Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana – Sez. II – Sent. n. 1650/2011, dep. il 4 novembre 2011 – Pres. Nicolosi – Est. De Berardinis
PIANO DI CLASSIFICAZIONE ACUSTICA – CRITERIO DEL CD. “PREUSO” – OMESSA CONSIDERAZIONE – ILLEGITTIMITÀ – SINDACABILITÀ DELLA DISCREZIONALITÀ TECNICA DELL’ENTE – SUSSISTENZA – LIMITI
In sede di predisposizione del piano di classificazione acustica, il Comune non può prescindere dalla considerazione delle preesistenti destinazioni d’uso delle aree, come prefissate dagli strumenti urbanistici e risultanti dallo stato di fatto.
Le scelte del Comune in materia di pianificazione acustica attengono alla discrezionalità tecnica dell’Ente, sindacabile per manifesta illogicità, travisamento dei fatti e disparità di trattamento.
FATTO
La società ricorrente, S. espone di svolgere attività di cava nel Comune di V. dal 1928. Il calcare estratto a S. Vincenzo costituisce una delle materie prime indispensabili per il ciclo industriale che si svolge nello stabilimento chimico della predetta società, ubicato in R.. L’autorizzazione all’attività di cava, rilasciata per la durata di venti anni dal Sindaco di V. nel 1981, è stata, poi, rinnovata, su richiesta della società, con provvedimento dirigenziale n. 5 del 7 febbraio 2006, che ha autorizzato l’esercizio dell’attività in questione per altri venti anni.
Nondimeno, con deliberazione del Consiglio Comunale n. 87 del 19 settembre 2005, il Comune di V. ha approvato il Piano di classificazione acustica che, per quanto riguarda l’esponente, reca prescrizioni ad avviso dell’esponente stessa lesive dei suoi interessi connessi allo svolgimento dell’attività di cava. In particolare, la S. lamenta che detta attività potrebbe essere svolta soltanto nell’ambito di una zonizzazione acustica che classifichi l’area di cava come esclusivamente industriale (e quindi in classe VI) ed il centro abitato limitrofo come area ad intensa attività umana. Tuttavia, le osservazioni sul punto avanzate dall’esponente non sono state accolte dal Comune, che ha controdedotto al riguardo.
Avverso la riferita deliberazione consiliare n. 87/2005, di approvazione del Piano di classificazione acustica, è insorta la S., impugnandola con il ricorso indicato in epigrafe e chiedendone l’annullamento nelle parti in cui classifica la zona dove la società ricorrente esercita la propria attività parzialmente in classe V e parzialmente in classe IV.
A supporto del gravame, ha dedotto i seguenti motivi:
– violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 1, lett. a), della l. n. 447/1995, in riferimento al successivo art. 6, comma 1, lett. a), ed al d.P.C.M. 14 novembre 1997 ed eccesso di potere sotto i profili del travisamento dei fatti, del difetto di motivazione e dell’illogicità manifesta, nonché della contraddittorietà con l’autorizzazione all’esercizio dell’attività di cava, giacché le motivazioni poste a base del rifiuto di classificare la zona interessata dall’attività mineraria come area esclusivamente industriale (sviluppo futuro del territorio; scoppio delle mine) sarebbero del tutto erronee, ignorando esse le previsioni del Piano strutturale (che prefigurano per detta area uno sviluppo esclusivamente industriale) e la decisione della società di collocare il silos di carico del materiale estratto (una delle maggiori fonti di impatto acustico) ben lontano dall’abitato di V.;
– ulteriore violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 1, lett. a), della l. n. 447/1995, in riferimento al successivo art. 6, comma 1, lett. a), ed al d.P.C.M. 14 novembre 1997 ed eccesso di potere sotto i profili del travisamento dei fatti, del difetto di motivazione e dell’illogicità manifesta, poiché erroneamente la P.A. avrebbe preteso di fondare l’inserimento in classe V dell’area destinata all’attività di cava sulle previsioni delle linee guida regionali in materia di zonizzazione acustica, le quali, invece, imporrebbero di procedere per dette aree ad una valutazione caso per caso. Inoltre, in base alla deliberazione del Consiglio Regionale n. 77/2000, la classificazione acustica del territorio comunale avrebbe dovuto muovere dall’individuazione delle zone particolarmente protette e delle aree industriali, per far derivare da questi estremi la successiva classificazione delle aree intermedie, mentre nella vicenda per cui è causa sarebbe avvenuto esattamente il contrario. Infine, sarebbero del tutto incomprensibili i motivi per cui una parte delle aree oggetto della (legittima) attività estrattiva sono state inserite nella classe IV;
– eccesso di potere sotto i profili dello sviamento, dell’illogicità e della contraddittorietà, in quanto il Comune – in presenza di un piano di coltivazione della cava che specificherebbe con precisione i limiti di classificazione acustica che ne consentono l’esecuzione – del tutto arbitrariamente avrebbe, da un lato, assentito un’attività che potrebbe essere svolta solo all’interno di certe classi acustiche, dall’altro, previsto per le aree dove questa attività è esercitata classi acustiche che, sostanzialmente, non ne consentirebbero l’esercizio;
– violazione e falsa applicazione dell’art. 6 della l.r. n. 89/1998, eccesso di potere sotto i profili del travisamento dei fatti e dell’illogicità, giacché il Comune di V. avrebbe illegittimamente subordinato le scelte di classificazione acustica alle previe scelte effettuate dal confinante Comune di C. per il proprio territorio comunale, anziché attivare il sistema di superamento dei conflitti tra pianificazioni acustiche di Comuni limitrofi regolato dall’art. 6, comma 2, della l.r. n. 89/1998.
Si è costituito in giudizio il Comune di V., depositando una memoria difensiva, con cui ha eccepito l’infondatezza dei dedotti motivi di ricorso, chiedendone la reiezione.
La società ricorrente ha depositato una memoria, cui ha fatto seguito anche una memoria di replica alle difese comunali, insistendo per l’accoglimento del gravame.
All’udienza pubblica del 5 luglio 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Con il ricorso indicato in epigrafe la S. ha impugnato la deliberazione del Consiglio Comunale di V. n. 87 del 19 settembre 2005, recante approvazione del Piano di zonizzazione e classificazione acustica, lì dove ha inserito l’area nella quale la ricorrente esercita la propria attività estrattiva in parte in classe V ed in parte in classe IV.
Più in particolare, dalla relazione al Piano comunale (cfr. all. 2 al ricorso) si evince che alla zona di coltivazione della cava di calcare della S. è stata assegnata la classe V, mentre la classe IV è stata assegnata alle aree di proprietà della società stessa non destinate a cava (ossia: il tracciato ferroviario, la zona attigua alla cava destinata al caricamento degli inerti sulla teleferica e l’area di carico e scarico della roccia calcarea in arrivo dalla cava di S. Carlo delimitata ad ovest dalla linea ferroviaria e ad est dalla via ex Aurelia).
Il Collegio ritiene necessario far precedere la disamina del ricorso da una sintetica ricognizione del quadro normativo regolante la materia di cui si discute.
Detto quadro è costituito, anzitutto, dalla l. n. 447/1995 (legge quadro sull’inquinamento acustico). L’art. 4, comma 1, lett. a), di questa attribuisce alle Regioni il compito di definire con legge i criteri in base ai quali i Comuni, ai sensi del successivo art. 6, comma 1, lett. a), provvedono a classificare il rispettivo territorio “nelle zone previste dalle vigenti disposizioni per l’applicazione dei valori di qualità” ex art. 2, comma 1, lett. h), della legge stessa (e cioè “i valori di rumore da conseguire nel breve, nel medio e nel lungo periodo con le tecnologie e le metodiche di risanamento disponibili”, al fine di realizzare gli obiettivi di tutela stabiliti dalla l. n. 447). Nell’effettuare tale classificazione, i Comuni, alla stregua dell’art. 4, comma 1, lett. a), cit.:
– tengono conto delle preesistenti destinazioni d’uso del territorio;
– indicano aree da destinare a spettacoli a carattere temporaneo, ovvero mobile o all’aperto;
– stabiliscono il divieto di contatto diretto di aree, anche appartenenti a Comuni confinanti, quando i suindicati valori di qualità si discostino in misura superiore a 5dB(A) di livello sonoro equivalente, misurati secondo i criteri generali di cui al d.P.C.M. 1° marzo 1991;
– qualora, nell’individuazione delle aree “nelle zone già urbanizzate” non sia possibile rispettare il predetto divieto a causa di preesistenti destinazioni d’uso, adottano i piani di risanamento acustico previsti dal successivo art. 7 della l. n. 447/1995.
L’art. 6, comma 1, lett. a), della l. n. 447 cit. conferma, poi, la competenza dei Comuni a procedere alla classificazione del territorio comunale secondo i criteri dell’ora visto art. 4, comma 1, lett. a).
A livello di disciplina regionale di dettaglio, la Regione Toscana ha provveduto a dettare norme in materia di inquinamento acustico con la l.r. 1° dicembre 1998, n. 89. Quest’ultima:
– all’art. 4, comma 1, ha attribuito ai Comuni il compito di approvare, con la procedura stabilita dal successivo art. 5, il Piano di classificazione acustica, in base al quale (ed in applicazione dell’art. 1, comma 2, del d.P.C.M. 14 novembre 1997, recante la determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore) il territorio comunale viene suddiviso in zone acusticamente omogenee, tenendo conto delle preesistenti destinazioni d’uso del territorio stesso, per come individuate dagli strumenti urbanistici in vigore;
– all’art. 5 ha regolato la procedura del Piano comunale di classificazione acustica, suddividendola in due fasi, la prima di adozione del progetto di Piano e la seconda di approvazione del Piano stesso, inframmezzate dalla possibilità di presentare osservazioni (relativamente alle quali la deliberazione di approvazione deve contenere un riferimento puntuale, con l’espressa motivazione delle decisioni di conseguenza adottate);
– all’art. 6, comma 1, ha reiterato il divieto di contatto diretto di aree, anche appartenenti a Comuni confinanti, laddove i valori di qualità (di cui al successivo art. 8, comma 2) si discostino in misura superiore a 5dB(A) di livello sonoro continuo equivalente, prevedendo, al comma 2, un sistema di composizione dei conflitti insorti tra Comuni confinanti in relazione al divieto in parola (intervento della Provincia territorialmente competente, che provvede con propria deliberazione) e prescrivendo inoltre, al comma 3, l’adozione di Piani di risanamento acustico, se non risulti possibile rispettare il divieto.
Ancora, si deve menzionare la disciplina in tema di limiti di determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore dettata dal già ricordato d.P.C.M. 14 novembre 1997, il quale:
– alla tabella A ha elencato le classi in cui deve suddividersi, ai fini della pianificazione acustica, il territorio comunale. Per quanto qui rileva, ha inserito in classe IV le aree di intensa attività umana (aree urbane interessate da intenso traffico veicolare, ad alta densità di popolazione, ecc.), in classe V le aree prevalentemente industriali (aree interessate da insediamenti industriali e con scarsità di abitazioni) ed in classe VI le aree esclusivamente industriali (aree interessate da attività industriali e prive di insediamenti abitativi);
– alle tabelle B, C e D ha individuato, rispettivamente, valori limite di emissione e di immissione e valori di qualità distinti (in orario diurno e notturno) per ciascuna delle predette classi;
– in particolare, con riferimento ai valori limite di emissione e di immissione, per le classi V e VI vi sono livelli diversi per l’orario notturno (fascia dalle ore 22.00 alle ore 6.00), mentre i valori limite sono uguali per la fascia diurna. Quanto ai valori di qualità (tabella D), le zone inserite in classe V e quelle inserite in classe VI hanno limiti diversi non solo per la fascia notturna, ma anche per quella diurna. Da ultimo, la classe IV ha valori limite di emissione e di immissione e valori di qualità più restrittivi per ambedue le fasce orarie.
Da quanto appena detto si desume, dunque, la lesività, per gli interessi della società ricorrente, delle prescrizioni del Piano comunale gravate, per avere esso imposto, attraverso l’inserimento delle aree dove si svolge l’attività della predetta società in classe V ed in classe IV (anziché in classe VI, come dalla medesima richiesto) limiti acustici più gravosi a carico di tale attività.
Nel merito, il ricorso è fondato e deve, quindi essere accolto, nei termini di seguito esposti.
In particolare, è fondata la censura, avanzata con il primo motivo, di illegittimità del Piano gravato, per non avere il Comune di V., nell’opera di classificazione acustica delle aree in esame, tenuto adeguatamente conto del criterio della preesistente destinazione d’uso del territorio, sebbene si tratti di criterio prescritto dalla vigente normativa. Ed invero, il cd. preuso è indicato, tra i criteri che i Comuni devono seguire nell’opera di zonizzazione acustica, dall’art. 4, comma 1, lett. a) della l. n. 447/1995, nonché, a livello regionale, dall’art. 4, comma 1, della l.r. n. 89/1998, per il quale la P.A. deve tenere conto delle preesistenti destinazioni d’uso, “così come individuate dagli strumenti urbanistici in vigore”. Dalla documentazione versata in atti si ricava, invece, che l’Amministrazione ha tenuto esclusivamente conto del criterio fondato sul cd. divieto di continuità.
In dettaglio, la mancata o comunque insufficiente considerazione, da parte del Comune, del criterio del cd. preuso si evince dalla lettura delle controdeduzioni alle osservazioni presentate dalla S., contenute nel documento del 9 settembre 2005 allegato alla deliberazione gravata e che costituisce, per espressa indicazione della deliberazione de qua, parte integrante della stessa (v. all. 3 al ricorso). La società aveva, infatti, presentato osservazioni (cfr. all. 4 al ricorso) sul progetto di Piano adottato con deliberazione consiliare n. 56/2004, domandando il riesame:
– dell’inquadramento in classe V dell’area interessata dalle attività industriali (cava di estrazione del calcare) del gruppo S., per la quale si chiedeva l’inserimento in classe VI;
– dell’inquadramento dell’area interessata dalla presenza della linea ferroviaria, per cui si chiedeva l’inserimento in classe V (al riguardo, l’atto di controdeduzioni alle osservazioni indica il passaggio di tale area dalla classe III – dove era stata originariamente inserita – alla classe IV);
– dell’inquadramento in classe III dell’area limitrofa al tracciato dell’area ferroviaria, per la quale si chiedeva l’inserimento in classe IV.
Orbene, nelle controdeduzioni, elemento comune a tutte le risposte negative alle osservazioni della S., è l’argomento fondato sull’assenza di condizioni sufficienti con il Comune limitrofo (C.), “essendo la distanza minima di 120 metri e la zona di confine con il Comune di C. di classe III (la classe deve essere minimo di 100 metri di larghezza, non sono permessi salti di classi e comunque sono sconsigliati eccessivi frazionamenti di classi)”. Per il solo rigetto dell’osservazione volta ad ottenere l’inserimento dell’area dove si svolge l’attività estrattiva in classe VI, si aggiunge l’argomento secondo cui le linee guida per la redazione dei Piani di classificazione acustica compilate dall’A.R.P.A.T. e pubblicate dalla Regione Toscana nel maggio del 2004 consigliano di inserire le aree di cava in classe V. Quest’ultima giustificazione, però, non è confortata dalla lettura di tali linee guida (riportate dalla ricorrente sub all. 13), lì dove – parag. 1 (“Individuazione puntuale di siti a grande impatto acustico”) della parte 2 (“Localizzazioni puntuali” – le cave risultano comprese nell’elenco (solo esemplificativo) di aree per cui è ammessa l’assegnazione alla classe IV, V o VI (e, perciò, non esclusivamente in classe V). Ma ai fini che qui interessano, rileva soprattutto l’altro argomento giustificativo addotto dalla P.A. – comune, si è già visto, a tutte le risposte negative alle osservazioni della ricorrente –, cioè le scelte di classificazione acustica compiute dal limitrofo Comune di C.: infatti, ciò dimostra che la P.A. ha tenuto conto solo di tale criterio, senza assegnare il rilievo previsto dalla normativa alla preesistente destinazione d’uso del territorio, ad onta di quanto si afferma nella relazione al Piano impugnato (v. all. 2 del Comune). Quest’ultima reca in proposito enunciazioni opposte (come quella contenuta a p. 25, per cui l’assegnazione delle classi I, V e VI è avvenuta mediante considerazioni qualitative sulla destinazione d’uso) che, però, a fronte delle motivazioni addotte a fondamento della reiezione delle osservazioni della società, appaiono mere clausole di stile.
Nel senso di quanto appena visto depone anche la circostanza dell’omessa attivazione, da parte del Comune di V., del sistema di composizione dei conflitti tra Comuni confinanti previsto, in caso di contrasti tra i Comuni stessi circa il divieto di far confinare zone inserite in classi acustiche separate da un intervallo superiore a 5 dB(A), dall’art. 6, comma 2, della l.r. n. 89/1998: omissione, questa, di cui la ricorrente si lamenta con il quarto motivo del gravame, che deve, perciò, a sua volta trovare accoglimento.
Il punto necessita di una precisazione.
Con quanto ora detto, non si intende in nessun modo estendere il sindacato giurisdizionale al merito delle scelte amministrative e, pertanto, non si intende sostenere che il Comune di V. fosse tenuto ad attivare il rimedio ex art. 6, comma 2, della l.r. n. 89/1998 con il rivolgersi alla Provincia, rientrando la valutazione se attivare o no tale rimedio, per il Collegio, tra le scelte discrezionali che rimangono riservate in via esclusiva alla P.A.. Ciò che si intende dire è che la scelta di non attivare il meccanismo de quo rappresenta un indizio, il quale – se letto unitamente alle risposte fornite dalla P.A. nelle controdeduzioni alle osservazioni della S. – dà conto del percorso logico che è stato seguito dal Comune nelle scelte di pianificazione acustica delle aree in esame. In sostanza, il Comune, una volta individuate le criticità derivanti dalla zonizzazione acustica delle aree confinanti operata dal Comune di C. (puntualmente riportate in sede di controdeduzioni alle osservazioni), le ha ritenute determinanti e, pertanto, non ha pensato di attivare il rimedio ex art. 6, comma 2, cit., ma ha scelto di far dipendere dalle suddette criticità la classificazione delle aree dove si svolge l’attività della ricorrente, senza considerare il criterio del cd. preuso. È, invece, verosimile che, qualora il Comune fosse partito da tale criterio – come avrebbe dovuto, atteso che, in base alla deliberazione del Consiglio Regionale 22 febbraio 2000, n. 77, ai fini della classificazione acustica del territorio comunale, l’individuazione delle aree da inserire nelle classi I, V, e VI deve precedere quella delle aree da inserire nelle classi II, III e IV (cfr. T.A.R. Toscana, Sez. II, 4 maggio 2011, n. 776) – il conflitto che ne sarebbe derivato, tra la classificazione delle aree della ricorrente basata sul cd. preuso e le scelte di zonizzazione acustica del Comune di C., avrebbe indotto il Comune di V. ad attivare il rimedio previsto dall’art. 6, comma 2, della l.r. n. 89/1998. In questi limiti – si ribadisce: di semplice indizio dell’erroneo percorso logico seguito dal Comune di V. nelle scelte di classificazione acustica, a causa dell’illegittima prevalenza assegnata ai criteri della cd. contiguità scalare e del divieto di continuità, sul criterio del cd. preuso – la scelta dell’Amministrazione intimata di non attivare il rimedio previsto per i conflitti tra Comuni dalla l.r. n. 89/1998 risulta sindacabile, in quanto frutto di un’erronea applicazione dei criteri che, per legge, presiedono alla zonizzazione acustica. Il Comune di V. avrebbe, dunque, dovuto almeno precisare esaustivamente le ragioni per cui ha scelto di non attivare siffatto rimedio, in modo da far ritenere che tali ragioni non avessero nulla a che vedere con l’illegittimo scarso “peso” assegnato al criterio della pregressa destinazione delle aree.
Del resto, proprio con riguardo alla zonizzazione acustica, la giurisprudenza ha chiarito che le scelte effettuate dal Comune in materia di classificazione acustica non afferiscono al merito dell’attività pianificatoria o programmatoria dell’Ente, insindacabile in sede di giudizio di legittimità, ma sono espressione di discrezionalità tecnica, ancorata all’accertamento di specifici presupposti di fatto, il primo dei quali è proprio il preuso del territorio: ciò, poiché non è possibile sacrificare oltremodo le aspettative consolidate di coloro che si sono legittimamente insediati in zone qualificate industriali e, quindi, funzionalmente deputate all’espletamento di attività produttive, che non debbono subire limitazioni, a causa della classificazione acustica, non adeguatamente giustificate, diversamente da ciò che potrebbe avvenire, ad es., per le attività industriali localizzate in zona impropria (cfr. T.A.R. Veneto, Sez. III, 24 gennaio 2007, n. 187). Donde la sindacabilità di tali scelte, nei limiti, appunto, in cui è ammesso il sindacato degli atti che costituiscono espressione di discrezionalità tecnica (per illogicità manifesta, travisamento dei fatti, palese disparità di trattamento: T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 30 settembre 2010, n. 32618).
La giurisprudenza ha anche ribadito l’importanza del criterio del cd. preuso, evidenziando che nella zonizzazione acustica del territorio, le scelte della P.A. non si possono sovrapporre meccanicamente alla pianificazione urbanistica, poiché l’art. 6 della l. n. 447/1995 prevede il solo coordinamento con gli strumenti urbanistici, e devono tenere conto delle attività economiche precedentemente insediate sul territorio, le cui esigenze trovano tutela in virtù della loro risalente ubicazione, per cui non sono cedevoli rispetto agli insediamenti che si radichino sul territorio successivamente (T.A.R. Trentino Alto Adige, Trento, Sez. I, 24 ottobre 2008, n. 271). Si è poi chiarito che il piano di classificazione acustica va rapportato – dal punto di vista delle fonti di inquinamento acustico – in primo luogo alla situazione di fatto in cui si trova il territorio comunale, e solo indirettamente a quella che in astratto può ricavarsi dalla pianificazione urbanistica (cfr. T.A.R. Liguria, Sez. I, 21 febbraio 2007, n. 354). Il che si spiega perché, se è pur vero che la zonizzazione acustica si caratterizza per la sostanziale omogeneità con la zonizzazione di cui agli strumenti urbanistici e che, pertanto, ai sensi della l. n. 447/1995, il piano regolatore è il termine di riferimento della classificazione del territorio, tuttavia tale corrispondenza non è perfettamente biunivoca ed anzi, vi è un naturale scollamento fra le due tipologie di pianificazione: infatti, lo strumento urbanistico disciplina l’assetto del territorio ai fini prettamente urbanistici ed edilizi, individuando le zone omogenee sulla base di criteri quantitativi, mentre la classificazione acustica ha riguardo all’effettiva fruibilità dei luoghi, avvalendosi di indici qualitativi (T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 2 aprile 2008, n. 348).
Da ultimo, va rimarcato che elementi diversi non possono ricavarsi dalla discussione del Consiglio Comunale riportata nel testo della deliberazione gravata. Al contrario, detta discussione rafforza le suesposte conclusioni, poiché l’Assessore all’urbanistica, nel suo intervento, ha spiegato il mancato inserimento delle aree della S. in classe VI, ancora una volta con la tesi dell’indicazione da parte della Regione della classe V per le aree di cava: tesi di cui si è già indicata l’erroneità, con il corollario della fondatezza della censura formulata sul punto dalla S. (con il secondo motivo di ricorso). L’Assessore all’Urbanistica ha, inoltre, giustificato le scelte comunali attraverso l’argomento (altrettanto erroneo, per quanto esposto) della vincolatività delle scelte di zonizzazione acustica dei Comuni confinanti, senza, dunque, alcun accenno al criterio del cd. preuso.
L’importanza del criterio del cd. preuso, come sopra illustrata, dà conto, altresì, della fondatezza del terzo motivo di gravame: ed invero, ad avviso del Collegio esiste una contraddizione tra la proroga dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività estrattiva e le coeve scelte di zonizzazione acustica, le quali non sembrano tener conto del carattere risalente di detta attività. Si rammenta, sul punto, che secondo la giurisprudenza (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. V, 6 ottobre 2009, n. 6094), sussiste il vizio di eccesso di potere per contraddittorietà in presenza di un provvedimento che rechi contraddizioni o incongruenze rispetto a precedenti valutazioni della stessa Autorità emanante, o di manifestazioni di volontà che si pongano in contrasto fra di loro.
In definitiva, il ricorso è fondato, attesa la fondatezza del primo e del secondo (per i profili specifici sopra esaminati), nonché del terzo e del quarto motivo. Esso va, dunque, accolto, disponendosi, per l’effetto, l’annullamento del Piano gravato nelle parti oggetto di impugnazione.
Sul rapporto fra pianificazione urbanistica e zonizzazione acustica.
MAURO MAMMANA*
Con la sentenza in commento, il TAR Toscana contribuisce a fare chiarezza sul tema, invero controverso, dei rapporti intercorrenti fra piani urbanistici e zonizzazione acustica.
La vicenda controversa riguarda un’Impresa esercente attività estrattiva, che censura la classificazione in classe V (IV per le aree limitrofe non destinate a cava) impressa dal piano di classificazione acustica comunale all’area interessata dall’attività; ciò, nonostante le osservazioni presentante dalla Società stessa a seguito dell’adozione del piano, con cui era stata richiesta una classificazione maggiormente rispondente alle caratteristiche dell’attività concretamente esercitata (quindi, VI).
Il Comune intimato ha invece disatteso le osservazioni della ricorrente, affermando che la classificazione dell’area limitrofa, ricadente nel territorio di altro Comune, era incompatibile con la classe richiesta, e che nel senso della classificazione impressa avrebbero militato talune linee guida redatte da ARPAT e Regione Toscana (peraltro, come ritenuto dal TAR, travisate nel loro contenuto, ma il profilo non è d’interesse ai nostri fini).
Il TAR ha ritenuto fondato il ricorso, annullando, quindi, le previsioni del piano di classificazione acustica impugnato.
Nella sentenza si rinviene, in via preliminare, un utile quadro del panorama normativo in materia: si richiama, in breve, anzitutto l’art. 4 della legge n. 447/1995, che impone alle Regioni di definire con legge, fra l’altro, “i criteri in base ai quali i comuni, ai sensi dell’articolo 6, comma 1, lettera a), tenendo conto delle preesistenti destinazioni d’uso del territorio … procedono alla classificazione del proprio territorio nelle zone previste dalle vigenti disposizioni per l’applicazione dei valori di qualità di cui all’articolo 2, comma 1, lettera h), stabilendo il divieto di contatto diretto di aree, anche appartenenti a comuni confinanti, quando tali valori si discostano in misura superiore a 5 dBA di livello sonoro equivalente misurato secondo i criteri generali stabiliti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° marzo 1991, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 57 dell’8 marzo 1991. Qualora nell’individuazione delle aree nelle zone già urbanizzate non sia possibile rispettare tale vincolo a causa di preesistenti destinazioni di uso, si prevede l’adozione dei piani di risanamento di cui all’articolo 7”; il successivo art. 6 ribadisce poi che “sono di competenza dei comuni, secondo le leggi statali e regionali e i rispettivi statuti: a) la classificazione del territorio comunale secondo i criteri previsti dall’articolo 4, comma 1, lettera a)”.
La Legge Regionale Toscana n. 89/1998 conferma che (art. 4) “i comuni … approvano … il piano di classificazione acustica, in base al quale il territorio comunale viene suddiviso, in applicazione del disposto di cui all’articolo 1, comma 2 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 14 novembre 1997 (Determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore), in zone acusticamente omogenee, tenendo conto delle preesistenti destinazioni d’uso così come individuate dagli strumenti urbanistici in vigore”. L’art. 6 specifica che “è vietato prevedere, nel piano comunale di classificazione acustica disciplinato dagli artt. 4 e 5, il contatto diretto di aree, anche appartenenti a Comuni confinanti, qualora i valori di qualità di cui all’art. 8, comma 2 si discostino in misura superiore a 5 dB(A) di livello sonoro continuo equivalente. Qualora, in relazione al divieto di cui al comma 1, insorgano conflitti tra Comuni confinanti, la Provincia territorialmente competente provvede con propria deliberazione, sentiti i Comuni interessati”.
Si prevede, in buona sostanza, che il Comune provveda ad assegnare alle zone del territorio di sua competenza una classificazione acustica, in base alle classi contenute nel d.p.c.m. 14.11.1997, Tabb. A e ss.
Per ciascuna di tali classi sono previsti limiti di immissione ed emissione rumorosa, nonché taluni valori di qualità da rispettare; dette classi sono suddivise in base alla prevalente destinazione dell’area (ad es., area residenziale, industriale etc.).
Le aree comunali classificate non possono, pertanto, essere giustapposte liberamente, bensì in base a valori differenziali oltrepassati i quali l’eventuale contiguità non è consentita (in tesi, salvo quanto si dirà in appresso).
La classe VI, richiesta dalla Società nel caso di specie, è quella propria delle “aree esclusivamente industriali”, in cui i limiti previsti (limiti di emissione, immissione e valori di qualità, modulati a seconda delle fascia oraria di riferimento – notturna/diurna) sono intuitivamente più ampi, in ragione dell’assenza di insediamenti umani (commerciali, abitativi etc.) e della destinazione, come detto, esclusivamente industriale.
Da tale quadro normativo già si evince la stretta correlazione intercorrente fra zonizzazione acustica e pianificazione urbanistica; in sede di adozione e successiva approvazione dei piani di classificazione acustica, infatti, occorre dar rilievo, fra l’altro, anche al cd. “preuso” della zona interessata, ovvero alla destinazione d’uso preesistente dell’area.
Tale principio è specificamente affermato anche dalla sentenza in commento, che mira a dirimere la questione, centrale, dell’esatto rapporto che deve intercorrere fra pianificazione acustica ed urbanistica.
Sul punto, già la giurisprudenza ha ritenuto che “la classificazione acustica del territorio deve coordinarsi e non sovrapporsi meccanicamente alla pianificazione urbanistica. Se da un lato, infatti, la zonizzazione acustica si caratterizza per la tendenziale omogeneità con la zonizzazione degli strumenti urbanistici, la quale costituisce l’imprescindibile punto di partenza per la classificazione del territorio, tuttavia deve considerarsi che tale corrispondenza non è perfettamente biunivoca e che anzi esiste un naturale scollamento fra le due tipologie di pianificazione, poiché lo strumento urbanistico disciplina l’assetto del territorio ai fini prettamente urbanistici ed edilizi, individuando le zone omogenee con criteri quantitativi, mentre la classificazione acustica ha riguardo all’effettiva fruibilità dei luoghi, valendosi di indici qualitativi (cfr. Tar Veneto n. 967/09; Tar Liguria, Sez. I, 28 giugno 2005, n. 985)” (T.a.r. Veneto, Venezia, Sezione 3, 12 gennaio 2011, n. 24); data quindi la pianificazione urbanistica come dato di riferimento primario ed imprescindibile, l’Ente competente alla redazione del piano di zonizzazione acustica deve rendere omogenee quest’ultime previsioni con le prime, non essendo tuttavia richiesto – né, come afferma la giurisprudenza, possibile – che le due pianificazioni combacino esattamente.
Secondo taluna giurisprudenza, si ritiene addirittura non poter sussistere “piena corrispondenza tra zonizzazione urbanistica ed acustica:la finalità principale del Piano di zonizzazione acustica è infatti quella della tutela della salute umana in relazione all’inquinamento acustico e deve pertanto ritenersi differente dagli scopi propri della pianificazione urbanistica (T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV, 27 dicembre 2007, n. 6819), con la conseguenza che la classificazione ai fini urbanistici non deve corrispondere pienamente con quella acustica” (Tar Lombardia, Milano, Sez. IV, 13 dicembre 2010, n. 7545); con ciò, evidentemente, attenuando la tendenza, invero sancita dal legislatore con la normativa quadro del 1995, all’omogeneizzazione delle due tipologie di pianificazione.
La situazione urbanistica dell’area da classificare, peraltro, dev’essere tenuta in considerazione nell’effettivo stato di fatto in cui versa: “Il piano regolatore con le destinazioni d’uso esistenti e quelle previste deve costituire un termine di riferimento per la classificazione del territorio (cfr. l’articolo 4, comma 1, lettera a), della legge n. 447 del 1995, il D.P.C.M. 1.3.1991 e il D.P.C.M. 14.11.1997), con la necessaria precisazione che la stessa deve essere comunque ancorata all’assetto urbanistico, cioè all’esistente situazione in fatto che può divergere da quella di diritto” (Tar Veneto, sez. I, 18 aprile 2011, n. 649); non è sufficiente, quindi, un mero riferimento alle previsioni “teoriche” degli strumenti urbanistici, in quanto, come spesso accade nella pratica, talune previsioni potrebbero restare, anche per molto tempo, in attesa di concreta attuazione (si pensi, ad esempio, al termine di decadenza dei vincoli espropriativi).
È stato, ad esempio, ritenuto che l’Ente non possa tener conto di destinazioni dell’area da classificare meramente ipotetiche o future: “è illegittima la zonizzazione acustica del territorio compiuta non tenendo conto dell’attuale destinazione d’uso delle varie porzioni di territorio, ma di quella che si prevede o si auspica esse possano avere nel prossimo futuro” (Consiglio di Stato, sez. IV, 16 maggio 2011, n. 2957).
La considerazione dello stato di fatto dell’area trova tuttavia taluni limiti: è stato ad esempio ritenuto che un insediamento industriale privo di legittimità sotto il profilo urbanistico, non possa indirizzare la classificazione acustica: “Va escluso che una mera situazione di fatto (nella specie, impianto di frantumazione situato in zona a destinazione agricola) possa essere avallata dalle successive scelte operate dall’amministrazione in materia di classificazione acustica” (Tar Toscana, Sez. II – 11 dicembre 2010, n. 6724).
Tali orientamenti richiamati, pur non pertinenti nel caso di specie, stante la diversità della fattispecie contenziosa, visto che nel caso in esame la zona d’interesse rivestiva pacificamente natura industriale, chiariscono tuttavia che il principio di (tendenziale) omogeneità fra le due tipologie di pianificazione (cd. “preuso”), ricostruito nei termini indicati, costituisce imprescindibile criterio per il pianificatore, che non può dunque essere del tutto pretermesso in favore dell’altro criterio concorrente, vale a dire quello della (eventualmente) difforme classificazione delle zone adiacenti.
Come suggerito dalla sentenza in commento, infatti, la legge quadro, così come la legge regionale, prevede, nel caso di zone adiacenti i cui valori di riferimento esorbitino dai limiti previsti dalla legge, uno specifico rimedio, ovvero il piano di risanamento acustico (se del caso, “mediato” dall’intervento dell’Ente gerarchicamente superiore); ove quindi due zone giustapposte abbiano livelli di “rumorosità” consistentemente differenti, e tale scelta sia frutto di un’impossibilità di diverse previsioni, ciò non costituisce di per sé indice di illegittimità della pianificazione, potendosi ben ricorrere al rimedio di legge. Analogo rimedio, del resto, non è previsto (né sarebbe immaginabile) per la mancata corretta applicazione del criterio del preuso.
Da notare, peraltro, che la priorità accordata alla previsioni della pianificazione urbanistica deve essere letta, nella legislazione toscana, anche alla luce dell’art. 8 l.r. 89/98, il quale prevede che “i Comuni sono tenuti ad adeguare i propri strumenti urbanistici con il piano di classificazione acustica … I piani strutturali, il cui procedimento di formazione, ai sensi della l.r. 1/2005, sia avviato successivamente all’adozione del piano di classificazione acustica devono essere adeguati con esso”. Detta previsione non pare in contrasto con quanto sinora detto, ed in particolare con il principio del “preuso”, ove si consideri che nel caso disciplinato dalla norma si fa riferimento a strumenti urbanistici predisposti successivamente al piano di classificazione acustica; ferma, ovviamente, la necessità che, in sede di nuova zonizzazione acustica, si proceda pur sempre secondo i criteri evidenziati.
Il TAR, nella sentenza in commento, richiama altresì che la motivazione resa dall’Ente, incentrata soprattutto sulla diversa ed incompatibile classificazione della zona limitrofa (appartenente ad altro Comune), è insufficiente, in quanto, fra l’altro, nella specie non risulta attivato il rimedio previsto dalla legge (art. 6 l.r. 89/98) della composizione dell’incompatibilità mediante adozione di piano di risanamento; tale rilievo, tuttavia, non vale quale “obbligo”, sancito dal Giudicante, di provvedere in tal senso, bensì esclusivamente quale indice di irragionevolezza delle scelte effettuate (“semplice indizio dell’erroneo percorso logico seguito dal Comune … nelle scelte di classificazione acustica, a causa dell’illegittima prevalenza assegnata ai criteri della cd. contiguità scalare e del divieto di continuità, sul criterio del cd. preuso”).
La sentenza in commento, in altre parole, ribadisce che le opzioni comunali in materia di classificazione acustica costituiscono tipica espressione di discrezionalità tecnica: essa è pertanto sindacabile, in sede giurisdizionale, non con riferimento ai profili di merito delle opzioni effettuate, bensì ove emerga che le stesse siano palesemente illogiche, travisanti o comunque tali da determinare disparità di trattamento: “Le scelte inerenti alla classificazione acustica non afferiscono al merito dell’attività pianificatoria/programmatoria del Comune, ma sono espressione di discrezionalità tecnica, ancorata all’accertamento di specifici presupposti di fatto, il primo dei quali è il preuso del territorio, proprio per non sacrificare oltremodo le consolidate aspettative di coloro che si sono legittimamente insediati in zone qualificate industriali e, quindi, funzionalmente deputate all’espletamento di attività produttive, che non debbono subire limitazioni, a causa della classificazione acustica, non adeguatamente giustificate (cfr. T.A.R. Veneto, sez. III, 24.1.2007, n. 187)”. (Tar Veneto, Sez. I, 18 aprile 2011, n. 649)
Nel caso, inoltre, il sindacato può (rectius, deve) estendersi altresì al rispetto dei limiti, posti dalla legge, alla potestà pianificatoria in materia acustica: trattasi quindi di sindacato giurisdizionale che oltrepassa gli angusti limiti dell’eccesso di potere, fino a configurarsi quale vera e propria violazione di legge, ove i criteri imposti dalla legge siano del tutto pretermessi dalla pianificazione: “è pienamente sindacabile la discrezionalità dell’Amministrazione laddove sia lo stesso legislatore a porre precisi limiti alla discrezionalità del pianificatore, come avviene con la previsione della necessità che la zonizzazione acustica del territorio tenga conto della destinazione d’uso esistente delle varie aree, nonché con l’espresso divieto di contatto diretto fra aree aventi classificazione acustica sensibilmente diversa” (T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV, 5 luglio 2011, n. 1781).
Quanto sopra conferma, ulteriormente, la priorità che spetta alla precedenti destinazioni d’uso delle aree in sede di classificazione acustica del territorio; trattandosi, infatti, di criterio previsto dalla legge, esso dev’essere espressamente contemplato (pena il vizio di violazione di legge) e del medesimo dev’essere fatto buon governo (pena il vizio di eccesso di potere), nel bilanciamento da operarsi con l’altro criterio (cd. divieto di continuità), il quale tuttavia godrebbe, ove non attuabile, dell’apposito rimedio del piano di risanamento acustico.
Infine, il TAR accorda meritevolezza ad un ulteriore motivo di ricorso, rilevando un profilo di contraddittorietà fra le predette scelte in materia acustica e la precedente proroga dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività imprenditoriale rilasciata proprio alla Società ricorrente; in altre parole, l’Amministrazione ha da un lato riconosciuto la legittimità dell’insediamento produttivo, rilasciando il relativo titolo, nondimeno, in sede di pianificazione acustica, non ha tenuto adeguatamente conto dell’attività industriale ivi svolta, optando per classificazioni che di fatto restringerebbero notevolmente la possibilità di un normale esercizio dell’attività.
Il TAR riconosce quindi il vizio di contraddittorietà anche prescindendo dalla circostanza che trattasi di procedimenti distinti, nei quali i valori tutelati sono necessariamente differenti, trattandosi in entrambi i casi di manifestazioni di volontà dell’Amministrazione, sia pure rese in momenti temporali differenti, trasfuse nei relativi atti (autorizzazione, da un lato, e piano di classificazione acustica dall’altro): “il vizio di eccesso di potere per contraddittorietà sussiste in presenza di un provvedimento che presenti contraddizioni o incongruenze rispetto a precedenti valutazioni della stessa Autorità emanante o di manifestazioni di volontà che si pongono in contrasto fra di loro; in sostanza la contraddittorietà deve intercorrere fra specifici atti dell’Amministrazione, e non fra un metodo di lavoro ed una concreta scelta amministrativa, che è sindacabile solo per i vizi di manifesta illogicità, irrazionalità ed errore di fatto” (Consiglio di Stato, sez. V, 6 ottobre 2009, n. 6094).
* Avvocato in Firenze
Pubblicato su AmbienteDiritto.it il’8 marzo 2012