* RIFIUTI – Impianti di smaltimento e recupero – Rispetto delle condizioni e norme tecniche di cui al D.M. 5 febbraio 1998 – Ammissibilità alla procedura semplificata – Modifica sostanziale – Impianti con capacità complessiva superiore al 10/t giorno – Deroga alla disciplina di VIA e screening ambientale – Esclusione – Allegato IV alla parte seconda del d.lgs. n. 152/2206 – Distinzione tra impianti industriali e attività di recupero di rifiuti ai fini dell’assoggettabilità alla procedura di screening – Infondatezza.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 5^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 24 Novembre 2011
Numero: 6221
Data di udienza: 28 Giugno 2011
Presidente: Piscitello
Estensore: Saltelli
Premassima
* RIFIUTI – Impianti di smaltimento e recupero – Rispetto delle condizioni e norme tecniche di cui al D.M. 5 febbraio 1998 – Ammissibilità alla procedura semplificata – Modifica sostanziale – Impianti con capacità complessiva superiore al 10/t giorno – Deroga alla disciplina di VIA e screening ambientale – Esclusione – Allegato IV alla parte seconda del d.lgs. n. 152/2206 – Distinzione tra impianti industriali e attività di recupero di rifiuti ai fini dell’assoggettabilità alla procedura di screening – Infondatezza.
Massima
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 5^ – 24 novembre 2011, n. 6221
RIFIUTI – Impianti di smaltimento e recupero – Rispetto delle condizioni e norme tecniche di cui al D.M. 5 febbraio 1998 – Ammissibilità alla procedura semplificata – Modifica sostanziale – Impianti con capacità complessiva superiore al 10/t giorno – Deroga alla disciplina di VIA e screening ambientale – Esclusione – Allegato IV alla parte seconda del d.lgs. n. 152/2206.
Il rispetto delle condizioni e delle norme tecniche contenute nel D.M. 5 febbraio 1998 riguarda solo l’ammissibilità alla procedura semplificata, ma non implica alcuna deroga alla disciplina della V.I.A. ed alla procedura di screening ambientale: è la stessa normativa (cfr. dall’allegato IV alla parte seconda del D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152) a prevedere l’assoggettamento alla procedura di screening di un impianto di smaltimento e recupero di rifiuti non pericolosi che abbia una capacità complessiva superiore a 10/t giorno, mediante operazione di cui all’allegato C, lettere da R1 a R9, della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e la cui (nuova) attività costituisca modifica sostanziale (per potenziamento) di quella precedentemente esercitata.
Pres. Piscitello, Est. Saltelli – S. s.p.a. (avv.ti Pittalis e Roversi Monaco) c. Regione Emilia Romagna (avv.ti Manzi e Oppi) e Provincia di Forlì – Cesena (avv.ti Mascioli e Dacci) – (Conferma T.A.R. EMILIA-ROMAGNA – Bologna, Sez. II, n. 8012/2010)
RIFIUTI – Distinzione tra impianti industriali e attività di recupero di rifiuti ai fini dell’assoggettabilità alla procedura di screening – Infondatezza.
Non ha alcuna logica, ragionevole, oltre che positiva (artt. 181 e 183, lett. a e h d.lgs. n. 152/2006) giustificazione la distinzione fra impianti industriali (nella specie: stabilimento di produzione di conglomerato bituminoso, con utilizzo di rifiuti nel ciclo produttivo) e attività di recupero di rifiuti, da cui far dipendere l’assoggettabilità alla procedura di screening, tanto più che in ragione degli interessi pubblici tutelati (salute umana e ambiente) con l’assoggettabilità alla procedura di verifica (art. 20 d.lgs. n. 152/2006) o alla procedura di V.I.A., ciò che rileva è l’aspetto sostanziale della questione -utilizzazione di rifiuti – e non già i meri elementi definitori.
Pres. Piscitello, Est. Saltelli – S. s.p.a. (avv.ti Pittalis e Roversi Monaco) c. Regione Emilia Romagna (avv.ti Manzi e Oppi) e Provincia di Forlì – Cesena (avv.ti Mascioli e Dacci) – (Conferma T.A.R. EMILIA-ROMAGNA – Bologna, Sez. II, n. 8012/2010)
Allegato
Titolo Completo
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 5^ - 24 novembre 2011, n. 6221SENTENZA
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 5^ – 24 novembre 2011, n. 6221
N. 06221/2011REG.PROV.COLL.
N. 00550/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 550 del 2011, proposto da:
SOCIETA’ SINTESIS S.P.A., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. Gualtiero Pittalis e Maria Giulia Roversi Monaco, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18;
contro
REGIONE EMILIA ROMAGNA, in persona del Presidente della giunta regionale in carica, rappresentata e difesa dagli avv. Andrea Manzi e Daniela Oppi, con domicilio eletto presso l’avv. Andrea Manzi in Roma, via Confalonieri, n. 5;
PROVINCIA DI FORLI’ – CESENA, in persona del Presidente della giunta provinciale in carica, rappresentata e difesa dagli avv. Guido Mascioli e Giampaolo Dacci, con domicilio eletto presso Maurizio Cucciolla in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA – BOLOGNA, Sez. II, n. 8012 del 27 ottobre 2010, resa tra le parti, concernente DIVIETO DI INIZIO ATTIVITÀ RECUPERO RIFIUTI PERICOLOSI;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Emilia Romagna e della Provincia di Forli’ – Cesena;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 giugno 2011 il Cons. Carlo Saltelli e uditi per le parti gli avvocati Pittalis, Manzi e Mascioli;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
1. Sintesis S.p.A. (titolare di un impianto di produzione di conglomerato bituminoso, in possesso di autorizzazione della Provincia di Forlì – Cesena, ai sensi del D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, per le emissioni in atmosfera derivanti dall’attività di produzione di conglomerato bituminoso ed iscritta nel registro delle imprese che effettuano operazioni di recupero rifiuti ai sensi degli artt. 31 e 33 del D. Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, e del D.M. 5 febbraio 1998) con istanza in data 19 maggio 2009 comunicava alla Provincia di Forlì – Cesena (Servizio Ambiente e Sicurezza del Territorio – Ufficio Pianificazione e Gestione Rifiuti), ai sensi dell’art. 216, comma 5, del D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, di voler variare “…nel rispetto dei termini di legge, l’attività di recupero rifiuti”, escludendo dall’attività di recupero la tipologia 7.25 e aumentando complessivamente la quantità di rifiuti avviati in R5, da 45.000 t/anno a 75.230 t/anno (tipologia 4.4. – 25.000 t/anno, tipologia 7.6 – 50.230 t/anno).
L’Amministrazione provinciale, data formale notizia dell’avvio del procedimento con nota prot. 67324/09 del 16 luglio 2009, comunicava ai sensi dell’art. 10 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, l’esistenza di motivi ostativi all’accoglimento della richiesta, essendo necessario l’espletamento della procedura di verifica di assoggettabilità (screening) prevista nella parte seconda del D. Lgs. n. 3 aprile 2006, n. 152, verifica cui la società interessata si opponeva, formulando osservazioni e controdeduzioni, giusta nota in data 31 luglio 2009, con cui invocava l’applicazione della nota Reg. Pg/2009/49760 del 27 febbraio 2009 della Regione Emilia Romagna – Assessorato all’Ambiente e Sviluppo Sostenibile (recante “Indicazioni in merito all’attuazione delle procedure in materia di VAS e VIA a seguito della mancata approvazione di norme regionali di attuazione della Parte Seconda del D. Lgs. 152/06 come modificato dal D. Lgs. n. 4, relativa a VAS, VIA e IPPC entro il 13 febbraio 2009”).
Con coeva nota la predetta società chiedeva alla Regione Emilia – Romagna la conferma di non assoggettabilità a procedura di verifica (screening) dell’attività oggetto della comunicazione del 19 maggio 2009.
La Regione Emilia Romagna con nota prot. n. 123 del 21 settembre 2009 (prot. 2009 – 0206440 del 18 settembre 2009 del Responsabile del Servizio Valutazione Impatto e Promozione Sostenibilità Ambientale), in relazione ai pareri chiesti sul caso in esame da Sintesis S.p.A. e dalla stessa Provincia di Forlì – Cesena, rilevava che la variazione di attività comunicata con la nota del 19 maggio 2009 costituiva “…ampliamento dell’impianto ai sensi del combinato disposto dell’art. 5, comma 1, lett. 1 bis) e dell’art. 20, comma 6, del D. Lgs. 152/06, come modificato dal D. Lgs. 4/08, in quanto, anche se l’impianto precedentemente autorizzato rimane invariato, viene aumentato il quantitativo di rifiuti avviato a trattamento”, con la conseguenza della necessaria sottoposizione alla procedura di screening “ai sensi della LR 9/99 integrata con le modifiche apportate dal D. Lgs. 152/06, come modificato dal D. Lgs. 4/08 di competenza regionale in quanto l’impianto ricade al punto 7, comma z.b) dell’allegato IV del D. Lgs. 152/06 come modificato dal D. Lgs. 4/08”; tale avviso veniva confermato con la nota prot. 132 del 12 ottobre 2009, anche a seguito delle ulteriori osservazioni e controdeduzioni svolte da Sintesis S.p.A..
La Provincia di Forlì – Cesena pertanto con atto n. 546 del 14 ottobre 2009 disponeva l’archiviazione della comunicazione in data 19 maggio 2009 della Sintesi S.p.A.
2. Il Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna, sez. II, con la sentenza n. 8012 del 27 ottobre 2010 ha respinto il ricorso proposto dalla società Sintesis S.p.A. per l’annullamento dei ricordati provvedimenti (atto n. 546 del 14 ottobre 2009 con relativa nota di comunicazione prot. n. 99282/09 del 14 ottobre 2009 della Provincia di Forlì – Cesena; note della Regione Emilia – Romagna P.G. 2009/206440 del 18 settembre 2009 e P.G. 2009/228858 del 12 ottobre 2009 e note della Provincia di Forlì – Cesena prot. 67324/09 del 16 luglio 2009 e prot. 76498 del 7 agosto 2009), ritenendo infondati tutti i motivi di censura sollevati, incentrati sulla “Violazione di legge per violazione e falsa applicazione degli artt. 178, 214 e 216 del D. Lgs. 3.4.2006, n. 152 – Violazione del D.M. 5.4.2006 – Violazione dell’art. 11 della direttiva 91/156/CEE – Eccesso di potere per falso presupposto di fatto e di diritto” (primo motivo); “Violazione di legge per violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 20 del D. Lgs. 3.4.2006 n. 152 e dell’allegato IV alla parte seconda dello stesso D. Lgs. n. 152/06 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 4 e dell’allegato B.1 alla legge regionale Emilia – Romagna 18.5.1999, n. 9 – Eccesso di potere per falso presupposto di diritto e di fatto – Eccesso di potere per contraddittorietà manifesta – Violazione degli artt. 1, 3, 6 della legge 7 agosto 1990, n. 241 – Eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria” (secondo motivo); “Violazione degli artt. 41, 98, 118 Cost. – Violazione degli artt. 4, 10, 81 e ss. Trattato CE – Violazione del principio di proporzionalità, adeguatezza e buon andamento” (terzo motivo) e “Violazione degli artt. 1, 3, 6 della legge 7 agosto 1990, n. 2441 – Eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria – Violazione dell’art. 97 Cost.” (quarto motivo).
In sintesi, secondo il predetto tribunale, l’attività che la società ricorrente pretendeva di esercitare non rientrava tra quelle di cui al regime di procedura semplificata ex art. 216 del D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, e doveva pertanto essere assoggettata a screening ambientale ai sensi dell’art. 20 del predetto D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, allegato 4, punto 7 z) b) e punto 8 A), come correttamente rilevato dalle intimate amministrazioni, a nulla rilevando che la ricorrente non esercitasse un impianto di recupero rifiuti a ciò puntualmente destinato, ma riutilizzasse i rifiuti nel ciclo produttivo del conglomerato bituminoso, in quanto non poteva condividersi l’assunto secondo cui l’aumento quantitativo dei rifiuti da recuperare non costituisse modifica sostanziale dell’impianto, ma solo un maggiore sfruttamento produttivo nell’ambito delle sue capacità; ciò che rilevava del resto erano le sole nozioni di “rifiuto” (art. 183, comma 1, lett. a), D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152) e “recupero” (art. 183, comma 1, lett. h), così che non poteva dubitarsi che l’impianto della ricorrente era da qualificarsi quale impianto di recupero di rifiuti, mentre l’aumento della capacità di recupero costituiva ampliamento dell’impianto stesso (ricavabile dal mero confronto tra la planimetria dell’impianto presentata in occasione dell’iscrizione nel Registro delle imprese esercenti attività di recupero e quelle allegate all’istanza del 20 maggio 2009), circostanza che imponeva l’assoggettamento alla verifica ambientale, coerente con le finalità della V.I.A., essendo necessario un controllo dell’attività in funzione di prevenzione per i rischi della salute dell’uomo e dell’ambiente; non poteva poi giustificare una deroga alla procedura di screening il rispetto dei parametri stabiliti per l’ammissione alla procedura semplificata ex ar. 214 del D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, e D.M. 5 febbraio 1998, atteso che ciò riguardava solo il regime autorizzatorio ordinario ex art. 208 e non poteva essere logicamente invocato anche con riferimento all’art. 216, comma 4, pena lo stesso svuotamento del significato e della portata dello screening ambientale.
3. Con rituale e tempestivo atto di appello la predetta Sintesis S.p.A. ha chiesto la riforma di tale sentenza, riproponendo tutti i motivi di censura spiegati in primo grado, a suo avviso erroneamente apprezzati, superficialmente esaminati ed erroneamente respinti con motivazione approssimativa ed affatto condivisibile..
Hanno resistito al gravame la Regione Emilia – Romagna e la Provincia di Forlì – Cesena, deducendone l’inammissibilità e l’infondatezza e chiedendone il rigetto.
4. Le parti hanno illustrato con apposite memorie le proprie rispettive tesi difensive.
Alla pubblica udienza del 28 giugno 2011, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
4. L’appello è infondato.
4.1.1. Con il primo motivo di gravame la società appellante ha lamentato “Errore di giudizio sul primo motivo di ricorso. 1. Violazione di legge per violazione e falsa applicazione degli artt. 178, 214 e 216 del D. Lgs. 3.4.2006 n. 152. Violazione del D.M. 5.2.1998 e del D.M. 5.4.2006. Violazione dell’art. 11 della direttiva 91/156/CEE., eccesso di potere per falso supposto di diritto e di fatto”, sostenendo che l’amministrazione provinciale avrebbe potuto vietare l’inizio ovvero la prosecuzione dell’attività di recupero rifiuti solo se fosse stato accertato il mancato rispetto delle norme tecniche e delle condizioni di cui al comma 1 dell’articolo 216 del D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, circostanza che non ricorreva nel caso di specie, giacché l’attività di recupero rifiuti, oggetto della denuncia in data 19 maggio 2009 (R5 ed R13), rientrava in quelle espressamente previste dall’allegato C, parte quarta, del ricordato decreto legislativo n. 152 del 2006, per tipi e quantità ammessi dal D.M. 5 febbraio 1998 (integrante le norme e le condizioni tecniche richiamate dagli artt. 214 e 216).
Da ciò derivava la macroscopica illegittimità del provvedimento impugnato, erroneamente non riscontrata dai primi giudici che avevano malamente interpretato e falsamente applicato le norme contenute negli articoli 214 e 216 del D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, senza tener conto che la procedura semplificata (su cui si fondava la denuncia di inizio di attività del 19 maggio 2009) costituiva una disciplina organica, esaustiva ed autosufficiente in tutte le ipotesi in cui, come nel caso di specie, erano rispettati i presupposti e le condizioni fissati dalle norme stesse.
La tesi non merita favorevole considerazione.
4.1.1. Come emerge dalla esposizione in fatto e come si ricava dall’esame della stessa documentazione versata in atti, la società Sintesis S.p.A. è iscritta nel registro delle imprese esercenti attività di recupero rifiuti non pericolosi della Provincia di Forlì – Cesena, giusta determinazione n. 409 del 12 gennaio 2009, che le consente, in particolare, di esercitare (punto B) la seguente attività di recupero: 1) Tipologia 4.4. (Scorie di acciaieria, scorie provenienti dalla fusione in forni elettrici, a combustibile o in convertitori a ossigeno di leghe di metalli ferrosi e dai successivi trattamenti di affinazione delle stesse); cod. CER: 100202 – 100903 – 100201; OperazionI di recupero: R13 – R5; stoccaggio istantaneo: 370; stoccaggio annuo: 4.900; recupero annuo: 4.900; 2) Tipologia 7.6. (Conglomerato bituminoso); cod. CER: 170302; Operazioni di recupero: R13 – R5; stoccaggio istantaneo: 6.100; stoccaggio annuo: 40.000; recupero annuo: 40.000; 3) Tipologia 7.25 (Terre e sabbie esauste di fonderia); cod. CER: 100906; 100908;100910; 100912; 161102; 161104; Operazioni di recupero: R13 – R5; stoccaggio istantaneo: 30; stoccaggio annuo: 100; recupero annuo: 100; per un totale complessivo di recupero annuo di t. 45.000.
Con la comunicazione – denuncia ex art. 216 del D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, presentata il 19 maggio 2009 l’appellante ha chiesto di variare la predetta attività, modificandola sia qualitativamente, con l’esclusione dell’attività di recupero della tipologia 7.25), sia quantitativamente, con l’aumento complessivo della quantità di rifiuti avviati in R5 da 45.000 t/anno a 75.230 t/anno (in particolare tipologia 4.4, da 4.900 t/anno a 25.000 t/anno, e tipologia 7.6, da 40.000 t/anno a 50.230 t/anno).
4.1.2. Occorre poi rammentare che l’articolo 20 del D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, disciplinando la c.d. “verifica di assoggettabilità” (che secondo la definizione contenuta nel precedente art. 5, alla lett. m), deve intendersi come quella “attivata allo scopo di valutare, ove previsto, se piani, programmi o progetti possono avere un impatto significativo sull’ambiente e devono essere sottoposti alla fase di valutazione secondo le disposizioni del presente decreto”), stabilisce al sesto comma che “se il progetto ha possibili impatti significativi o costituisce modifica sostanziale si applicano del disposizioni degli articolo da 21 a 28”; per “modifica sostanziale”, secondo la definizione contenuta nel già ricordato art. 5, alla lettere l – bis), si intende “la variazione di un piano, programma o progetto approvato, comprese, nel caso di progetti, le variazioni delle loro caratteristiche o del loro funzionamento, ovvero un loro potenziamento, che possono produrre effetti negativi significativi sull’ambiente”.
Deve ancora aggiungersi, per un verso, che, secondo quanto previsto dall’allegato IV alla parte seconda del citato D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, come modificato dal D. Lgs. 16 gennaio 20008, n. 4, sono sottoposti alla verifica di assoggettabilità (di competenza delle regioni e delle province autonome), gli “impianti di smaltimento e recupero di rifiuti non pericolosi, con capacità complessiva superiore a 10 t/giorno, mediante operazioni di all’allegato C, lettere da R1 a R9, della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152” [punto 7, comma z.b] e, per altro verso, che l’articolo 4 della legge regionale dell’Emilia Romagna 18 maggio 1999, n. 9 (“Disciplina della procedura di valutazione dell’impatto ambientale”) prevede l’assoggettamento alla procedura di screening dei “progetti di cui agli allegati B.1, B.2 e B.3, che non ricadano all’interno di aree naturali protette”.
4.1.3. Sulla scorta del delineato substrato fattuale e normativo, la Sezione è dell’avviso che, come già correttamente ritenuto dai primi giudici, i provvedimenti impugnati (archiviazione della Provincia di Forlì – Cesena e parere della Regione Emilia – Romagna) non meritano censura alcuna.
Innanzitutto non è dubitabile che l’attività che la società appellante aveva intenzione di iniziare ad esercitare, giusta comunicazione ex art. 216 del D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, del 19 maggio 2009, costituiva una modifica sostanziale dell’attività esercitabile per effetto della iscrizione (n. 409 del 12 gennaio 2009) nel registro delle imprese esercenti attività di recupero di rifiuti non pericolosi, giusta determina n. 1908 del 13 gennaio 2009 del Responsabile della posizione organizzativa Rifiuti della Provincia di Forlì – Cesena, comportando un notevole potenziamento quantitativo dell’attività di recupero (da 45.000 t/anno a 73.250 t/anno).
Il predetto quantitativo annuo colloca l’impianto di proprietà della società appellante nell’ambito della specifica previsione del ricordato punto z.b dell’allegato IV alla parte seconda del più volte citato D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, e dell’articolo 4 della citata legge regionale dell’Emilia – Romagna 18 maggio 1999, n. 9.
Tali disposizioni sono finalizzate ad assicurare un’elevata protezione dell’ambiente e la salvaguardia dell’ambiente attraverso controlli efficaci ed adeguati, dovendo l’attività di recupero o smaltimento dei rifiuti svolgersi “…senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero arrecare pregiudizio all’ambiente e, in particolare: a) senza determinare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo, nonché per la fauna e la flora; b) senza causare inconvenienti da rumori o odori; c) senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse, tutelati in base alla normativa vigente”, come recita testualmente il secondo comma dell’articolo 178 (“Finalità”) del D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152.
Del resto deve sottolinearsi che, se, per un verso, le amministrazioni appellate con i provvedimenti impugnati, dando concreta e corretta applicazione alle richiamate disposizioni normative, non hanno in realtà vietato in assoluto l’esercizio dell’attività indicata dalla società appellante, limitandosi piuttosto ad evidenziare che tale attività non poteva essere autorizzata secondo la procedura semplificata ex adverso invocata, dovendo piuttosto essere assoggettata alla procedura di screening, finalizzata ad assicurarne la compatibilità con il rispetto degli interessi pubblici prevalenti (cui deve essere improntata l’attività di smaltimento e/o recupero dei rifiuti), d’altra parte Sintesis S.p.A. non ha fornito alcun elemento, né nella fase amministrativa, né nella fase contenziosa, a sostegno della piena rispondenza della (maggiore) attività che intendeva esercitare con il rispetto dei ricordati interessi pubblici, predicando la fondatezza e la legittimità della propria pretesa sulla base del solo rispetto delle norme tecniche e delle prescrizioni specifiche di cui agli articoli 214, commi 1, 2 e 3, come previsto dall’articolo 216 del D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152.
Sennonché, anche a voler prescindere dalla circostanza che anche le disposizioni contenute nei ricordati articoli 214 e 216 del D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, oltre che nel D.M. 5 febbraio 1998, prevedono espressamente che le attività, i procedimenti e i metodi di recupero di ciascuna delle tipologie di rifiuti non devono costituire un pericolo per la salute dell’uomo e/o recare pregiudizio all’ambiente, come acutamente sottolineato dai primi giudici, le disposizioni ivi contenute concernono esclusivamente la semplificazione delle procedure per l’esercizio dell’attività sottoposta normalmente ad autorizzazione, senza così poter costituire ostacolo, dal punto di visto logico, ancor prima che giuridico, alla necessaria attivazione di quelle procedure, laddove previste espressamente dalla legge (come nel caso di specie), finalizzate garantire gli interessi pubblici (prevalenti) di tutela della salute pubblica e di protezione ambientale.
In altri termini il rispetto delle condizioni e delle norme tecniche contenute nel D.M. 5 febbraio 1998 riguarda solo l’ammissibilità alla procedura semplificata, ma non implica alcuna deroga (che peraltro sarebbe implicita, il che già di per sé rende inammissibile la prospettazione dell’appellante) alla disciplina della V.I.A. ed alla procedura di screening ambientale: come già si avuto modo di accennare, è la stessa normativa a prevedere l’assoggettamento alla procedura di screening di un impianto di smaltimento e recupero di rifiuti non pericolosi, come quello della società appellante, che abbia una capacità complessiva superiore a 10/t giorno, mediante operazione di cui all’allegato C, lettere da R1 a R9, della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e la cui (nuova) attività costituisca modifica sostanziale (per potenziamento) di quella precedentemente esercitata.
Deve quindi negarsi la fondatezza della formalistica e riduttiva tesi della società appellante, secondo cui il mero rispetto delle norme tecniche di cui al D.M. 5 febbraio 1998 avrebbe reso legittima la attività che si intendeva svolgere ed illegittimi i provvedimenti emanati dalle appellate amministrazioni.
4.2. Anche il secondo motivo di gravame, con cui la società appellante ha dedotto “Errore di giudizio sul secondo motivo di ricorso – 2) Violazione di legge per violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 20 del D. Lgs. 3.4.2006 n. 152 e dell’allegato IV alla parte seconda dello stesso D. Lgs. n. 152/06. Violazione e falsa applicazione dell’art. 4 e dell’allegato B.1 alla legge regionale Emilia – Romagna 18.5.1999 n. 9. Eccesso di potere per falso supposto di diritto e di fatto. Eccesso di potere per contraddittorietà manifesta. Violazione degli artt. 1, 3, 6 della legge 7.81990, n. 241. Eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria”, è infondato.
L’appellante nega la qualificabilità dell’impianto di sua proprietà (che produce conglomerato bituminoso) quale impianto di recupero rifiuti in senso proprio e nega altresì che sia intervenuta modifica sostanziale dell’attività già esercitata, contrapponendo la attività di recupero rifiuti (svolta all’interno di un impianto industriale di produzione di conglomerato bituminoso), come tale non soggetta a procedure di verifica e a procedura di V.I.A., agli impianti di recupero rifiuti in senso stretto, assoggettati a procedura di verifica e a procedura di V.I.A.).
La pur suggestiva tesi, tuttavia, come già rilevato dai primi giudici, non trova alcun fondamento positivo, basandosi piuttosto su di una inammissibile personale interpretazione delle disposizioni che regolano la materia.
Invero è sufficiente rilevare che l’articolo 183 del D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, definisce (lett. a) come rifiuto “qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’allegato A alla parte quarta del presente decreto e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi” e (lett. h) come recupero “le operazioni previste nell’allegato C alla parte quarta del presente decreto”; l’articolo 181 (“Recupero dei rifiuti”, nel testo risultante dalle modifiche e sostituzioni apportate dal D. Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4) prevede poi al primo comma che “Ai fini di una corretta gestione dei rifiuti le autorità competenti favoriscono la riduzione dello smaltimento finale degli stessi, attraverso: a) il riutilizzo, il riciclo o le altre forme di recupero; b) l’adozione di misure economiche e la determinazione di condizioni di appalto che prevedano l’impiego dei materiali recuperati dai rifiuti al fine di favorire il mercato dei materiali medesimi; c) l’utilizzo dei rifiuti come combustibile o altro mezzo per produrre energia”.
Sotto altro profilo, peraltro, la stessa appellante ammette che lo stabilimento di sua proprietà produce conglomerato bituminoso, utilizzando nel proprio ciclo produttivo alcuni rifiuti (ancorché per tipologie e quantità conformi al D.M. 5 febbraio 1998) quale quota parte della materia prima.
Non ha pertanto alcuna logica, ragionevole, oltre che positiva, giustificazione la prospettata distinzione fra impianti industriali e attività di recupero di rifiuti, da cui far discendere l’assoggettabilità alla procedura di screening solo per i primi e non anche per la seconda, tanto più che in ragione degli interessi pubblici tutelati (salute umana e ambiente) con l’assoggettabilità alla procedura di verifica (o alla procedura di V.I.A.) ciò che rileva è l’aspetto sostanziale della questione (utilizzazione di rifiuti) e non già i meri elementi definitori.
Sulla scorta di tali considerazioni non è apprezzabile neppure l’altro profilo della tesi, secondo cui non vi sarebbe stata alcuna modifica sostanziale né dell’impianto, quest’ultimo essendo rimasto invariato, né di progetti o di programmi, essendo rimasta invariata la produzione di conglomerato bituminoso, giacchè, com’è stata rilevato in precedenza, non è minimamente dubitabile che con la comunicazione del 19 maggio 2009 era stata dichiarata l’intenzione di variare “l’attività di recupero rifiuti”, incrementando notevolmente (da 45.000 t/anno a 75.230 t/anno) la quantità di rifiuti avviati a R5.
4.3. Ugualmente privo di fondamento è la doglianza articolata con il terzo motivo di gravame, con cui l’appellante ha sostenuto l’erroneità della sentenza impugnata per “Errore di giudizio sul terzo motivo di ricorso. 3) Violazione degli artt. 41, 97 e 118 Cost. Violazione degli artt. 4, 10, 81 e ss. Trattato C.E. Violazione del principio di proporzionalità, adeguatezza e buon andamento”.
Come già si è avuto modo di rilevare, i provvedimenti impugnati non hanno vietato puramente e semplicemente ovvero in modo definitivo, come postulato dalla società appellante, l’attività che essa intendeva esercitare, giusta comunicazione del 19 maggio 2009, avendo essi soltanto evidenziato che la (nuova o diversa, rispetto a quella già autorizzata) attività doveva essere sottoposta a verifica di assoggettabilità (screening ambientale) onde accertarne in concreto la compatibilità con la tutela della salute dell’uomo e dell’ambiente, cui deve essere informata l’attività di smaltimento e recupero dei rifiuti.
Non sussiste dunque la denunciata violazione del diritto all’attività di impresa, tanto più che lo stesso articolo 41 della Costituzione, specialmente invocato dalla società appellante, stabilisce espressamente, al secondo comma che l’iniziativa economica privata, pur libera, “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
4.4. Infine deve essere respinta la censura sollevata con il quarto mezzo di gravame, rubricato “Errore di giudizio sul quarto motivo di ricorso. 4) Violazione degli artt. 1, 3, 6 della legge 7.8.1990, n. 241. Eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria. Violazione dell’art. 97 Cost.”.
Anche a voler prescindere dalla genericità e apoditticità della censura formulata, non avendo l’appellante minimamente chiarito o indicato quale sarebbe stata l’attività istruttoria di cui è stata lamentata l’omesso espletamento, è sufficiente osservare che, come si ricava dalla letture degli atti impugnati, le amministrazioni appellate hanno puntualmente e meditatamente evidenziato in modo chiaro e preciso le ragioni – di fatto e di diritto – in ragione delle quali la nuova attività, che Sintesis S.p.A. intendeva esercitare, doveva essere sottoposta alla procedura di screening, indicando analiticamente anche le norme di riferimento, così adempiendo l’obbligo di motivazione dell’atto amministrativo predicato dall’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241.
5. In conclusione, alla stregua delle osservazioni svolte, l’appello deve essere respinto.
La peculiarità delle questioni trattate giustifica la compensazione tra le parti delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso in appello proposto dalla società Sintesis S.p.A. avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia – Romagna, sez. II, n. 8012 del 27 ottobre 2010, lo respinge.
Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 giugno 2011 con l’intervento dei magistrati:
Calogero Piscitello, Presidente
Carlo Saltelli, Consigliere, Estensore
Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Antonio Bianchi, Consigliere
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 24/11/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)