* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Opere abusive in aree soggette a vincolo (nella specie, idrogeologico) – Ordine di rimessione in pristino – Comune e Autorità preposta al vincolo – Concorrenza di potere – Art. 35 T.U. n. 380/2001.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 4^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 20 Settembre 2012
Numero: 5030
Data di udienza: 12 Giugno 2012
Presidente: Numerico
Estensore: Romano
Premassima
* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Opere abusive in aree soggette a vincolo (nella specie, idrogeologico) – Ordine di rimessione in pristino – Comune e Autorità preposta al vincolo – Concorrenza di potere – Art. 35 T.U. n. 380/2001.
Massima
CONSIGLIO DI STATO, sez. 4^ – 20 settembre 2012, n. 5030
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Opere abusive in aree soggette a vincolo (nella specie, idrogeologico) – Ordine di rimessione in pristino – Comune e Autorità preposta al vincolo – Concorrenza di potere – Art. 35 T.U. n. 380/2001.
Il potere di ordinare la rimessione in pristino di aree soggette a vincolo, nella specie idrogeologico, compete non soltanto al Comune nel cui territorio si trova l’area sulla quale è stata realizzata l’opera abusiva, ma anche all’Autorità preposta al vincolo, la quale esercita poteri autonomi a tutela degli interessi pubblici ad essa affidati, onde garantire che lo stesso vincolo abbia valenza ed effetti sostanziali e non meramente formali. La giurisprudenza riconosce, infatti, la concorrenza del potere dell’Autorità preposta al vincolo e dell’ente nel cui territorio sia stato commesso l’abuso edilizio, convergendo gli interessi pubblici in gioco, concernenti la tutela del territorio da parte dell’ente locale competente, in attuazione dei vari livelli di pianificazione urbanistica ed edilizia vigenti nel territorio stesso, e la tutela del vincolo attraverso il quale si è voluto garantire quel determinato bene. Ciò perché, ai sensi dell’art. 35 del T.U. n. 380 del 2001, disciplinante gli interventi abusivi realizzati su suoli di proprietà dello Stato o di enti pubblici, “…Resta fermo il potere di autotutela dello Stato e degli enti pubblici territoriali, nonché quello di altri enti pubblici…”.
(Conferma T.A.R. Puglia, Lecce, n. 1869/2006) – Pres. Numerico, Est. Romano – C. s.a.s. (avv. Relleva) c. Regione Puglia (avv. Stefanizzo)
Allegato
Titolo Completo
CONSIGLIO DI STATO, sez. 4^ - 20 settembre 2012, n. 5030SENTENZA
CONSIGLIO DI STATO, sez. 4^ – 20 settembre 2012, n. 5030
N. 05030/2012REG.PROV.COLL.
N. 05956/2006 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5956 del 2006, proposto dalla:
Canneto Beach s.a.s., rappresentata e difesa dall’avv. Piero G. Relleva, con domicilio eletto presso lo studio del medesimo difensore, in Roma, via Cosseria, n. 2;
contro
la Regione Puglia, rappresentata e difesa dall’avv. Nicola Stefanizzo, con domicilio eletto presso l’avv. Alessandro D’Avack, in Roma, via del Tritone, n. 169;
nei confronti di
Comune di Leporano, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Puglia – sede distaccata di Lecce – Sezione I – n. 1869 del 7 aprile 2006, resa tra le parti, concernente parere contrario alla compatibilita’ ambientale di opere relative a stabilimento balneare.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto il controricorso con il quale la Regione Puglia si è costituita in giudizio;
Vista la memoria prodotta dalla Regione Puglia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 giugno 2012 il Cons. Guido Romano e udito per la parte appellante, l’avv. Angelo G. Orofino, in sostituzione dell’avv. Piero G. Relleva;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. – E’impugnata la sentenza del TAR Puglia, sezione distaccata di Lecce n. 1869 del 7 aprile 2006, con la quale è stato rigettato il ricorso proposto dalla Canneto Beach s.a.s. (di seguito, per brevità: la Società) per l’annullamento del parere n. 2303 del 15 dicembre 2004 di diniego dell’autorizzazione idrogeologica per opere edilizie eseguite abusivamente all’interno dello stabilimento balneare di proprietà della ricorrente società.
La motivazione di detta sentenza può essere così riassunta:
– è infondato il primo motivo di ricorso, denunziante l’incompetenza della Regione Puglia, poiché l’oggetto sostanziale della norma della legge regionale n. 18 del 30 novembre 2000 invocata dal ricorrente, tenuto conto del quadro normativo di leggi statali di trasferimento di deleghe alle Regioni (RDL n. 3267 del 1923 e legge n. 11 del 1972, nonché d.P.R. n. 616 del 1977), non è rappresentato dall’intero novero delle competenze in materia di vincoli idrogeologici, bensì dal solo settore delle competenze (anche in campo idrogeologico) insistenti nella più limitata materia dei boschi e delle foreste, che è materia, quest’ultima, estranea alle vicende di causa;
– è infondato il secondo motivo perché è nella competenza propria dell’Autorità preposta al vincolo esplicare tutti i poteri concernenti la tutela imposta con il vincolo stesso (nella specie idrogeologico ed in primis quello autorizzatorio) che sono esternati con un atto non avente valore esclusivamente endoprocedimentale, bensì di atto costituente presupposto necessario per l’esercizio da parte dell’autorità comunale dei propri poteri in materia (di sanatoria nel caso in esame) edilizia;
– è infondato il terzo motivo poiché, per loro consistenza e per il fatto di avere modificato il naturale assetto anche paesaggistico del territorio (nella specie arenile con macchia mediterranea), non sembra illogico che l’Amministrazione posta a tutela del vincolo abbia ritenute le opere murarie realizzate nella fattispecie in palese contrasto con il vincolo idrogeologico;
– è infondato, infine, anche il quarto ed ultimo motivo di ricorso, tenuto conto che, per un verso, non è irrazionale che l’Autorità preposta al vincolo abbia avuto presente che talune opere risultavano già condonate e, per altro verso, che la condizione di dette ultime opere non comporta automaticamente la sanabilità anche delle altre opere prive di condono.
2. – Con l’appello in epigrafe la Società ha chiesto la riforma della predetta sentenza per i seguenti motivi:
i) – il TAR, al fine di respingere il primo motivo di ricorso, denunziante “…l’incompetenza assoluta della Regione Puglia, alla quale non spetta il potere di chiedere il ripristino dello stato dei luoghi alla società che ha proposto istanza per ottenere la concessione edilizia in sanatoria…”, avrebbe proceduto ad “…un’interpretazione estensiva della legge, attribuendo delle competenze nuove ad enti aventi cognizioni parziarie rispetto al bene ed interesse pubblico tutelato…”, in violazione del “…principio di legalità, in ossequio del quale vige il principio di tipicità e nominatività dell’atto amministrativo…”; all’atto contestato, pertanto, la Regione avrebbe attribuito una valenza autoritativa non prevista dalla legge;
ii) – il TAR, inoltre, avrebbe prestato la motivazione al provvedimento impugnato, anche laddove ha affermato che le opere in contestazione sarebbero non amovibili e di non facile rimozione, senza peraltro avvalersi di una consulenza tecnica e facendo riferimento a circostanze fattuali che non risulterebbero “…da alcuna documentazione e, comunque, sono anteriori all’inizio della gestione della Cannetto Beach s.a.s. che risale agli anni settanta…”; avrebbe fatto riferimento, genericamente, a risultanze documentali che “…viziano la sentenza per indeterminatezza…”, specialmente laddove essa fa riferimento alla “…presunta progressiva eliminazione di vegetazione arborea ed arbustiva della macchia mediterranea…” che, peraltro, sarebbe anche inconferente “…atteso che gli edifici in questione sono vecchissimi siccome risalenti agli anni sessanta…”;
iii) – il TAR, infine, avrebbe nuovamente prestato la motivazione al parere impugnato anche laddove ha esso individuato le ragioni per le quali il diniego sarebbe stato opposto soltanto per talune opere e non anche per altre pur esistenti; inoltre, il ragionamento seguito si sarebbe potuto considerare valido se si fosse trattato di opere della medesima consistenza, ma erette in tempi diversi, cosa invece non ricorrente nella fattispecie; in sintesi, la sentenza non avrebbe dato risposta alla domanda principale “…che riguarda il motivo per cui delle strutture insistenti su quei luoghi dagli anni 70, che sono state realizzate in piena compatibilità con la vegetazione preesistente, non sono state giudicate idonee ad essere oggetto di concessione edilizia in sanatoria…”.
3. – Dei soggetti evocati nel presente grado di giudizio si è costituita soltanto la Regione Puglia, che con controricorso e successiva memoria ha chiesto il rigetto dell’appello siccome palesemente infondato.
4. – All’udienza pubblica del 12 giugno 2012 l’appello è stato assegnato a decisione.
5. – Preliminarmente, deve rilevare il Collegio come l’assenza di ogni specifica e puntuale critica alla decisione assunta dal Giudice territoriale sul primo motivo di ricorso di primo grado, inerente l’asserita incompetenza della Regione all’adozione dell’atto contestato, comporta che su tale parte della sentenza impugnata si è formato, per sostanziale acquiescenza alla relativa statuizione, il giudicato.
Inoltre, giova chiarire che la stessa critica, quand’anche potesse ritenersi, in via di mera ipotesi, comunque ricavabile dall’intero contenuto espositivo dell’appello in esame, essa sarebbe in ogni caso non condivisibile per le stesse ragioni già perspicuamente formulate sul punto dal TAR che il Collegio interamente condivide e, quindi, fa proprie.
6. – Tutto ciò precisato, può darsi ingresso all’esame dei motivi di impugnazione proposti dalla Società che sono tutti infondati per le seguenti considerazioni.
6.1 – In linea generale, è opportuno ricordare che si controverte tra le parti della correttezza o meno della sentenza in epigrafe indicata, con la quale l’adito Giudice territoriale ha rigettato il ricorso proposto dalla Società per l’annullamento del parere negativo (n. 2303 del 15 dicembre 2004) espresso dalla Regione Puglia in relazione alla richiesta di autorizzazione idrogeologica, formulata dalla Società stessa, per opere edilizie eseguite abusivamente all’interno dello stabilimento balneare di sua proprietà e fatte oggetto di domanda di sanatoria.
6.2 – Con il primo dei motivi di impugnazione articolati la Società critica la sentenza in esame perché il Giudicante di primo grado avrebbe errato ad interpretare la L.R. n. 18 del 2000, laddove, in violazione del principio di legalità e del principio di tipicità e nominatività degli atti amministrativi, avrebbe riconosciuto al contestato parere regionale un carattere autoritativo (che, invece, non avrebbe per essere atto a natura meramente endoprocedimentale) volto a legittimare il ripristino dello stato dei luoghi imposto con lo stesso parere, pur in assenza di ogni previsione di legge al riguardo; la competenza, al riguardo, spetterebbe, in breve, al Comune di Leporano rientrando il parere stesso nel procedimento di sanatoria edilizia.
La tesi non può essere condivisa.
Il potere di ordinare la rimessione in pristino di aree soggette a vincolo, nella specie idrogeologico, compete non soltanto al Comune nel cui territorio si trova l’area sulla quale è stata realizzata l’opera abusiva, ma anche all’Autorità preposta al vincolo, la quale esercita poteri autonomi a tutela degli interessi pubblici ad essa affidati, onde garantire che lo stesso vincolo abbia valenza ed effetti sostanziali e non meramente formali.
La giurisprudenza riconosce, come esattamente ha posto in evidenza il primo Giudice, la concorrenza del potere dell’Autorità preposta al vincolo e dell’ente nel cui territorio sia stato commesso l’abuso edilizio, convergendo gli interessi pubblici in gioco, concernenti la tutela del territorio da parte dell’ente locale competente, in attuazione dei vari livelli di pianificazione urbanistica ed edilizia vigenti nel territorio stesso, e la tutela del vincolo attraverso il quale si è voluto garantire quel determinato bene, nella specie consistente nell’integrità idrogeologica dell’arenile del Comune di Leporano, inciso dalle costruzioni abusivamente realizzate sullo stesso dalla Società (ed alle quali è riferito il contestato parere) comportanti una sostanziale trasformazione dei luoghi, peraltro già aggravati, questi ultimi, da precedenti abusi edilizi poi condonati.
Ciò perché, ai sensi dell’art. 35 del T.U. n. 380 del 2001, disciplinante gli interventi abusivi realizzati su suoli di proprietà dello Stato o di enti pubblici, “…Resta fermo il potere di autotutela dello Stato e degli enti pubblici territoriali, nonché quello di altri enti pubblici…”.
Né a validamente contrastare le conclusioni sin qui raggiunte sono utili le deduzioni della Società sulla natura giuridica del parere contestato, non essendo revocabile in dubbio, da un lato, la valenza sostanzialmente provvedimentale dello stesso, in ragione della rilevanza ed incidenza attribuitagli dalla legge nell’economia del procedimento di sanatoria di abusi commessi sul demanio dello Stato (arenile del mare), sol che si pensi che, in sua carenza, ovvero in presenza di una sua formulazione negativa, come nella specie, il procedimento stesso di sanatoria si arresta definitivamente; dall’altro, la (conseguente) natura di atto sostanzialmente vincolante le scelte finali rimesse all’Autorità comunale in ordine alla domanda di sanatoria edilizia.
Ne discende che del tutto erroneamente l’appellante Società attribuisce un rilievo maggiore alla mera collocazione formale del parere all’interno del procedimento di sanatoria, rispetto agli elementi che ne integrano la sostanza dispositiva e che ne denotano ragionevolmente i correlativi poteri esercitati dall’Autorità chiamata ad esprimerlo.
6.3 – A non diversa sorte, poi, deve soggiacere anche il secondo motivo di impugnazione, perché la motivazione dell’impugnato parere è sufficiente e congrua, anche nei suoi riferimenti fattuali, per cui non possono non condividersi le argomentazioni al riguardo svolte dal primo Giudice.
Diversamente da quanto sostenuto con il motivo in esame, sono le affermazioni della Soietà che non trovano riscontro alla stregua delle attuali risultanze di causa, in disparte il rilievo che le opere abusivamente realizzate sono di tale oggettiva evidenza e consistenza da escludere la possibilità di una valutazione delle stesse diversa da quella effettuata dal competente Ispettorato Regionale nel caso in esame.
E’ innegabile, invero, che la parte di arenile in questione sia stata irreversibilmente trasformata poiché la sua consistenza e qualità originaria (si pensi ad es. all’eliminazione della vegetazione arborea ed arbustiva tipica della macchia mediterranea) è stata oggettivamente stravolta da opere edilizie che, seppur aggiunte ad altre altrettanto abusivamente realizzate in precedenza, vanno comunque valutate nella loro consistenza attuale, attesa la delicatezza dell’equilibrio naturale tutelato con il vincolo idrogeologico.
Nella specie, come esattamente rilevato dal primo Giudice, le valutazioni dell’Amministrazione regionale sono state correttamente fondate sulle caratteristiche costruttive dei manufatti e trovano peraltro riscontro nella documentazione, anche fotografica, esibita dalla stessa Società, che giustifica ancor più razionalmente la finale decisione di ritenerle incompatibili con la tutela del vincolo idrogeologico esistente.
6.4 – Infine, quanto alla terza delle critiche mosse alla sentenza impugnata, con la quale l’appellante si duole che il TAR non abbia considerato come le opere contestate siano certamente di minore consistenza ed impatto, rispetto a quelle precedentemente realizzate sullo stesso arenile e nello stesso stabilimento balneare, che pure sono state ritenute conformi a legge ed ammesse a condono edilizio (in particolare, “…opere in muratura con fondamenta in cemento armato, esprimenti consistenti volumetrie ed inamovibili…”), non può non evidenziare il Collegio come la pacifica e condivisibile giurisprudenza del Giudice Amministrativo sostenga ormai da tempo che l’eventuale sanatoria di altre opere edilizie precedentemente realizzate in maniera abusiva, rispetto a quelle contestate, non condiziona in alcun modo le valutazioni dell’Amministrazione sulle seconde, essendo le une autonome e distinte dalle altre e non potendo mai assumersi a parametro di giustizia atti e fatti comunque realizzati contra legem.
7. – In conclusione, l’appello deve essere rigettato per la evidente infondatezza di tutti i motivi di impugnazione proposti dalla Società appellante, con conseguente conferma, anche nella motivazione, della sentenza di primo grado.
8. – Quanto alle spese del presente grado di giudizio, le stesse, in applicazione dei principi ricavabili dall’art. 26 del C.P.A., devono essere poste a carico della soccombente Società e liquidate, nella misura indicata in dispositivo, in favore della resistente Regione Puglia.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 5956 del 2006, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Condanna la soccombente Canneto Beach s.a.s., in persona del suo legale rappresentante in carica, al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida, in favore della Regione Puglia, in euro 5.000,00 (euro cinquemila/00), oltre competenze tutte di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 giugno 2012 con l’intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere
Guido Romano, Consigliere, Estensore
Andrea Migliozzi, Consigliere
Fulvio Rocco, Consigliere
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 20/09/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)