* DIRITTO DELL’ENERGIA – Autorizzazione – Conferenza di servizi – Potestà provvedimentale esercitata dall’amministrazione procedente – Differenza tra le ipotesi di cui all’art. 14, c. 2 primo e secondo periodo – Dissenso della Soprintendenza – Mancanza di accordo – Regione – Difetto assoluto di attribuzione.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 4^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 8 Gennaio 2018
Numero: 67
Data di udienza: 13 Luglio 2017
Presidente: Anastasi
Estensore: Castiglia
Premassima
* DIRITTO DELL’ENERGIA – Autorizzazione – Conferenza di servizi – Potestà provvedimentale esercitata dall’amministrazione procedente – Differenza tra le ipotesi di cui all’art. 14, c. 2 primo e secondo periodo – Dissenso della Soprintendenza – Mancanza di accordo – Regione – Difetto assoluto di attribuzione.
Massima
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 4^ – 8 gennaio 2018, n. 67
DIRITTO DELL’ENERGIA – Autorizzazione – Conferenza di servizi – Potestà provvedimentale esercitata dall’amministrazione procedente – Differenza tra le ipotesi di cui all’art. 14, c. 2 primo e secondo periodo – Dissenso della Soprintendenza – Mancanza di accordo – Regione – Difetto assoluto di attribuzione.
Nei casi in cui il provvedimento amministrativo è emanato a conclusione di una conferenza di servizi, occorre distinguere (ai sensi degli artt. 14 e segg. della legge n. 241/1990) l’ipotesi in cui la conferenza di servizi decisoria è indetta dall’amministrazione procedente “quando la conclusione positiva del procedimento è subordinata all’acquisizione di più pareri, intese, concerti, nulla osta o altri atti di assenso, comunque denominati, resi da diverse amministrazioni” (art. 14, c. 2, primo periodo) e l’ipotesi in cui la conferenza di servizi è convocata laddove “l’attività del privato sia subordinata a più atti di assenso, comunque denominati, da adottare a conclusione di distinti procedimenti di competenza di diverse amministrazioni pubbliche” (art. 14, c. 2, secondo periodo – e, nel testo vigente sino al 27 luglio 2016, commi 3 e 4). In tale seconda ipotesi rientra anche la conferenza di servizi relativa alla realizzazione di un progetto sottoposto a valutazione di impatto ambientale (art. 14, comma 4). Nel primo caso, l’attività delle altre pubbliche Amministrazioni si inserisce a vario titolo (per lo più in esercizio di funzione consultiva) nell’ambito di un unico procedimento, e dunque la conferenza di servizi consente un esame sincronico della pluralità di interessi pubblici coinvolti in un unico procedimento, unici essendo tuttavia l’interesse pubblico c.d. primario e, soprattutto, la potestà provvedimentale. Nel secondo caso, invece, la conferenza di servizi si pone come momento organizzatorio di raccordo e di sintesi tra una pluralità di procedimenti amministrativi, cui pertengono una pluralità di interessi pubblici primari e, correlativamente, una pluralità di autonome potestà provvedimentali, tuttavia confluenti – sulla base del previo accordo delle Amministrazioni di esse titolari – nell’unico provvedimento amministrativo conclusivamente adottato dall’autorità amministrativa alla quale la legge ne conferisce il potere. Ciò non significa, tuttavia, che tale autorità acquisisca ipso facto una più ampia potestà provvedimentale, ma solo che essa esercita, ai soli fini dell’emanazione del provvedimento sul cui contenuto vi è accordo, anche la potestà provvedimentale delle altre amministrazioni. Ne consegue che, laddove l’accordo non vi sia, ciò che manca non è un mero “presupposto” per l’esercizio del potere provvedimentale, ma la condizione stessa perché quest’ultimo venga attribuito da una autorità amministrativa all’altra. Il che comporta, in mancanza di accordo, il difetto assoluto di attribuzione, poiché l’Amministrazione emanante viene a esercitare (per la parte di competenza dell’amministrazione dissenziente) una potestà che la legge non le ha mai attribuito (e che, anzi, è conferita ad altro organo, come, ad esempio, ai sensi dell’art. 14 quater della l. n. 241/1990, nel testo previgente, il Consiglio dei Ministri). Di conseguenza, poiché la titolarità del potere, a seguito del dissenso della Soprintendenza, si radica in un diverso plesso amministrativo, la Regione è completamente sfornita del potere di adottare la determinazione favorevole conclusiva all’esito dei lavori delle conferenze di servizi, dovendo essa senz’altro rimettere la questione all’istanza superiore, investita in via esclusiva dalla legge del confronto degli interessi rivelati in conflitto (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 23 maggio 2012, n. 3039; e anche sez. VI, 10 marzo 2014, n. 1144).
(Riforma T.a.r. Molise, n. 154/2016) – Pres. Anastasi, Est. Castiglia – Ministero dei beni, delle attività culturali e del turismo (Avv. Stato) c. B. s.r.l. (avv.ti Follieri e Follieri), regione Molise (avv. Angiolini) e altro (n.c.)
Allegato
Titolo Completo
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 4^ - 8 gennaio 2018, n. 67SENTENZA
CONSIGLIO DI STATO, Sez. 4^ – 8 gennaio 2018, n. 67
Pubblicato il 08/01/2018
N. 00067/2018REG.PROV.COLL.
N. 04374/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4374 del 2016, proposto dal Ministero dei beni, delle attività culturali e del turismo, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
Biwind 1 s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Enrico Follieri e Ilde Follieri, con domicilio eletto presso lo studio Grez e associati s.r.l. in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;
Regione Molise, in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Claudia Angiolini, con domicilio eletto presso la sede della Delegazione regionale in Roma, via del Pozzetto, 117;
Comune di Ripabottoni, in persona del Sindaco p.t., non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per il Molise, sezione I, 25 marzo 2016, n. 154.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Biwind 1 s.r.l. e della Regione Molise;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 luglio 2017 il consigliere Giuseppe Castiglia;
Uditi per le parti l’avvocato dello Stato De Felice nonché gli avvocati Enrico Follieri e Claudia Angiolini;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. In data 16 dicembre 2011 la società Biwind 1 s.r.l. ha chiesto alla Regione Molise l’avvio del procedimento per il rilascio dell’autorizzazione unica – ai sensi dell’art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 – per la realizzazione e l’esercizio di un aerogeneratore, con le opere connesse, nel territorio del Comune di Ripabottoni.
2. Alla successiva conferenza di servizi del 21 giugno 2012, è stato acquisito il parere negativo del Soprintendente per i beni architettonici e paesistici, reso ai sensi dell’art. 152 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (codice dei beni culturali e del paesaggio; d’ora in poi: codice) e del punto 14.9 delle linee guida adottate con decreto ministeriale 10 settembre 2010, per trattarsi di intervento ricadente su aree non soggette a vincolo, ma in prossimità di aree sottoposte a tutela a sensi del codice ricordato.
3. La Regione, ritenendo tale parere reso in violazione dell’art. 14 quater della legge 7 agosto 1990, n. 241, e dell’art. 152 del codice, lo ha tuttavia motivatamente superato, ritenendo che esso ponesse prescrizioni alternative (riduzione dell’altezza dell’aerogeneratore o dislocazione dell’intervento in un’altra area) tali da rendere concretamente impossibile la realizzazione dell’impianto. Ha dunque concluso il procedimento rilasciando l’autorizzazione unica con determina dirigenziale n. 79 dell’11 luglio 2012.
4. Con successivi provvedimenti, la Regione ha autorizzato la proroga dell’inizio dei lavori e una modifica dell’altezza dell’aerogeneratore.
5. Con provvedimento n. 1936 in data 22 maggio 2015 – adottato in via cautelare nell’asserito esercizio dei poteri di vigilanza previsti dall’art. 155 del codice, sul presupposto del mancato rispetto del parere negativo a suo tempo reso dall’Amministrazione statale in sede di conferenza di servizi – il segretario regionale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo – Mi.b.a.c.t. ha ordinato l’immediata sospensione dei lavori in corso per la realizzazione dell’impianto.
6. La Biwind 1 ha impugnato il provvedimento di sospensione con quattro motivi di ricorso.
7. Il Ministero competente si è costituito in giudizio per resistere al ricorso, contestandone la fondatezza, e con la medesima memoria di costituzione ha proposto appello incidentale per chiedere l’annullamento dell’autorizzazione unica e dei successivi provvedimenti di proroga, i quali sarebbero nulli per difetto di attribuzione, a seguito dell’omessa rimessione della questione al Consiglio dei Ministri, o, in subordine, illegittimi.
8. Anche la Regione Molise si è costituita in giudizio, sostenendo la legittimità dei provvedimenti adottati ed eccependo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso incidentale dell’Amministrazione statale per difetto del requisito dell’accessorietà o, in alternativa, la sua irricevibilità, se riqualificato come domanda autonoma.
9. Con sentenza 25 marzo 2016, n. 154, il T.a.r. per il Molise, sez. I:
a) ha ritenuto inammissibile il ricorso incidentale proposto ai sensi dell’art. 42 c.p.a., in quanto rivolto contro un atto autonomamente lesivo, che avrebbe dovuto essere impugnato nel termine di sessanta giorni decorrente dalla pubblicazione sul B.U.R.M. o quanto meno dalla intervenuta conoscenza;
b) ha giudicato tardivo e quindi irricevibile il medesimo appello incidentale, se considerato come autonomo ricorso di impugnazione in via principale;
c) nel merito, ha reputato fondato il ricorso principale, in quanto, a fronte di un provvedimento non contestato e divenuto inoppugnabile, il Mi.b.a.c.t. non avrebbe potuto adottare provvedimenti con inefficacia inibitoria;
d) ha escluso che l’autorizzazione unica e le successive proroghe fossero viziate da nullità, non riscontrando la sussistenza di nessuna delle ipotesi tassativamente indicate dall’art. 21 septies della legge n. 241/1990;
e) ha aggiunto che il provvedimento di sospensione sarebbe comunque illegittimo anche per la mancata indicazione del termine finale prescritto dall’art. 21 quater, comma 2, della legge n. 241/1990;
f) in conclusione, ha accolto il ricorso della società annullando il provvedimento impugnato;
g) ha condannato l’Amministrazione dello Stato al pagamento delle spese processuali.
9. Il Mi.b.a.c.t. ha interposto appello avverso la sentenza n. 154/2016 riassumendo i termini della questione e sostenendo che:
a) in presenza di un dissenso espresso della Soprintendenza, sarebbe radicalmente nulla – per difetto di attribuzioni e ingiustificata compressione dei poteri statali in tema di tutela paesaggistica e ambientale nonché per mancanza di un elemento essenziale – l’autorizzazione unica rilasciata dalla Regione Molise, che invece avrebbe dovuto trasmettere gli atti alla Presidenza del Consiglio dei Ministri per il corretto seguito della vicenda in applicazione dell’art. 14 quater della legge n. 241/1990; a norma dell’art. 31, comma 4, c.p.a., la nullità dell’atto avrebbe potuto essere sempre opposta dalla parte o rilevata d’ufficio dal giudice;
b) il potere di inibizione o sospensione dei lavori sarebbe racchiuso nella funzione di vigilanza attribuita al Ministero dall’art. 155 del codice, norma speciale che non suscettibile di integrazione con la previsione generale di un termine secondo l’art. 21 quater, comma 2, della legge n. 241/1990, disposizione che peraltro riguarderebbe l’autosospensione dell’esecuzione di un provvedimento da parte della stessa P.A. che lo ha emanato; nella specie, d’altronde, l’inibitoria andrebbe logicamente commisurata al carattere permanente degli effetti della condotta.
Il Ministero ha anche chiesto la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado.
10. La società Biwind 1 si è costituita in giudizio per resistere all’appello argomentandone:
a) l’inammissibilità, per non essere stato impugnato il capo della sentenza che ha affermato l’inammissibilità del ricorso incidentale. L’appello chiederebbe l’accoglimento del ricorso incidentale, ma lo specifico profilo non sarebbe oggetto di contestazione. Né potrebbe essere invocato l’art, 31, comma 4, c.p.a., perché – anche in disparte il rilievo della concreta mancanza di qualunque ipotesi di nullità – la norma riguarderebbe il caso in cui l’Amministrazione sia parte resistente, mentre nei riguardi dell’autorizzazione unica l’Amministrazione sarebbe parte ricorrente e avrebbe infatti proposto ricorso incidentale. Non ritualmente impugnata nei termini, l’autorizzazione unica non potrebbe entrare in giudizio, che resterebbe limitato al provvedimento di sospensione dei lavori;
b) l’infondatezza nel merito per tre motivi:
I) la Regione si sarebbe correttamente discostata da un parere della Soprintendenza inammissibile e illegittimo, rilasciando l’autorizzazione unica che sarebbe tutt’al più illegittima, non certo nulla e, non contestata nei termini, sarebbe divenuta inoppugnabile. Non varrebbe richiamare in contrario la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, che sarebbe anzi nel senso della semplice illegittimità dell’atto emanato contro il parere della Soprintendenza salva solo l’ipotesi limite – che qui non ricorrerebbe – della totale pretermissione dell’Amministrazione statale preposta alla tutela;
II) l’art. 155 del codice attribuirebbe al Mi.b.a.c.t. funzioni di vigilanza e non un potere inibitorio, diversamente da quanto previsto in altre diverse ipotesi (art. 150);
III) sarebbe viziante la mancata indicazione di un termine finale di efficacia del provvedimento. Varrebbe l’art. 21 quater della legge n. 241/1990 e la mancata apposizione di un termine trasformerebbe illegittimamente una misura cautelare in una statuizione definitiva;
c) la società ripropone infine espressamente i motivi di ricorso formulati avverso il provvedimento di sospensione dei lavori e non esaminati dal T.a.r.: I) mancanza in capo all’Amministrazione statale del potere inibitorio, che non potrebbe discendere né dall’art. 150, né dall’art. 152, né dall’art. 155 del codice (relativi in realtà a fattispecie diverse), mentre l’art. 21 quater della legge n. 241/1990 prevede che la sospensione del provvedimento possa essere disposta dall’autorità emanante o da un altro organo previsto dalla legge; II) violazione, da parte della Soprintendenza, dell’art. 14 quater della citata legge n. 241/1990 e dell’art. 152 del codice, perché il parere rilasciato in sede di conferenza di servizi, ponendo prescrizioni concretamente inattuabili, sarebbe in realtà un parere negativo, non sarebbe congruamente motivato e non recherebbe le specifiche indicazioni delle modifiche progettuali necessarie ai fini dell’assenso;
d) la società, infine, si oppone alla concessione delle misure cautelari richieste.
11. In data 13 luglio 2016, la Biwind 1 ha depositato documentazione attestante la fine dei lavori di costruzione dell’impianto eolico e la conferma dell’allacciamento con ENEL Distribuzione s.p.a.
12. La Regione Molise si è costituita in giudizio per resistere all’appello, chiedendone la declaratoria di inammissibilità o il rigetto sulla scorta di rilievi analoghi a quelli della Biwind 1.
13. Con ordinanza 29 luglio 2016, n. 3134, la Sezione ha accolto la domanda cautelare ai soli fini della sollecita fissazione dell’udienza pubblica per la trattazione della causa nel merito.
14. Con memoria depositata il 7 giugno 2017, la società ha riassunto le proprie ragioni.
15. All’udienza pubblica del 13 luglio 2017, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.
16. In via preliminare, il Collegio osserva che la ricostruzione in fatto, sopra riportata e ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, non è stata contestata dalle parti costituite ed è comunque acclarata dalla documentazione versata in atti. Di conseguenza, vigendo la preclusione posta dall’art. 64, comma 2, c.p.a., devono darsi per assodati i fatti oggetto di giudizio.
17. Ancora in via preliminare, devono essere rigettate, stante la loro infondatezza, le eccezioni di inammissibilità dell’appello, proposte dalla società Biwind 1 e dalla Regione Molise in riferimento alla omessa impugnazione del capo della sentenza con il quale il Tribunale territoriale ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso incidentale per difetto del presupposto dell’accessorietà, secondo quanto prescrive l’art. 42 c.p.a.
17.1. Il Ministero appellante non ha affatto omesso di impugnare tale capo, anzi ne ha fatto oggetto di espressa censura, là dove, parlando di un “rovesciamento dei termini” della questione, operato dal T.a.r. (pag. 7 dell’appello), ha affermato che è errata la tesi secondo la quale la Soprintendenza avrebbe dovuto impugnare autonomamente l’autorizzazione rilasciata dalla Regione, e ciò in quanto, “trattandosi di un atto nullo, in base all’art. 31, comma 4, cod. proc. amm., la nullità dell’atto può essere sempre opposta dalla parte resistente e rilevata di ufficio dal giudice” (pag. 8).
17.2. In definitiva, il Ministero appellante contesta le conclusioni della sentenza impugnata in ordine alla inammissibilità del ricorso incidentale, sostenendo che ciò che ha inteso introdurre, per il tramite di tale strumento processuale, è l’eccezione di nullità dell’atto emanato dalla Regione.
17.3. Quanto ora esposto consente di affermare che l’appellante non ha affatto omesso di impugnare il capo della decisione che ha dichiarato inammissibile il ricorso incidentale proposto in primo grado, e ciò – indipendentemente dalla fondatezza o meno delle argomentazioni, di seguito esaminate – è sufficiente a respingere l’eccezione proposta da ambedue le parti appellate.
18. Come si è detto, il Ministero contesta la declaratoria di inammissibilità del ricorso incidentale, sostenendo che quest’ultimo era rivolto ad eccepire la nullità dell’autorizzazione unica regionale e lamentando altresì come, in una logica “rovesciata”, il T.a.r., anziché “dichiarare nulla l’autorizzazione rilasciata dalla Regione per difetto assoluto di potere”, avrebbe invece erroneamente ritenuto che “la Soprintendenza aveva l’onere di impugnare la predetta autorizzazione (ritenendola illegittima)”.
18.1. A bene osservare il caso in esame, occorre rilevare che il tema della ammissibilità o meno del ricorso incidentale – fondata, come si è detto, sulla “accessorietà” del provvedimento con questo impugnato rispetto all’oggetto del giudizio principale – risulta non esserne il punto centrale ed esaustivo.
18.2. Nel giudizio di primo grado, l’oggetto dell’impugnazione era il provvedimento inibitorio dei lavori (pur oggetto di autorizzazione unica regionale), emanato dal Segretariato generale per il Molise.
18.3. Dunque, in disparte ogni altro motivo di doglianza proposto, la principale illegittimità di tale provvedimento, dedotta dalla società ricorrente e accolta dalla sentenza impugnata, è rappresentata dalla illegittimità del potere esercitato in presenza di un atto autorizzatorio ormai divenuto inoppugnabile.
18.4. E infatti, come afferma la sentenza impugnata, “in presenza di una autorizzazione unica alla costruzione ed all’esercizio dell’impianto eolico, valida ed efficace, il Segretariato regionale del Mibact non può interdire l’inizio dei lavori invocando supposti vizi di un procedimento ormai concluso (e non contestato nei termini di legge) o facendo leva su un possibile pregiudizio per il paesaggio”; né “per superare l’inoppugnabilità dell’autorizzazione unica e delle successive proroghe possono essere invocati inesistenti vizi di nullità”.
18.5. In sostanza:
a) per la ricorrente società, l’esistenza del provvedimento inoppugnabile (autorizzazione unica) renderebbe illegittimo il provvedimento inibitorio impugnato;
b) per il Ministero, Amministrazione emanante e resistente in giudizio, la rilevata nullità dell’autorizzazione unica costituirebbe il “presupposto”, o meglio il “non impedimento”, per l’esercizio legittimo dei propri poteri inibitori, posto che “quod nullum est, nullum producit effectum”.
19. A fronte di ciò, la sentenza impugnata:
a) in primo luogo – e sul piano prettamente processuale – ha dichiarato inammissibile l’impugnazione dell’autorizzazione unica regionale per il tramite del tardivo ricorso incidentale;
b) in secondo luogo, ha escluso comunque che tale atto (la cui impugnazione è stata dichiarata inammissibile) possa essere considerato nullo, essendo inesistenti gli invocati vizi di nullità (con ciò, peraltro, implicitamente assumendo che la eventuale nullità dell’atto supererebbe il problema processuale della inoppugnabilità del medesimo).
19.1. A tale riguardo, l’art. 31, comma 4, primi due periodi, c.p.a., prevede che “la domanda volta all’accertamento delle nullità previste dalla legge si propone entro il termine di decadenza di centottanta giorni. La nullità dell’atto può sempre essere opposta dalla parte resistente o essere rilevata d’ufficio dal giudice”.
19.2. Per il tramite della norma processuale, il legislatore:
a) per un verso, ha assoggettato la declaratoria di nullità dell’atto amministrativo alla proposizione della relativa domanda al giudice da parte di chi vi abbia interesse, entro il termine di centottanta giorni, da intendersi come decorrente dalla piena conoscenza dell’atto medesimo;
b) per altro verso, ha affermato – come per i contratti così anche per l’atto amministrativo – sia la opponibilità “in perpetuum” della nullità ad opera della parte resistente, sia la rilevabilità di ufficio di tale invalidità, da parte del giudice.
19.3. Così disponendo, tuttavia, il legislatore ha recepito solo in parte gli aspetti tipici della nullità – come tradizionalmente operante nell’ambito del diritto civile – quale nuova forma di invalidità dell’atto amministrativo.
19.4. E infatti il legislatore:
a) a fronte di un aspetto caratteristico della nullità, rappresentato dalla previsione di un’azione imprescrittibile volta a ottenerne la declaratoria da parte di chiunque vi abbia interesse, ha invece stabilito che la detta azione venga proposta entro il termine decadenziale di centottanta giorni (e ciò sebbene parte della giurisprudenza avesse già ritenuto l’imprescrittibilità dell’azione di nullità: Cons. Stato, sez. V, n. 4136/2007);
b) al contempo, ha positivamente recepito altri aspetti propri della disciplina della nullità, quali sono quelli della sua perpetua opponibilità in giudizio e della rilevabilità di ufficio da parte del giudice.
19.5. Questa Sezione ha già avuto modo di affermare (28 ottobre 2011, n. 5799) che la stessa declaratoria di ufficio della nullità da parte del giudice deve essere correlata al rispetto del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ex artt. 112 c.p.c. e 39 c.p.a., in modo non dissimile da quanto già elaborato dalla giurisprudenza con riferimento alla possibilità e ai limiti della declaratoria di ufficio della nullità del contratto ex art. 1421 c.c. (Cass. civ. sez. III, 7 febbraio 2011, n. 1956; sez. I, 14 aprile 2011, n. 8539).
19.6. Ne consegue che il giudice amministrativo può di ufficio procedere a dichiarare la nullità di atti amministrativi (ovviamente in un giudizio diverso da quello ex art. 31, comma 4, c.p.a.) solo se tale declaratoria risulta funzionale alla pronuncia sulla domanda introdotta in giudizio (e quindi, nel giudizio impugnatorio, alla declaratoria di illegittimità dell’atto impugnato e al suo conseguente annullamento, ovvero, al contrario, al rigetto della domanda di annullamento).
19.7. Allo stesso modo, anche la “opponibilità” della nullità ad opera della parte resistente deve essere fondata su un interesse concreto e attuale, il medesimo che, più in generale, costituisce il presupposto dello jus excipiendi in iudicio; interesse che va tenuto distinto da quello che legittimerebbe la parte all’azione di accertamento della nullità, anche nel caso in cui tale parte sia rappresentata da una Pubblica Amministrazione (e fermo il potere di quest’ultima, ove ne sia titolare, di agire in autotutela sull’atto nullo: Cons. Stato, sez. IV, n. 5799/2011 cit.).
19.8. Ciò che, in tal modo, la parte persegue non è la declaratoria della nullità dell’atto amministrativo (per il quale occorre la domanda entro il termine decadenziale), ma la paralisi dell’argomento della parte avversaria comunque fondato sull’atto nullo.
19.9. Ma se tale è l’interesse della parte opponente la nullità, non di meno ciò non esclude che il giudice, ove concordi con l’eccezione, possa procedere alla declaratoria di nullità dell’atto ritenuto nullo, potendo egli valutare – in ragione del caso concreto sottoposto al suo giudizio – se limitarsi ad accogliere l’eccezione di nullità, sufficiente a soddisfare la posizione dell’opponente, ovvero procedere alla declaratoria della nullità, in tal modo producendo l’effetto della scomparsa dell’atto amministrativo dal mondo giuridico (e non già la semplice “non consistenza” dello stesso nel singolo giudizio).
19.10. In sostanza, la asimmetria presente nella disciplina della nullità del provvedimento amministrativo – laddove alla “temporaneità” dell’azione dichiarativa di nullità soggetta a termine di decadenza corrisponde la “perpetuità” della rilevabilità di ufficio della medesima, e non già la perpetuità in ambedue le ipotesi – comporta anche una diversa articolazione dei poteri del giudice; e ciò nonostante l’inammissibilità dell’azione dichiarativa della nullità da parte del ricorrente che ha fatto spirare il termine decadenziale.
20. D’altra parte, anche la più recente giurisprudenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione (12 dicembre 2014, n. 26242) estende il potere – dovere del giudice di dichiarare, pur in assenza di domanda di parte, la nullità del contratto: si consideri, a tal fine, il punto della decisione dove la Suprema Corte afferma che “il giudice dichiara la nullità del negozio nella motivazione della sentenza, dopo aver indicato come tema di prova la relativa questione, in mancanza di domanda di accertamento (principale o incidentale) proposta da una delle parti, con effetto di giudicato in assenza di impugnazione” (§ 7.1, n. 5).
20.1. Afferma, inoltre, la Corte di cassazione come “la vera ratio della rilevabilità officiosa della nullità non sia quella di eliminare, sempre e comunque, il contratto nullo dalla sfera del rilevante giuridico (che, altrimenti, l’art. 1421 sarebbe stato scritto diversamente, e sarebbe stata attribuita la relativa legittimazione ad agire anche al pubblico ministero, come avviene nell’ordinamento francese ex art. 423 NCPC), ma quella di impedire che esso costituisca il presupposto di una decisione giurisdizionale che in qualche modo ne postuli la validità o comunque la provvisoria attitudine a produrre effetti giuridici”.
20.2. Secondo la Suprema Corte, “si intende, allora, come da un lato l’esigenza di preservare la sostanziale unitarietà della categoria della nullità negoziale si coniughi con l’obbligo di rilevazione d’ufficio sempre e comunque imposto al giudice, dall’altro come tale obbligo contemperi in modo equilibrato il duplice valore della tutela degli interessi generali sottesi alla nullità e della salvaguardia dell’iniziativa di parte nel processo”.
20.3. E la Corte di cassazione giunge, infine, ad affermare che “la nullità può essere sempre oggetto di dichiarazione/accertamento da parte del giudice”, e inoltre che “l’espresso accertamento contenuto nella motivazione della sentenza sarà idoneo a produrre, anche in assenza di un’istanza di parte (domanda o accertamento incidentale) l’effetto di giudicato sulla nullità del contratto in mancanza di impugnazione sul punto”.
21. Rapportando i principi enunciati al caso di specie, non può essere condivisa la sentenza impugnata, là dove dichiara la inammissibilità del ricorso incidentale “per difetto del requisito della accessorietà della domanda rispetto al ricorso principale, espressamente richiesto dall’art. 42 c.p.a.”.
21.1. Ciò in quanto, nella misura in cui con tale ricorso si è opposta la nullità di un altro atto precedentemente adottato da diversa Amministrazione (circostanza fondante uno dei motivi di impugnazione del ricorrente), non si è affatto travalicato il limite di “accessorietà”, ben potendosi affermare che – proprio per effetto del ricorso del ricorrente – sorge la necessità di “opporre” (in questo caso al privato) la nullità dell’atto regionale. In altre parole (e secondo quanto previsto dall’art. 42 c.p.a.) proprio in questo caso l’interesse “sorge in dipendenza della domanda proposta in via principale”.
21.2. In definitiva, l’Amministrazione appellante non ha affatto mutato il thema decidendum offerto al giudice di primo grado, ma – a fronte di una rilevata illegittimità del proprio atto per essere stato in precedenza emanata una autorizzazione regionale assistita da presunzione di legittimità – ha, in sostanza, opposto la nullità di tale ultimo atto, esercitando un potere espressamente riconosciutole dall’art. 31, comma 4, c.p.a.
21.3. Senza dubbio l’Amministrazione non può, per il tramite del ricorso incidentale, proporre tardivamente l’azione dichiarativa della nullità; nondimeno, per le ragioni esposte, essa può sempre eccepire in giudizio la nullità dell’atto.
21.4. E in tale senso deve essere interpretato (ex art. 32, comma 2, c.p.a.) il contenuto insito nel ricorso incidentale proposto, poiché – se vi è certamente “sovrabbondanza” del mezzo processuale utilizzato, posto che per il fine perseguito è sufficiente una eccezione di nullità proposta con la memoria di costituzione, senza necessità di ricorso incidentale – al tempo stesso il giudice è tenuto alla verifica dell’effettivo intento della parte, sia al fine di affermare il diritto alla tutela giurisdizionale, sia in ossequio al principio di conservazione degli atti giuridici (e ciò a maggior ragione con riferimento alla complessa fattispecie della nullità del provvedimento amministrativo).
21.5. Peraltro (e a tutto concedere), ove anche non si volesse convenire con la interpretazione proposta, occorrerebbe pur sempre affermare che, se è inammissibile il ricorso incidentale nella misura in cui con questo si propone una domanda di accertamento della nullità dell’atto (ritenuta in difetto del requisito dell’accessorietà con il ricorso principale e comunque tardiva), non di meno dovrebbe essere comunque esaminata la eccezione di nullità dell’atto, volta a far rilevare la infondatezza del motivo del ricorso principale fondato su atto (ritenuto) nullo.
22. Quanto sin qui affermato comporta, peraltro, che la questione (solo apparentemente) processuale defluisca sul piano sostanziale, occorrendo stabilire, contestualmente, se il provvedimento impugnato in primo grado sia illegittimo (come sostenuto in tale giudizio dalla società ricorrente), stante l’esistenza di un provvedimento inoppugnabile (l’autorizzazione unica regionale), ovvero se questo motivo di ricorso sia infondato, poiché il predetto provvedimento regionale sarebbe nullo.
22.1. D’altra parte, è ciò che la sentenza impugnata ha (comunque) fatto là dove, al di là della declaratoria di inammissibilità dell’appello incidentale, ha affermato che “per superare l’inoppugnabilità dell’autorizzazione unica e delle successive proroghe (non) possono essere invocati inesistenti vizi di nullità . . . tenuto conto che nessuna delle ipotesi tassativamente elencate . . . ricorre nel caso di specie”.
22.3. Ed è in questo senso – ferme le precisazioni innanzi rese in ordine al thema decidendum – che devono essere esaminati nella presente sede i motivi di appello dell’Amministrazione statale.
23. Nel caso di specie, il Collegio ritiene di poter argomentare nei termini che seguono.
23.1. La norma base è quella dell’art. 21 septies, comma 1, della legge n. 241/1990, più volte citata, secondo la quale “è nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge”.
23.2. In linea di principio, l’indirizzo del Consiglio di Stato è consolidato nel ritenere che la nullità del provvedimento abbia carattere eccezionale (sez. V, 16 febbraio 2012, n. 792, sottolinea come le categorie della nullità e annullabilità, quali vizi che inficiano un atto giuridico costituente manifestazione di volontà, si presentino nel diritto amministrativo in relazione invertita rispetto alle omologhe figure valevoli per i negozi giuridici di diritto privato) e che il “difetto assoluto di attribuzione”, quale causa di nullità del provvedimento amministrativo, evochi la cosiddetta carenza di potere in astratto, vale a dire l’ipotesi in cui l’Amministrazione assume di esercitare un potere che in realtà nessuna norma le attribuisce (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 19 dicembre 2007, n. 2273; Id., sez. V, 2 novembre 2011, n. 5843; Id., sez. VI, 27 gennaio 2012, n. 372; Id., sez. V, 30 agosto 2013, n. 4323; Id., sez. VI, 31 ottobre 2013, n. 5266; sez. IV, 26 agosto 2014, n. 4281; sez. IV, 18 novembre 2014, n. 5671). Fattispecie, questa, assolutamente residuale, tanto da aver condotto all’affermazione che, ricostruito in questi termini, il difetto assoluto di attribuzione rappresenti, in definitiva, un caso di scuola (Cons. Stato, sez. VI, n. 5266 del 2013, cit.).
23.3. Senonché, la vicenda all’esame dimostra proprio che – come è stato detto nell’ambito di un diverso settore dell’ordinamento – i casi di scuola non esistono.
23.4. Si verterebbe certo in una ipotesi di illegittimità/annullabilità se venisse in discussione non l’astratta titolarità del potere, ma le concrete modalità del suo esercizio. Senonché, questo non è nella fattispecie, perché, nei casi in cui il provvedimento amministrativo è emanato a conclusione di una conferenza di servizi, occorre distinguere (ai sensi degli artt. 14 e segg. della legge n. 241/1990, nelle formulazioni successivamente vigenti):
a) l’ipotesi in cui la conferenza di servizi decisoria è indetta dall’amministrazione procedente “quando la conclusione positiva del procedimento è subordinata all’acquisizione di più pareri, intese, concerti, nulla osta o altri atti di assenso, comunque denominati, resi da diverse amministrazioni” (art. 14, comma 2, primo periodo);
b) l’ipotesi in cui la conferenza di servizi è convocata laddove “l’attività del privato sia subordinata a più atti di assenso, comunque denominati, da adottare a conclusione di distinti procedimenti di competenza di diverse amministrazioni pubbliche” (art. 14, comma 2, secondo periodo – e, nel testo vigente sino al 27 luglio 2016, commi 3 e 4).
In tale seconda ipotesi rientra anche la conferenza di servizi relativa alla realizzazione di un progetto sottoposto a valutazione di impatto ambientale (art. 14, comma 4).
23.5. Nel primo caso, l’attività delle altre pubbliche Amministrazioni si inserisce a vario titolo (per lo più in esercizio di funzione consultiva) nell’ambito di un unico procedimento, e dunque la conferenza di servizi consente un esame sincronico della pluralità di interessi pubblici coinvolti in un unico procedimento, unici essendo tuttavia l’interesse pubblico c.d. primario (a fronte del quale gli altri assumono la veste di interessi pubblici secondari) e, soprattutto, la potestà provvedimentale.
23.6. Nel secondo caso, invece, la conferenza di servizi si pone come momento organizzatorio di raccordo e di sintesi tra una pluralità di procedimenti amministrativi, cui pertengono una pluralità di interessi pubblici primari e, correlativamente, una pluralità di autonome potestà provvedimentali, tuttavia confluenti – sulla base del previo accordo delle Amministrazioni di esse titolari – nell’unico provvedimento amministrativo conclusivamente adottato dall’autorità amministrativa alla quale la legge ne conferisce il potere.
23.7. Ciò non significa, tuttavia, che tale autorità acquisisca ipso facto una (più ampia) potestà provvedimentale, ma solo che essa esercita, ai soli fini dell’emanazione del provvedimento sul cui contenuto vi è accordo, (anche) la potestà provvedimentale delle altre amministrazioni.
23.8. Ne consegue che, laddove l’accordo non vi sia, ciò che manca non è un mero “presupposto” per l’esercizio del potere provvedimentale, ma la condizione stessa perché quest’ultimo (ai soli limitati fini suddetti) venga attribuito (si “trasferisca”) da una autorità amministrativa all’altra. Il che comporta, in mancanza di accordo, il difetto assoluto di attribuzione, poiché l’Amministrazione emanante viene a esercitare (per la parte di competenza dell’amministrazione dissenziente) una potestà che la legge non le ha mai attribuito (e che, anzi, è conferita ad altro organo, come, ad esempio, il Consiglio dei Ministri).
23.9. Nel caso di specie si applica l’art. 14 quater della legge n. 241/1990, nel testo vigente all’epoca, espressamente richiamato dall’art. 12 del decreto legislativo n. 397/2003, secondo il quale “ove venga espresso motivato dissenso da parte di un’amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, la questione, in attuazione e nel rispetto del principio di leale collaborazione e dell’articolo 120 della Costituzione, è rimessa dall’amministrazione procedente alla deliberazione del Consiglio dei Ministri, che ha natura di atto di alta amministrazione”.
23.10. Di conseguenza, poiché la titolarità del potere, a seguito del dissenso della Soprintendenza, si era radicato in un diverso plesso amministrativo, la Regione “era completamente sfornita del potere di adottare la determinazione favorevole conclusiva all’esito dei lavori delle conferenze di servizi. Anziché censurare, senza potere, quell’espressione di dissenso qualificato, come detto essa avrebbe dovuto – per eventualmente superarlo – senz’altro rimettere la questione all’istanza superiore, investita in via esclusiva dalla legge del confronto degli interessi rivelati in conflitto. Non vi era qui dunque necessità, da parte dell’Amministrazione statale, di impugnazione di dette autorizzazioni uniche nel termine decadenziale previsto per l’atto illegittimo” (così Cons. Stato, sez. VI, 23 maggio 2012, n. 3039; e anche sez. VI, 10 marzo 2014, n. 1144).
23.11. Anche in considerazione del fatto che il parere della Soprintendenza era motivato con la prossimità dell’impianto ad area oggetto di tutela archeologica e paesaggistica (come è bene messo in luce nella nota impugnata), il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi da tale condivisibile precedente, il quale non perde la sua forza per le decisioni di questo Consiglio di Stato – di segno contrario, a detta della società resistente – che l’hanno seguita, perché tali decisioni non sono in termini in quanto:
a) sez. VI, 7 agosto 2013, n. 4167, riguarda una vicenda in cui la Soprintendenza era intervenuta in una prima conferenza di servizi ed era rimasta assente a quella successiva, sicché la Regione, correttamente ritenendo non giustificata tale assenza, ha attribuito alla stessa valenza di assenso ai sensi dell’art. 14 ter, comma 7, della legge n. 241/1990 (la sentenza rileva espressamente la differenza della controversia decisa rispetto a quello oggetto della sentenza n. 3039/2012, che richiama sottolineando che la tesi della nullità radicale dell’atto è limitata al “caso di sostanziale e radicale pretermissione delle amministrazioni preposte alla tutela paesaggistica e ambientale, e cioè nel caso di mancata convocazione alla conferenza di servizi o di mancata applicazione del modulo previsto dall’art. 14 quater l. n. 241/1990 per il superamento del motivato dissenso dell’amministrazione preposta alla tutela degli interessi sensibili ivi indicati”);
b) sez. IV, 18 novembre 2014, n. 5671, attiene a una vicenda pianificatoria ed edilizia in cui veniva contestata una carenza assoluta di attribuzioni all’ente Comune, laddove la pronuncia della Sezione è stata nel senso che “non può essere negato che il Comune abbia, in termini di conformazione della proprietà ai fini edificatori, delle attribuzioni normative tradizionali, già previste in maniera ricognitiva a livello primario dalla fondamentale legge urbanistica n. 1150 del 1942 e rafforzatesi con l’attuale formulazione dell’art. 114 della Costituzione. L’esistenza di una carenza assoluta di attribuzioni in termini appare quindi del tutto insostenibile”;
c) sez. IV, 21 agosto 2015, n. 3971, afferma sì il principio dell’annullabilità e non della nullità, ma ciò fa senza argomentare dettagliatamente e senza comunque incidere sulla decisione finale, che infatti è di accoglimento dell’appello del Mi.b.a.c.t. con annullamento delle autorizzazioni uniche regionali impugnate.
23.12. Resta da aggiungere, per completezza, che la tesi difensiva ultima di Biwind 1 sul punto in questione (l’art. 31, comma 4, c.p.a. riguarderebbe la sola ipotesi in cui l’Amministrazione resiste all’impugnativa di un atto e ne contesta la validità) non ha alcun addentellato né nella lettera, né nella ratio della disposizione e neppure in precedenti di giurisprudenza, cosicché va disattesa.
24. Riproponendo i motivi del ricorso di primo grado non esaminati dal T.a.r., la società appellata contesta poi la titolarità del potere inibitorio dell’Amministrazione centrale e la legittimità del suo esercizio.
24.1. Considerando nel loro complesso tali difese, che vengono articolate sotto diversi punti di vista, il Collegio rileva che:
a) il potere di sospensione o inibizione, a salvaguardia dal pregiudizio ai valori culturali e paesaggistici compendiati nei luoghi oggetto degli interventi, deve considerarsi un potere a carattere generale che non si limita alle singole fattispecie in cui è espressamente contemplato (artt. 28 e 150, in sistema con l’art. 155 del codice) le quali, lungi dal rappresentare ipotesi tassative e non ampliabili, costituiscono piuttosto il punto di emersione di tale generale principio (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 3039/2012; sez. VI, n. 1144/2014).
Il riconoscimento della spettanza di tale potere al Ministero competente e alle sue articolazioni periferiche, d’altronde, è anche coerente con una interpretazione del sistema costituzionalmente orientata. Infatti, sarebbe del tutto incongruo supporre che, nel predisporre un quadro di specifica tutela di beni che godono di una particolare protezione costituzionale, il legislatore abbia poi inteso accordare una tutela avanzata ai soli beni culturali (art. 28) riservando invece ai beni paesaggistici, in linea di massima e salve specifiche eccezioni, la sola tutela ripristinatoria (art. 167), con una distinzione che, priva di qualsiasi comprensibile fondamento, sarebbe oltretutto di dubbia ragionevolezza;
b) se l’Amministrazione statale rivendica a ragione di poter esercitare le proprie prerogative in vista del corretto rilascio del titolo autorizzatorio, il termine di efficacia del provvedimento inibitorio è implicito e coincide con la riattivazione e la definizione del procedimento secondo le corrette procedure. Né in contrario può essere invocato l’art. 21 quater della legge n. 241/1990, sia perché tutta la normativa del codice ha carattere evidentemente speciale rispetto alla normativa generale, sia perché – come correttamente osserva l’Amministrazione appellante – l’art. 21 quater disciplina l’ipotesi, del tutto diversa da quella che qui viene in questione, dell’autosospensione dell’esecuzione del provvedimento amministrativo da parte dell’autorità che lo ha adottato;
c) la violazione di legge, che la Soprintendenza avrebbe compiuto nell’adottare un parere contenente prescrizioni praticamente ineseguibili, non avrebbe comunque legittimato la Regione a rilasciare l’autorizzazione unica, ma avrebbe dovuto indurla – per quanto detto più volte – a sottoporre la questione alla deliberazione del Consiglio dei Ministri.
25. Dalle considerazioni che precedono discende che – come anticipato – l’appello è fondato e va pertanto accolto, mentre sono infondati i motivi riproposti dalla società Biwind 1 con la memoria del 28 giugno 2016. Segue da ciò la riforma della sentenza impugnata e la reiezione del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.
26. La complessità della questione giustifica la compensazione fra le parti delle spese del doppio grado di giudizio, fermo restando a carico della società appellata il contributo unificato versato per il giudizio di primo grado e il rimborso di quello corrisposto in questo grado dall’Amministrazione appellante.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto:
a) accoglie l’appello;
b) respinge i motivi riproposti dalla società Biwind 1 s.r.l. con la memoria del 28 giugno 2016;
c) per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado;
d) compensa fra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 luglio 2017 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi, Presidente
Oberdan Forlenza, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere
Giuseppe Castiglia, Consigliere, Estensore
Luca Lamberti, Consigliere
L’ESTENSORE
Giuseppe Castiglia
IL PRESIDENTE
Antonino Anastasi
IL SEGRETARIO