2010, laddove vi è una nuova definizione della VIA, incentrata oggi sulla “valutazione” e non più sul “processo”: ciò per focalizzare l’attenzione sulla finalità di conseguire lo sviluppo sostenibile piuttosto che sugli aspetti procedurali. Ed infatti M. Pasca afferma: “la valutazione ambientale non deve essere vista come uno dei tanti elementi di autorizzazione ma come un elemento di riflessione e progettazione”: in G. Bonardi – C. Patrignani (a cura di), Energie alternative e rinnovabili, Milano, 2010.
36  Per F. Spantigati la VIA ha oggetto l’ambiente, che è “un oggetto complesso, di valutazione soggettiva e indefinibile a priori” e per la tutela dell’ambiente occorre usare la VIA come azione giuridica: F. Spantigati, In difesa della valutazione di impatto ambientale: atto amministrativo e azione giuridica, in Riv. Giur. Amb., 3-4/1995.
37  Sono gli elementi che concorrono a formare il concetto di ambiente di cui all’art. 3 della direttiva 2011/92/UE (un concetto, come si vede, molto ampio), ripreso negli stessi termini dall’art. 4 del D. Lgs. 152/2006.
38  Si vedano gli articoli 21, 22 e 23 del D. Lgs. 152/2006.
39  Si vedano gli articoli 24, 25 e 26 del D. Lgs. 152/2006. Va tenuto presente che, per taluni progetti, la VIA è solo eventuale, dovendosi effettuare una procedura di “Screening” per stabilire se un determinato progetto debba, appunto, essere sottoposto a VIA (art. 20 D. Lgs. 152/2006). La procedura di verifica dell’assoggettabilità a VIA è considerata un vero e proprio subprocedimento autonomo, caratterizzato da partecipazione dei soggetti  interessati e destinato a concludersi con un atto avente natura provvedimentale, soggetto a pubblicazione, e pertanto autonomamente impugnabile: sul punto Cons. Stato, sez. VI, 3 marzo 2009, n. 1213, in A. Scialò, Procedura di verifica di assoggettabilità a VIA: le prime riflessioni del Consiglio di Stato, in Ambiente & Sviluppo, 10/2009, pagina 929. Si veda TAR Lombardia, Brescia, 398/2011 del 11/3/2011: la VIA “prevede, in sintesi, l’elaborazione di uno studio particolarmente complesso ed oneroso, che per tal ragione, come previsto dal legislatore nazionale in ossequio alla normativa uniforme europea, non è imposto indiscriminatamente per tutti gli interventi capaci di influenzare negativamente l’ambiente. Per taluni di essi … è previsto infatti un procedimento a doppio stadio: nella prima fase, si compie appunto lo screening, ovvero nella terminologia dell’art. 5 lettera m) del T.U. la “verifica di assoggettabilità”, che serve a “valutare, ove previsto, se progetti possono avere un impatto significativo e negativo sull’ambiente e devono essere sottoposti alla fase di valutazione”…”. La pronuncia citata prosegue poi con l’analisi della portata del principio di precauzione: “Come è noto, il principio di precauzione, recepito dal Trattato dell’Unione europea e in precedenza dal Trattato comunitario, si fonda in termini giuridici sull’art. 15 della Dichiarazione di Rio del 1992, per cui “In order to protect the environment, the precautionary approach shall be widely applied by States according to their capabilities. Where there are threats of serious or irreversible damage, lack of full scientific certainty shall not be used as a reason for postponing cost-effective measures to prevent environmental degradation.”, il che in traduzione suona “Al fine di proteggere l’ambiente, un approccio cautelativo dovrebbe essere ampiamente utilizzato dagli Stati in funzione delle proprie capacità . In caso di rischio di danno grave o irreversibile, l’assenza di una piena certezza scientifica non deve costituire un motivo per differire l’adozione di misure adeguate ed effettive, anche in rapporto ai costi, dirette a prevenire il degrado ambientale”. Come è pure noto, il principio in questione ha dato luogo a dispute scientifiche, filosofiche e politiche sul suo effettivo valore, sembrando ad alcuni interpretabile in modo estremo; si è sostenuto infatti che infatti che esso equivarrebbe alla “prudenza imposta per legge”, ovvero al divieto di utilizzare tutti i risultati della ricerca scientifica prima di esser certi della loro assoluta non pericolosità per l’ambiente; si è sostenuto poi che la certezza in merito non si potrebbe mai raggiungere, perché le verità scientifiche sono sempre come tali provvisorie e suscettibili di modifica. Nella sede presente, va però sottolineato che tale lettura estrema del principio, quale che sia l’opinione intellettuale al riguardo che si ritenga di condividere, non è quella adottata dalla giurisprudenza europea e nazionale, che è invece prudente. Essa ha infatti sottolineato che “protective measures”, ovvero “misure preventive”, adottate in base al principio stesso e comprensive all’evidenza della proibizione preventiva di una certa attività “may not properly be based on a purely hypothetical approach to risk, founded on mere suppositions which are not yet scientifically verified”, ovvero “non si possono fondare sull’apprezzamento di un rischio puramente ipotetico, fondato su mere supposizioni allo stato non ancora verificate in termini scientifici”. L’enunciato è di Corte CE 9 settembre 2003 C-236/01 Monsanto, ed è richiamato in modo esplicito, fra le molte, in Corte CE 5 febbraio 2004 C- 24/00 Commissione vs. Repubblica Francese; la stessa lettura è presupposta, nella giurisprudenza nazionale, ad esempio da TAR Lombardia Brescia 11 aprile 2005 n°304, TAR Campania Napoli 27 febbraio 2007 n°1231, TAR Veneto 24 febbraio 2004 n°396 e da ultimo C.d.S. sez. VI 19 gennaio 2010 n°183.
40  V Bettini cita biologi, naturalisti, ingegneri, architetti, pianificatori, geologi, geografi, economisti, giuristi: v. V. Bettini, Valutazione dell’impatto ambientale, Torino, 2002. V. anche Vismara (a cura di), Valutazione di impatto ambientale. Metodi, indici, esempi, Milano, 2001.
41  Così G. Moriani, M. Ostoich, E. Del Sole, Metodologie di valutazione ambientale, Milano, 2006.
42  V. V. Bettini, L. Canter, L. Ortolano, Ecologia dell’impatto ambientale, Torino, 2000.
43  Così C. M. Verardi, in A. Gustapane, G. Sartor, C. M. Verardi, Valutazione di impatto ambientale, Milano, 1992.
44  Occorre comunque tenere presente che qualsiasi opera umana ha, di per se stessa, un qualche impatto sull’ambiente: TAR Marche, 363/2011 del 26/5/2011. Tra l’altro, la giurisprudenza ha affermato che la VIA deve essere effettuata sul progetto preliminare di opera pubblica e quindi prima della dichiarazione di pubblica utilità (che è preordinata all’espropriazione) contenuta nel progetto definitivo: così Cons. Stato, Sez. IV, 5 settembre 2003, n. 4970, in Riv. Giur. Amb., 2/2004. Sulla VIA come procedimento preventivo si veda anche TAR Toscana, 986/2010 del 20/4/2010: “La valutazione di impatto ambientale comporta una valutazione anticipata finalizzata, nel quadro del principio comunitario di precauzione, alla tutela preventiva dell’interesse pubblico ambientale, con la conseguenza che, in presenza di una situazione ambientale connotata da profili di specifica e documentata sensibilità, anche la semplice possibilità di un’alterazione negativa va considerata un ragionevole motivo di opposizione alla realizzazione di un’attività, sfuggendo, per l’effetto, al sindacato giurisdizionale la scelta discrezionale della p.a. di non sottoporre beni di primario rango costituzionale, qual è quello dell’integrità ambientale, ad ulteriori fattori di rischio che, con riferimento alle peculiarità dell’area, possono implicare l’eventualità, non dimostrabile in positivo ma neanche suscettibile di esclusione, di eventi lesivi”, nonchè TAR Puglia, Lecce, 1341/2011 del 14/7/2011.
45  TAR Puglia, Bari, 205/2011 del 3/8/2011: “La giurisprudenza ha ripetutamente chiarito che, nel rendere il giudizio di valutazione di impatto ambientale, ed a maggior ragione nell’effettuare la verifica preliminare, l’Amministrazione esercita un’amplissima discrezionalità tecnica, censurabile solo in presenza di macroscopici vizi logici o di travisamento dei presupposti (cfr. Trib. Sup. acque pubbliche, 11 marzo 2009, n. 35; Cons. Stato, sez. VI, 19 febbraio 2008 n. 561; Id., sez. IV, 5 luglio 2010 n. 4246). Ed in ogni caso, la valutazione d’impatto ambientale non costituisce un mero giudizio tecnico, suscettibile in quanto tale di verificazione sulla base di oggettivi criteri di misurazione, ma presenta al contempo profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa, sul piano dell’apprezzamento degli interessi pubblici in rilievo e della loro ponderazione rispetto all’interesse all’esecuzione dell’opera, apprezzamento che è sindacabile dal giudice amministrativo soltanto in ipotesi di manifesta illogicità o travisamento dei fatti, nel caso in cui l’istruttoria sia mancata, o sia stata svolta in modo inadeguato, e sia perciò evidente lo sconfinamento del potere discrezionale riconosciuto all’Amministrazione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 22 giugno 2009 n. 4206; Id., sez. V, 21 novembre 2007 n. 5910; Id., sez. VI, 17 maggio 2006 n. 2851; Id., sez. IV, 22 luglio 2005 n. 3917; cfr. da ultimo TAR Puglia, Bari, sez. I, 14 maggio 2010 n. 1897)”. Nello stesso senso, TAR Puglia, Bari, 1897/2010 del 14/5/2010. Nella sentenza TAR Toscana, 986/2010 del 20/4/2010 si legge: “la valutazione di impatto ambientale comporta una valutazione anticipata finalizzata, nel quadro del principio comunitario di precauzione, alla tutela preventiva dell’interesse pubblico ambientale. Ne deriva che, in presenza di una situazione ambientale connotata da profili di specifica e documentata sensibilità, anche la semplice possibilità di un’alterazione negativa va considerata un ragionevole motivo di opposizione alla realizzazione di un’attività: anche alla luce dei già ricordati ampi profili di discrezionalità amministrativa che presenta la valutazione di impatto ambientale sul piano dell’apprezzamento degli interessi pubblici, sfugge, pertanto, al sindacato giurisdizionale la scelta discrezionale della P.A. di non sottoporre beni di primario rango costituzionale, qual è quello dell’integrità ambientale, ad ulteriori fattori di rischio che, con riferimento alle peculiarità dell’area, possono implicare l’eventualità, non dimostrabile in positivo ma neanche suscettibile di esclusione, di eventi lesivi (così C.d.S., Sez. VI, 4 aprile 2005, n. 1462, in relazione ad un caso di inquinamento di una falda acquifera..)”. Si vedano anche Cons. Stato, n. 4246/2010 e TAR Puglia, Lecce, n. 957/2011 in nota n. 33.
46  Così A. Martelli, Valutazione di impatto ambientale, Napoli, 2003.
47  Cfr. F. Spantigati, In difesa della valutazione di impatto ambientale: atto amministrativo e azione giuridica, in Riv. Giur. Amb., 3-4/1995.
48  Si veda anche l’art. 5, lettera c) del D. lgs. 152/2006 per una definizione di “impatto ambientale”.
49  Così A. Martelli, Valutazione di impatto ambientale, Napoli, 2003.
50  Cfr. N. Assini, P. Mantini, Manuale di diritto urbanistico, Milano, 1997.
51  Possono verificarsi, nel concreto, ipotesi di sovrapposizione tra VIA e VAS; a tal proposito, nel D. Lgs. 152/2006 sono presenti norme di coordinamento tra le due procedure, ossia l’art. 10, c. 5 e l’art. 19, c. 2, nonché l’art. 6, c. 12.  Sul punto si vedano: M. G. Boccia, Piani e programmi soggetti alla valutazione ambientale strategica: profili di diritto comunitario, in Ambiente & Sviluppo – Inserto 12/2010, pagina III; T. Bellei, Il rapporto tra la VIA e gli strumenti di pianificazione e programmazione del territorio come rapporto tra VIA e VAS, in Ambiente & Sviluppo – Inserto 12/2010, pagina XIX. Per effetto dell’art. 49 della Legge n. 122/2010, la Legge n. 241/1990, relativamente agli articoli che disciplinano la Conferenza dei Servizi, è stata oggetto di modifiche significative: si vedano in particolare i commi 4bis e 7 dell’art. 14Ter. Per un’applicazione della predetta normativa si veda T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, sentenza 29 settembre 2011, n. 1670, nella nota M. Taina, Assenso tacito delle P.A. in conferenza dei servizi? (nota a TAR Puglia n. 1670/2011), in Ambiente & Sviluppo, 12/2011, pagina 104. Si veda anche T. Bellei, Il rapporto tra la VIA e gli strumenti di pianificazione e programmazione del territorio come rapporto tra VIA e VAS, in Ambiente & Sviluppo – Inserto 12/2010, pagina XIX. Un’ipotesi specifica di coordinamento si ha con riferimento al Piano regolatore portuale ex art. 6, c. 3ter D. Lgs. 152/2006, aggiunto dal D. Lgs. 128/2010. Sul punto, T. Bellei, Il rapporto tra la VIA e gli strumenti di pianificazione e programmazione del territorio come rapporto tra VIA e VAS, in Ambiente & Sviluppo – Inserto 12/2010, pagina XIX.
52  Nel giugno 2010 la Commissione Europea lancia una vasta consultazione pubblica e il 18-19 Novembre 2010 si tiene la Conferenza per il venticinquesimo anniversario della Direttiva sulla Via. I risultati della consultazione sono caratterizzati da un elevato numero di risposte positive circa l’efficacia della VIA ai fini della tutela dell’ambiente. Maggiori informazioni si trovano sul seguente sito Internet:  http://ec.europa.eu/environment/eia/conference.htm.
53  Più le informazioni che vengono prese in considerazione sono di ampio spettro e minore è il rischio di ripercussioni negative sul territorio e sulla salute delle persone intesa in senso lato.
54  La VIA può pertanto contribuire alla accettazione, da parte dei cittadini, della realizzazione di un’opera che potrebbe essere avvertita come di grande impatto sulla loro vita e sul territorio nel quale essi vivono. Si vedano, a titolo di esempio, tutte le problematiche che hanno investito la realizzazione di infrastrutture come il M.O.S.E. a Venezia e la linea “Alta Velocità” Torino-Lione. Sul punto si veda a. Muratori, Alla ribalta l’Alta Velocità, in Ambiente & Sviluppo 1/2006, pagina 5.

 

Pubblicato su AmbienteDiritto.it il 22 maggio 2012