* PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Patto di stabilità interno – Fondamento normativo – Artt. 121 e 126 del Trattato sul Funzionamento dell’UE – Rispetto dei parametri ecoomico-finanziari determinati a livello comunitario – Enti locali – Partecipazione all’azione di risanamento – Legge costituzionale n. 1/2012 – Esigenza di contenimento dell’indebitamento – Strumento di autotutela obbligatoria di tipo sanzionatorio – Art. 14, c. 20 D.L. n. 78/2010 – Espressione del principio di leale collaborazione.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 5^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 7 Giugno 2012
Numero: 3361
Data di udienza: 8 Maggio 2012
Presidente: Branca
Estensore: Lotti
Premassima
* PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Patto di stabilità interno – Fondamento normativo – Artt. 121 e 126 del Trattato sul Funzionamento dell’UE – Rispetto dei parametri ecoomico-finanziari determinati a livello comunitario – Enti locali – Partecipazione all’azione di risanamento – Legge costituzionale n. 1/2012 – Esigenza di contenimento dell’indebitamento – Strumento di autotutela obbligatoria di tipo sanzionatorio – Art. 14, c. 20 D.L. n. 78/2010 – Espressione del principio di leale collaborazione.
Massima
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 5^ – 7 giugno 2012, n. 3361
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Patto di stabilità interno – Fondamento normativo – Artt. 121 e 126 del Trattato sul Funzionamento dell’UE – Rispetto dei parametri ecoomico-finanziari determinati a livello comunitario – Enti locali – Partecipazione all’azione di risanamento – Legge costituzionale n. 1/2012.
Il Patto di stabilità interno costituisce diretta promanazione, all’interno dell’ordinamento nazionale, del Patto di stabilità e di crescita, cui aderiscono gli Stati membri dell’Unione europea, allo scopo di introdurre un meccanismo di controllo delle rispettive politiche di bilancio, mantenendo inalterati i requisiti di adesione all’Unione economica europea ed al sistema monetario unico. In particolare, il menzionato strumento pattizio trova il suo fondamento normativo nell’art. 121 del Trattato sul Funzionamento dell’UE, in materia di politica economica coordinata tra i membri della Comunità, nonché nell’art. 126, che pone dei vincoli stringenti in riferimento al disavanzo pubblico dei singoli Stati, vincoli la cui cogenza è assicurata, sin dal Protocollo CE n. 20 del 1992, dalla previsione della particolare procedura di infrazione “per deficit eccessivo”. Il Patto di stabilità interno, predisposto nell’ambito della manovra annuale di finanza pubblica, trova quindi la propria giustificazione nell’esigenza di assicurare, mediante interventi di contenimento della spesa pubblica nazionale, una politica economica complessiva tale da soddisfare il rispetto dei parametri economico-finanziari determinati a livello comunitario attraverso il Patto di stabilità e di crescita. Nell’ambito delle finalità suddette, uno dei principali obiettivi perseguiti dalle regole che costituiscono il Patto nazionale, si sostanzia nel controllo dell’indebitamento di Regioni ed enti locali. Da un lato, infatti, non può dubitarsi che la finanza degli enti territoriali sia parte indefettibile della finanza pubblica nazionale allargata, né, tantomeno, che sia presente nell’ordinamento un obbligo generale di tutte le Regioni di contribuire all’azione di risanamento della finanza pubblica. Dall’altro, deve essere osservato che la recente Legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, ha premesso all’art. 97 della Costituzione una specifica e significativa disposizione di principio, irrefragabile, secondo cui le P.A., in coerenza con l’ordinamento dell’Unione Europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico. Pertanto, è indubitabile che le Regioni e gli enti locali siano chiamati a concorrere al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, assunti in sede europea, per garantire il rispetto del Patto di stabilità e crescita e che, a tale fine, questi enti siano assoggettati alle regole del cd. patto di stabilità interno.
Conferma T.A.R. CAMPANIA, NAPOLI n. 17231/2010) – Pres. Branca, Est. Lotti – A.B. e altri (avv.ti Marone e Sorrentino) c. Regione Campania (avv.ti Bove, Paolino, Verde e Caravita Di Toritto) e Ministero dell’Economia e delle Finanze (avv. Palmieri)
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Patto di stabilità interno – Esigenza di contenimento dell’indebitamento – Strumento di autotutela obbligatoria di tipo sanzionatorio – Art. 14, c. 20 D.L. n. 78/2010 – Espressione del principio di leale collaborazione.
I vincoli derivanti dal patto di stabilità interno si sostanziano in una misura che tende a realizzare, nell’ambito della manovra finanziaria annuale disposta con legge, un obiettivo di carattere nazionale e tali disposizioni statali di principio, adottate in materia di coordinamento della finanza pubblica, laddove volte legittimamente a perseguire un obbiettivo di riequilibrio finanziario mediante il transitorio contenimento complessivo della spesa corrente, sono dotate di una cogenza tale da poter giustificare finanche l’incisione di materie di competenza regionale, sia concorrente che residuale, e determinare una compressione degli spazi entro cui possono esercitarsi le competenze legislative e amministrative regionali (Corte costituzionale 13 luglio 2011, n. 207). Tale esigenza di contenimento dell’indebitamento, per il quale lo Stato risponde unitariamente a livello comunitario, giustifica anche l’adozione di uno strumento di autotutela obbligatoria e di tipo sanzionatorio, quale quello di cui all’art. 14, c. 20 del D.L. n. 78/2010, che prevede siano gli stessi organi regionali a rimuovere dall’ordinamento specifiche tipologie di atti mediante i quali è stata assunta la decisione di violare il patto di stabilità interno, stante la loro attitudine a porre a repentaglio l’unità economica della Repubblica. In questo senso, dunque, tale norma non è neppure configurabile quale particolare ipotesi di intervento sostitutivo dello Stato nei confronti delle Regioni ex art. 120, comma 2, Cost. e art. 8 l. 5 giugno 2003, n. 131; bensì costituisce esso stesso strumento di coordinamento della finanza pubblica per rendere cogenti, e quindi per costringere a rispettare, i vincoli di bilancio suddetti, che altrimenti resterebbero in mano alla mera volontà degli enti di decentramento, mettendo potenzialmente a repentaglio l’unità economica della Repubblica. L’autotutela obbligatoria (inquadrabile nel concetto ampio, di matrice dottrinale, di autotutela esecutiva) di cui al citato comma 20 dell’art. 14, dunque, non è contrastante con il principio di leale collaborazione, ma anzi costituisce una sua manifestazione che deve caratterizzare il rapporto di tutti gli enti costituzionali o aventi rilevanza costituzionale e dotati di reciproca autonomia garantita dalla Costituzione.
Conferma T.A.R. CAMPANIA, NAPOLI n. 17231/2010) – Pres. Branca, Est. Lotti – A.B. e altri (avv.ti Marone e Sorrentino) c. Regione Campania (avv.ti Bove, Paolino, Verde e Caravita Di Toritto) e Ministero dell’Economia e delle Finanze (avv. Palmieri)
Allegato
Titolo Completo
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 5^ - 7 giugno 2012, n. 3361SENTENZA
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 5^ – 7 giugno 2012, n. 3361
N. 03361/2012REG.PROV.COLL.
N. 01111/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1111 del 2011, proposto da:
Antonio Bassolino, Gabriella Cundari, Riccardo Marone, Alfonsina De Felice, Mario Luigi Santangelo, Gabriele Corrado, Gianfranco Nappi, Antonio Valiante e Oberdan Forlenza, rappresentati e difesi dagli avv. Gherardo Marone e Federico Sorrentino, con domicilio eletto presso l’avv. Gherardo Marone in Roma, via Sicilia, 50;
contro
Regione Campania, rappresentato e difeso dagli avv. Almerina Bove, Gaetano Paolino, Giovanni Verde e Beniamino Caravita Di Toritto, domiciliata per legge in Roma, via Poli, 29;
Ministero dell’Economia e delle Finanze, rappresentato e difeso dall’avv. Gabriella Palmieri, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI: SEZIONE I n. 17231/2010, resa tra le parti, concernente PATTO DI STABILITA’ INTERNO 2009.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Campania e di Ministero dell’Economia e delle Finanze;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 maggio 2012 il Cons. Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti e uditi per le parti gli avvocati Marone, Paolino, Verde, Caravita di Toritto e l’Avvocato dello Stato Colelli;
FATTO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, sez. I, con la sentenza n. 17231 del 4 agosto 2010, ha respinto il ricorso proposto dall’attuale appellante per l’annullamento delle deliberazioni della Giunta regionale della Campania n. 494, n. 495 e n. 496 del 4 giugno 2010, con le quali si è proceduto all’annullamento delle precedenti delibere di G.R. n. 1311 del 31 luglio 2009, n. 1602 del 22 ottobre 2009, nonché il verbale di cui alla seduta del 13 novembre 2009.
Il TAR fondava la sua decisione rilevando, sinteticamente, che un ricorso di singoli consiglieri può ipotizzarsi soltanto allorché vengano in rilievo atti incidenti in via diretta sul diritto all’ufficio dei medesimi e quindi su un diritto spettante alla persona investita della carica di consigliere, atteso che le volontà dei singoli assumono rilevanza solo nell’ambito dell’iter di formazione della decisione collegiale, ma non sono idonee a differenziare la posizione dei dissenzienti (come pure degli astenuti o degli assenti) una volta che la manifestazione di volontà si sia espressa in forma unitaria secondo il voto della maggioranza.
Infatti, per il TAR, il contrasto tra minoranza e maggioranza non ha natura intersoggettiva e non può perciò trovare la sua soluzione innanzi al giudice amministrativo, così come non può essere trasferito in sede giurisdizionale un conflitto, di carattere essenzialmente politico, tra precedente amministrazione e nuova amministrazione, così evitando l’attribuzione ai consiglieri di una sorta di azione popolare a tutela della legittimità delle deliberazioni consiliari, quale che ne sia il contenuto, impedendo di trasporre i meccanismi di responsabilità politica, che fisiologicamente possono e devono essere azionati nella dialettica consiliare e politica da parte dei soggetti che di tale dialettica hanno i poteri e le prerogative, in sede giurisdizionale.
Nel caso di specie, ha concluso il TAR, l’azione proposta non appare in alcun modo sorretta dall’esigenza dei ricorrenti di tutelare il proprio ius ad officium, né è possibile configurare in capo a costoro un’ulteriore posizione legittimante che sia svincolata dalla loro qualificazione soggettiva di precedenti amministratori.
Gli appellanti contestavano la sentenza del TAR chiedendo l’accoglimento dell’appello e riproponendo i motivi di ricorso di primo grado.
Si costituiva la Regione chiedendo il rigetto dell’appello.
All’udienza pubblica dell’8 maggio 2012 la causa veniva trattenuta in decisione.
DIRITTO
Rileva il Collegio che il ricorso di primo grado, così come l’atto d’appello, è stato proposto dai sigg.ri Bassolino, Cundari, Marone, De Felice, Santangelo, Gabriele, Nappi, Valiante e Forlenza per ottenere l’annullamento delle delibere della Giunta regionale della Campania nn. 494, 495 e 496 del 2010, con le quali, in applicazione dell’art. 14, comma 20, D. L. 31 maggio 2010, n. 78 convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122, recante “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica” (cd. Manovra economica 1, decreto anticrisi), sono state annullate le delibere n. 1311 del 31 luglio 2009, n. 1602 del 22 ottobre 2009, nonché il verbale di cui alla seduta del 13 novembre 2009.
Tali ultime delibere erano state adottate dagli odierni appellanti, il primo quale Presidente e gli altri quali Assessori della precedente Giunta della Regione Campania ed erano finalizzate ad assumere volontariamente la decisione di eludere i vincoli derivanti dal Patto di stabilità interno.
In particolare, nel verbale di cui alla seduta del 13 novembre 2009, la Giunta aveva dato espressa autorizzazione ad emettere mandati di pagamento oltre i limiti del Patto di stabilità, da cui era dipesa la certificazione, in data 30 marzo 2010, del superamento di oltre un miliardo di euro del tetto fissato per i pagamenti nell’anno 2009 dal Patto di stabilità interno.
Per reagire a tale elusione dei vincoli derivanti dal Patto di stabilità interno ed ai conseguenti evidenti squilibri finanziari che si ripercuotevano sul bilancio regionale, è stato applicato il disposto di cui all’art. 14, comma 20, d.l. n. 78 del 2010 cit., secondo cui gli atti adottati dalla Giunta regionale o dal Consiglio Regionale durante i dieci mesi antecedenti alla data di svolgimento delle elezioni regionali, con i quali è stata assunta la decisione di violare il patto di stabilità interno, sono annullati senza indugio dallo stesso organo.
Ritiene il Collegio che la sentenza del TAR sia, nella sostanza, da confermare integralmente, benché con diversa e più analitica motivazione.
Preliminarmente deve necessariamente premettersi, per chiarire il quadro normativo in cui è inseribile il ricorso, alcune considerazioni in merito all’art.14 del citato decreto, oggetto di controversia; tale premessa è necessaria per dimostrare la carenza di interesse (oltre che di legittimazione) degli attuali appellanti.
Tale decreto n. 78 del 2010 ha, in sintesi, stabilito:
– l’annullamento senza indugio, come già detto, degli atti adottati dalla Giunta regionale o dal Consiglio regionale durante i dieci mesi antecedenti alla data di svolgimento delle elezioni regionali, con i quali sia stata assunta le decisione di violare il patto di stabilità interno (con esclusione, nel testo originario del decreto, degli atti aventi ad oggetto l’attuazione di programmi comunitari) (comma 20);
– la revoca di diritto degli incarichi dirigenziali a personale esterno all’amministrazione regionale (comma 21);
– la revoca dei contratti di lavoro a tempo determinato, di consulenza, di collaborazione coordinata e continuativa ed assimilati, nonché dei contratti di cui all’art. 76, comma 4, secondo periodo, D. L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito in l. 6 agosto 2008, n. 133, deliberati, stipulati o prorogati dalla regione nonché da enti, agenzie, aziende, società e consorzi, anche interregionali, comunque dipendenti o partecipati in forma maggioritaria dalla stessa, a seguito degli atti indicati al comma 20 (comma 21);
– l’elaborazione di un apposito piano di rientro da parte del Presidente della Giunta della Regione interessata (comma 22).
Le previsioni di tale decreto, pertanto, hanno integrato il quadro delineato dal cit. D. L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito in l. 6 agosto 2008, n. 133, con il quale erano già stati stabiliti diversi e incisivi limiti e sanzioni in relazione all’ipotesi di mancato rispetto del Patto di stabilità interno (in particolare, le disposizioni di cui agli artt. 76 e ss.).
Tale decreto, dunque, recando misure urgenti finalizzate alla stabilizzazione finanziaria e alla competitività economica, con il chiaro scopo di adeguarsi alle richieste emerse in seno all’Unione europea, espresse in particolare nella Comunicazione della Commissione europea al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio, alla Banca centrale europea, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle Regioni (COM 12 maggio 2010, n. 1250), per il rafforzamento di una politica economica coordinata, e volte a ridurre il rapporto tra il debito pubblico ed il Prodotto interno lordo (PIL), al fine di ristabilire la credibilità della cd. “Euro Zona”.
Il Patto di stabilità interno, dunque, costituisce diretta promanazione, all’interno dell’ordinamento nazionale, del Patto di stabilità e di crescita, cui aderiscono gli Stati membri dell’Unione europea, allo scopo di introdurre un meccanismo di controllo delle rispettive politiche di bilancio, mantenendo inalterati i requisiti di adesione all’Unione economica europea ed al sistema monetario unico.
In particolare, il menzionato strumento pattizio trova il suo fondamento normativo nell’art. 121 (art. 99 prima del Trattato di Lisbona) del Trattato sul Funzionamento dell’UE, in materia di politica economica coordinata tra i membri della Comunità, nonché nell’art. 126 (art. 104 prima del Trattato di Lisbona), che pone dei vincoli stringenti in riferimento al disavanzo pubblico dei singoli Stati, vincoli la cui cogenza è assicurata, sin dal Protocollo CE n. 20 del 1992, dalla previsione della particolare procedura di infrazione “per deficit eccessivo”.
Il Patto di stabilità interno, predisposto nell’ambito della manovra annuale di finanza pubblica, trova quindi la propria giustificazione nell’esigenza di assicurare, mediante interventi di contenimento della spesa pubblica nazionale, una politica economica complessiva tale da soddisfare il rispetto dei parametri economico-finanziari determinati a livello comunitario attraverso il Patto di stabilità e di crescita.
Infatti, nell’ambito delle finalità suddette, uno dei principali obiettivi perseguiti dalle regole che costituiscono il suddetto Patto nazionale, in quanto rientrante nella materia di competenza statale del coordinamento della finanza pubblica, si sostanzia proprio nel controllo dell’indebitamento di Regioni ed enti locali.
Da un lato, infatti, non può certo dubitarsi che la finanza degli enti territoriali sia parte indefettibile della finanza pubblica nazionale allargata, né, tantomeno, che sia presente nell’ordinamento un obbligo generale di tutte le Regioni di contribuire all’azione di risanamento della finanza pubblica (C. cost. 28 aprile 2011, n. 155; 24 luglio 2009, n. 237; 18 luglio 2008, n. 289; 6 giugno 2008, n. 190; 17 maggio 2007, n. 169; 16 marzo 2007, n. 82; 14 novembre 2005, n. 417; 13 gennaio 2004, n. 4).
Dall’altro, deve essere osservato che la recente Legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, ha premesso all’art. 97 della Costituzione una specifica e significativa disposizione di principio, irrefragabile, secondo cui le P.A., in coerenza con l’ordinamento dell’Unione Europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico, esplicitando a livello costituzionale un obbligo già immanente nella nostra Grundnorm per tutte le Amministrazioni.
Pertanto, è indubitabile che le Regioni e gli enti locali siano chiamati a concorrere al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, assunti in sede europea, per garantire il rispetto del Patto di stabilità e crescita e che, a tale fine, questi enti siano assoggettati alle regole del cd. patto di stabilità interno.
Peraltro, proprio con riferimento al citato art. 14 D.L. n. 78-2010, la stessa Corte costituzionale ha affermato che le regole del cosiddetto patto di stabilità interno da un lato indicano limiti complessivi di spesa e, dall’altro lato, prevedono sanzioni volte ad assicurarne il rispetto, sanzioni che operano nei confronti degli enti che abbiano superato i predetti limiti (Corte costituzionale 13 luglio 2011, n. 207).
Infatti, i vincoli derivanti dal patto di stabilità interno si sostanziano in una misura che tende a realizzare, nell’ambito della manovra finanziaria annuale disposta con legge, un obiettivo di carattere nazionale e tali disposizioni statali di principio, adottate in materia di coordinamento della finanza pubblica, laddove volte legittimamente a perseguire un obbiettivo di riequilibrio finanziario mediante il transitorio contenimento complessivo della spesa corrente, sono dotate di una cogenza tale da poter giustificare finanche l’incisione di materie di competenza regionale, sia concorrente che residuale, e determinare una compressione degli spazi entro cui possono esercitarsi le competenze legislative e amministrative regionali.
Tale esigenza di contenimento dell’indebitamento, per il quale lo Stato risponde unitariamente a livello comunitario, giustifica anche l’adozione di uno strumento di autotutela obbligatoria e di tipo sanzionatorio, come quello di cui al cit. art. 14, comma 20, in discussione.
Tale strumento, infatti, non deve essere confuso con quello di cui all’art. 2, comma 3, lett. p), della l. 23 agosto 1988, n. 400 (annullamento straordinario del Governo), oggetto di dichiarazione di incostituzionalità con riferimento alla sua operatività sulle Regioni, con la sentenza 21 aprile 1989, n. 229 del 1989.
Il comma 20 dell’art. 14 in esame, infatti, prevede che siano gli stessi organi regionali a rimuovere dall’ordinamento specifiche tipologie di atti mediante i quali è stata assunta la decisione di violare il patto di stabilità interno, stante la loro attitudine a porre a repentaglio l’unità economica della Repubblica.
In questo senso, dunque, tale norma non è neppure configurabile quale particolare ipotesi di intervento sostitutivo dello Stato nei confronti delle Regioni ex art. 120, comma 2, Cost. e art. 8 l. 5 giugno 2003, n. 131 (cd. Legge La Loggia); bensì costituisce esso stesso strumento di coordinamento della finanza pubblica per rendere cogenti, e quindi per costringere a rispettare, i vincoli di bilancio suddetti, che altrimenti resterebbero in mano alla mera volontà degli enti di decentramento, mettendo potenzialmente a repentaglio, come detto, l’unità economica della Repubblica.
L’autotutela obbligatoria (inquadrabile nel concetto ampio, di matrice dottrinale, di autotutela esecutiva) di cui al citato comma 20 dell’art. 14, dunque, non è contrastante con il principio di leale collaborazione, ma anzi costituisce una sua manifestazione che deve caratterizzare il rapporto di tutti gli enti costituzionali o aventi rilevanza costituzionale e dotati di reciproca autonomia garantita dalla Costituzione.
Ciò posto, il Collegio deve rilevare che le contestazioni proposte con il ricorso di primo grado, così come con l’atto d’appello, dai sigg.ri Bassolino, Cundari, Marone, De Felice, Santangelo, Gabriele, Nappi, Valiante e Forlenza per ottenere l’annullamento delle delibere della Giunta regionale della Campania nn. 494, 495 e 496 del 2010, con le quali, in applicazione del citato art. 14, comma 20, D. L. 31 maggio 2010, n. 78 sono state annullate le delibere n. 1311 del 31 luglio 2009, n. 1602 del 22 ottobre 2009, nonché il verbale di cui alla seduta del 13 novembre 2009, adottate dalla precedente Giunta Bassolino finalizzate ad assumere volontariamente la decisione di eludere i vincoli derivanti dal Patto di stabilità interno, non evidenziano né un interesse al ricorso, né alcuna posizione differenziata dei suddetti odierni appellanti rispetto alla generalità dei cittadini.
Sotto il primo profilo, deve osservarsi che il provvedimento che si assume lesivo deve incidere in via immediata e diretta sulla sfera del soggetto, contenendo valutazioni e giudizi su sue qualità soggettive e capacità, ovvero su suoi atti o incidendo altrimenti sul suo prestigio; inoltre, è altresì necessario che la pronuncia richiesta, ove concessa, non sia inutiliter data e sia tale da attribuire all’interessato un reale ed effettivo vantaggio.
Nel caso di specie non è riscontrabile alcuna attitudine lesiva dei provvedimenti impugnati, atteso che i medesimi non incidono, né direttamente né indirettamente sulla sfera giuridica degli odierni appellanti, né presuppongono o implicano alcuna valutazione in ordine alle capacità dei medesimi e, quindi, al loro prestigio o alla loro onorabilità.
Gli atti impugnati, come risulta evidente dalla premessa normativa che si è fatta, sono stati adottati in osservanza di una norma di legge che imponeva l’annullamento, non esprimendo, quindi, alcun giudizio di disvalore in ordine ai provvedimenti annullati in autotutela, ma limitandosi a dare applicazione all’art. 14 D.L. n. 78/2010 citato, in relazione agli obblighi derivanti a ciascuna Regione dal Patto di stabilità interno; atti inidonei, quindi, ad arrecare alcun pregiudizio all’onorabilità politica di alcuno.
Pertanto, in assenza di una qualsiasi attitudine lesiva dei provvedimenti impugnati, non è rilevabile alcuna utilità derivante agli attuali appellanti dal loro annullamento.
In questo modo non è neppure prospettabile un interesse morale all’annullamento medesimo per il cui riconoscimento è necessario che sussista, sia al momento della proposizione del ricorso che al momento della decisione un interesse al ricorso derivante dalla lesività del provvedimento che, come detto, nel caso di specie è in radice esclusa (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 30 luglio 2002, n. 4076).
Per quanto riguarda la legittimazione ad agire, deve ribadirsi che deve essere tenuta rigorosamente ferma la netta distinzione tra la titolarità di una posizione sostanziale differenziata che abilita un determinato soggetto all’esercizio dell’azione (legittimazione al ricorso) e l’utilità ricavabile dall’accoglimento della domanda di annullamento (interesse al ricorso), anche prescindendo dal carattere finale o strumentale di tale vantaggio.
Pertanto, anche se in astratto fosse riconoscibile un interesse agli appellanti, gli stessi risultano comunque del tutto sforniti di legittimazione al ricorso, che costituisce, come è noto, condizione dell’azione presupponente il riconoscimento dell’esistenza di una situazione giuridica attiva, protetta dall’ordinamento, riferita ad un bene della vita oggetto della funzione svolta dall’amministrazione o da un soggetto ad essa equiparato. La sentenza del TAR, sotto questo profilo circoscritto della legittimazione, ha fatto corretta applicazione dei principi di cui sopra, poiché il ricorso è azionato esclusivamente in virtù della mera qualificazione soggettiva di precedenti componenti dell’organo amministrativo regionale, qualificazione che non consente, così come non la consentirebbe la qualificazione di attuale componente, ad eccezione della protezione del proprio ius ad officium, l’impugnazione di delibere emanate dall’organo di cui tali componenti hanno fatto parte.
In altre parole, gli attuali appellanti si legittimano all’impugnazione non in quanto cittadini incisi dai provvedimenti impugnati, ma in quanto precedenti componenti dell’organo che ha adottato le delibere qui annullate e, come tali sforniti di una posizione legittimante protetta e qualificata dall’ordinamento, atteso che in tal modo essi traspongono sul piano giuridico un conflitto che ha la sua sede naturale, invece, nel campo politico.
Né può ritenersi qualificante e legittimante il riferimento all’ipotizzata lesione dell’onorabilità , atteso che si tratta, laddove sia ravvisabile, di un’onorabilità legata allo svolgimento dell’attività politica e, pertanto, rientrante nella logica del confronto politico al quale i rimedi giudiziali sono evidentemente estranei.
Dello stesso ricorso, infatti, emerge in maniera netta come con l’impugnativa delle controparti, lungi dal voler tutelare una propria situazione giuridica soggettiva asseritamente lesa dai provvedimenti censurati, intendano far valere esclusivamente la correttezza dell’attività politica dagli stessi precedentemente svolta in qualità di amministratori regionali.
Né, infine, può ritenersi sussistente un interesse di tipo amministrativo contabile, che non ha la sua sede naturale in questo giudizio, bensì innanzi al competente Giudice contabile e che ha, come oggetto d’indagine, infatti, non la mera legittimità dell’atto, bensì il comportamento gravemente colposo dei funzionari che abbiano arrecato un pregiudizio per l’erario.
Peraltro, dalla lettura dell’atto di annullamento impugnato nel presente giudizio, il quale come detto, atteggiandosi come obbligatorio e, anzi doveroso, per evitare responsabilità erariali anche della Giunta attuale che non lo adottasse, si evince come gli atti impugnati non esprimano alcun giudizio di disvalore, come detto, in ordine ai provvedimenti annullati in autotutela, limitandosi a dare applicazione all’art. 14 D.L. n. 78/2010, in ossequio agli obblighi derivanti a ciascuna Regione, come detto, dal patto di stabilità interno.
Infatti, l’adozione del provvedimento di autotutela è diffusamente motivata, benché ciò non fosse necessario, trattandosi, come detto, di autotutela sanzionatoria di tipo obbligatorio, anzi doveroso, con riferimento tanto alla ricorrenza dei presupposti per l’applicazione delle misure sanzionatorie previste dall’art. 14 D.L. n. 78/2010, quanto al disposto di cui al D.L. n. 112/2008, i cui artt. 77-ter e 77-quater avevano stabilito gli obiettivi di spesa per l’anno 2009 (anno nel quale sono state adottate le delibere annullate in autotutela) ai quali la Regione Campania avrebbe dovuto conformarsi.
La circostanza secondo cui la Giunta si sarebbe limitata ad annullare in autotutela solamente le delibere di indirizzo con le quali era stato autorizzato lo sforamento del patto di stabilità, non anche gli atti consequenziali, è irrilevante in punto legittimità dell’atto, poiché l’eventuale non sequitur di tale delibera di annullamento, potrà esse fatta valere nelle sedi opportune, atteso che, come detto, l’atto di annullamento impugnato nel presente giudizio si atteggia come obbligatorio e, anzi doveroso, per evitare responsabilità erariali anche della Giunta attuale che non lo adottasse, così come non adottasse gli atti consequenziali.
Pertanto, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere respinto.
Le spese di lite del presente grado di giudizio possono essere compensate, sussistendo giusti motivi.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta),
definitivamente pronunciando sull’appello principale come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2012 con l’intervento dei magistrati:
Marzio Branca, Presidente
Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti, Consigliere, Estensore
Antonio Bianchi, Consigliere
Fabio Franconiero, Consigliere
Carlo Schilardi, Consigliere
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/06/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)