* AREE PROTETTE – Presidenti degli Enti Parco regionali – Atto di straordinaria amministrazione – Giunta regionale – Delibera di nomina adottata in regime di prorogatio – Illegittimità.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 5^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 15 Gennaio 2013
Numero: 178
Data di udienza: 14 Dicembre 2012
Presidente: Volpe
Estensore: Lotti
Premassima
* AREE PROTETTE – Presidenti degli Enti Parco regionali – Atto di straordinaria amministrazione – Giunta regionale – Delibera di nomina adottata in regime di prorogatio – Illegittimità.
Massima
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 5^ – 15 gennaio 2013, n. 178
AREE PROTETTE – Presidenti degli Enti Parco regionali – Atto di straordinaria amministrazione – Giunta regionale – Delibera di nomina adottata in regime di prorogatio – Illegittimità.
E’ illegittima la delibera della Giunta Regionale Campana n. 145/2010, adottata in prossimità della scadenza del suo mandato (poco più di un mese prima delle consultazioni elettorali regionali), con cui sono stati nominati i Presidenti degli Enti Parco regionali. L’art. 3, comma 2, della legge 17 febbraio 1968, n. 108, prevede infatti che i Consigli regionali esercitano le loro funzioni fino al 46° giorno antecedente la data delle elezioni per la loro rinnovazione; tuttavia, fino a che i neoeletti consiglieri regionali non entrano nell’esercizio delle loro funzioni, l’art. 28 dello Statuto Campano stabilisce espressamente che sono prorogati i poteri del precedente Consiglio regionale. Tale disposizione comporta, che, nel periodo di proroga (rectius: prorogatio) possano compiersi ed adottarsi solo gli atti che caratterizzano necessariamente tale fase, vale a dire gli atti indifferibili ed urgenti e gli atti di ordinaria amministrazione. La nomina degli organi di vertice degli organismi regionali costituisce viceversa atto di straordinaria amministrazione, poiché il potere di nomina dei soggetti preposti ai più alti livelli di responsabilità nell’ambito degli apparati tecnico-burocratici pubblici, al pari del potere di revoca e di sostituzione dei medesimi soggetti, connotati da elevata discrezionalità e da una significativa ed indubbia valenza politica, si configura alla stregua di attività riconducibile nell’alveo della c.d. alta amministrazione, la quale costituisce il primo e più immediato grado di attuazione dell’indirizzo politico in campo amministrativo.
(Riforma T.A.R. CAMPANIA, Napoli, n. 1639/2012) – Pres. Volpe, Est. Lotti – Regione Campania (avv.ti Paolino, Colosimo e Caravita Di Toritto) c. A.S. (avv. Balletta)
Allegato
Titolo Completo
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 5^ – 15 gennaio 2013, n. 178SENTENZA
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 5^ – 15 gennaio 2013, n. 178
N. 00178/2013REG.PROV.COLL.
N. 03866/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3866 del 2012, proposto da:
Regione Campania, in persona del presidente in carica, rappresentata e difesa dagli avv. Gaetano Paolino, Salvatore Colosimo e Beniamino Caravita Di Toritto, con domicilio eletto presso l’Ufficio di Rappresentanza della Regione Campania in Roma, via Poli, 29;
contro
Anna Savarese, rappresentata e difesa dall’avv. Maurizio Balletta, con domicilio eletto presso l’avv. Alessio Petretti in Roma, via degli Scipioni, 268/A;
nei confronti di
Umberto De Nicola, Giuseppe Guida e Romano Gregorio, rappresentati e difesi dall’avv. Lorenzo Lentini, con domicilio eletto presso l’avv. Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2;
Maria Gabriella Alfano, rappresentata e difesa dall’avv. Ennio De Vita, con domicilio eletto presso Carmine De Vita in Roma, via Gallia, 122;
Vito Busillo, rappresentato e difeso dall’avv. Marcello Fortunato, con domicilio eletto presso l’avv. Guido Lenza in Roma, via XX Settembre, 98/E;
Giovanni Corporente, Giuseppe Zampino, Celeste Taranto, Antonio Caruso, Giustino Parisi, Alessio Usai;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI: SEZIONE I n. 01639/2012, resa tra le parti, concernente il provvedimento della Regione Campania recante ad oggetto nomina Presidenti parchi e riserve naturali regionali.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Anna Savarese e di Umberto De Nicola e di Giuseppe Guida e di Romano Gregorio e di Maria Gabriella Alfano e di Vito Busillo;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 dicembre 2012 il Cons. Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti e uditi per le parti gli avvocati Beniamino Caravita di Toritto, Leopoldo Fiorentino, su delega dell’avv. Gaetano Paolino, Alessio Petretti, su delega dell’avv. Maurizio Balletta, Lorenzo Lentini e Marcello Fortunato;
FATTO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sez. I, con la sentenza n. 1639 del 5 aprile 2012, ha accolto il ricorso, proposto dall’attuale appellata, per l’annullamento della delibera della giunta regionale della Campania n. 497/2010 con la quale è stata annullata la precedente delibera n. 125/2010 contenente gli indirizzi generali in ordine ai poteri spettanti agli organi di governo della regione nel periodo intercorrente la scadenza naturale del mandato.
Il TAR fondava la sua decisione rilevando, sinteticamente, che la motivazione del provvedimento conclusivo del procedimento di autotutela (DGRC n. 15 del 9 febbraio 2012), recante la revoca della designazione dei precedenti presidenti dei parchi e riserve naturali regionali (DGRC n. 145 del 19 febbraio 2010), risultava generica nel fare mero richiamo alla sussistenza di non altrimenti specificati presupposti per disporre la revoca della deliberazione n. 145 del 19 febbraio 2010.
Inoltre, il TAR rilevava che gli organi in carica all’epoca dei fatti (eletti in data 3-4 aprile 2005), sarebbero scaduti dalla carica soltanto in data 4 aprile 2010 e la Giunta ha deliberato sulla nomina dei presidenti il 19 febbraio 2010, cioè prima della sua scadenza; peraltro, lo Statuto regionale di per sé non autorizza la conclusione che la Giunta disponga di poteri limitati in prossimità della scadenza naturale del suo mandato.
L’appellante contestava la sentenza impugnata, chiedendo l’accoglimento dell’appello.
Si costituiva la parte resistente, che chiedeva il rigetto dell’appello, riproponendo i motivi assorbiti in primo grado ex art. 101, comma 2, c.p.a., nonché il controinteressato, dott. Vito Busillo, che chiedeva l’accoglimento dell’interposto appello.
All’udienza pubblica del 14 dicembre 2012 la causa veniva trattenuta in decisione.
DIRITTO
Ritiene il Collegio, come anticipato nell’ordinanza cautelare d’appello, in relazione alla valutazione del fumus boni iuris (ord. 11 luglio 2012, n. 2694), con la quale è stato sospesa l’esecutività della sentenza impugnata, che l’appello sia fondato, sia in relazione al contenuto normativo dell’art. 28 dello Statuto Regionale, che deve essere interpretato, conformemente a Costituzione, come facoltizzante il solo esercizio delle attribuzioni relative ad atti necessari ed urgenti, dovuti o costituzionalmente indifferibili (cfr. Corte costituzionale 26 febbraio 2010, n. 68); sia in relazione ai plurimi vizi procedurali puntualmente riscontrati dalla Regione.
In primo luogo, il Collegio osserva che la Corte costituzionale, con la sentenza 26 febbraio 2010, n. 68, nel giudizio di costituzionalità su due Leggi Regionali della Regione Abruzzo (l.r. 15 ottobre 2008, n. 14 e 24 novembre 2008, n. 17), ha affermato in maniera inequivoca che nell’ambito del regime di prorogatio degli Organi di Governo della Regione (Consiglio ed Esecutivo), pur non risultando alcuna espressa limitazione ai poteri esercitabili dal Consiglio e dalla Giunta regionale medesimi nel periodo successivo alla indizione delle elezioni, si deve interpretare la relativa normativa come facoltizzante il solo esercizio delle attribuzioni relative ad atti necessari ed urgenti, dovuti o costituzionalmente indifferibili, e non già certo come espressiva di una generica proroga di tutti i poteri degli organi regionali, giacché l’esistenza di questi limiti è immanente all’istituto della stessa prorogatio.
E’ evidente, infatti, come ha sottolineato la Consulta, che nell’immediata vicinanza al momento elettorale, pur restando ancora titolare della rappresentanza del corpo elettorale regionale, il Consiglio regionale non solo deve limitarsi ad assumere determinazioni del tutto urgenti o indispensabili, ma deve comunque astenersi, al fine di assicurare una competizione libera e trasparente, da ogni intervento legislativo che possa essere interpretato come una forma di captatio benevolentiae nei confronti degli elettori.
Pertanto, la giurisprudenza costituzionale, lungi dal concernere soltanto le fattispecie di scioglimento anticipato del Consiglio, riguarda invece tutte le ipotesi di scadenza della legislatura (anche le ipotesi, quindi, di scadenza naturale) ed esprime un principio di carattere generale, legato alla tutela della rappresentatività politica degli organi erigendi, consistente nella limitazione di alcuni dei loro poteri per rispondere a speciali contingenze, quale ragionevole soluzione di bilanciamento tra il principio di rappresentatività ed il principio di continuità funzionale.
In quest’ottica, dunque, deve essere letto l’art. 28 dello Statuto Campano che, al secondo comma, stabilisce espressamente che fino a che i neoeletti Consiglieri regionali non entrano nell’esercizio delle loro funzioni (con il completamento delle operazioni di proclamazione), sono prorogati i poteri del precedente Consiglio regionale.
Il riferimento alla proroga, letto sulla base dei principi costituzionali che sopra si sono evidenziati, comporta, dunque, che, nel periodo di proroga (rectius: prorogatio) possano compiersi ed adottarsi solo gli atti che caratterizzano necessariamente tale fase, vale a dire gli atti indifferibili ed urgenti e gli atti di ordinaria amministrazione.
Inoltre, osserva il Collegio, l’art. 3, comma 2, della legge 17 febbraio 1968, n. 108, prevede che i Consigli regionali esercitano le loro funzioni fino al 46° giorno antecedente la data delle elezioni per la loro rinnovazione; è pur vero, come osserva il TAR, che alla luce delle successive modificazioni del quadro normativo (leggi costituzionali n. 1 del 1999 e n. 3 del 2001) una interpretazione sistematica delle citate nuove norme costituzionali conduce a ritenere che la disciplina della eventuale prorogatio degli organi elettivi regionali dopo la loro scadenza o scioglimento o dimissioni, e degli eventuali limiti dell’attività degli organi prorogati, sia oggi fondamentalmente di competenza dello statuto della Regione, ai sensi del nuovo articolo 123.
Nel caso di specie, tuttavia, come appena evidenziato, l’art. 28, comma 2, dello Statuto stabilisce che “i Consiglieri regionali entrano nell’esercizio delle loro funzioni con il completamento delle operazioni di proclamazione. Fino a tale momento sono prorogati i poteri del precedente Consiglio regionale.
Quindi, è lo stesso Statuto ad ammettere la possibilità di proroga, che, come detto è caratterizzata da alcuni elementi ineludibili, per essere conforme a Costituzione, quali l’adottabilità dei soli atti indifferibili ed urgenti e degli atti di ordinaria amministrazione.
Peraltro, anche nella precedente sentenza della Consulta (Corte cost. n. 515 del 1995), in relazione all’art. 3 cit. L. n. 108/1968, si è messo in evidenza che la fase di depotenziamento delle funzioni del Consiglio è basata sullo stesso principio di rappresentatività, connaturato alle assemblee consiliari regionali, in virtù della loro diretta investitura popolare e della loro responsabilità politica verso la comunità regionale, sì da comportare la piena garanzia dell’autonomia costituzionale riconosciuta alle anzidette assemblee e, conseguentemente, la totale disponibilità, da parte delle stesse, delle attribuzioni costituzionalmente spettanti ad esse e ai loro membri.
Nel caso di specie, inoltre, non vi sono neppure norme regionali specifiche che riguardino il regime di prorogatio e che disciplinino in modo divergente rispetto al paradigma statale i termini, le materie e gli atti sottoposti a detto regime, con la conseguenza che, per individuare i poteri esercitabili dall’organo in scadenza, non può che farsi riferimento, come detto, alla nota dicotomia tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione (oltre che tra atti connotati da indifferibilità ed urgenza ed atti che non lo sono); d’altra parte, una diversa soluzione sarebbe difficilmente compatibile con la Carta Fondamentale.
E’ evidente, inoltre, che la nomina degli organi di vertice degli organismi regionali costituisce indubbiamente atto di straordinaria amministrazione, poiché il potere di nomina dei soggetti preposti ai più alti livelli di responsabilità nell’ambito degli apparati tecnico-burocratici pubblici, al pari del potere di revoca e di sostituzione dei medesimi soggetti, connotati da elevata discrezionalità e da una significativa ed indubbia valenza politica, si configura alla stregua di attività riconducibile nell’alveo della c.d. alta amministrazione, la quale costituisce infatti il primo e più immediato grado di attuazione dell’indirizzo politico in campo amministrativo.
Nel caso concreto, il Collegio osserva che la delibera di giunta regionale (DGR) n. 145/2010, oggetto del procedimento di revoca in autotutela censurato attraverso il ricorso di primo grado, è stata adottata il 19 febbraio 2010, ovvero a poco più di un mese dalle consultazioni elettorali regionali, tenutesi il 28 e 29 marzo 2010.
E’ quindi indubitabile che detta deliberazione che nomina i Presidenti degli Enti Parco regionali, non potendo né essere annoverata tra gli atti connotati di indifferibilità ed urgenza ovvero tra quelli di ordinaria amministrazione, essendo potenzialmente condizionanti rispetto alle autonome determinazioni della Giunta neo-eletta, influenzandone l’autonomia decisionale politica degli organi di governo regionali che si sarebbero formati in seguito alle elezioni regionali, sia stata assunta in violazione dei principi sopra evidenziati.
Inoltre, sotto il profilo procedimentale, si deve rilevare che l’omessa preventiva designazione dei candidati da parte degli Assessori competenti e l’assenza di un atto formale di nomina da parte dell’Esecutivo regionale, sostituito da una proposta di nomina, alla quale non ha fatto seguito il necessario atto deliberativo dell’organo competente alle nomine, integrano ulteriori aspetti di illegittimità delle nomine medesime che giustificano la delibera di revoca adottata ed impugnata in primo grado.
Nell’ambito del procedimento che ha portato all’adozione della DGR n. 145/2010, poi revocata, infatti, in luogo della proposta di designazione, gli Assessori hanno proceduto ad una “individuazione” dei Presidenti, sulla quale la Giunta ha formalizzato la propria proposta di nomina dei Presidenti dei Parchi e delle Riserve Naturali Regionali che solo successivamente è stata inviata al Consiglio regionale per acquisire il parere della Commissione consiliare competente ai sensi degli artt. 8, comma 1, L.R. n. 33/1993 e 2 L.R. n. 26/1980.
Pertanto, da un lato viene in rilievo un’incompetenza della fase di iniziativa procedimentale, idonea a pregiudicare la legittimità del provvedimento finale; dall’altro, il procedimento per l’assunzione del parere è in contrasto con l’art. 48 dello Statuto regionale campano che ha introdotto il ben più incisivo strumento del “gradimento” del Consiglio regionale, gradimento che non è stato espresso in alcun modo.
Pertanto, la revoca delle precedenti nomine dei Presidenti degli Enti Parco della Regione Campania non si fonda certo su una motivazione contraddittoria e perplessa, ma evidenzia puntualmente le ragioni di illegittimità che ne giustificano l’adozione.
Infine, come accennato, il Collegio osserva che il procedimento di nomina si è concluso con le note dell’8 aprile 2010, in epoca successiva allo svolgimento delle elezioni per il rinnovo degli organi regionali, mediante le quali il Coordinatore dell’A.G.C. 05 ha comunicato agli interessati, tra i quali la ricorrente in primo grado, il perfezionamento della nomina a Presidente degli Enti in questione, senza assumere il tipico provvedimento di nomina da parte della Giunta regionale, richiesto dall’art. 8 L.R. n. 33/1993, in violazione del principio di tipicità dell’azione amministrativa.
I motivi di ricorso dichiarati assorbiti dal TAR in primo grado e riproposti ex art. 101, comma 2, c.p.a. non sono fondati proprio alla luce della motivazioni della presente sentenza, atteso che sono proprio le illegittimità procedurali già evidenziate e l’affievolimento dei poteri della Giunta Regionale ad aver giustificato palesemente il provvedimento di autotutela regionale qui in contestazione, assunto come detto, in piena legittimità.
Pertanto, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere accolto e, per l’effetto, deve essere riformata la sentenza impugnata e respinto il ricorso di primo grado.
Le spese di lite del doppio grado di giudizio possono essere compensate sussistendo giusti motivi.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.
Compensa le spese di lite del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 dicembre 2012 con l’intervento dei magistrati:
Carmine Volpe, Presidente
Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti, Consigliere, Estensore
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Doris Durante, Consigliere
Antonio Bianchi, Consigliere
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 15/01/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)