Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Appalti Numero: 5375 | Data di udienza: 22 Ottobre 2013

* APPALTI – Principio di tassatività delle cause di esclusione – Fondamento giustificativo – Clausola della lex specialis impositiva dell’obbligo di produrre in originale o copia autentica la certificazione di qualità – Illegittimità.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 5^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 12 Novembre 2013
Numero: 5375
Data di udienza: 22 Ottobre 2013
Presidente: Torsello
Estensore: Franconiero


Premassima

* APPALTI – Principio di tassatività delle cause di esclusione – Fondamento giustificativo – Clausola della lex specialis impositiva dell’obbligo di produrre in originale o copia autentica la certificazione di qualità – Illegittimità.



Massima

 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. 5^ – 12 novembre 2013, n. 5375


APPALTI – Principio di tassatività delle cause di esclusione – Fondamento giustificativo.

Il fondamento giustificativo del principio di tassatività delle cause di esclusione è quello di ridurre gli oneri formali gravanti sulle imprese partecipanti a procedure di affidamento, quando questi non siano strettamente necessari a raggiungere gli obiettivi perseguiti attraverso gli schemi dell’evidenza pubblica. I quali, consistendo nella selezione del miglior contraente privato, conducono a privare di rilievo giuridico, attraverso la sanzione della nullità testuale, tutte le “cause amministrative” di esclusione dalle gare incentrate non già sulla qualità della dichiarazione, ma piuttosto sulle forme con cui questa viene esternata.


(Riforma T.A.R. Veneto, n. 00167/2013) – Pres. Torsello, Est. Franconiero – P. s.p.a. (avv. Adami) c. S. s.p.a. e altri (avv.ti Manzi, Domenichelli, Neri e Bertazzolo)


APPALTI – Principio di tassatività delle cause di esclusione – Clausola della lex specialis impositiva dell’obbligo di produrre in originale o copia autentica la certificazione di qualità – Illegittimità.

Contrasta con il principio di tassatività delle clausole di esclusione  la clausola di lex specialis impositiva dell’obbligo di produrre in originale o copia autentica la certificazione di qualità prevista, dovendo ammettersi le imprese partecipanti a provare l’esistenza della qualificazione con mezzi idonei che garantiscano un soddisfacente grado di certezza, nel limite della ragionevolezza e della proporzionalità della previsione della legge speciale di gara, la quale deve garantire la massima partecipazione.


 (Riforma T.A.R. Veneto, n. 00167/2013) – Pres. Torsello, Est. Franconiero – P. s.p.a. (avv. Adami) c. S. s.p.a. e altri (avv.ti Manzi, Domenichelli, Neri e Bertazzolo)


Allegato


Titolo Completo

CONSIGLIO DI STATO, Sez. 5^ - 12 novembre 2013, n. 5375

SENTENZA

 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. 5^ – 12 novembre 2013, n. 5375


N. 05375/2013REG.PROV.COLL.
N. 08578/2012 REG.RIC.
N. 02741/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8578 del 2012, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Pvb Solutions s.p.a., rappresentata e difesa dall’avv. Pietro Adami, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, corso D’Italia 97;

contro

Sinergie s.p.a. e Cpl Concordia Soc. Coop., nelle rispettive qualità di capogruppo mandataria e mandante di costituendo RTI, rappresentate e difese, dagli avv. Luigi Manzi, Vittorio Domenichelli, Paolo Neri e Marco Bertazzolo, con domicilio eletto presso il primo, in Roma, via Confalonieri 5;

nei confronti di

Comune di Occhiobello, rappresentato e difeso dagli avv. Mario Bertolissi e Francesca Mazzonetto, con domicilio eletto presso Giovanni Corbyons in Roma, via Maria Cristina 2;

sul ricorso numero di registro generale 2741 del 2013, proposto da:
Comune di Occhiobello, rappresentato e difeso dagli avv. Mario Bertolissi e Francesca Mazzonetto, con domicilio eletto presso Giovanni Corbyons in Roma, via Cicerone 44;

contro

Sinergie s.p.a. e Cpl Concordia Soc. Coop., nelle rispettive qualità di capogruppo mandataria e mandante di costituendo RTI, rappresentate e difese dagli avv. Vittorio Domenichelli, Paolo Neri e Luigi Manzi, con domicilio eletto presso quest’ultimo, in Roma, via Federico Confalonieri, 5;

nei confronti di

Pvb Solutions s.p.a.;

per la riforma

quanto ad entrambi i ricorsi:

della sentenza del T.A.R. Veneto, n. 00167/2013, concernente l’affidamento del servizio di qualificazione energetica e adeguamento degli edifici comunali

Visti i ricorsi in appello, i motivi aggiunti ed i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Sinergie Spa e Cpl Concordia Società Cooperativa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 ottobre 2013 il Cons. Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati come da verbale di udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 


FATTO

1. Il presente giudizio trae origine dall’impugnativa proposta davanti al TAR Veneto da Sinergie s.p.a. e Cpl Concordia società cooperativa per l’annullamento degli atti della procedura di affidamento in appalto indetta dal Comune di Occhiobello del servizio ventennale in global service di “qualificazione energetica e adeguamento normativo degli edifici comunali e degli impianti di illuminazione pubblica”.

A sostegno del ricorso, le suddette due società partecipanti alla gara, sotto forma di ATI costituenda, collocatasi al secondo posto della graduatoria, avevano sostenuto che l’aggiudicataria Pvb Solutions s.p.a. avrebbe dovuto essere esclusa per non avere prodotto, in spregio a puntuale comminatoria espulsiva contenuta nel disciplinare, la certificazione di qualità SA 8000/2008 sul sistema di responsabilità sociale dell’impresa (acronimo di Social Accountability, il quale concerne, in estrema sintesi, il rispetto dei diritti dei lavoratori e delle libertà sindacali, delle norme sul lavoro minorile e sulla tutela della sicurezza sul lavoro).

2. Il TAR ha accolto il ricorso, affermando che tale certificazione non era stata validamente surrogata dai documenti prodotti dalla Pvb Solutions, consistenti in un’autocertificazione proveniente dalla predetta controinteressata, attestante il possesso delle condizioni per l’ottenimento della suddetta certificazione, nel codice etico aziendale ex d.lgs. n. 231/2001 (“Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300”) e nel contratto già stipulato con apposito organismo di certificazione per l’ottenimento della stessa.

Ha conseguentemente affermato il diritto della ricorrente al subentro nel contratto e condannato l’amministrazione resistente a risarcire per equivalente alla stessa il mancato utile in relazione alla parte del servizio già svolta dalla controinteressata, quantificandolo forfetariamente nella misura del 4% dell’importo dalla stessa parte ricorrente offerto.

3. Appellano la sentenza tanto il Comune di Occhiobello quanto la Pvb Solutions, quest’ultima con appello avverso il dispositivo e quindi con motivi aggiunti nei confronti della sentenza successivamente depositata.

3.1 L’amministrazione deduce che:

– la comminatoria di esclusione di cui il TAR ha fatto applicazione è nulla per contrasto con i principi di tassatività delle cause di esclusione previsto dall’art. 46, comma 1-bis, cod. contratti pubblici e di massima partecipazione alle gare d’appalto; ciò avuto riguardo al fatto che la controinteressata è, in primo luogo, in possesso dei requisiti di affidabilità morale ex art. 38 d.lgs. n. 163/2006, ivi compreso, dunque, quello concernente il rispetto delle norme sulla sicurezza sul lavoro; è inoltre impresa tenuta al rispetto della legislazione lavoristica italiana, più rigorosa rispetto agli standard propri della certificazione omessa; si è infine autovincolata al rispetto della stessa e delle norme sulla responsabilità sociale dell’impresa in base al codice etico adottato sin dal 2006, come dalla stessa auto dichiarato in sede di gara;

– il predetto codice etico deve considerarsi equipollente alla certificazione SA 8000/2008 ed idoneo a comprovare ex art. 43 cod. contratti pubblici il possesso dei requisiti necessari a ottenere quest’ultimo documento.

– il TAR non avrebbe dovuto dichiarare inefficace il contratto, mai stipulato, e contemporaneamente emettere condanna risarcitoria.

3.2 Da parte sua la Pvb Solutions sostiene che:

– la richiesta della certificazione da parte della legge di gara a pena di esclusione viola il principio di tassatività delle cause di esclusione, visto che detto documento non è equiparabile alle certificazioni di qualità, non essendo rilasciato da organismi accreditati, ma da soggetti privati, e che lo stesso è surrogabile ex art. 43 citato da altri elementi di prova atti a suffragare il rispetto delle norme sulla responsabilità sociale delle imprese, come avvenuto nel caso di specie in sede di gara;

– in via subordinata, tale prova in concreto deve essere riconosciuta in virtù del principio di massima concorsualità valevole per le procedure di affidamento di contratti pubblici.

La medesima appellante, inoltre, propone come motivi d’appello quelli di un supposto ricorso incidentale assorbiti in primo grado, che la stessa assume di non aver potuto proporre a causa del mancato rispetto del termine di cui all’art. 60 cod. proc. amm. tra la notifica del ricorso principale e l’udienza camerale all’esito della quale il giudizio è stato definito con sentenza ai sensi della citata disposizione del codice del processo.

A questo riguardo deduce che l’ATI costituenda tra le società ricorrente in primo grado avrebbe a sua volta dovuto essere esclusa, perché carente del requisito di cui alla certificazione SA 8000/2008, avendone la mandataria Sinergie prodotta in sede di gara una non rilasciata da organismo certificatore non accreditato, in violazione del regolamento UE 765/2008.

Inoltre, censura la norma di lex specialis che impone tale certificazione a pena di nullità, senza consentire alle concorrenti di provare ai sensi del ridetto art. 43 cod. contratti pubblici di avere adottato equivalenti misure organizzative aziendali di gestione della responsabilità sociale dell’impresa.

4. Le imprese ricorrenti in primo grado si sono costituite in entrambi gli appelli.

Con riguardo all’impugnativa della Pvb Solutions, sostengono che i motivi aggiunti da questa proposti successivamente al deposito della sentenza sono inammissibili, richiamando a conforto di tale eccezione le considerazioni svolte dalla VI Sezione di questo Consiglio di Stato nell’ordinanza di rimessione all’Adunanza plenaria 11 febbraio 2013, n. 761, circa i rapporti di autonomia e reciproca “non interscambiabilità” tra appello nei confronti del dispositivo e motivi aggiunti svolti avverso la sentenza ed affermando la conseguente necessità, non rispettata nel caso di specie, che questi ultimi siano muniti di procura alle liti e di esposizione dei fatti di causa.

Sempre in via preliminare, le appellate eccepiscono l’inammissibilità dei motivi di ricorso incidentale proposti dalla medesima Pvb Solutions, sul rilievo che il procuratore di quest’ultima non ha dichiarato all’udienza in primo grado l’intenzione di proporre tale impugnativa una volta avvertito dal Collegio giudicante di primo grado della possibilità di definire il giudizio all’udienza camerale per la trattazione della sospensiva.

4.1 Quindi, ripropongono ex art. 101, comma 2, cod. proc. amm. i motivi del ricorso di primo grado non esaminati dal TAR, e cioè:

– quello diretto a censurare la mancata esclusione dell’ATI Sinergie – Cpl Concordia in ragione dell’inidoneità delle referenze bancarie prodotte a comprova del possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria;

– quello, svolto in via subordinata, di illegittima composizione della commissione di gara, per incompatibilità del geom. Luca Maccari, precedentemente nominato responsabile del procedimento.

DIRITTO

1. Essendo rivolti nei confronti della stessa sentenza, deve innanzitutto disposta la riunione dei due appelli ai sensi dell’art. 96 cod. proc. amm.

2. Assume quindi carattere prioritario l’esame dell’eccezione di inammissibilità dei motivi aggiunti proposti dall’appellante Pvb Solutions in seguito alla pubblicazione della sentenza di primo grado, perché privi di procura alle liti e dell’esposizione dei fatti di causa, invece contenuti nell’appello avverso il dispositivo; eccezione che la Sinergie e la Cpl Concordia fondano sul rilievo dell’autonomia e non reciproca integrabilità dei due atti.

2.1 Il Collegio non condivide quest’assunto, benché sostenuto dalla VI Sezione di questo Consiglio di Stato nell’ordinanza di rimessione all’Adunanza plenaria 11 febbraio 2013, n. 761, peraltro limitatamente all’esposizione dei fatti.

2.1.1 Per la procura alle liti, è agevole constatare l’infondatezza dell’eccezione ponendo a mente il disposto dell’art. 24 cod. proc. amm., secondo cui la procura rilasciata “per agire e contraddire davanti al giudice si intende conferita anche per proporre motivi aggiunti”. Questa norma ha, come è noto, carattere generale, ed è innanzitutto valevole per il giudizio di primo grado, nel quale i motivi aggiunti possono anche comportare l’ampliamento dell’oggetto della controversia (si tratta dei c.d. motivi “nuovi”), essendo precipuamente finalizzata a dissipare i dubbi sorti in passato sulla proponibilità degli stessi anche in assenza di procura alle liti distinta rispetto a quella contenuta nel ricorso introduttivo. A fortiori dunque la stessa è applicabile ai motivi aggiunti proposti avverso la sentenza successivamente all’appello nei confronti del dispositivo, visto che quest’ultimo deve contenere un’espressa “riserva” dei primi (art. 119, comma 6, cod. proc. amm., richiamato per il c.d. “rito appalti” dal comma 11 dell’art. 120 del medesimo codice del processo).

2.1.2 Quanto all’esposizione dei fatti occorre innanzitutto osservare che è certamente indubbio che l’appello avverso il dispositivo della sentenza di primo grado ha carattere esclusivamente cautelare, ciò emergendo in modo inconfutabile dalla lettura delle disposizioni processuali da ultimo richiamate. La conseguenza che da queste ultime la costante giurisprudenza di questa Sezione ha tratto è che tale mezzo diviene improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse una volta esaurita la fase cautelare ed a seguito della rituale proposizione di motivi aggiunti avverso la sentenza (da ultimo: sentenza 15 luglio 2013, n. 3843; in precedenza, sotto il vigore dell’art. 23-bis, comma 7, l. n. 1034/1971: sentenze 21 ottobre 2003, n. 6523 e 23 gennaio 2000, n. 327).

Se tuttavia questa è la conseguenza, è indubbio che il sopravvenuto difetto di interesse, se rende improcedibile l’appello, non ne comporta certo la nullità, rendendolo tamquam non esset, con l’effetto di travolgere anche l’esposizione dei fatti in esso contenuta.

Non bisogna dimenticare che le forme del processo ed i requisiti contenutistici degli atti processuali sono dettati in vista del raggiungimento di uno scopo (art. 156, comma 2, cod. proc. civ.). Ora, lo scopo tipico dell’esposizione dei fatti è quello di far comprendere alle parti ed al giudice adito i termini della controversia, così da consentire alle prime l’articolazione compiuta delle proprie difese ed al secondo di esercitare con cognizione di causa i propri poteri decisori. Ebbene, una volta introdotti i fatti attraverso l’appello contro il dispositivo, il suddetto scopo è definitivamente raggiunto, anche se non vi è più luogo ad esaminare i motivi in esso contenuti. L’improcedibilità infatti concerne solo questi ultimi, come si evince anche dall’art. 35, comma 1, lett. c), cod. proc. amm., in cui si precisa che tale statuizione va emessa quando nel corso del giudizio sopravviene “il difetto di interesse delle parti alla decisione”, e cioè all’esame nel merito dei motivi di impugnazione. E’ vero poi che si usa dichiarare l’improcedibilità dell’intero atto, ma si tratta evidentemente di una sineddoche, giacché solo i motivi di impugnativa costituiscono la causa petendi sulla quale la decisione deve essere resa.

Come accennato sopra, diverso sarebbe stato il discorso se l’appello fosse stato dichiarato nullo, poiché con tale rilievo si accerterebbe l’assoluta improduttività di effetti dello stesso e dunque anche dell’esposizione dei fatti in esso contenuta. Ma tale nullità discende da un vizio intrinseco all’atto, ed in particolare, come si evince anche dall’art. 44, comma 1, lett. b) cod. proc. amm., dall’ “incertezza assoluta (…) sull’oggetto della domanda”, in ipotesi determinata dall’oscura o carente esposizione dei fatti di causa, tale appunto da impedire alle parti ed al giudice di comprendere i termini della controversia. Rispetto a tale vizio è cosa ben diversa la dichiarazione di improcedibilità, la quale consegue ad un elemento esterno all’atto, vale a dire l’interesse alla pronuncia nel merito, del tutto inidoneo ad inficiare il contenuto dell’atto medesimo.

Ed alla luce di quest’ultima considerazione si rende manifesto l’eccessivo formalismo della tesi qui in esame, poiché il suo accoglimento condurrebbe ad una pronuncia in rito ancorché nessuna concreta lesione al diritto di difesa sia stato arrecato, come del resto si evince dalle compiute difese articolate dalla stessa nel presente giudizio d’appello.

3. E’ per contro fondata l’eccezione di inammissibilità dei motivi di ricorso incidentale formulati dalla Pvb Solutions, che la stessa assume di non avere potuto proporre in primo grado a causa del mancato rispetto del termine di 30 giorni, previsto dall’art. 42 cod. proc. amm., tra la notifica del ricorso principale di primo grado e l’udienza camerale all’esito della quale è stata pronunciata la sentenza.

Premesso che è stato rispettato il termine a difesa per tale udienza (la stessa Pvb Solutions deduce che il ricorso le è stato notificato il 14 novembre 2012 e la causa è stata definita dal TAR alla camera di consiglio del 28 novembre successivo, dunque risultando trascorsi più di 10 giorni ai sensi dell’art. 55, comma 5, in combinato con gli artt. 60, 119, comma 2 e 120, comma 3, cod. proc. amm.), risulta, dalla produzione del verbale di udienza, che il TAR ha dato alle parti l’avvertimento di cui all’art. 60 più volte citato. Come allora condivisibilmente obietta la parte ricorrente in primo grado, sarebbe stato onere della suddetta odierna appellante di dichiarare la propria intenzione di proporre ricorso incidentale, ai sensi della disposizione da ultimo citata.

L’avvertimento di cui si è ora detto ha infatti lo specifico scopo di garantire il diritto della parte di svolgere una più compiuta difesa rispetto al contraddittorio instauratosi in vista della decisione dell’incidente cautelare, imponendo al Collegio di primo grado il rinvio dell’udienza di discussione. Laddove la parte interessata non dichiari l’intenzione di proporre ricorso incidentale, quindi, la stessa non può dolersi in appello della compressione del proprio diritto di difesa ed introdurre quindi nuovi motivi di censura diretti ad ampliare, anche in spregio al divieto dello ius novorum sancito dall’art. 104, comma 1, cod. proc. amm., il thema decidendum cristallizzato nel giudizio di primo grado.

Del resto, le conclusioni che la medesima Pvb trae da questa prospettazione è quanto mai contraddittoria, perché se da un lato la stessa richiama la giurisprudenza amministrativa che afferma che la sentenza emessa in violazione del termine a difesa stabilito dall’art. 60 cod. proc. amm. è nulla, nondimeno, l’atto di motivi aggiunti si conclude con la richiesta di riforma della sentenza di primo grado, così fornendo argomenti di prova ex art. 64, comma 4, cod. proc. amm. a sostegno del convincimento che i motivi di tale supposto ricorso incidentale siano in realtà conseguenti non già alla proposizione dell’impugnativa originaria, ma alla soccombenza riportata in primo grado.

4. Concluso l’esame delle questioni pregiudiziali, può passarsi al merito della presente controversia.

Entrambe le parti appellanti sostengono innanzitutto che l’esclusione della Pvb per mancata produzione della certificazione SA 8000/2008, prevista dalla legge di gara, si pone in contrasto con il principio di tassatività sancito dall’art. 46, comma 1-bis, d.lgs. n. 163/2006.

4.1 La censura è fondata, ancorché dedotta dalla stessa stazione appaltante che ha dato causa alla nullità prevista dalla citata disposizione del codice dei contratti pubblici, avendo predisposto la legge di gara contenente tale comminatoria.

Nel respingerla, il TAR ha ritenuto legittima la previsione del bando in contestazione “concernente il possesso dei requisiti di qualità in capo alle aziende che intendono partecipare alla gara, nei termini individuati dalla certificazione SA 8000”, specificando che la stessa, vista la rilevanza del servizio oggetto di appalto, la durata e l’importo del contratto, non sia illogica né discriminatoria, ma anzi coerente con lo stesso.

4.2 Altro era tuttavia il punto da esaminare, è cioè se la stessa sia conforme al principio di tassatività sopra detto.

Non è infatti in dubbio la legittimità di una norma impositiva del possesso di detta certificazione, bensì se la mancanza di quest’ultima debba comportare l’esclusione dell’impresa concorrente.

La contrarietà rispetto al principio ora detto sussiste, ed emerge in primo luogo dallo stesso passaggio motivazionale citato, dal quale si evince chiaramente che ciò che rileva non è la certificazione in sé ma il possesso dei requisiti idonei ad ottenerla, ed in secondo luogo dal chiaro disposto dell’art. 43 cod. contratti pubblici, che riconosce in termini generali alle imprese partecipanti a procedure di affidamento la possibilità di fornire “altre prove” relative al rispetto dei standard di qualità equivalenti a quelli oggetto di certificazioni rilasciate dai competenti organismi.

4.2.1 Sul punto è il caso di richiamare la recente pronuncia della VI Sezione di questo Consiglio di Stato 18 settembre 2013 n. 4663, la quale ha chiarito che il fondamento giustificativo del principio di tassatività delle cause di esclusione è quello di ridurre gli oneri formali gravanti sulle imprese partecipanti a procedure di affidamento, quando questi non siano strettamente necessari a raggiungere gli obiettivi perseguiti attraverso gli schemi dell’evidenza pubblica. I quali, consistendo nella selezione del miglior contraente privato, conducono a privare di rilievo giuridico, attraverso la sanzione della nullità testuale, tutte le “cause amministrative” di esclusione dalle gare incentrate non già sulla qualità della dichiarazione, ma piuttosto sulle forme con cui questa viene esternata.

4.2.2 Ancora, è pertinente al caso di specie la pronuncia di questa Sezione del 9 settembre 2013 n. 4471, che ha ritenuto contrastante con il suddetto principio di tassatività la clausola di lex specialis impositiva dell’obbligo di produrre in originale o copia autentica la certificazione di qualità prevista. Richiamando il disposto dell’art. 43 del d.lgs. n. 163/2006, la Sezione ha puntualizzato nella citata pronuncia la necessità di sfrondare i bandi di gara da formalismi non necessari, ammettendo quindi le imprese partecipanti a “provare l’esistenza della qualificazione con mezzi idonei che garantiscano un soddisfacente grado di certezza, nel limite della ragionevolezza e della proporzionalità della previsione della legge speciale di gara, la quale deve garantire la massima partecipazione”. E ciò sull’incontestabile rilievo dell’inesistenza di un sistema di qualificazione pubblica, tanto in forza del quale si giustifica la libertà di prova riconosciuta dalla ora citata disposizione normativa.

4.3 In base ai precedenti ora richiamati, si deve quindi riconoscere alle imprese partecipanti a gare d’appalto di provare con ogni mezzo ciò che costituisce oggetto della certificazione richiesta dalla stazione appaltante, pena altrimenti, in primo luogo, l’introduzione di una causa amministrativa di esclusione in contrasto con una chiara disposizione di legge; ed inoltre la previsione di sanzioni espulsive sproporzionate rispetto alle esigenze delle amministrazioni aggiudicatrici, le quali devono esclusivamente poter confidare sull’effettivo possesso dei requisiti di qualità aziendale o – per venire al caso di specie – sul rispetto delle norme sulla responsabilità sociale delle imprese.

4.3.1 Né può in contrario essere invocato l’indirizzo di questa Sezione che afferma essere rimasto inalterato, anche dopo la positivizzazione del principio di tassatività della cause di esclusione, il potere delle stazioni appaltanti di imporre alle imprese tutti i documenti e gli elementi ritenuti necessari o utili per identificare e selezionare i partecipanti, nel rispetto del principio di proporzionalità, in virtù di quanto dispongono gli artt. 73 e 74 d.lgs. n. 163/2006 (sentenze 18 febbraio 2013 n. 974 e 3 luglio 2012, n. 3884).

Si tratta infatti di pronunce che si riferiscono a tipologie di documenti diverse dalle certificazioni di qualità, per le quali la norma primaria, contenuta nel più volte citato art. 43, stabilisce una equivalenza con altre prove.

Va ancora osservato al riguardo che la disposizione del codice dei contratti pubblici da ultimo menzionata attiene alle “norme in materia di garanzia della qualità”, mentre nel caso di specie si controverte in ordine al rispetto di determinati standards di etica e responsabilità aziendale. Si tratta all’evidenza di requisiti connotati da un grado di verificabilità empirica certamente inferiore a quelli previsti dalla norma, per i quali la possibilità di fornire prove in via alternativa deve essere riconosciuta a fortiori.

4.4 Ne consegue che, in applicazione dell’art. 46, comma 1-bis, va dichiarata la nullità della comminatoria espulsiva contenuta nel disciplinare di gara per il caso di omessa produzione del certificato SA 8000.

5. Pertanto, l’esame del merito della presente controversia può ora spostarsi sul secondo ordine di censure, attinenti all’idoneità delle prove fornite dalla Pvb a quest’ultimo specifico riguardo; questione che il TAR, con statuizione autonoma rispetto a quella fondatamente attinta dai motivi sopra esaminati, ha risolto negativamente.

5.1 Il Collegio ritiene che anche queste censure siano fondate, dovendo ricavarsi dal codice etico, approvato dalla Pvb Solutions ben prima della gara in contestazione, il rispetto dei standards equivalenti a quelli previsti dalla certificazione SA 8000/2008.

Occorre al riguardo precisare che quest’ultima sigla identifica uno standard internazionale di certificazione redatto dal CEPAA (Council of Economical Priorities Accreditation Agency) e volto a migliorare le condizioni lavorative a livello mondiale, attraverso la certificazione di alcuni aspetti della gestione aziendale attinenti alla responsabilità sociale d’impresa. Aspetti che consistono essenzialmente nel rispetto dei diritti umani, dei diritti dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali, anche in ordine alle pratiche disciplinari, delle norme a tutela contro lo sfruttamento dei minori, di quelle in materia di sicurezza e salubrità sul posto di lavoro, il tutto secondo quanto previsto dalle convenzioni ILO (International Labour Organization), dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e dalle Convenzioni delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e contro le discriminazioni razziali e contro le donne.

Il rispetto viene accertato mediante svariate metodologie di indagine, è cioè attraverso verifiche interne presso l’azienda o con interviste casuali direttamente nei confronti di dipendenti o fornitori, ad esempio per svelare casi di mobbing o abusi di posizioni di predominanza economica impossibili da dimostrare mantenendo la verifica a livelli manageriali e sulla base del dato meramente cartolare.

5.2 Si tratta dunque di tecniche di accertamento dotate di indubbio valore, ma ad esse non può essere attribuita efficacia di prova legale, potendo pervenirsi altrimenti ad accertare il rispetto delle suddette normative.

Ed allora, venendo ad esaminare la questione, non vi è dubbio, innanzitutto, che la Pvb, in quanto impresa avente sede legale in Italia, è tenuta, in virtù del carattere cogente proprio della normativa di legge del nostro Paese, ed al connesso sistema di controlli amministrativi, al rispetto di adeguati standard in ordine ai diritti dei lavoratori.

In quanto partecipante alla procedura di affidamento in contestazione, alla stessa sono inoltre imposte specifiche dichiarazioni in ordine al relativo rispetto in sede di partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici (ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. “e”, “i” ed “l”, d.lgs. n. 163/2006).

5.2.1 Ma la medesima impresa risulta anche essersi autovincolata a rispettare le norme sull’etica e la responsabilità sociale propria della categoria di soggetti cui appartiene, mediante il codice dalla stessa predisposto ai sensi del d.lgs. n. 231/2001, sulla responsabilità amministrativa delle imprese.

Il punto merita un approfondimento.

I codici etici sono documenti ufficiali dell’ente che contengono l’insieme dei diritti, dei doveri e delle responsabilità dell’ente nei confronti dei “portatori d’interesse”: i c.d. stakeholders (dipendenti, fornitori, clienti, pubblica amministrazione, azionisti, mercato finanziario, ecc.). Tali codici mirano a raccomandare, promuovere o vietare determinati comportamenti, anche non previsti a livello normativo, prevedendo sanzioni proporzionate in caso di violazioni.

Trattandosi di documenti voluti ed approvati dal massimo vertice dell’ente imprenditoriale, essi sono vincolanti per tutti i soggetti inseriti organizzazione aziendale.

Come notano Sinergie e Cpl Condoria, i codici etici rilevano ai fini dell’esonero dell’impresa da responsabilità penale ai sensi dell’art. 6 d.lgs. n. 231/2001.

Tuttavia non è corretto circoscrivere la rilevanza di tali documenti allo stretto ambito penale.

E’ infatti certamente possibile che una violazione del codice etico non integri gli estremi di un reato. Qui, allora, si coglie l’utilità del codice, la quale consiste nel regolamentare e rendere vincolanti comportamenti altrimenti non coercibili, attribuendo dunque all’ente il potere di reagire alle infrazioni commesse, mediante l’applicazione di sanzioni disciplinari o contrattuali. Il tutto conformemente alla natura di atto di autonomia privata del codice etico, il quale vincola i dipendenti in virtù dei doveri inerenti la subordinazione propria del rapporto lavorativo ed i terzi che, a vario titolo, entrano in contatto con l’impresa, mediante richiamo al codice aziendale, legittimando conseguentemente l’attivazione dei conseguenti rimedi contrattuali in caso di violazione.

5.2.2 Muovendo dal piano generale al particolare, non si ravvisano elementi per ritenere che il codice etico prodotto dalla Pvb non risponda a tali fondamentali parametri.

Esso contiene il generale obbligo di rispetto assoluto della normativa in essa contenuta e l’impegno a richiamarlo anche nei rapporti con i terzi (in particolare il punto 1.5) ed a far valere i rimedi risolutori dei contratti (punto 9.6), oltre alla previsione di organismi interni di controllo (compliance officer: punto 9.2). Degni di menzione sono i riferimenti al rispetto delle norme sulle pari opportunità sul lavoro (punti 4.2 e 4.3), sulla politica aziendale di prevenzione di infortuni sul lavoro (punto 7.2) e sul sistema di gestione della responsabilità sociale (punto 7.3).

Quindi, risulta che in sede di gara la Pvb ha dichiarato alla stazione appaltante di avere adottato un sistema di gestione della responsabilità sociale imperniato, tra l’altro, sul descritto codice etico (punto “dd” della dichiarazione sul possesso dei requisiti di ordine generale) e di avere iniziato un iter volto ad ottenere il certificato mancante (contratto in data 30 marzo 2012).

Inoltre, la stessa impresa sottolinea in questo giudizio di essere in possesso di certificazione OHSAS 18000, concernente l’esistenza di sistemi aziendali atti a garantire un adeguato controllo riguardo alla sicurezza e la salute dei lavoratori, oltre alla certificazione ISO 14000 sul sistema di qualità ambientale, ad ulteriore comprova del rispetto degli standard di cui alla certificazione SA 8000/2008 in contestazione.

5.2.3 A tali elementi si contrappongono le obiezioni delle ricorrenti in primo grado Sinergie e Cpl Concordia – accolte dal TAR – le quali fanno constare che l’autodichiarazione non costituisce prova alternativa idonea, perché proviene dalla stessa parte interessata sulla cui volontà riposa in ultima analisi il rispetto del codice etico, occorrendo invece attestazioni di soggetti terzi in posizione indipendente rispetto all’ente interessato, come affermato anche dall’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici (parere di precontenzioso n. 98 del 19 maggio 2011).

Quindi le medesime appellate controdeducono rilevando che, a dispetto dell’avvio dell’iter certificativo, la Pvb non ha nemmeno conseguito lo stato di “applicant”, che avrebbe potuto surrogare la mancanza della certificazione.

Inoltre, pongono in particolare evidenza il fatto che la certificazione viene rilasciata dall’organismo certificatore all’esito di un’accurata istruttoria, nel quale oltre ad acquisizione di informazioni e documenti, quest’ultimo procede ad verifiche di audit presso l’azienda, al fine di accertare l’effettiva applicazione del sistema di responsabilità sociale; il tutto come avvenuto con la certificazione da essa ottenuta e prodotta in sede di gara.

5.3 Tuttavia, in contrario può osservarsi che l’incoercibilità da parte di terzi del rispetto degli standard di responsabilità sociale è carattere comune anche alle imprese certificate SA 8000, mentre Pvb è comunque soggetta alla legislazione italiana, la quale è incontestabilmente conforme alle convenzioni ILO, alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani ed alla Convenzione sui Diritti del Bambino dell’ONU.

Tali argomentazioni, peraltro, finiscono per svalutare il “principio di autoresponsabilità” (sentenza 9 settembre 2013 n. 4471 di questa Sezione, sopra citata) di cui l’autodichiarazione è espressione, e sulla quale si fonda il sistema di accertamento dei requisiti partecipativi nelle procedure di affidamento di contratti pubblici.

E’ vero poi che nel citato parere dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici si nega che le autodichiarazioni possano avere lo stesso valore di prova di certificazioni rilasciate dai competenti organismi.

Peraltro, nello stesso parere si precisa che la prova alternativa può essere, tra l’altro, fornita “con la dimostrazione del possesso di certificati di sistemi di gestione per la qualità sostanzialmente equivalenti o superiori”. In questo caso possono essere quindi valorizzate le certificazioni OHSAS 18000 ed ISO 14000, in quanto le stesse attengono a profili particolarmente importanti di etica e responsabilità aziendale, concernenti la sicurezza e la salute dei lavoratori e la qualità ambientale.

Inoltre, lo stato di “applicant” riconosciuto dal competente organismo trae necessariamente origine da una dichiarazione dell’ente che intende certificarsi (attraverso la compilazione di apposito questionario predisposto dall’organismo).

Merita quindi piena condivisione, sul punto, l’obiezione della Pvb secondo cui non è ragionevole annettere alla dichiarazione resa all’organismo privato di certificazione SA 8000, idonea a conferire lo stato di applicant, un fede privilegiata superiore rispetto all’autodichiarazione sul rispetto di standard equivalenti formulata in sede di gara.

E’ poi vero che ad esse seguono gli accertamenti da parte dell’organismo certificatore, ma come detto sopra, questi non hanno valore di prova legale, trattandosi di indagini le quali scontano una ineliminabile componente relativistico-valutativa, derivante non solo dall’assenza di un sistema pubblicistico di attestazione (come invece per le SOA), ma anche per il carattere necessariamente episodico, campionario e settoriale degli accertamenti.

Nel caso della Pvb vi sono comunque plurimi elementi indiziari, sopra evidenziati, del tutto convergenti nel senso del rispetto di standards equivalenti a quelli della certificazione mancante.

Ad ulteriore conforto del giudizio probatorio favorevole a tale azienda non può nemmeno essere svalutato il fatto che la stessa ha comunque stipulato un contratto con un organismo certificatore per ottenere l’attestazione SA 8000, trattandosi di manifestazione di volontà che sottende evidentemente una ragionevole consapevolezza in ordine al buon esito delle conseguenti verifiche.

Dal complesso delle risultanze probatorie finora esaminate non può dunque convenirsi con il TAR circa il fatto che la prova alternativa ex art. 43 d.lgs. n. 163/2006 non sia stata resa.

6. Accolto dunque anche questo secondo ordine di censure alla sentenza di primo grado, risulta conseguentemente travolto anche il capo della sentenza concernente l’accertamento delle ricorrente in primo grado a subentrare nel contratto e la condanna del Comune di Occhiobello al risarcimento dei danni in favore di queste per la parte già eseguita, donde l’assorbimento logico del motivo d’appello autonomamente svolto dalla suddetta amministrazione avverso detto capo.

7. Occorre a questo punto passare ad esaminare i motivi del ricorso principale ritualmente riproposti dalle imprese Sinergie e Cpl Concordia.

7.1 Con il primo motivo queste contestano la mancata esclusione della Pvb, pur prevista dal disciplinare di gara, a causa dell’inidoneità delle referenze bancarie da questa prodotte a comprova della capacità di adempiere le obbligazioni discendenti dal contratto. Più precisamente, secondo le odierne appellate, la certificazione rilasciata dalla Sparkasse Cassa di Risparmio conterrebbe una generica attestazione in ordine all’affidabilità finanziaria di controparte, la quale rileverebbe unicamente a comprova dei requisiti di capacità economico-finanziaria necessari a partecipare alla gara, ma che non potrebbe estendersi all’idoneità della Pvb di adempiere regolarmente alle obbligazioni contrattuali.

7.1.1 Il motivo deve essere respinto.

L’infondatezza dello stesso emerge dalla considerazione da ultimo riportata, la quale oblitera che i requisiti di capacità economico-finanziaria costituiscono elementi dal cui possesso la stazione appaltante può ragionevolmente inferire la capacità dell’impresa partecipante di adempiere alle obbligazioni del contratto posto a gara, non altrimenti spiegandosene la loro previsione come presupposto per la partecipazione alla stessa.

Pertanto, dall’attestazione rilasciata dal predetto ente creditizio in ordine all’affidabilità finanziaria deve desumersi la capacità della Pvb di adempiere richiesta dalla legge di gara, fermo restando che, laddove vi fossero stati dubbi sul tenore dell’attestazione, questi non avrebbero potuto legittimare l’espulsione immediata dalla gara, che in effetti risulta ancora una volta prevista dal disciplinare in contrasto con il principio della tassatività delle cause di esclusione di cui all’art. 46, comma 1-bis, ma avrebbe dovuto indurre l’amministrazione ad attivare il c.d. soccorso istruttorio di cui al 1° comma della citata disposizione.

7.2 Con l’ulteriore motivo le ricorrenti in primo grado deducono l’invalidità della gara per violazione dell’art. 84, comma 4, cod. contratti pubblici, a causa della nomina quale componente della commissione del geom. Luca Maccari, contemporaneamente responsabile unico del procedimento.

7.2.1 La censura è genericamente formulata e deve anch’essa essere disattesa.

La qualità di responsabile unico emerge dal disciplinare di gara, ma è contraddetta dalla documentazione versata agli atti di questo giudizio d’appello, ed in particolare alla corrispondenza intercorsa tra Sinergie e Cpl Concordia da una parte e l’amministrazione dall’altra in relazione all’esecuzione della pronuncia di primo grado. Da tali documenti risulta infatti che tale incarico è stato affidato al geom. Lorenzo Raffagnato ed a fronte di tali equivoche risultanze le predette società non hanno dedotto elementi specifici in grado di precisare se, in effetti, il geom. Maccari abbia effettivamente rivestito un incarico operativo in relazione alla procedura di gara in contestazione.

8. In conclusione, gli appelli devono essere accolti, conseguendone, in riforma della sentenza di primo grado, la reiezione del ricorso colà proposto.

Per la novità della questione le spese del doppio grado di giudizio possono essere integralmente compensate tra tutte le parti.

P.Q.M.
 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, previa loro riunione, li accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso di primo grado.

Spese del doppio grado di giudizio compensate tra tutte le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 ottobre 2013 con l’intervento dei magistrati:

Mario Luigi Torsello, Presidente
Vito Poli, Consigliere
Sabato Malinconico, Consigliere
Doris Durante, Consigliere
Fabio Franconiero, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/11/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

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