* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Art. 38 d.P.R. n. 380/2001 – Annullamento del permesso di costruire – Vizi emendabili – Sanatoria.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 6^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 10 Settembre 2015
Numero: 4221
Data di udienza: 28 Aprile 2015
Presidente: Patroni Griffi
Estensore: Buricelli
Premassima
* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Art. 38 d.P.R. n. 380/2001 – Annullamento del permesso di costruire – Vizi emendabili – Sanatoria.
Massima
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 6^ – 10 settembre 2015, n. 4221
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Art. 38 d.P.R. n. 380/2001 – Annullamento del permesso di costruire – Vizi emendabili – Sanatoria.
L’art. 38, comma 1, del t. u. n. 380/2001, secondo cui “in caso di annullamento del permesso di costruire, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite…”, va interpretato nel senso che in caso di annullamento del titolo edilizio per vizi sostanziali la sanatoria (recte, la rinnovazione del titolo, l’emanazione di un nuovo permesso di costruire) è consentita qualora si sia trattato di vizi emendabili, che possono essere rimossi, ed è preclusa soltanto qualora si tratti di vizi inemendabili (sul tema v. , ad esempio, Cons. Stato, sez. IV, n. 7131/2010; Cons. Stato, sez. IV, n. 1546 del 2008;Cons. Stato, sez. IV, n. 4923 del 2012; Cons. Stato, VI, n. 2355/2014).
(Riforma TAR Campania, Napoli, n. 1186/2014) – Pres. Patroni Griffi, Est. Buricelli – M. s.r.l. (avv.ti Verde e Ricciardelli) c. F.M. e altri (avv. Adinolfi) e Comune di Caserta (avv. Ceceri)
Allegato
Titolo Completo
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 6^ - 10 settembre 2015, n. 4221SENTENZA
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 6^ – 10 settembre 2015, n. 4221
N. 04221/2015REG.PROV.COLL.
N. 04818/2014 REG.RIC.
N. 08859/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4818 del 2014, proposto dalla s.r.l.
Minieri, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giovanni Verde e Luigi Ricciardelli, con domicilio eletto presso l’avv. Renato Pedicini in Roma, Via F. D’Ovidio, 83;
contro
Francesco Medici, Luigi Vanacore, Cosimo Del Ninno, Alba Rosa Moscariello, rappresentati e difesi dall’avv. Luigi Adinolfi, con domicilio eletto presso lo studio commercialista Bei Rosati in Roma, Via Ovidio, 10; Gerardo Del Ninno; Comune di Caserta, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe Ceceri, con domicilio eletto presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro n. 13;
sul ricorso n. RG 8859 del 2014, proposto dal Comune di Caserta, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Giuseppe Ceceri e Antonio Nardone, con domicilio eletto presso la Segreteria Sezionale del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;
contro
Francesco Medici, Luigi Vanacore, Cosimo Del Ninno, Alba Rosa Moscariello, rappresentati e difesi dall’avv. Luigi Adinolfi, con domicilio eletto presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro n. 13; Gerardo Del Ninno;
nei confronti di
Minieri srl;
per la riforma, con riferimento a entrambi i ricorsi
della sentenza del TAR Campania -Napoli -Sezione VIII, n. 1186/2014, resa tra le parti, concernente permesso di costruire;
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Francesco Medici e altri e del Comune di Caserta;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del 28 aprile 2015 il cons. Marco Buricelli e uditi per le parti gli avvocati Farsetti per delega di Verde e Russo per delega di Ceceri e di Nardone;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con la sentenza n. 1886 del 2014 l’ottava sezione del Tribunale amministrativo regionale della Campania ha accolto il ricorso proposto dal signor Francesco Medici e altri, quali proprietari e/o stabili residenti in unità abitative site nel Parco dei Fiori di Caserta, avverso il permesso di costruire “in sanatoria” n. 78 del 2010 accordato alla s.r.l. Minieri per la realizzazione di opere in zona F3 –verde pubblico attrezzato, in località S. Caterina, sulla via comunale per Turo.
In punto di fatto giova premettere che con il permesso di costruire originario n. 182/2002 il Comune di Caserta aveva autorizzato la realizzazione di una “strutturaper il tempo libero in zona F3” composta da due edifici e precisamente il piano primo del Corpo A con destinazione ad attrezzature per la cultura ed il tempo libero, il secondo piano del Corpo A ad attrezzature sportive e per il tempo libero, per lo svago e per la cultura, ed il Corpo B a parcheggio interrato e attività commerciali.
Con successiva variante “in corso d’opera” n. 225/2004 veniva approvata la suddivisione del Corpo A in tre immobili distinti ed indipendenti rispettivamente denominati nella nuova elaborazione Corpo A, B e C, e l’immobile precedentemente designato come B diveniva Corpo D. Secondo il permesso in variante il Corpo A si sviluppava per il piano interrato ed un piano terra destinato prevalentemente a sala esposizione, il primo piano a due aule per corsi professionali collegati con l’attività espositiva prevista al livello inferiore, con una superficie coperta di 960 mq. . Il Corpo B, di circa 600 mq. era composto da un piano interrato destinato a garage ed un piano terra destinato in parte a sala conferenze ed in parte a circolo ricreativo. Il Corpo C di circa 160 mq. era composto da un piano interrato destinato a garage ed un piano terra destinato a palestra, ed il Corpo D già completato era destinato ad attività commerciale e ludoteca.
Detti provvedimenti hanno entrambi formato oggetto di gravame innanzi al Tribunale amministrativo regionale che, dopo avere acquisito, con ordinanza n. 606/2005, dal Comune di Caserta, chiarimenti sull’effettiva destinazione urbanistica dell’area, che è risultata classificata zona omogenea F3 –Verde pubblico attrezzato, con sentenza n. 2027/2006 ha accolto il ricorso annullando i titoli edilizi impugnati.
Ciò sul rilievo che l’insediamento contestato, per le sue dimensioni e per le destinazioni d’uso previste per gran parte dell’intervento, non era compatibile con la destinazione a verde pubblico attrezzato prescritta dallo strumento urbanistico.
La sentenza, in motivazione, evidenziava che l’area oggetto di intervento risultava per gran parte destinata alla realizzazione di attrezzature che nulla avevano a che vedere con l’uso pubblico, come per la concessionaria di auto all’epoca gestita dalla s.r.l. Minieri, e che il rapporto tra verde pubblico e attrezzature era risultato del tutto capovolto con la previsione e la realizzazione di opere che non erano destinate a consentire la migliore fruizione pubblica dell’area verde ma avevano reso il “verde” accessorio all’interesse privato.
La sentenza è stata appellata e confermata con la decisione n. 4148/2013 della IV sezione di questo Consiglio, che ha condiviso nel merito le argomentazioni della pronuncia di primo grado.
Con permesso di costruire n. 78/2010, accordato dopo l’intervenuto annullamento giurisdizionale in primo grado degli originari titoli edilizi, il Comune di Caserta ha accolto l’istanza di sanatoria presentata dalla società Minieri, nel dicembre del 2009, in relazione al Corpo di fabbrica denominato “A” – nelle more realizzato unitamente al corpo “D” – composto da un piano interrato destinato parte ad autorimessa e parte a spogliatoi e servizi igienici, un piano terra adibito a palestra, e un locale al primo piano destinato ad ufficio per l’attività e punto di ristoro con una superficie coperta di mq. 959 e una volumetria di mc. 4300, con la previsione di un’area sistemata a verde di mq. 2970 e di una parte a parcheggio per mq. 250 da cedersi a uso pubblico.
Nel 2011 il Medici, e gli altri cittadini in epigrafe indicati, hanno impugnato dinanzi al Tar Campania anche il permesso di costruire n. 78/2010 deducendo, a sostegno del ricorso, cinque motivi di diritto, concernenti violazione di legge e di regolamento, ed eccesso di potere, sotto svariati profili.
Si sono costituiti per resistere il Comune e la società controinteressata.
Con la sentenza n. 1186/2014 il Tar, disattesa l’eccezione d’irricevibilità del ricorso per tardività, ha accolto il gravame e ha annullato il provvedimento impugnato, condannando Comune e controinteressata alle spese.
Nella sentenza si è osservato che l’Amministrazione ha ammesso una sanatoria di opere, realizzate sulla base di un permesso di costruire annullato in sede giurisdizionale, al di fuori dei limiti consentiti dall’Ordinamento ai sensi dell’art. 38 del d.P.R. n. 380/2001 in base al quale, nel caso di annullamento, anche in sede giudiziale, di un permesso di costruire, è da ammettersi la rinnovazione del titolo edilizio, previa rimozione dei vizi rilevati, soltanto qualora siano venuti in rilievo vizi formali o procedimentali.
In particolare il Tar, dopo avere rilevato in via preliminare che l’art. 36 del decreto n. 380/2001 è diretto a sanare le opere solo formalmente abusive, in quanto eseguite senza il previo rilascio del titolo, ma conformi nella sostanza alla disciplina urbanistica, applicabile per l’area su cui sorgono, vigente sia al momento della loro realizzazione sia al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria (cd. “doppia conformità”), con conseguente connotazione oggettiva e vincolata dell’accertamento di conformità anzidetto, ha considerato mancante, nel caso in esame, il requisito della doppia conformità, tenuto anche conto che la ragione dell’annullamento in via giurisdizionale del permesso di costruire e della variante risiedeva nella specie non, appunto, in un vizio formale dell’atto, ma in un vizio di natura sostanziale, non rimuovibile, stante il contrasto del progetto con la destinazione urbanistica di zona, con il conseguente divieto di rilasciare un nuovo titolo edilizio emendato dai vizi sostanziali riscontrati dal giudice amministrativo.
Poiché l’opera realizzata non poteva considerarsi conforme alla normativa urbanistica e edilizia vigente all’epoca della sua realizzazione il Comune avrebbe dovuto, per ciò solo, respingere l’istanza.
Né convince il tentativo della società Minieri di ricondurre “a conformità” l’intervento sulla base di un’attività posta in essere successivamente alla realizzazione del fabbricato, estrapolandolo dal complessivo insediamento in cui lo stesso era inserito ed isolandolo quale unica struttura asseritamente a servizio del verde pubblico attrezzato cui è destinata l’area di riferimento, mediante un ridimensionamento in termini volumetrici e di superficie occupata rispetto al progetto originario.
Nulla è mutato rispetto al pregresso; l’intervento è stato semplicemente suddiviso; ci si è limitati a un cambio di destinazione d’uso riguardante la sala espositiva della ex concessionaria d’auto, trasformata in palestra.
Una rimodulazione dell’intervento come quella cosiffatta non può trovare giustificazione nel sistema delineato con il citato art. 36, che consente la sanatoria dei soli c. d. abusi formali.
Contro l’indirizzo pretorio che ammetteva la “sanatoria giurisprudenziale” è stato affermato, in modo condivisibile, che l’agire della P. A. dev’essere in ogni sua fase retto dal principio di legalità, il quale trova fondamento in varie disposizioni costituzionali.
Accedendo alla tesi della società Minieri si consentirebbe, in modo irrazionale, una sanatoria degli abusi realizzati, in base a un permesso di costruire annullato, al di fuori dei soli casi, di annullamento per vizi di ordine formale, ammessi dal citato art. 38, con ciò assecondando un intento elusivo dei limiti imposti dalla legislazione.
Sulle caratteristiche concrete della destinazione di zona F3 –verde pubblico attrezzato, sulla quale insiste il fabbricato, la sentenza ha poi richiamato le considerazioni svolte nella sentenza della IV Sezione di questo Consiglio n. 4148/2013 di conferma della sentenza del Tar n. 2027/2006: in zona F3 le attrezzature commerciali debbono essere limitate e compatibili con l’uso pubblico dell’area e devono avere quindi una funzione meramente accessoria, subordinata e servente rispetto alla funzione propria della intera zona, vale a dire al verde pubblico.
Nemmeno con la rimodulazione e il ridimensionamento dell’intervento può ritenersi sussistente la conformità del fabbricato alla normativa urbanistica di zona che risulta comunque compromessa, mancando quella imprescindibile sovraordinazione gerarchica del verde pubblico richiesta per assicurarne la corretta fruizione.
Con la sanatoria impugnata è stata ammessa la realizzazione di una struttura svincolata dalla fruizione del verde pubblico e priva del requisito dell’accessorietà rispetto alla fruizione del contesto ambientale da parte della collettività.
2. (RG n. 4818/2014) La società Minieri ha appellato la sentenza deducendo anzitutto la violazione dell’art. 38 del d.P.R. n. 380/2001.
Nell’appello si sottolinea come il Comune, nell’accordare il permesso nel 2010, abbia bene operato, avendo verificato che il nuovo intervento del privato aveva reso l’opera compatibile con la disciplina urbanistico –edilizia inizialmente non rispettata.
La società appellante è passata quindi a confutare l’argomentazione conclusiva svolta in sentenza con il richiamo, condiviso dal Tar, alla citata decisione n. 4148 del 2013 della IV sezione di questo Consiglio.
In particolare, per l’appellante il vincolo di accessorietà / subordinazione della struttura rispetto alla fruizione del verde pubblico sarebbe insussistente o comunque non più attuale.
La rimodulazione dell’intervento edilizio ha reso la struttura compatibile con il verde pubblico.
(RG n. 8859/2014) Nel proprio distinto atto d’appello il Comune di Caserta, rilevato preliminarmente che l’intervento per il quale è stata rilasciata la sanatoria nel 2010 si riferisce a una sistemazione dell’area radicalmente variata rispetto a quella originaria –in particolare con due lotti, e non quattro, edificati, con una volumetria dimezzata e una conseguente, radicale revisione del rapporto tra volumetria e verde (in particolare per il lotto A il verde attrezzato accessibile dal pubblico passa da 440 a 2500 mq.), osserva in primo luogo che il citato art. 38, in caso di annullamento del permesso di costruire per vizi sostanziali, preclude la sanatoria soltanto qualora vengano in questione vizi inemendabili.
Diversa è la situazione quando il titolo edilizio è stato annullato, come nel caso qui in esame, per vizi sostanziali emendabili.
Nella specie, considerata la rilevante differenza tra il progetto originario di sistemazione complessiva dell’area, e il progetto poi assentito nel 2010, il nuovo titolo edilizio risulta emendato dai vizi riscontrati dal giudice amministrativo.
La verifica di sopravvenuta compatibilità dell’intervento, così come rimodulato e ridimensionato, con la disciplina urbanistica F3, dà esiti positivi, sicchè il giudizio di prevalenza formulato in primo grado dev’essere sovvertito.
La struttura non è più “dominante” rispetto al verde pubblico attrezzato.
Le parti appellanti hanno concluso per l’accoglimento dell’appello e la conseguente riforma della sentenza appellata. Vinte le spese.
3. Il Medici e gli altri ricorrenti in primo grado / appellati si sono costituiti per resistere in ambedue i giudizi, hanno controdedotto rilevando come in concreto il Comune, attraverso lo “spaccottamento” del titolo edilizio originario (permesso di costruire e variante), annullato dal giudice amministrativo, stia cercando in modo sviato di sanare la situazione “a stati di avanzamento” mediante una parcellizzazione degli interventi che non rende i singoli manufatti compatibili con l’uso pubblico del verde attrezzato, e hanno riproposto i tre motivi dedotti in primo grado e rimasti assorbiti per effetto dell’accoglimento del ricorso.
4. Gli appelli vanno riuniti ai sensi dell’art. 96, comma 1, del cod. proc. amm. , avendo a oggetto la stessa sentenza.
5. Essi sono fondati e vanno accolti, per le ragioni e con le precisazioni che seguono.
Il ricorso di primo grado andava infatti respinto.
In punto di fatto, per quanto riguarda le caratteristiche del progetto originario, riguardante i corpi di fabbrica considerati nel loro insieme, definito con i titoli edilizi annullati dal giudice amministrativo, si può rinviare a quanto riferito sopra, al p. 1.
Giova invece rammentare che il progetto assentito con il permesso di costruire n. 78/2010 si riferisce in via esclusiva al Corpo di fabbrica sub A (e al D), e prevede la destinazione del piano terra a palestra –attività sportiva, in luogo della concessionaria d’auto, con la collocazione degli spogliatoi in una porzione del seminterrato, mentre la restante superficie del seminterrato è destinata ad autorimessa al servizio della palestra. Il primo piano è destinato a punto di ristoro (ritenuto dal Comune compatibile con scopi di svago e di tempo libero ammessi in zona F3) e a servizi e uffici per l’attività.
Il rapporto tra superficie edificata del Corpo A e verde circostante risulta essere di circa 900 mq. / 3.000 mq. .
5.1. Ciò premesso, va rilevato in primo luogo, e in termini generali, che, diversamente da quanto ritenuto in sentenza, nella quale si è affermato che il motivo di annullamento giurisdizionale del permesso di costruire del 2002 e della variante del 2004 risiedeva in un vizio sostanziale, e non formale, del titolo, “come tale nonrimuovibile”, in base a quanto prevede l’art. 38 del t. u. n. 380/2001, “stante ilcontrasto del progetto con la destinazione urbanistica di zona”, l’art. 38, comma 1, del t. u. n. 380/2001, secondo cui “in caso di annullamento del permesso di costruire, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite…”, in base a una recente giurisprudenza di questo Consiglio, qui condivisa, va interpretato nel senso che in caso di annullamento del titolo edilizio per vizi sostanziali la sanatoria (recte, la rinnovazione del titolo, l’emanazione di un nuovo permesso di costruire) è consentita qualora si sia trattato di vizi emendabili, che possono essere rimossi, ed è preclusa soltanto qualora si tratti di vizi inemendabili (sul tema v. , ad esempio, Cons. Stato, sez. IV, n. 7131/2010: a seguito di un annullamento parziale in sede giurisdizionale di una concessione edilizia per violazione delle distanze, con particolare riferimento a parti dell’edificio “aggettanti”, era stato emanato un nuovo titolo col quale erano state attuate le prescrizioni relative all’abbattimento degli aggetti; la nuova concessione edilizia era stata impugnata per violazione dell’art. 38. La IV Sezione ha respinto il motivo d’appello, imperniato sul rilievo per cui “la concessione edilizia in sanatoria, di una costruzione eseguita in base ad una concessione annullata per motivi sostanziali di contrarietà allo strumento urbanistico, sarebbe illegittima, ammettendosi l’emanazione della concessione successiva soltanto in caso di annullamento per motivi procedurali o formali”, osservando che, considerando le ragioni dell’annullamento, “avvenuto sulla base della riscontrata violazione del limite delle distanze in relazione ai c.d. aggetti (balconi), … in teoria … sarebbe stata ben legittima una concessione successiva al primo annullamento, che però fosse emendata dal vizio relativo riscontrato dal giudice. Dalla previsione di cui all’art. 38 del DPR 380 del 2001 – che prevede la rimozione dei vizi delle procedure amministrative in caso di permesso di costruire annullato in via giurisdizionale – non deriva quindi un generale divieto di rinnovazione dei permessi di costruire annullati in sede giurisdizionale per vizi di carattere sostanziale…”; conf. Cons. Stato, sez. IV, n. 1546 del 2008, secondo cui “l’annullamento di un assenso edilizio, per il riscontrato, insanabile conflitto con il regime costruttivo di riferimento, impone all’amministrazione comunale l’adozione di provvedimenti sanzionatori a carico dell’autore dell’intervento realizzato in assenza del necessario titolo (siccome rimosso in via giurisdizionale), e, in particolare la sanzione pecuniaria e la restituzione in pristino (art. 38 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380). Nelle ipotesi in cui sia possibile, tuttavia, eliminare la violazione riscontrata dal giudice, per mezzo di un nuovo intervento che restituisca all’opera piena compatibilità con il regime edilizio inizialmente inosservato, il Comune deve astenersi dal provvedere, comunque, alla repressione dell’abuso e deve, al contrario, consentire la conformazione dei lavori ai parametri costruttivi giudicati violati (come, peraltro, chiarito dal primo comma dell’art. 38 d.P.R. cit., là dove assegna priorità – rispetto all’adozione di atti repressivi – alla rimozione dei vizi)… a fronte, dunque, di un’iniziativa privata diretta ad eliminare l’elemento di contrasto dell’intervento (illegittimamente) assentito con la disciplina edilizia di riferimento, l’amministrazione comunale non è tenuta…ad impedire i lavori e ad assumere provvedimenti sanzionatori, dovendo, al contrario, proprio in attuazione del giudicato ed in coerenza con il canone di azione dettato dall’art. 38 d.P.R. cit., assicurare l’adeguamento della situazione di fatto alla disciplina edilizia ritenuta violata, nel ché si risolve, a ben vedere, l’effetto conformativo…”; v. poi Cons. Stato, sez. IV, n. 4923 del 2012, con riguardo a una ipotesi di annullamento di un permesso di costruire e di rilascio di un nuovo permesso previo adeguamento del progetto con l’eliminazione del vizio –di violazione di una NTA del PRG- mediante la riduzione in modo congruo dell’altezza massima del fabbricato; cfr. anche Cons. Stato, VI, n. 2355/2014, nel senso che dalla previsione di cui all’art. 38 non deriva un generale divieto di rinnovazione dei permessi di costruire annullati in sede giurisdizionale per vizi di carattere sostanziale, a condizione che la concessione in sanatoria sia depurata da detti vizi sostanziali; la giurisprudenza amministrativa è infine consolidata nel segnalare che nell’ipotesi di cui all’art. 38 del d.P.R. n. 380/2001 la demolizione rappresenta l’ “extrema ratio” : v. , “ex multis”, Cons. Stato, nn. 2398/2014, 2852/20102 e 1535/2010).
Sul punto, quindi:
–non va condiviso l’assunto per cui la rimozione dei vizi ex art. 38 è consentita solo qualora essi abbiano natura formale o procedurale;
-l’art. 38 è applicabile anche nel caso di annullamento per vizi sostanziali, purché emendabili. La “sanatoria” è preclusa solo quando si tratti di vizi inemendabili;
-nell’ipotesi di cui all’art. 38 la demolizione dell’opera realizzata in base a un permesso annullato costituisce l’extrema ratio; in seguito all’annullamento di un titolo edilizio l’Amministrazione non è certo vincolata ad adottare misure ripristinatorie dovendo, anzi, privilegiare, ogni volta che ciò sia possibile, la riedizione del potere emendato dai vizi riscontrati, ancorchè aventi carattere sostanziale. La riemanazione del permesso di costruire è ammessa, tranne che nei casi di divieto assoluto di edificazione;
-l‘adozione di un provvedimento sanzionatorio presuppone l’annullamento (anche in sede giudiziale) di un “assenso edilizio” “per il riscontrato e insanabile conflitto con il regime costruttivo di riferimento” .
Calando adesso le considerazioni su esposte, qui condivise, al caso in esame, vero è, ed è inoltre incontestato, che permesso di costruire del 2002 e variante del 2004 sono stati annullati dal giudice amministrativo per un vizio sostanziale attinente, come si è visto, al contrasto con la destinazione urbanistica di zona, e non per ragioni meramente formali.
Ma è vero anche che la decisione comunale del 2010 –come giustamente rimarcano le parti appellanti- non è estranea all’ambito di applicazione del citato art. 38, non esula dai casi, ammessi dall’art. 38, come sopra interpretato, di annullamento del permesso di costruire anche per vizi di natura sostanziale, incluso quello, invero peculiare, di incompatibilità con la disciplina urbanistica di zona.
Non viene qui in rilievo un’ipotesi di vizio sostanziale non rimuovibile.
Si ricade nella categoria del vizio sostanziale emendabile.
In sentenza non sembra essere stato considerato che dall’art. 38 non deriva un divieto indiscriminato di rinnovazione del un permesso di costruire annullato in sede giudiziale per vizi di carattere sostanziale: la rinnovazione va anzi disposta qualora il nuovo titolo sia depurato dai vizi suddetti.
Né viene in questione l’applicazione dell’art. 36 del t. u. n. 380/2001 in tema di sanatoria e di doppia conformità.
La disciplina urbanistica infatti non è mutata.
Viene invece in rilievo, esclusivamente, la necessaria verifica in ordine alla sopravvenuta compatibilità dell’intervento, così come rimodulato, e ridimensionato, con la disciplina urbanistica di zona.
5.2. Si tratta dunque di accertare se il nuovo intervento del privato, assentito nel 2010, così come rimodulato e ridimensionato, risulti compatibile con la disciplina urbanistica F3.
Sotto quest’ultimo profilo, non pare inutile rammentare in termini generali che ogni sentenza va considerata avendo riguardo al “perimetro” delimitato dalle circostanze di fatto esposte e dai motivi proposti.
Nella specie, una volta accolto il motivo basato sulla violazione dell’art. 38, pèrdono spessore le considerazioni svolte in sentenza alle pagine 14, 15 e 16, con le quali sono state richiamate, e condivise, le argomentazioni del 2013 della IV Sezione sul carattere tutt’altro che accessorio e servente delle attrezzature commerciali rispetto al verde pubblico attrezzato.
La sentenza impugnata, nel rimarcare che “nemmeno attraverso la prevista rimodulazione e ridimensionamento dell’intervento può ritenersi sussistente la conformità del fabbricato alla normativa urbanistica di zona che risulta comunque compromessa mancando quel nesso di strumentalità e di gerarchica sovraordinazione del verde pubblico imprescindibile per assicurarne la corretta fruizione”, con conseguente persistente violazione della destinazione di piano (v. pag. 16 sent.), risulta avere trasferito in modo improprio –oltre che apodittico e assertivo- le considerazioni formulate dalla IV Sezione di questo Consiglio con la decisione n. 4148/2013 a una fattispecie significativamente diversa da quella posta a base della sentenza del Tar del 2006 confermata da questo giudice d’appello con la 4148/2013.
Diversamente da quanto ritenuto dal Tar, secondo cui nemmeno rimodulazione e ridimensionamento dell’intervento avrebbero reso il fabbricato conforme alla “disciplina F3”, è da ritenere che il Comune abbia adottato un nuovo atto emendato dai vizi d’incompatibilità con la disciplina urbanistica riscontrati in precedenza dal giudice amministrativo avendo riguardo però a un progetto diverso e più vasto rispetto a quello per cui ora è causa.
Intanto, la sentenza avrebbe dovuto spiegare in modo compiuto, tenendo conto proprio della “rimodulazione e ridimensionamento” del nuovo progetto assentito con l’atto contestato, la persistente incompatibilità di questo nuovo e diverso intervento con la “disciplina F3”.
Ciò non risulta essere stato fatto avendo la sentenza impugnata, come si è detto, recepito, in modo apodittico e assertivo, le considerazioni svolte dal giudice amministrativo con riguardo a una situazione di fatto -quella del 2002 -2004- diversa rispetto a quella relativa all’intervento assentito nel 2010.
La vicenda, e la sentenza, riguardano infatti altro e differente intervento rispetto a quelli del 2002 e 2004.
Le appellanti evidenziano che dal progetto presentato nel 2009 si ricava l’inserimento di modifiche alla edificazione allo scopo di renderla compatibile con la citata destinazione F3, attribuendo alle attrezzature commerciali funzione accessoria, subordinata e servente o, comunque, compatibile rispetto a quella propria, inerente all’uso pubblico, dell’intera zona.
Considerate le differenze tra il progetto originario e il progetto del lotto A presentato nel 2009, come modificato; tenuto conto in particolare della collocazione, nella struttura, di palestra e spogliatoi, con il punto di ristoro per i clienti della palestra –qualificabili come “attrezzature sportive e per lo svago e il tempo libero”, come tali assentibili (cfr. definizione di zona F3)-, dell’incremento della destinazione a spazi di verde pubblico da 440 mq. (v. pdc n. 225/2004, annullato in sede giurisdizionale nel 2006) a circa 2.500 mq. e quindi dei nuovi rapporti tra struttura assentita e verde attrezzato; verificato il rispetto degli indici edilizi stabiliti dalle NTA del PRG (nella specie la volumetria risulta inferiore a quella assentibile) è da ritenere che il Comune, attraverso il rinnovato esercizio del suo potere autorizzatorio in materia, abbia adottato un atto emendato dai vizi riscontrati dal giudice amministrativo e compatibile con la disciplina urbanistica F3.
Nel caso qui in esame, indipendentemente dalla configurabilità, nella specie, di un vincolo non di accessorietà / subordinazione, ma di semplice compatibilità, in zona F3, tra strutture e fruizione del verde pubblico attrezzato (in relazione alla approvazione del SIAD, avvenuta nel 2002 e asseritamente non considerata da questo giudice nel 2006 e 2013), la rimodulazione dell’intervento edilizio sembra avere reso la struttura de qua compatibile con la disciplina F3, il che avviene quando le attrezzature, per caratteristiche, dimensioni e modalità d’inserimento nel contesto sono, appunto, compatibili con la destinazione dell’area a verde pubblico.
Per le appellanti nulla sarebbe mutato rispetto alla situazione pregressa; verrebbe in questione un mero “spaccottamento” del titolo edilizio annullato dal giudice amministrativo; il Comune non avrebbe fatto altro che estrapolare il Corpo di fabbrica A dal complessivo insediamento in cui lo stesso era inserito, isolandolo –con conseguente ridimensionamento in termini volumetrici e di superficie- quale unica struttura asseritamente a servizio del verde pubblico attrezzato cui è destinata l’area di riferimento. La parcellizzazione compiuta non rende i singoli manufatti compatibili con l’uso pubblico del verde attrezzato.
Se ciò fosse vero, specie per quanto attiene al rapporto tra volumetria e verde pubblico attrezzato, ciò sarebbe sintomo di sviamento.
Senonché, nella odierna controversia occorre considerare, in modo più circoscritto, la situazione relativa al lotto A; occorre quindi raffrontare progetto originario e intervento specifico in relazione al quale è stato rilasciato il permesso n. 78/2010.
Da detto raffronto si ricava, come si è detto, che il progetto assentito nel 2010 si riferisce a una sistemazione dell’area variata in maniera significativa rispetto al progetto originario, e ciò:
-sia dal punto di vista volumetrico, dato che rispetto al progetto originario risulta un dimezzamento della volumetria assentita;
-sia sotto il profilo della destinazione d’uso atteso che sull’area destinata alla esposizione della concessionaria d’auto viene collocata la palestra, e
-sia per quanto attiene al rapporto tra area edificata e spazi a verde, nel senso che, rispetto al progetto originario, per effetto delle circostanze suindicate viene a ricalcolarsi il rapporto di compatibilità / proporzione tra verde attrezzato e volumetria dei manufatti, in maniera tale da poter far ritenere la situazione conforme alla disciplina di zona F3.
5.3. Vanno ora esaminati e decisi il IV e il V motivo del ricorso introduttivo, assorbiti in sentenza e riproposti dagli appellati.
Con il IV motivo viene dedotta la violazione dell’art. 39 del regolamento edilizio. Premesso che l’intervento realizzato consente alla controinteressata di realizzare anche volumi interrati da destinare a spogliatoi e a servizi igienici, si osserva che il regolamento edilizio vieta la realizzazione di locali sotterranei per usi abitativi, commerciali e simili. Di regola, i locali sotterranei non sono consentiti. In via eccezionale è previsto l’uso di seminterrati e di locali sotterranei, previo rilascio però di un titolo assoggettato all’osservanza di una procedura definita dai ricorrenti “eccezionale” e “appesantita”, in quanto prevede cautele e pareri dell’ASL. Nella specie non risulta intervenuta un’autorizzazione specifica, sicché la procedura seguita per assentire la realizzazione degli spazi interrati contrasta con il citato art. 39.
Anche il IV motivo non può trovare accoglimento.
In via preliminare risulta dagli atti che i locali interrati sono adibiti a spogliatoi e a servizi igienici di pertinenza della palestra, il che esclude la possibilità di permanenza diurna e notturna di persone, in modo conforme a quanto prevede l’art. 39.
Ciò posto, per respingere la censura risulta decisivo osservare che, al di là della collocazione “topografica” delle norme dell’art. 39 nel regolamento “edilizio”, vengono in rilievo (si veda, soprattutto, l’art. 39, comma 2, relativo ai seminterrati, categoria nella quale sembrano ricadere i locali in questione) prescrizioni attinenti all’utilizzo dei locali e non alla loro costruzione.
Resta naturalmente fermo l’obbligo degli uffici competenti di accertare, dopo l’avvenuto rilascio del titolo edilizio, l’osservanza delle prescrizioni regolamentari richieste.
Anche il V motivo va respinto.
Il volume ex art. 99, n. 11, del regolamento edilizio –“è compreso il volume relativo al parcheggio obbligatorio ai sensi delle leggi vigenti, se coperto”- non rientra tra gli indici e i parametri computabili dato che sulla base del combinato disposto dell’art. 99 e dell’art. 6 delle NTA del PRG viene considerato volume quello dei manufatti che emergono dal terreno, escludendo quindi dal computo il volume relativo alla superficie dell’autorimessa interrata.
Gli appelli riuniti vanno dunque accolti e la sentenza riformata. Il ricorso di primo grado andava respinto.
6. Nonostante ciò, nelle peculiarità della vicenda e nella oggettiva controvertibilità di alcune delle questioni trattate, oltre che nell’andamento altalenante del contenzioso anche nella sua fase cautelare, il Collegio ravvisa, in base al combinato disposto di cui agli articoli 26, comma 1, c. p. a. e 92, comma 2, c. p. c. , eccezionali ragioni per l’integrale compensazione delle spese di ambedue i gradi dei giudizi riuniti tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sugli appelli riuniti, come in epigrafe proposti, li accoglie e, per l’effetto, previa riforma della sentenza impugnata respinge il ricorso di primo grado poiché infondato.
Spese di entrambi i gradi dei giudizi riuniti compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 28 aprile 2015 con l’intervento dei magistrati:
Filippo Patroni Griffi, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere
Marco Buricelli, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/09/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)