Esposizione prolungata alle radiofrequenze nella genesi di alcune neoplasie.
Anno: 2016 | Autore: MATTEO CERUTI
TELEFONIA CELLULARE.
La Corte di Cassazione conferma che sussiste una probabilità qualificata di un ruolo almeno concausale dell’esposizione prolungata alle radiofrequenze nella genesi di alcune neoplasie ed afferma essere logico ritenere più attendibili gli studi scientifici indipendenti non finanziati dai gestori della telefonia.
MATTEO CERUTI*
Davvero storica si può definire la recente sentenza della Corte di Cassazione – Sezione lavoro (Presidente La Terza e Relatore Bandini) n. 17438 emessa il 3 ottobre 2012 e depositata il 12 ottobre scorso che ha confermato la decisione della Corte d’appello di Brescia del 10 – 22.12.2009 che condannò l’Inail a corrispondere ad un lavoratore una rendita per malattia professionale (con un’invalidità all’80%) per aver contratto, in conseguenza dell’uso lavorativo di telefoni cordless e cellulari all’orecchio sinistro, una grave patologia tumorale al nervo cranico trigemino.
Il tema è quello delle cosiddette malattie professionali cosiddette “non tabellate”.
A partire dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 179 del 1988 si deve ritenere “malattia professionale” non soltanto quella compresa nelle tabelle allegate al D.P.R. n.1124 del 1965 (con le successive modifiche ed integrazioni), ma ogni malattia di cui sia comunque provata la causa di lavoro, con l’introduzione anche in Italia del c.d. “sistema misto”. La tutela antinfortunistica del lavoratore si estende, pertanto, alle ipotesi di cd. rischio specifico improprio, definito come quello che, pur non insito nell’atto materiale della prestazione lavorativa, riguarda situazioni ed attività strettamente connesse con la prestazione stessa (cfr., ex multis, Cass. 12652/1998, Cass. 10298/2000, Cass. 3363/2001, Cass. 9556/2001, Cass. 1944/2002, Cass. 6894/2002, Cass. 5841/2002, Cass. 7633/2004, Cass. 5354/2002, Cass. 16417/2005, Cass. 10317/2006, Cass. 27829/2009). Con la pronuncia n. 3476/1992 le Sezioni Unite della Cassazione hanno inoltre chiarito che la nozione di rischio ambientale comporta la tutela del lavoro in sé e per sé considerato e non soltanto di quello reso presso le macchine, essendo la pericolosità data dall’ambiente di lavoro.
Ad ulteriore chiarimento dell’innovazione apportata dalla decisione della Corte Costituzionale, con sentenza n. 1919 del 9 marzo 1990 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno, poi, affermato che la distinzione tra le malattie comprese nelle suddette tabelle e quelle non comprese non rileva sul piano indennitario, ma esclusivamente sul quello probatorio. In particolare sotto quest’ultimo profilo la differenza consiste nel fatto che per le malattie tabellate opera a favore del lavoratore il principio della “presunzione legale d’origine”, mentre per le malattie diverse da quelle elencate in tabella, ovvero riconducibili a lavorazioni diverse da quelle descritte nelle tabelle stesse, il lavoratore è tenuto a fornire la prova degli elementi del rapporto causale facendo riferimento alle mansioni svolte, alle condizioni di lavoro e alla durata e intensità dell’esposizione a rischio, ossia all’efficienza quantitativa e qualitativa delle condizioni patogene, alla loro frequenza ed all’assenza di cause non connesse al rischio professionale specifico. Si è quindi precisato che in caso di malattia professionale non tabellata, la prova della causa di lavoro, che grava sul lavoratore, deve essere valutata in termini di “ragionevole certezza”, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell’origine professionale, questa può essere invece ravvisata in presenza di un rilevante grado di probabilità (cfr. ad es. Cass. 18270/2010, Cass. 14308/2006, Cass. n. 12559/2006, Cass. 11128/2004).
Facendo applicazione dei suesposti approdi della Cassazione, la Corte d’Appello di Brescia, con la sentenza 10-22 dicembre 2009 n. 514, condannava l’Inail a corrispondere una rendita per malattia professionale al dipendente di una società che, a seguito di uso intenso del telefono cellulare e del telefono cordless, vale a dire a seguito di esposizione a radiazioni non ionizzanti ad alta frequenza (o radiofrequenza), aveva contratto una grave patologia.
La condanna dell’Inail si basava sull’individuazione di un nesso di causalità tra l’esposizione alle radiazioni emesse dai telefoni utilizzati per svolgere l’attività lavorativa e l’insorgere della patologia accertata dalla CTU che aveva evidenziato che per un periodo di 12 anni il dipendente dell’impresa aveva utilizzato il telefonino per 5/6 ore al giorno per svolgere la sua attività all’interno della società per cui lavorava, che l’esposizione all’apparecchio avveniva sempre sulla parte sinistra del volto, che proprio su questo punto del corpo si era sviluppato la patologia degenerativa e che affidabili studi epidemiologici avevano dimostrato l’esistenza del nesso causale tra l’esposizione alle onde elettromagnetiche e l’insorgenza della patologia.
Tale ultima pronuncia dei Giudici bresciani, che aveva sollevato un vivace dibattito tanto in ambito giuridico che epidemiologico, veniva impugnata dall’Inail dinanzi alla Corte di Cassazione.
Nella recente decisione in esame la Sezione lavoro del Supremo Collegio ha dunque respinto il ricorso proposto dall’Istituto ribadendo la corretta applicazione da parte della Corte territoriale dei sopra ricordati principi enunciati dalla giurisprudenza in materia di “malattia non tabellate”.
A tal proposito interessante appare in primo luogo il richiamo della Cassazione alla necessità che, in relazione alla prova della ragionevole certezza dell’origine professionale della malattia, il giudice deve non solo consentire all’assicurato di esperire i mezzi di prova ammissibili e dedotti, “ma deve altresì valutare le conclusioni probabilistiche del consulente tecnico in tema di nesso causale, facendo ricorso ad ogni iniziativa ex officio diretta ad acquisire ulteriori elementi in relazione all’entità ed all’esposizione del lavoratore ai fattori di rischio”.
Ma la sentenza della Corte d’appello di Brescia è stata ritenuta immune anche da vizi della motivazione.
A tal proposito la Cassazione chiarisce che la contestazione contenuta nel ricorso fondata sul concetto di "nozione comune" senza precisare le fonti scientifiche in base alle quali avrebbero dovuto ritenersi errate le affermazioni rese dal CTU e seguite dalla sentenza impugnata, in ordine all’efficienza patogenetica, quanto meno probabile, delle onde elettromagnetiche a radiofrequenza per la specifica malattia, risulta inammissibile in quanto si finirebbe per chiedere al Giudice di legittimità una valutazione di merito.
Ma il profilo più rilevante è che la Cassazione non rilevi alcun preteso vizio di mancanza di consequenzialità logica e motivazionale neppure nella circostanza che la sentenza impugnata, seguendo le osservazioni del CTU, ha ritenuto di dover attribuire particolare rilievo a studi epidemiologici diversi da quelli considerati dalla ICNIRP (International Commission on Non-lonizing Radiation Protection), affermando significativamente che la “maggiore attendibilità proprio di tali studi, stante la loro posizione di indipendenza, ossia per non essere stati cofinanziati, a differenza di altri, anche dalle stesse ditte produttrici di cellulari, costituisce ulteriore e non illogico fondamento delle conclusioni accolte”.
Insomma l’indipendenza economica degli studi costituisce garanzia di imparzialità ed autorevolezza degli stessi lavori scientifici: si tratta di un principio che i Giudici di merito non potranno d’ora in poi non considerare.
* Avvocato in Rovigo
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 3 – 12 ottobre 2012, n. 17438
Presidente La Terza – Relatore Bandini
Svolgimento del processo
Con sentenza del 10 – 22.12.2009 la Corte d’appello di Brescia, in riforma della pronuncia di prime cure, condannò l’Inail a corrispondere a M. I. la rendita per malattia professionale prevista per l’invalidità all’80%.
Il M. aveva agito in giudizio deducendo che, in conseguenza dell’uso lavorativo protratto, per dodici anni e per 5-6 ore al giorno, di telefoni cordless e cellulari all’orecchio sinistro aveva contratto una grave patologia tumorale; le prove acquisite e le indagini medico legali avevano permesso di accertare, nel corso del giudizio, la sussistenza dei presupposti fattuali dedotti, in ordine sia all’uso nei termini indicati dei telefoni ne! corso dell’attività lavorativa, sia all’effettiva insorgenza di un "neurinoma del Ganglio di Gasser" (tumore che colpisce i nervi cranici, in particolare il nervo acustico e, più raramente, come nel caso di specie, il nervo cranico trigemino), con esiti assolutamente severi nonostante le terapie, anche di natura chirurgica, praticate; sulla ricorrenza di tali elementi fattuali, come evidenziato nella sentenza impugnata, non erano state svolte contestazioni in sede di appello, incentrandosi la questione devoluta al Giudice del gravame sul nesso causale tra l’uso dei telefoni e l’insorgenza della patologia.
La Corte territoriale, rinnovata la consulenza medico legale, ritenne dì dover seguire le conclusioni a cui era pervenuto il CTU nominato in grado d’appello, osservando in particolare quanto segue:
– i telefoni mobili (cordless) e i telefoni cellulari funzionano attraverso onde elettromagnetiche e, secondo il CTU, "In letteratura gli studi sui tumori cerebrali per quanto riguarda il neurinoma considerano il tumore con localizzazione al nervo acustico che è il più frequente. Trattandosi del medesimo istotipo è del tutto logico assimilare i dati al neurinoma del trigemino"; in particolare era stato osservato che i due neurinomi appartengono al medesimo distretto corporeo, in quanto entrambi i nervi interessati si trovano nell’angolo ponto-cerebellare, che è una porzione ben definita e ristretta dello spazio endocranico, certamente compresa nel campo magnetico che si genera dall’utilizzo dei telefoni cellulari e cordless;
nella CTU erano stati riassunti con una tabella alcuni studi effettuati dal 2005 al 2009 ed in tre, effettuati dall’Hardell group, era stato evidenziato un aumento significativo de! rischio relativo di neurinoma (intendendosi per rischio relativo la misura di associazione fra l’esposizione ad un particolare fattore di rischio e l’insorgenza di una definita malattia, calcolata come il rapporto fra i tassi di incidenza negli esposti [numeratore] e nei non esposti [denominatore]);
– un lavoro del 2009 del medesimo gruppo aveva considerato anche altri elementi quali età dell’esposizione, l’ipsilateralità e il tempo di esposizione, indicando, per quanto riguarda il neurinoma dell’acustico, un Odd ratio per l’uso dei cordless di 1,5 e per il telefono cellulare di 1,7; considerando l’uso maggiore di 10 anni, gli Odd ratio erano rispettivamente di 1,3 e di 1,9, intendendosi per Odd ratio il rapporto tra la frequenza con la quale un evento si verifica in un gruppo di pazienti e la frequenza con la quale lo stesso evento si verifica in un gruppo di pazienti di controllo, onde se il valore dell’Odd ratio è superiore a 1 significa che la probabilità che si verifichi l’evento considerato (per esempio una malattia) in un gruppo (per esempio tra gli esposti) è superiore rispetto a quella di un altro gruppo (per esempio tra i non esposti), mentre significato opposto ha un valore inferiore a 1;
– una recente review della The International Commission on Non- lonizing Radiation Protection aveva evidenziato i limiti degli studi epidemiologici fino ad allora attuati, concludendo che, allo stato attuale, non vi era una convincente evidenza del ruolo delle radiofrequenze nella genesi dei tumori, ma aggiungendo che gli studi non ne avevano escluso l’associazione;
– un’ulteriore autorevole review (Kundi nel 2009) aveva confermato i dubbi che gli studi epidemiologici inducono per quanto riguarda il tempo di esposizione e concluso per un rischio individuale basso, ma presente; l’esposizione poteva incidere sulla storia naturale della neoplasia in vari modi: interagendo nella fase iniziale di induzione, intervenendo sul tempo di sviluppo dei tumori a lenta crescita, come i neurinomi, accelerandola ed evitando la possibile naturale involuzione;
– l’analisi della letteratura non portava quindi ad un giudizio esaustivo, ma, con tutti i limiti insiti nella tipologia degli studi, un rischio aggiuntivo per i tumori cerebrali, ed in particolare per il neurinoma, era documentato dopo un’esposizione per più di 10 anni a radiofrequenze emesse da telefoni portatili e cellulari;
– tale tempo di esposizione era un elemento valutativo molto rilevante, poiché, nello studio del 2006, l’esposizione per più di 10 anni comportava un rischio relativo calcolato di 2,9 sicuramente significativo;
– si trattava quindi di una situazione "individuale" che gli esperti riconducevano al "modello probabilistico-induttivo" ed alla "causalità debole", avente comunque valenza in sede previdenziale;
– doveva dunque riconoscersi, secondo il CTU, un ruolo almeno concausale delle radiofrequenze nella genesi della neoplasia subita dall’assicurato, configurante probabilità qualificata:
– la censura dell’lnail relativa agli studi utilizzati dal CTU non coglieva nel segno, poiché lo studio del 2000 dell’OMS, che aveva escluso effetti negativi per la salute, si era basato su dati ancor più risalenti, non tenendo quindi conto dell’uso più recente, ben più massiccio e diffuso, di tali apparecchi e del fatto che si tratta di tumori a lenta insorgenza, risultando quindi più attendibili gli studi svolti nel 2009;
– inoltre, come osservato dal CT di parte M., gli studi del 2009 non erano stati condotti su un basso numero di casi, ma, al contrario, sul numero totale dei casi (679) che si erano verificati in un anno in Italia; inoltre, a differenza dello studio della IARC, co-finanziato dalla ditte produttrici di telefoni cellulari, gli studi citati dal CTU erano indipendenti;
– ancora, secondo quanto osservato dal CT di parte M., confrontando il dato di rischio individuale calcolato dal CTU (2,9) con quello rilevato per il fattore di rischio, universalmente riconosciuto, dell’esposizione alle radiazioni ionizzanti, doveva considerarsi come per i sopravvissuti alle esplosioni atomiche giapponesi di Hiroshima e Nagasaki fosse stato accertato un rischio relativo di tipo oncologico di 1,39 per "tutti i tumori" con un minimo di 1,22 per i tumori di "utero e cervice" ed un massimo di 4,92 per la "leucemia", il che stava a significare che il rischio oncogeno medio delle radiazioni ionizzanti era inferiore a quello che si aveva per l’esposizione alle radio frequenze in riferimento ai neurinomi endocranici, ciò che rendeva ancora più evidente la reale portata di quanto affermato dal CTU;
– secondo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, nel caso di malattia professionale non tabellata, come anche in quello di malattia ad eziologia multifattoriale, la prova della causa di lavoro, che grava sul lavoratore, deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell’origine professionale, questa può essere invece ravvisata in presenza di un rilevante grado di probabilità; e, a tale riguardo, il giudice deve non solo consentire all’assicurato di esperire i mezzi di prova ammissibili e ritualmente dedotti, ma deve altresì valutare le conclusioni probabilistiche del consulente tecnico in tema di nesso causale, considerando che la natura professionale della malattia può essere desunta con elevato grado di probabilità dalla tipologia delle lavorazioni svolte, dalla natura dei macchinari presenti nell’ambiente di lavoro, dalla durata della prestazione lavorativa e dall’assenza di altri fattori extralavorativi, alternativi o concorrenti che possano costituire causa della malattia;
– doveva quindi ritenersi la sussistenza del requisito di elevata probabilità che integra il nesso causale richiesto dalla normativa. Avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale rinati ha proposto ricorso fondato su due motivi e illustrato con memoria L’intimato M. I. ha resistito con controricorso, illustrato con memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo l’Istituto ricorrente denuncia violazione dell’art. 3 dpr n. 1124/65, rilevando che, secondo i principi di diritto elaborati in materia dalla giurisprudenza di legittimità, la corretta applicazione della norma suddetta richiede, in particolare, l’accertamento sulla base di dati epidemiologici e di letteratura ritenuti affidabili dalla comunità scientifica, che l’agente dedotto in giudizio sia dotato di efficienza patogenetica, quanto meno probabile, per la specifica malattia allegata e diagnosticata; la suddetta relazione causale non poteva dunque essere suffragata "dalla personale valutazione dell’ausiliario del giudice, fondata sulla preferenza per taluni dati epidemiologici rispetto ad altri, ma deve essere supportata da un giudizio di affidabilità dei dati stessi espresso dalla comunità scientifica"; nel caso di specie il CTU si era soffermato esclusivamente sui risultati del gruppo Hardell, in contrasto con quelli della comunità scientifica; inoltre il CTU aveva del tutto arbitrariamente utilizzato la contabilità tra esposizioni a radiofrequenze e neurinoma del nervo acustico, ipotizzata dal gruppo Hardeil, per affermare la relazione causale, addirittura con giudizio di probabilità qualificata, tra tali radiofrequenze e il neurinoma del trigemino; doveva al riguardo rilevarsi che la Commissione scientifica per l’elaborazione e la revisione periodica delle malattie di cui è obbligatoria la segnalazione ai sensi dell’art. 139 dpr n. 1124/65, in occasione dell’aggiornamento dell’elenco approvato con decreto ministeriale 11.12.2009, non aveva ritenuto di dover includere i tumori dei nervi cranici, indotti da esposizione alle radiofrequenze, tra le malattie di possibile origine professionale.
1.2 Secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel caso di malattia professionale non tabellata, come anche in quello di malattia ad eziologia multifattoriale, la prova della causa di lavoro, che grava sul lavoratore, deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell’origine professionale, questa può essere invece ravvisata in presenza di un rilevante grado di probabilità; a tale riguardo, il giudice deve non solo consentire all’assicurato di esperire i mezzi di prova ammissibili e ritualmente dedotti, ma deve altresì valutare le conclusioni probabilistiche del consulente tecnico in tema di nesso causale, facendo ricorso ad ogni iniziativa ex officio diretta ad acquisire ulteriori elementi in relazione all’entità ed all’esposizione del lavoratore ai fattori di rischio ed anche considerando che la natura professionale della malattia può essere desunta con elevato grado di probabilità dalla tipologia delle lavorazioni svolte, dalia natura dei macchinari presenti nell’ambiente di lavoro, dalla durata della prestazione lavorativa e dall’assenza di altri fattori extralavorativi, alternativi o concorrenti, che possano costituire causa della malattia (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 6434/1994; 5352/2002; 11128/2004; 15080/2009).
La sentenza impugnata ha fatto applicazione di tali principi, ravvisando, in base alle considerazioni diffusamente esposte nello storico di lite, la sussistenza del requisito di elevata probabilità che integra il nesso causale.
Non è quindi ravvisabile il denunciato vizio di violazione di legge, che si fonda infatti su una pretesa erronea valutazione (da parte del CTU e della Corte territoriale) della affidabilità dei dati presi in considerazione al fine di suffragare tale requisito e, pertanto, sostanzialmente su un vizio di motivazione (in effetti dedotto con il secondo motivo di ricorso).
Il motivo all’esame va pertanto disatteso.
2. Con il secondo motivo l’Istituto ricorrente denuncia appunto vizio di motivazione, assumendo che:
– il CTU di secondo grado, dopo avere evidenziato che la review della The International Commission on Non-lonizing Radiation Protection aveva concluso che, allo stato attuale, non vi era una convincente evidenza del ruolo delle radiofrequenze nella genesi dei tumori, pur non escludendosene l’associazione, senza consequenzialità logica e senza motivazione aveva tratto la conclusione della probabilità qualificata di un ruolo almeno concausale delle radiofrequenze nella genesi della neoplasia per cui è causa;
– doveva ritenersi priva dì qualsivoglia fondamento scientifico la ritenuta assimilabilità, sul piano eziopatogenetico, del neurinoma del nervo acustico e di quello del trigemino, essendo "nozione comune" della scienza medica che tumori dello stesso istotipo, ma con localizzazione diversa, anche se nell’ambito dello stesso distretto anatomico, riconoscono cause diverse e che qualsiasi potenziale agente cancerogeno che venga in contatto con il corpo umano modifica la sua azione a seconda dei tessuti che attraversa o con cui viene in contatto; e, in effetti, il nervo acustico e il nervo trigemino, in particolare il ganglio di Gasser, hanno una diversa collocazione nella teca cranica e diverse sono le strutture anatomiche che li separano dall’esterno e fra loro;
la Corte territoriale non aveva risposto alle osservazioni svolte dall’Istituto, anche con riferimento alla circostanza che era "in corso" uno studio epidemiologico internazionale "interphone", coordinato dalla IARC e che l’OMS, in base al principio di precauzione, aveva suggerito "una politica di gestione del rischio che viene applicata in una situazione di "incertezza scientifica"":
– doveva ritenersi inconferente sul piano scientifico l’affermazione della Corte territoriale circa l’attendibilità, perché indipendente, dello studio del gruppo Hardell, a fronte del cofinanziamento della ricerca "interphone" da parte dei produttori di telefoni cellulari, trascurando che tale ricerca è finanziata dalla Unione Europea e diretta e coordinata dalla IARC (Agenzia internazionale ricerca sul cancro dell’OMS);
– neppure la Corte territoriale aveva ritenuto di chiamare il CTU a chiarimenti a fronte delle ricordate osservazioni critiche.
2.1 La giurisprudenza di legittimità ha reiteratamente affermato che nei giudizi in cui sia stata esperita CTU di tipo medico-legale, nei caso in cui il giudice del merito si basi sulle conclusioni dell’ausiliario giudiziario, affinché i lamentati errori e lacune della consulenza tecnica determinino un vizio di motivazione della sentenza denunciabile in cassazione, è necessario che i relativi vizi logico -formali si concretino in una palese devianza dalle nozioni della scienza medica o si sostanzino in affermazioni illogiche o scientificamente errate, con il relativo onere, a carico della parte interessata, di indicare le relative fonti, senza potersi la stessa limitare a mere considerazioni sulle prospettazioni operate dalla controparte, che si traducono in una inammissibile critica del convincimento del giudice di merito che si sia fondato, per l’appunto, sulla consulenza tecnica (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 16392/2004; 17324/2005; 7049/2007; 18906/2007).
Nel caso all’esame l’Istituto ricorrente, nel contestare la ritenuta assimilabilità, sul piano eziopatogenetico, del neurinoma del nervo acustico e di quello del trigemino, non specifica – rifugiandosi nel concetto di "nozione comune" – le fonti scientifiche, ritualmente dedotte ed acquisite al giudizio, in base alle quali avrebbero dovuto ritenersi scientificamente errate le affermazioni rese al riguardo dal CTU e seguite dalla sentenza impugnata, finendo per richiedere al riguardo a questa Corte una valutazione di merito inammissibile in sede di legittimità.
Neppure è dato rilevare il preteso e denunciato vizio di mancanza di consequenzialità logica e di motivazione in ordine alle conclusioni della probabilità qualificata di un ruolo almeno concausale delle radiofrequenze nella genesi della neoplasia per cui è causa, posto che tale giudizio, come diffusamente esposto nello storico di lite, non discende dalla mera indicazione delle conclusioni (evidentemente difformi) a cui era pervenuta la ricordata review della The International Commission on Non-lonizing Radiation Protection, ma, piuttosto, dai riscontri di altri studi a carattere epidemiologico svolti al riguardo.
Inoltre, e significativamente, la sentenza impugnata, seguendo le osservazioni del CTU, ha ritenuto di dover ritenere di particolare rilievo quegli studi che avevano preso in considerazione anche altri elementi, quali l’età dell’esposizione, l’ipsilateralità e il tempo di esposizione, atteso che, nella specie, doveva valutarsi la sussistenza del nesso causale in relazione ad una situazione fattuale dei tutto particolare, caratterizzata da un’esposizione alle radiofrequenze per un lasso temporale continuativo molto lungo (circa 12 anni), per una media giornaliera di 5 – 6 ore e concentrata principalmente sull’orecchio sinistro dell’assicurato (che, com’è di piana evidenza, concretizza una situazione affatto diversa da un normale uso non professionale del telefono cellulare).
L’ulteriore rilievo circa la maggiore attendibilità proprio di tali studi, stante la loro posizione di indipendenza, ossia per non essere stati cofinanziati, a differenza di altri, anche dalle stesse ditte produttrici di cellulari, costituisce ulteriore e non illogico fondamento delle conclusioni accolte.
Né è stato dedotto – e tanto meno, dimostrato – che le indagini epidemiologiche Se cui conclusioni sono state prese in particolare considerazione provengano da gruppi di lavoro privi di serietà ed autorevolezza e, come tali, sostanzialmente estranei alla comunità scientifica.
L’asserita prevalenza che, secondo il ricorrente, dovrebbe essere attribuita alle conclusioni di altri gruppi di ricerca (le cui indagini, peraltro, secondo quanto dedotto, almeno all’epoca del giudizio di merito erano ancora "in corso"), si risolvono anch’essi nella richiesta di un riesame del merito, non consentito in sede di legittimità. Avendo inoltre la Corte territoriale riscontrato nelle considerazioni già svolte dal CTU e dal CT di parte M. elementi ritenuti sufficienti a confutare le osservazioni critiche dell’Istituto, non sussisteva la necessità di investire ulteriormente il CTU di una richiesta a chiarimenti.
Anche il secondo motivo di ricorso va quindi disatteso.
3. In definitiva il ricorso va rigettato
L’esito fra loro difforme dei giudizi di merito e la novità, sotto il profilo della peculiarità fattuale, della vicenda dedotta in causa, consigliano la compensazione delle spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; spese compensate.