* APPALTI – Art. 37, c. 13 d.lgs. n. 163/2006 – A.T.I. – Quote di partecipazione e quote di ripartizione delle prestazioni oggetto dell’appalto – Indicazione all’atto della partecipazione alla gara – ATI costituende – Applicabilità del principio.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 4^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 17 Febbraio 2014
Numero: 744
Data di udienza: 6 Novembre 2012
Presidente: Trotta
Estensore: Forlenza
Premassima
* APPALTI – Art. 37, c. 13 d.lgs. n. 163/2006 – A.T.I. – Quote di partecipazione e quote di ripartizione delle prestazioni oggetto dell’appalto – Indicazione all’atto della partecipazione alla gara – ATI costituende – Applicabilità del principio.
Massima
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 4^ – 17 febbraio 2014, n. 744
APPALTI – Art. 37, c. 13 d.lgs. n. 163/2006 – A.T.I. – Quote di partecipazione e quote di ripartizione delle prestazioni oggetto dell’appalto – Indicazione all’atto della partecipazione alla gara – ATI costituende – Applicabilità del principio.
Il comma 13 dell’art. 37 d. lgs. n. 163/2006, stabilisce che i concorrenti riuniti in raggruppamento temporaneo devono eseguire le prestazioni nella percentuale corrispondente alla quota di partecipazione al raggruppamento, il che comporta che deve sussistere una perfetta corrispondenza tra quota di lavori (o, nel caso di forniture o servizi, parti del servizio o della fornitura) eseguita dal singolo operatore economico e quota di effettiva partecipazione al raggruppamento, essendovi peraltro la necessità che sia l’una che l’altra siano specificate dai componenti del raggruppamento all’atto della partecipazione alla gara (Cons. St., sez. III, 11 maggio 2011 n. 2805; in senso conforme, Cons. St., sez. IV, 27 gennaio 2011 n. 606; Cons. St., sez. VI, 24 gennaio 2011 n. 472; sez. IV, 27 novembre 2010 n. 8253). La regola non può non valere poi anche per le A.T.I. costituende, che correttamente sono dunque tenute anch’esse ad indicare, già nella fase di ammissione alla gara, e dunque prima dell’aggiudicazione, le quote di partecipazione di ciascuna impresa al futuro raggruppamento e le quote di ripartizione delle prestazioni oggetto dell’appalto, ai fini della verifica della rispondenza della prestazione da eseguirsi ai requisiti di qualificazione tecnico-organizzativa fatti valere secondo le relative corrispondenti percentuali. L’indicazione delle quote di partecipazione ad un’ATI costituenda, dunque, deve indispensabilmente avvenire in sede di gara e non può essere desunta dalla diversa indicazione delle quote di ripartizione delle prestazioni oggetto dell’appalto.
Pres. Trotta, Est. Forlenza – Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e altro (Avv. Stato) c. P. s.p.a. (avv. Soprano)
Allegato
Titolo Completo
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 4^ - 17 febbraio 2014, n. 744SENTENZA
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 4^ – 17 febbraio 2014, n. 744
N. 00744/2014REG.PROV.COLL.
N. 09328/2011 REG.RIC.
N. 00020/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9328 del 2011, proposto da:
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Provveditorato Interregionale Opere Pubbliche Per il Lazio, Abruzzo e Sardegna, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura gen. dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
Pa.Co Pacifico Costruzioni Spa, rappresentato e difeso dall’avv. Enrico Soprano, con domicilio eletto presso Enrico Soprano in Roma, via degli Avignonesi, 5;
nei confronti di
Gdm Costruzioni Spa in Proprioe Quale Mandataria Ati, rappresentato e difeso dall’avv. Francesco Carli, con domicilio eletto presso Francesco Carli in Roma, viale G. Mazzini n. 55; Ati – Gianni Benvenuto Spa Mandante;
sul ricorso numero di registro generale 20 del 2012, proposto da:
Ministero Infrastrutture e Trasporti -Provveditorato Interregionale Opere Pubbliche Lazio Abruzzo e Sardegna, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura gen. dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
Paco Pacifico Costruzioni Spa, rappresentato e difeso dagli avv. Enrico Soprano, Angelo Clarizia, con domicilio eletto presso Enrico Soprano in Roma, via degli Avignonesi, 5;
nei confronti di
Gdm Costruzioni Spa in proprio Equale Mandataria Ati, Ati – Gianni Benvenuto Spa;
per la riforma
quanto al ricorso n. 9328 del 2011:
del dispositivo di sentenza del T.AR. Abruzzo – L’aquila: Sezione I n. 00509/2011, reso tra le parti, concernente esclusione dalla gara di lavori di adeguamento e parziale ricostruzione degli immobili sede del Tribunale de L’aquila danneggiati a seguito del sisma del 6 aprile 2009
quanto al ricorso n. 20 del 2012:
della sentenza del T.AR. Abruzzo – L’aquila: Sezione I n. 00611/2011, resa tra le parti, concernente esclusione dalla gara di lavori di adeguamento e parziale ricostruzione immobili sede del tribunale de l’aquila danneggiati a seguito del sisma del 6 aprile 2009
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio e l’appello incidentale di Pa.Co Pacifico Costruzioni Spa e di Gdm Costruzioni Spa in Proprioe Quale Mandataria Ati e di Paco Pacifico Costruzioni Spa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 novembre 2012 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Enrico Soprano, Francesco Carli, Angelo Clarizia e Pio Marrone (Avv.St.);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con l’appello in esame (n. 9328/2011 r.g.), il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti impugna il dispositivo di sentenza n. 509/2011, con il quale il TAR per l’Abruzzo, sez. I, ha accolto il ricorso ed il ricorso per motivi aggiunti della società Pa.Co Pacifico costruzioni s.p.a. (di seguito Pa.Co.), sia avverso il verbale 26 novembre 2010, nella parte in cui si dispone l’esclusione della ditta ricorrente dalla gara di appalto, condannando altresì l’amministrazione “al risarcimento dei danni come da motivazione”, sia avverso l’aggiudicazione definitiva.
La gara nell’ambito della quale è intervenuta l’esclusione impugnata riguarda i lavori di adeguamento e parziale ricostruzione degli immobili sede del Tribunale de L’aquila, danneggiati a seguito del sisma del 6 aprile 2009 (bando 30 luglio 2010). Nell’ambito di tale procedura, l’attuale appellante è stata dapprima esclusa in quanto la documentazione richiesta è risultata carente della domanda di partecipazione. Successivamente, ammessa con riserva, si è collocata al terzo posto ed ha quindi impugnato l’aggiudicazione e gli atti di gara, ritenendo che sia l’aggiudicataria, sia la seconda classificata avrebbero dovuto essere escluse dalla gara.
L’amministrazione appellante (pag. 7 app.), “non essendo note le ragioni per le quali il TAR, in accoglimento del ricorso proposto dalla Pa.Co. s.p.a., ha annullato sia l’esclusione di quest’ultima dalla gara di appalto”, nell’impugnare cautelativamente il dispositivo, si è richiamata integralmente, trascrivendone il contenuto, alla propria memoria difensiva depositata in I grado, in vista dell’udienza pubblica.
Si è costituita in giudizio la società Pa.Co., che ha concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.
Si è altresì costituita in giudizio la società GDM Costruzioni s.p.a., in proprio e quale mandataria dell’associazione temporanea di imprese tra la medesima e la Gianni Benvenuto s.p.a., mandante, aggiudicataria della gara cui inerisce la presente controversia, chiedendo che, in accoglimento dell’appello del Ministero delle Infrastrutture, voglia disporsi l’annullamento della sentenza del TAR Abruzzo.
All’udienza di trattazione, la causa è stata riservata in decisione.
2. Con ulteriore appello (n. 20/2012 r.g.), il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti impugna la sentenza 6 dicembre 2011 n. 611 del TAR Abruzzo.
Tale sentenza afferma, in particolare:
– è fondato il ricorso contro l’esclusione dalla gara, poiché “con la produzione di documenti esplicitamente finalizzati alla richiesta di partecipare alla gara l’impresa ha reiteratamente ed inequivocabilmente dato prova di voler concorrere all’aggiudicazione del relativo appalto”; né il disciplinare assegnava alla domanda “alcun contenuto specifico”, dato che la prescrizione assolveva alla “funzione di garantire la stazione appaltante che la volontà dell’impresa che chiedeva di partecipare provenisse da uno dei soggetti espressamente indicati”;
– “la volontà di partecipazione, che avrebbe dovuto essere consacrata nella domanda, appare del tutto implicita nella presentazione del plico contenente i documenti richiesti dal bando di gara”;
– né a ciò può opporsi la clausola del bando (non immediatamente lesiva) che prevede l’esclusione, posto che “l’inserimento di clausole che prevedono la sanzione dell’esclusione deve essere giustificata da un particolare interesse pubblico, evitando il mero formalismo non legato a tali finalità ed oneri procedimentali inutili ed eccessivi”;
– in presenza di una previsione del disciplinare, che richiede che ogni concorrente singolo o ciascun concorrente che costituisce o costituirà il raggruppamento d’impresa dichiari di aver eseguito il sopralluogo imposto dalla normativa concorsuale, non può ritenersi tale obbligo assolto allorchè il sopralluogo sia stato effettuato dalla sola impresa mandataria. E ciò a maggior ragione nel caso in cui l’amministrazione (trattandosi di una struttura danneggiata dal sisma del 6 aprile 2009) ha dato a ciò particolare rilievo “sul presupposto che la mancanza di una conoscenza diretta dello stato dei luoghi potesse avere ripercussioni sulle valutazioni delle imprese in ordine alle lavorazioni richieste e quindi sulla formulazione dell’offerta e sulla stesura del progetto”;
– posto il principio di corrispondenza tra quote di partecipazione all’ATI e quote dei lavori, con obbligo di specificazione fin dalla presentazione dell’offerta, su tale ripartizione non incide “la dichiarazione di voler subappaltare taluni lavori, trattandosi di aspetto che non interferisce con il principio della necessaria corrispondenza che deve manifestarsi sin dalla presentazione dell’offerta e su cui non interferiscono gli aspetti esecutivi”.
In conseguenza dell’accoglimento dei ricorsi, la sentenza – disattesa la domanda di risarcimento del danno in forma specifica attraverso la dichiarazione di inefficacia del contratto (pagg. 12 – 13) – ha condannato l’amministrazione al risarcimento del danno, riconoscendo (pagg. 14 – 18):
– a titolo di lucro cessante, posto che la somma pari al 10% dell’importo a base d’asta decurtato della percentuale di ribasso risultante dall’offerta dell’impresa che avrebbe conseguito l’aggiudicazione, deve essere ulteriormente decurtata della “liberazione delle risorse dell’impresa “in modo da consentire la percezione di un utile alternativo”, il risarcimento è quantificato nel 5% “del prezzo offerto dalla ricorrente per lavori e progettazione”;
– la copertura delle spese sostenute, “che altrimenti graverebbero sull’utile conseguito”;
– le spese generali “connesse alla predisposizione dell’organizzazione aziendale in vista della presentazione dell’offerta e dell’approntamento delle risorse per l’esecuzione dell’opera”. Tali spese vengono quantificate in Euro 60.000, comprensive delle spese di partecipazione alla gara, e pari ad una “incidenza del 3% sull’entità giornaliera dell’offerta rapportata al periodo di 60 giorni” di impegno organizzativo.;
– il costo del personale e dei mezzi immobilizzati in funzione di un avvio dei lavori nel rispetto della tempistica imposta dall’amministrazione;
– i costi di progettazione;
– il danno curriculare, determinato nella percentuale del 2% dell’importo offerto
Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello (pagg. 4 – 17 ric.):
a) error in iudicando, poichè è incontestato che la soc. Pa.Co “non ha presentato la domanda di partecipazione alla gara, richiesta a pena di esclusione” e l’impugnazione della clausola del bando che prevede in questo caso l’esclusione avrebbe dovuto essere respinta perché tardiva. Ciò in quanto la ricorrente era a conoscenza del motivo di esclusione almeno alla data di presentazione del ricorso introduttivo, mentre la clausola del bando è stata successivamente impugnata con ricorso per motivi aggiunti;
b) error in iudicando, poiché si richiedeva che “il sopralluogo fosse effettuato dai soggetti partecipanti: nessuna prescrizione concorsuale richiedeva pertanto che il sopralluogo fosse effettuato da tutte le imprese partecipanti e non solo dalla mandataria o da soggetto appositamente delegato, né la norma rendeva obbligatoria l’acquisizione dell’attestato di sopralluogo da parte di ciascuna componente delle associazioni temporanee”;
c) error in iudicando, poiché l’indicazione delle percentuali rispetto al totale dei lavori è superflua nel caso delle associazioni verticali (quale quella in esame), mentre ha senso per le associazioni di tipo orizzontale. Inoltre., nel caso di specie, “entrambe le imprese raggruppate in ATI erano in possesso di una qualificazione SOA tale da permettere loro di scegliere a piacimento la divisione delle lavorazioni prevalenti e specialistiche e l’errore nella indicazione delle quote . . . comunque quantitativamente irrilevante, era suscettibile di essere corretto in sede di predisposizione di contratto, proprio per la sovrabbondante qualificazione delle imprese”;
d) error in iudicando, posto che (con riferimento alla condanna al risarcimento del danno) nel caso di specie ha comunque influito sulla (presunta) illegittimità delle determinazioni della P.A. “l’equivocità e/o ambiguità della normativa applicabile, la novità delle questioni, le oscillazioni giurisprudenziali nella materia”..
Si è costituita in giudizio la soc. Pa.Co., che ha concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.
Inoltre, essa ha proposto appello incidentale “nella parte in cui il TAR ha accolto soltanto parzialmente la domanda risarcitoria formulata in I grado”, con i seguenti motivi di gravame:
e) error in iudicando, per violazione degli artt. 2043 e 2697 c.c.; motivazione erronea; poiché il parametro del 10% dell’importo a base d’asta, per come eventualmente ribassato dall’impresa interessata, quale entità del guadagno presuntivamente ritratto dall’esecuzione dell’appalto, “ha ad oggetto esclusivamente il mancato guadagno derivante dalla perdita di una pubblica commessa, (ed è) dunque del tutto estraneo all’inutile dispendio di beni e risorse all’uopo riservati, che integra una distinta ed ulteriore voce di danno”. Né il ricavo di una commessa “esclude che si possa guadagnare contemporaneamente da una o più altre commesse, per cui la mancata esecuzione di un contratto comporta la perdita piena dell’utile previsto per quel contratto, indipendentemente dalla circostanza che, contestualmente, quella determinata impresa abbia o meno in corso l’esecuzione di altri lavori”. Nel caso di specie, la percentuale di utile indicata nell’offerta della soc. Pa.Co., coincidente con quella presuntiva, non è mai stata contestata, né dalla stazione appaltante, né dalle imprese controinteressate. Infine, l’appellante, al fine di partecipare alla gara in questione, ha rinunciato a partecipare “a numerose procedure esecutive indette in concomitanza” (v. pagg. 17-19 memoria), e l’immobilizzazione delle risorse “si è protratta per un periodo quasi prossimo all’ultimazione dell’appalto medesimo”;
f) error in iudicando per violazione degli artt. 2043 e 2697 c.c.; motivazione carente ed erronea, in relazione alle “spese generali connesse alla predisposizione dell’organizzazione aziendale”, al “costo del personale e dei mezzi immobilizzati”, al danno curriculare (da quantificarsi nel 5% anziché nel 2% dell’importo offerto; al danno da perdita di chance (pagg. 21 – 26).
L’appellante incidentale è dunque giunta a quantificare il risarcimento del danno spettante in Euro 3.410.936, 00, e, subordinatamente, nel diverso importo stimato dal giudice d’appello.
Depositate ulteriori memorie e repliche, all’udienza di trattazione la causa è stata riservata in decisione.
DIRITTO
3. Preliminarmente, il Collegio deve procedere alla riunione degli appelli, ai sensi dell’art. 70 Cpa, stante la evidente connessione.
4. L’appello dell’amministrazione è infondato, nella parte in cui censura la sentenza di I grado relativamente alla domanda di annullamento proposta con il ricorso instaurativo nel relativo grado di giudizio.
Con il primo motivo di appello (sub a) dell’esposizione in fatto), il Ministero appellante censura la sentenza impugnata, sia riproponendo la tardività della impugnazione della clausola del bando che richiedeva la presentazione della domanda di partecipazione a pena di nullità, sia riaffermando la necessità di tale domanda, pacificamente non presentata dalla concorrente soc. Pa.Co.
Ambedue i profili di doglianza sono infondati.
Quanto all’aspetto della tardività, occorre, innanzi tutto, concordare con la sentenza impugnata, laddove essa afferma che una clausola del bando che prevede esclusioni per omessa presentazione di talune dichiarazioni o documenti non è, ex se immediatamente lesiva, attualizzandosi tale lesione allorchè, verificatasi la circostanza astrattamente prevista, viene in concreto disposta l’esclusione dalla gara.
Nel caso di specie, peraltro, non trova riscontro quanto affermato dall’appellante – in ordine alla necessità di impugnare la clausola del bando fin dal ricorso introduttivo, e non già con i motivi aggiunti – posto che con il ricorso instaurativo del giudizio è stato appunto impugnato il bando di gara (pag. 2) e se ne è richiesto l’annullamento (pag. 6) “nella parte in cui la stazione appaltante ha richiesto la produzione della domanda di partecipazione alla gara”.
Quanto alla rilevanza della omessa domanda di partecipazione, occorre innanzi tutto verificare la funzione svolta dalla stessa, in ragione del contenuto che per essa è prescritto dal bando.
Ed infatti, da un lato, nella sua formulazione più semplice ed immediata, la domanda di partecipazione costituisce solo la manifestazione della volontà del soggetto di voler partecipare alla gara e della certa attribuibilità al medesimo soggetto della documentazione a tal fine presentata.
In altre ipotesi, invece, con l’atto contenente la domanda di partecipazione, si richiedono talora al concorrente dichiarazioni ulteriori, autocertificazioni, assunzioni unilaterali di obbligazioni.
E’ evidente che, in questo secondo caso (pur riscontrabile nella prassi), l’atto definito (in modo “minimale”) “domanda di partecipazione” presenta un contenuto complesso, di modo che l’omissione della sua presentazione non costituisce solo una mancata manifestazione di volontà a partecipare, ma priva la stazione appaltante di ulteriori manifestazioni aventi rilevanza giuridica e riconducibili alla volontà del concorrente.
In questo caso, appare evidente come la previsione di esclusione per il caso di mancata presentazione della domanda appare del tutto legittima e ragionevole, proprio perché l’amministrazione abbisogna di quelle indicazioni o impegni (o di quant’altro sia richiesto), che – in difetto di “domanda” – non sono ricavabili da alcun altro documento tra quelli presentati in sede di partecipazione alla gara.
Al contrario, nel caso in cui la domanda di partecipazione si presenti solo come semplice “domanda”, nei sensi sopra descritti, la volontà di voler partecipare alla gara e la riferibilità all’impresa partecipante di quanto effettivamente presentato, ben possono essere desunti dal complesso della documentazione presentata, nella misura in cui da quest’ultima possa ricavarsi in modo certo sia la volontà di voler partecipare sia la effettiva identità del partecipante.
In questa ipotesi, dunque, non può accordarsi prevalenza al rilievo meramente formale della mancata presentazione della domanda (ed in tal senso si presenta come illegittima la clausola del bando che prevede l’esclusione). E ciò:
– sia in quanto tale previsione, nell’attribuire irragionevolmente rilevanza all’aspetto formale in luogo della sostanza, finisce per operare una cesura tra clausola e sua funzione teleologicamente orientata alla cura dell’interesse pubblico, posto che non sono in discussione, nella sostanza, le ragioni per le quali la clausola medesima era stata prevista;
– sia in quanto, sacrificandosi in ossequio ad un aspetto meramente formale la partecipazione di un concorrente, si incide sul principio di massima possibile partecipazione alle gara, quale strumento di affermazione della più ampia concorrenza.
Per le ragioni esposte, il primo motivo di appello, deve essere respinto, stante la sua infondatezza, con la conseguenza che è stata correttamente ritenuta illegittima la esclusione dalla partecipazione alla gara della società Pa.Co., trovando così conferma la tutela cautelare accordata (in funzione ripristinatoria), con ammissione con riserva alla gara medesima.
5. Anche il secondo motivo di appello (sub b) dell’esposizione in fatto) deve essere respinto.
Con tale motivo si censura la sentenza impugnata nella parte in cui essa afferma che -in presenza di una previsione del disciplinare, che richiede che ogni concorrente singolo o ciascun concorrente che costituisce o costituirà il raggruppamento d’impresa dichiari di aver eseguito il sopralluogo imposto dalla normativa concorsuale – non può ritenersi tale obbligo assolto allorchè il sopralluogo sia stato effettuato dalla sola impresa mandataria.
Ritiene l’appellante che “nessuna prescrizione concorsuale richiedeva pertanto che il sopralluogo fosse effettuato da tutte le imprese partecipanti e non solo dalla mandataria o da soggetto appositamente delegato, né la norma rendeva obbligatoria l’acquisizione dell’attestato di sopralluogo da parte di ciascuna componente delle associazioni temporanee”.
La prospettazione dell’appellante non può essere condivisa, posto che – come correttamente affermato nella sentenza impugnata – l’obbligo di eseguire il sopralluogo posto a carico dei soggetti partecipanti (dall’ultimo cpv. del capo 5), non poteva che riferirsi ai soggetti contemplati dal medesimo capo 5, e precisamente al concorrente singolo ovvero a ciascun concorrente che costituisce o costituirà il raggruppamento di impresa. Ciò precisato, appare evidente come l’attestato di sopralluogo, la cui mancata allegazione determina l’esclusione, deve riferirsi a tutte le imprese partecipanti, e – nel caso di ATI costituenda – non solo alla mandataria.
Per un verso, se – come afferma l’appellante – “nessuna prescrizione concorsuale richiedeva . . . che il sopralluogo fosse effettuato da tutte le imprese partecipanti”, è altrettanto vero che nessuna prescrizione, però, consentiva che tale sopralluogo fosse effettuato da una sola impresa (auto)qualificatasi come mandataria di una costituenda associazione temporanea.
Per altro verso, proprio perché, come affermato dall’appellante, “il sopralluogo è un adempimento funzionale alla conoscenza dei luoghi che il partecipante acquisisce al fine della successiva presentazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa”, può comprendersi (e giustificarsi sul piano della ragionevolezza) una previsione del bando che – in presenza di lavori particolarmente delicati nell’ambito di una ricostruzione post-sisma – richieda il sopralluogo da parte di tutte le imprese concorrenti, e quindi anche di quelle che – nel costituirsi in ATI anche in momento successivo alla partecipazione alla gara – tuttavia partecipano ala definizione dell’offerta.
6. Con il terzo motivo di appello (sub lett. c) dell’esposizione in fatto), l’amministrazione appellante lamenta una non corretta applicazione del principio di corrispondenza tra quote di partecipazione all’ATI e quote dei lavori, che ritiene superflua nel caso delle associazioni cd. verticali.
Occorre, innanzi tutto, rilevare che, alla luce del rigetto del motivo sub b) dell’esposizione in fatto – dal che consegue che sia l’aggiudicataria sia la seconda classificata avrebbero dovuto essere escluse per omessa presentazione della dichiarazione di sopralluogo – il presente motivo di appello non appare più assistito da interesse ad agire.
Sul punto, il Collegio si riporta a quanto già affermato con propria sentenza 1 agosto 2012 n. 5799.
La giurisprudenza (e la richiamata decisione) hanno già avuto modo di affermare che il comma 13 dell’art. 37 d. lgs. n. 163/2006, stabilisce che i concorrenti riuniti in raggruppamento temporaneo devono eseguire le prestazioni nella percentuale corrispondente alla quota di partecipazione al raggruppamento, il che comporta che deve sussistere una perfetta corrispondenza tra quota di lavori (o, nel caso di forniture o servizi, parti del servizio o della fornitura) eseguita dal singolo operatore economico e quota di effettiva partecipazione al raggruppamento, essendovi peraltro la necessità che sia l’una che l’altra siano specificate dai componenti del raggruppamento all’atto della partecipazione alla gara. (Cons. St., sez. III, 11 maggio 2011 n. 2805; in senso conforme, Cons. St., sez. IV, 27 gennaio 2011 n. 606).
Si è precisato che ai fini dell’ammissione alla gara di un raggruppamento consortile o di un’ A.T.I. occorre che già nella fase di offerta sia evidenziata la corrispondenza sostanziale tra quote di qualificazione e quote di partecipazione, nonché tra quote di partecipazione e quote di esecuzione, trattandosi di obbligo costituente espressione di un principio generale che prescinde dall’assoggettamento o meno della gara alla disciplina comunitaria e non consente distinzioni legate alla natura morfologica del raggruppamento (verticale o orizzontale), o alla tipologia delle prestazioni, principali o secondarie, scorporabili o unitarie (Cons. St., sez. VI, 24 gennaio 2011 n. 472; sez. IV, 27 novembre 2010 n. 8253).
Più in particolare, si è affermato (Cons. St., sez. III, n. 2805/2011 cit) che “l’obbligo di specificazione in esame trova la sua ratio . . . nella necessità di assicurare alle Amministrazioni aggiudicatrici la conoscenza preventiva del soggetto, che in concreto eseguirà il servizio. E ciò non solo per consentire una maggiore speditezza nella fase di esecuzione del contratto, ma anche per l’effettuazione di ogni previa verifica sulla competenza tecnica dell’esecutore; oltre che per evitare che le imprese si avvalgano del raggruppamento non per unire le rispettive disponibilità tecniche e finanziarie, ma per aggirare le norme d’ammissione alle gare.
La regola, si soggiunge, non può non valere poi anche per le A.T.I. costituende, che correttamente sono dunque tenute anch’esse ad indicare, già nella fase di ammissione alla gara, e dunque prima dell’aggiudicazione, le quote di partecipazione di ciascuna impresa al futuro raggruppamento e le quote di ripartizione delle prestazioni oggetto dell’appalto, ai fini della verifica della rispondenza della prestazione da eseguirsi ai requisiti di qualificazione tecnico-organizzativa fatti valere secondo le relative corrispondenti percentuali, essendo del resto evidente che una diversa soluzione porterebbe ad un diversificato ed ingiustificato trattamento tra le A.T.I. già formalmente costituite e le A.T.I. costituende, che ne sarebbero esonerate e chiamate a dimostrare l’affidabilità della loro proposta contrattuale solo se e quando risultino aggiudicatarie della gara.”.
L’indicazione delle quote di partecipazione ad un’ATI costituenda, dunque, deve indispensabilmente avvenire in sede di gara e non può essere desunta dalla diversa indicazione delle quote di ripartizione delle prestazioni oggetto dell’appalto.
Ed infatti, per un verso, l’indicazione delle quote di partecipazione costituisce il presupposto per una compiuta verifica della rispondenza della prestazione da eseguirsi ai requisiti di qualificazione tecnico-organizzativa fatti valere secondo le relative corrispondenti percentuali, verifica che è negata dalla indicazione del solo dato relativo alla ripartizione delle quote di esecuzione dell’appalto, con conseguente sostanziale disapplicazione dell’art. 37, co. 13, d. lgs. n. 163/2006.
Per altro verso, l’omissione della precisa indicazione delle quote di partecipazione alla costituenda ATI non consentendo – in difetto di specifica indicazione, impegno e conseguente assunzione di responsabilità da parte delle imprese – le corrette ed esaustive verifiche da parte dell’amministrazione, determina una violazione della par condicio dei concorrenti (ed in particolare tra ATI già costituite ed ATI costituende).
D’altra parte, a fronte di una specifica indicazione prevista dal citato art. 37, co. 13, non vi è ragione per consentire indicazioni diverse, obbligando l’amministrazione – in luogo di una valutazione immediata derivante dalla chiara percezione offerta dalla indicata (con conseguente assunzione di responsabilità) quota di partecipazione all’ATI – a dover desumere tale quota da indicazioni diverse.
Oltre quanto già considerato, occorre osservare che, nel caso di specie, effettivamente – come ammesso dalla stessa amministrazione appellante – vi è una non corrispondente indicazione delle quote – sia pure definita “irrilevante” (pag. 13 app.), e la stessa tuttavia, per le ragioni esposte, non avrebbe potuto “essere corretta in sede di predisposizione di contratto”.
Per le ragioni sin qui esposte, anche il terzo motivo di impugnazione – in disparte ogni considerazione in ordine alla improcedibilità dell’appello in relazione allo stesso – deve essere rigettato, stante la sua infondatezza.
7. L’appello dell’amministrazione deve essere rigettato anche con riferimento al quarto motivo (sub d) dell’esposizione in fatto), con il quale si impugna la sentenza nella parte in cui condanna l’amministrazione al risarcimento del danno.
Secondo l’amministrazione, nel caso di specie avrebbe comunque influito sulla (presunta) illegittimità delle determinazioni della P.A. “l’equivocità e/o ambiguità della normativa applicabile, la novità delle questioni, le oscillazioni giurisprudenziali nella materia”.
Questa Sezione ha già avuto modo di pronunciarsi in tema di risarcimento del danno, anche con riguardo alla cd. “perdita di chance” (Cons. Stato, sez. IV, 2 aprile 2012 n. 1957), esponendo considerazioni dalle quali non vi è motivo di discostasi nella presente sede.
Ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., il danno è risarcibile soltanto laddove esso consiste in un danno/evento ingiusto, tale essendo quello consistente nella lesione di un interesse meritevole di tutela da parte dell’ordinamento, che fonda la sussistenza di una posizione soggettiva.
Deve trattarsi di un danno che presuppone la titolarità di un interesse apprezzabile, differenziato, giuridicamente rilevante e meritevole di tutela e che inerisce al contenuto stesso della posizione sostanziale.
Tale danno ingiusto deve essere inoltre ricollegabile, con nesso di causalità immediato e diretto, al provvedimento impugnato, e, nel caso in cui la posizione di interesse legittimo appartenga alla species del cd. interesse pretensivo, esso deve concernere l’ingiusto diniego o la ritardata emanazione di un provvedimento amministrativo richiesto.
Secondo questo Consiglio di Stato (sez. V, 2 febbraio 2008 n. 490) “il danno, per essere risarcibile, deve essere certo e non meramente probabile, o comunque deve esservi una rilevante probabilità del risultato utile” e ciò è quello che “distingue la chance risarcibile dalla mera e astratta possibilità del risultato utile, che costituisce aspettativa di fatto, come tale irrisarcibile”.
In tal senso, la giurisprudenza ha ancorato il risarcimento del danno cd. “da perdita di chance” a indefettibili presupposti di certezza dello stesso, escludendo il caso in cui l’atto, ancorché illegittimo, abbia determinato solo la perdita di una “eventualità” di conseguimento del bene della vita. Ed infatti, in tale ultimo caso, risulta pienamente esaustiva la tutela ripristinatoria offerta dall’annullamento e dalle sue conseguenze (in tal senso, Cons. Stato, sez. V, 3 agosto 2004 n. 5440; sez. V, 25 febbraio 2003 n. 1014; sez. VI, 23 luglio 2009 n. 4628; Cass. civ., sez. I, 17 luglio 2007 n. 15947).
In ogni caso, non si è ritenuto configurabile un danno risarcibile per equivalente, allorché, per effetto dell’annullamento del provvedimento amministrativo (nel caso considerato, aggiudicazione), vi sia ripetizione della attività amministrativa, e quindi il ripristino della chance del concorrente (Cons. Stato, sez. V, 8 febbraio 2011 n. 854; 24 gennaio 2011 n. 462; 28 agosto 2009 n. 5105).
In ordine al requisito soggettivo della colpa, questa deve essere valutata tenendo conto dei vizi che inficiano il provvedimento, della gravità delle violazioni ad essa imputabili (anche alla luce del potere discrezionale concretamente esercitato), delle condizioni concrete e dell’apporto eventualmente dato dai privati al procedimento (Cons. Stato, sez. VI, 15 giugno 2009 n. 3827).
Quanto alle “voci” del danno risarcibile, esse sono state, a seconda dei casi, individuate (Cons. Stato, sez. V, n. 491/2008; sez. VI, n. 2384/2010):
a) nel danno emergente, costituito dalle spese e dai costi sostenuti per la preparazione dell’offerta e per la partecipazione alla procedura (secondo Cons. Stato, sez. VI, 21 maggio 2009 n. 3144, solo in caso di illegittima esclusione dalla gara);
b) nel lucro cessante, determinato nel 10% del valore dell’appalto, precisandosi anche che il lucro cessante è innanzi tutto determinato sulla base dell’offerta economica presentata al seggio di gara (Cons. Stato, sez. V, 6 aprile 2009 n. 2143);
c) una ulteriore percentuale del valore dell’appalto, “a titolo di perdita di chance, legata alla impossibilità di far valere, nelle future contrattazioni, il requisito economico pari al valore dell’appalto non eseguito”, cd. “danno curriculare” (in senso conforme, Cons. Stato, sez. VI, 9 giugno 2008 n. 2751; sez. V., 23 luglio 2009 n. 4594; secondo Cons. Stato, sez. VI, n. 3144/2009, la percentuale del “danno curriculare” va calcolata sulla misura del lucro cessante e non già sull’importo dell’appalto);
d) il danno, equitativamente liquidato, per il mancato ammortamento di attrezzature e macchinari;
e) il danno consistente nella perdita di ulteriori occasioni di stipulazione con altri di contratti altrettanto o maggiormente vantaggiosi. Si è tuttavia affermato (Cons. Stato, sez. IV, 14 gennaio 2013 n. 156) che, perché possa costituire evento di danno e quindi presupposto di obbligazione risarcitoria della P.A. tale perdita non deve rappresentarsi come effetto di una scelta imprenditoriale “libera”, anche se dettata da criteri di maggiore convenienza o opportunità, ciò rientrando nella piena disponibilità dell’imprenditore. Al contrario, essa deve costituire la conseguenza di una situazione in cui – per la natura dell’appalto, lo stato della procedura di affidamento, le modalità di esecuzione e i contenuti del contratto da stipularsi – la scelta dell’imprenditore appare “necessitata”, in relazione alle obbligazioni che egli assumerebbe per effetto del contratto alla stipulazione del quale non si è pervenuti per responsabilità dell’amministrazione appaltante.
f) infine, il danno esistenziale, posto che “il diritto all’immagine, concretizzantesi nella considerazione che un soggetto ha di sé e nella reputazione di cui gode, non può essere considerato appannaggio esclusivo della persona fisica e va anzi riconosciuto anche alle persone giuridiche”.
Orbene, come è dato osservare, nelle ipotesi di risarcimento del danno da provvedimento illegittimo (come nel caso del danno subito dal partecipante alla gara secondo classificato che avrebbe dovuto essere aggiudicatario, e che ha quindi subito gli effetti di un provvedimento illegittimo), la prova dell’esistenza del medesimo interviene in base ad una verifica del caso concreto, che faccia concludere per la “certezza” del danno, sussistente sia laddove questo possa essere a tutta evidenza riscontrato, sia laddove vi sia “una rilevante probabilità del risultato utile”.
In definitiva, può affermarsi che, nelle ipotesi di risarcimento del danno da provvedimento illegittimo, la prova dell’esistenza del medesimo interviene in base ad una verifica del caso concreto che faccia concludere per la sua “certezza”, la quale presuppone:
– in primis, l’esistenza di una posizione giuridica sostanziale della quale possa assumersi essere intervenuta una lesione; e laddove vi è esercizio di potere tale posizione sostanziale è l’interesse legittimo;
– in secondo, l’esistenza di una lesione, che sussiste sia laddove questo possa essere a tutta evidenza e concretamente riscontrato, sia laddove vi sia “una rilevante probabilità del risultato utile” frustrata dall’agire illegittimo dell’amministrazione.
Quanto a questo secondo aspetto, l’esame della sussistenza del danno da perdita di chance interviene:
– o attraverso la constatazione in concreto della sua esistenza, ottenuta attraverso elementi probatori (ad esempio, con riferimento alle gare d’appalto, si è in presenza di un contratto eseguito o in esecuzione, che avrebbe dovuto essere certamente eseguito da una diversa impresa, in luogo di quella beneficiaria di aggiudicazione illegittima);
– o attraverso una articolazione di argomentazioni logiche, che, sulla base di un processo deduttivo rigorosamente sorvegliato, inducono a concludere per la sua sussistenza;
– ovvero ancora attraverso un processo deduttivo secondo il criterio, elaborato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, del c.d. “più probabile che non” (Cass. civ., n. 22022/2010), e cioè “alla luce di una regola di giudizio che ben può essere integrata dai dati della comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali” (Cass., sez. III civ., n. 22837/2010).
Nel caso dei procedimenti di gara o di concorso, la posizione giuridica sostanziale del partecipante assurge sicuramente ad interesse legittimo (pretensivo) con riferimento all’ammissione a partecipare alla gara o alle prove del concorso medesimo, ovvero in relazione ad una valutazione delle prove o dell’offerta svolte non immune da vizi di legittimità.
Tali situazioni giuridiche, tuttavia, possono ricevere tutela – sol che il titolare la richieda onerandosi del rispetto delle norme procedurali previste – eminentemente sul piano ripristinatorio, mediante annullamento del provvedimento illegittimo e, prima ancora, mediante l’adozione di provvedimenti cautelari da parte del giudice.
Ciò in quanto, nell’interesse legittimo pretensivo, l’oggetto della posizione, tale da definirne il contenuto sostanziale (nel cd. lato interno della relazione) non è un “bene” già esistente nel patrimonio giuridico del titolare, bensì la stessa possibilità di conseguimento di un utilitas per il tramite dell’esercizio del potere amministrativo (Cons. Stato, sez. IV, 3 agosto 2011 n. 4644).
E’ del tutto evidente che l’illegittimo esercizio del potere comporta un “vulnus” per la posizione giuridica di interesse legittimo. Ma tale vulnus – afferendo, a tutta evidenza, ad una situazione dinamica di possibilità di conseguimento di una utilitas – non può che ricevere riparazione se non per il tramite di una tutela del tipo ripristinatorio, per mezzo, cioè, dell’annullamento dell’atto, che consente il riesercizio del potere amministrativo, e quindi il ristabilirsi della “chanse di conseguimento dell’utilità finale”.
E ciò con la sola eccezione – come affermano le stesse Sezioni Unite della Cassazione (sent. n. 6594/2011, ma in tal senso già la sent. n. 500/1999) – di ipotesi di istanze obiettivamente fondate, tali definibili sulla base della situazione concreta dell’istante, dell’assetto normativo applicabile al caso di specie, e del concreto modus agendi, in ipotesi analoghe, della Pubblica Amministrazione.
In questo senso deve essere interpretata anche quella giurisprudenza (Cons. St., Ad. Plen., 5 settembre 2005 n. 6), che afferma come “anche con riferimento alla perdita di altre occasioni da parte dell’impresa, sembra preferibile conformarsi al criterio equitativo . . . (già adottato qualche volta dalla giurisprudenza amministrativa), riconoscimento al concorrente dell’utile economico che sarebbe derivato dalla gestione del servizio messo in gara nella misura del 10% dell’ammontare dell’offerta”, o che aggiunge altre voci di danno risarcibile, tra le quali il cd. danno curriculare (Cons. Stato, sez. VI, 9 giugno 2008 n. 2751; sez. V., 23 luglio 2009 n. 4594).
Nel caso di esclusione dalla gara, al fine di ottenere il risarcimento del danno da perdita di chance, occorre fornire prova certa in ordine alla circostanza che l’offerta del concorrente illegittimamente escluso sarebbe stata quella che avrebbe comportato l’attribuzione dell’aggiudicazione al concorrente medesimo, di modo che questi si vede privato sia del “lucro”, derivante dall’esecuzione del contratto, sia dell’acquisizione di un elemento curriculare positivo, da far valere in ulteriori e successive procedure di gara.
Il risultato interpretativo ora esposto non costituisce, peraltro, una “singolarità” dell’interesse legittimo e delle sue possibilità di tutela risarcitoria.
Al contrario, esso sembra trovare indiretta conferma nella giurisprudenza, anche del giudice civile, in tema di responsabilità precontrattuale, dove (peraltro con ben più accentuato fondamento) uno dei potenziali contraenti confida nella positiva conclusione del contratto.
Ebbene, in questi casi – che pure sono fondati sul ben più pregnante affidamento ingenerato in uno dei potenziali contraenti dal comportamento dell’altra parte, e per i quali non è ovviamente prevista alcuna altra forma di tutela, e segnatamente quella ripristinatoria – la giurisprudenza àncora il risarcimento del danno al cd. “danno emergente per spese sostenute” (oltre alle eventuali occasioni contrattuali perse, in ordine alle quali occorre fornire prova rigorosa); e ciò in quanto questo si colloca nei limiti del cd. interesse negativo, e cioè dell’interesse del soggetto a non essere leso nell’esercizio della sua libertà negoziale (Cass. civ., Sez. Un., 11 gennaio 1977 n. 73; Cons. Stato, sez. VI, 17 dicembre 2008 n. 6264). Esula, dunque, dalla ricostruzione del danno risarcibile, ogni profilo di “lucro cessante” (cui occorre riportare il danno da perdita di chance).
8. Alla luce delle considerazioni esposte, deve essere rigettato il quarto motivo di appello dell’amministrazione, posto che, per un verso, non si manifestano cause di esclusione della responsabilità risarcitoria, derivanti da incertezze interpretative. Al contrario, il procedimento si connota per una duplicità di atti illegittimi, ambedue incidenti nella sfera giuridica della soc. Pa.Co.:
– il primo, consistente nella illegittima esclusione di questa dalla gara (danno riparato per il tramite della disposta tutela ripristinatoria cautelare);
– il secondo, consistente nella consentita partecipazione alla gara sia dell’impresa aggiudicataria, sia dell’impresa seconda classificata, con ciò determinando il mancato conseguimento dell’aggiudicazione (e la mancata successiva stipulazione del contratto) da parte della soc. Pa.Co..
Quanto alla “certezza” del danno, secondo i criteri sopra riportati, essa risulta pienamente comprovata dalla stipulazione ed esecuzione del contratto con impresa che non avrebbe dovuto essere, per le ragioni esposte, legittima parte contrattuale della Pubblica Amministrazione.
Le considerazioni ora rappresentate consentono anche di accogliere l’appello incidentale della soc. Pa.Co., limitatamente al profilo del I motivo (sub e) dell’esposizione in fatto), con il quale si lamenta la “decurtazione” del “lucro cessante”, dalla percentuale del 10% dell’importo a base d’asta decurtato della percentuale di ribasso risultante dall’offerta dell’impresa, a quella del 5% “del prezzo offerto dalla ricorrente per lavori e progettazione”. E ciò in quanto vi sarebbe stata “liberazione” delle risorse dell’impresa “in modo da consentire la percezione di un utile alternativo”.
Ed infatti – come già enunciato da questa Sezione (sent. n. 156/2013 cit.) – la perdita di ulteriori occasioni di stipulazione con altri di contratti altrettanto o maggiormente vantaggiosi., perché possa costituire evento di danno e quindi presupposto di obbligazione risarcitoria della P.A. non deve rappresentarsi come effetto di una scelta imprenditoriale “libera”, anche se dettata da criteri di maggiore convenienza o opportunità (ciò rientrando nella piena disponibilità dell’imprenditore). Al contrario, essa deve costituire la conseguenza di una situazione in cui – per la natura dell’appalto, lo stato della procedura di affidamento, le modalità di esecuzione e i contenuti del contratto da stipularsi – la scelta dell’imprenditore appare “necessitata”, in relazione alle obbligazioni che egli assumerebbe per effetto del contratto alla stipulazione del quale non si è (con lui) pervenuti per responsabilità dell’amministrazione appaltante.
Ciò però significa, specularmente, che la possibilità per l’imprenditore di stipulare ulteriori contratti, per effetto di una affermata “liberazione” delle risorse imprenditoriali da mancata stipulazione del contratto in oggetto, non può rilevare come elemento di riduzione della somma ormai costantemente riconosciuta dalla giurisprudenza quale risarcimento del lucro cessante per mancata stipula del contratto, eseguito invece da altra ditta.
Occorre, dunque, convenire con l’appellante incidentale laddove afferma che il ricavo di una commessa non “esclude che si possa guadagnare contemporaneamente da una o più altre commesse, per cui la mancata esecuzione di un contratto comporta la perdita piena dell’utile previsto per quel contratto, indipendentemente dalla circostanza che, contestualmente, quella determinata impresa abbia o meno in corso l’esecuzione di altri lavori”.
L’ulteriore motivo di appello incidentale proposto (sub f) dell’esposizione in fatto), non può essere, invece, accolto, né, più in generale, possono trovare accoglimento le doglianze della società Pa.Co. in ordine ad una diversa (e per essa impresa migliorativa) quantificazione delle voci di danno riconosciute.
Ed infatti, alla luce delle considerazioni sopra esposte, appaiono evidenti le ragioni in virtù delle quali il Collegio ritiene che – una volta riconosciuto il lucro cessante da mancata esecuzione del contratto (nella misura nella presente sede riconosciuta) ed il cd. danno curriculare – non sussista fondamento per il riconoscimento di “voci” ulteriori di danno, posto che la misura dell’ “utile” riconosciuto in via “virtuale” non può che assorbire ulteriori voci (spese di partecipazione, spese generali, costo di personale e mezzi immobilizzati) funzionali proprio al conseguimento del ricavo da attività imprenditoriale esercitata (in relazione alla riconoscibilità del danno consistente nelle spese di partecipazione alla gara solo in caso di esclusione, Cons. Stato, sez. VI, n. 3144/2009 cit.).
Diversamente opinando, si produce un arricchimento privo di causa dell’imprenditore, determinandosi una percezione di somme che – afferendo lato sensu ai costi dell’attività di impresa al fine del conseguimento dell’utile – risultano necessariamente ricomprese (e ripagate) dalla percezione dell’utile derivante dalla esecuzione del contratto. Di modo che, una volta che tale utile venga equitativamente determinato, non può farsi luogo al riconoscimento di “voci” afferenti a spese tutte relative al conseguimento del contratto ed alla sua esecuzione.
Infine, quanto alla misura del “danno curriculare”, la stessa appare congrua, non apportando l’appellante incidentale (v. pagg. 23 – 24 app.) ragioni sorrette probatoriamente, tali da definire diversamente la somma equitativamente liquidata
In definitiva, fermo quanto statuito dalla sentenza di I grado (non modificabile in difetto di motivi di impugnazione specificamente riferiti al quantum), non sussistono ragioni per l’accoglimento delle domande volte ad ottenere una diversa (e migliorativa) quantificazione delle voci suddette.
Per le ragioni sin qui esposte, l’appello incidentale della soc. Pa.Co. deve essere accolto, nei limiti sopra descritti.
Stante la natura delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sugli appelli proposti dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (nn. 9328/2011 e 20/2012 r.g.):
a) riunisce gli appelli e li rigetta, per l’effetto confermando, in relazione ai motivi con gli stessi proposti, la sentenza impugnata;
b) accoglie l’appello incidentale della soc. Pa.Co., nei sensi e limiti di cui in motivazione;
c) compensa tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 novembre 2012 con l’intervento dei magistrati:
Gaetano Trotta, Presidente
Raffaele Greco, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere
Fulvio Rocco, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/02/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)