Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Beni culturali ed ambientali, Diritto urbanistico - edilizia Numero: 50 | Data di udienza: 7 Febbraio 2017

DIRITTO URBANISTICO – BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Art. 2, c. 3 l.r. Liguria n. 11/2015 – Piani di bacino e piani per le aree protette – Contrasto con il principio di prevalenza del piano paesaggistico dettato dall’art. 145, c. 3 d.lgs. n. 42/2004 – Illegittimità costituzionale.


Provvedimento: Sentenza
Sezione:
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 10 Marzo 2017
Numero: 50
Data di udienza: 7 Febbraio 2017
Presidente: Grossi
Estensore: de Pretis


Premassima

DIRITTO URBANISTICO – BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Art. 2, c. 3 l.r. Liguria n. 11/2015 – Piani di bacino e piani per le aree protette – Contrasto con il principio di prevalenza del piano paesaggistico dettato dall’art. 145, c. 3 d.lgs. n. 42/2004 – Illegittimità costituzionale.



Massima

 

CORTE COSTITUZIONALE – 10 marzo 2017, n. 50


DIRITTO URBANISTICO – BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Art. 2, c. 3 l.r. Liguria n. 11/2015 – Piani di bacino e piani per le aree protette – Contrasto con il principio di prevalenza del piano paesaggistico dettato dall’art. 145, c. 3 d.lgs. n. 42/2004 – Illegittimità costituzionale.

L’art. 2, comma 3, della legge regionale della Liguria n. 11 del 2015, ha sostituito il comma 5 dell’art. 2 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997 con il comma seguente: «I piani di bacino, nonché i piani delle aree protette di cui alla vigente legislazione regionale, vincolano, nelle loro indicazioni di carattere prescrittivo, la pianificazione territoriale di livello regionale, metropolitano, provinciale e comunale con effetto di integrazione della stessa e, in caso di contrasto, di prevalenza su di essa». Detta norma regionale, subordinando la pianificazione territoriale di livello regionale ai piani di bacino e ai piani per le aree protette, si pone in contrasto con il principio di prevalenza del piano paesaggistico sugli atti di pianificazione ad incidenza territoriale posti dalle normative di settore, dettato dall’art. 145, comma 3, del codice dei beni culturali e del paesaggio. Infatti, ai sensi dell’art. 3 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, nella formulazione vigente al momento della proposizione del ricorso, lo strumento della pianificazione territoriale di livello regionale è il PTR, avente (a norma dell’art. 13, comma 3, della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, poi abrogato dall’art. 8, comma 3, della legge reg. Liguria n. 29 del 2016) valore di «piano urbanistico-territoriale, con specifica considerazione dei valori paesaggistici». La rilevata antinomia non è stata superata dallo ius superveniens. Anche dopo la legge reg. Liguria n. 29 del 2016, il comma 5 dell’art. 2 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997 continua a vincolare ai piani di bacino e delle aree protette l’intera «pianificazione territoriale di livello regionale», categoria quest’ultima che ‒ a seguito delle modifiche apportate all’art. 3 della legge reg. n. 36 del 1997 dall’art. 2, comma 1, della legge reg. n. 29 del 2016 ‒ include ora anche il «Piano paesaggistico».

Pres. Grossi, Est. de Pretis – Presidente del Consiglio dei Ministri c. Regione Liguria
 


Allegato


Titolo Completo

CORTE COSTITUZIONALE – 10 marzo 2017, n. 50

SENTENZA

 

CORTE COSTITUZIONALE – 10 marzo 2017, n. 50

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

–      Paolo                           GROSSI                                           Presidente
–      Alessandro                  CRISCUOLO                                     Giudice
–      Giorgio                        LATTANZI                                              ”
–      Aldo                            CAROSI                                                   ”
–      Marta                           CARTABIA                                             ”
–      Mario Rosario             MORELLI                                                ”
–      Giancarlo                     CORAGGIO                                            ”
–      Giuliano                       AMATO                                                   ”
–      Silvana                         SCIARRA                                                ”
–      Daria                            de PRETIS                                               ”
–      Franco                         MODUGNO                                             ”
–      Augusto Antonio       BARBERA                                               ”
–      Giulio                          PROSPERETTI                                        ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2, commi 1 e 3; 3, comma 2; 12, comma 1; 14, comma 1; 15, comma 1; 17, comma 1; 18, comma 1; 27, comma 1; 31, comma 1; 34, comma 1; 50, comma 1; 51, comma 1; 61, comma 6; 68, comma 7, e 80, comma 1, lettera b), della legge della Regione Liguria 2 aprile 2015, n. 11, recante «Modifiche alla legge regionale 4 settembre 1997, n. 36 (Legge urbanistica regionale)», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato l’8-10 giugno 2015, depositato in cancelleria il 15 giugno 2015 ed iscritto al n. 64 del registro ricorsi 2015.

Visto l’atto di costituzione della Regione Liguria;

udito nell’udienza pubblica del 7 febbraio 2017 il Giudice relatore Daria de Pretis;

uditi l’avvocato dello Stato Marco Corsini per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Barbara Baroli per la Regione Liguria.

Ritenuto in fatto

1.‒ Con ricorso notificato l’8-10 giugno 2015, depositato il 15 giugno 2015 ed iscritto al n. 64 del registro ricorsi 2015, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato diversi articoli della legge della Regione Liguria 2 aprile 2015, n. 11, recante «Modifiche alla legge regionale 4 settembre 1997, n. 36 (Legge urbanistica regionale)», per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere l) e s), e terzo comma, della Costituzione.

1.1.‒ In primo luogo, il Governo censura gli artt. 2, comma l, 14, comma l, 15, comma l, e 17, comma l, della legge della Regione Liguria n. 11 del 2015.

L’art. 2, comma l, della legge impugnata integra il primo periodo del comma 1 dell’art. 2 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, specificando che la pianificazione territoriale si svolge «nel rispetto delle competenze in materia di governo del territorio previste nell’ordinamento statale e regionale».

L’art. 14, comma 1, della legge impugnata sostituisce integralmente l’art. 13 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, il cui comma 3 ora recita: «Il PTR assume il valore di piano urbanistico-territoriale, con specifica considerazione dei valori paesaggistici, anche in vista della successiva attribuzione ad esso del valore di Piano paesaggistico ai sensi degli articoli 135 e 143 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) e successive modificazioni e integrazioni, da conseguirsi mediante procedura di variante di cui all’articolo 16 o di accordo di pianificazione di cui all’articolo 57».

L’articolo 15 della legge impugnata ha sostituito l’art. 14 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, che disciplina il procedimento per l’approvazione del Piano territoriale regionale (PTR) Vi si prevede che il piano è trasmesso al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (di seguito MiBACT) ai soli fini dell’espressione di un parere.

In termini analoghi l’art. 17 della legge impugnata, che ha sostituito l’art. 16 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, disciplina il procedimento di variante al PTR.

Le norme citate (artt. 2, comma l, 14, comma l, 15, comma l, e 17, comma l) si porrebbero in contrasto con gli artt. 135 e 143 del decreto-legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante il «Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137» (di seguito: codice dei beni culturali e del paesaggio), secondo cui la pianificazione paesaggistica avviene con un atto elaborato congiuntamente dalla singola regione e dal Ministero, con modalità disciplinate da apposite intese che riguardano anche le successive modifiche, revisioni ed integrazioni, prima della sua approvazione da parte della regione interessata. Ne conseguirebbe la loro illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che riserva alla potestà esclusiva dello Stato la materia della «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali».

1.2.‒ L’art. 2, comma 3, della legge reg. Liguria n. 11 del 2015 ‒ che sostituisce il comma 5 dell’art. 2 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997 ‒ violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., nella parte in cui subordina il PTR (ivi compresa la parte dello strumento pianificatorio avente valore paesaggistico) ai piani di bacino e ai piani per le aree protette. Ciò in quanto, si sensi dell’art. 145, comma 3, del codice dei beni culturali e del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici sono prevalenti sulle disposizioni contenute negli altri atti di pianificazione territoriale previsti dalle normative di settore.

1.3.‒ L’art. 3, comma 2, della legge reg. Liguria n. 11 del 2015 ‒ il quale sostituisce il comma 3 dell’art. 3 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997 ‒ prevede che il PTR sia elaborato secondo le modalità partecipative previste nell’art. 6 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997. Secondo l’art. 6 da ultimo citato, «[l]a Regione, la Città metropolitana, e le province, in vista della formazione, del monitoraggio e della variazione, in forma concertata dei rispettivi piani territoriali convocano apposite conferenze di pianificazione». Alle «conferenze di pianificazione» partecipano tutte le pubbliche amministrazioni rappresentative degli interessi pubblici coinvolti, le quali «espongono le proprie osservazioni, proposte e valutazioni, delle quali si dà atto nel relativo verbale ai fini della loro considerazione nel processo di pianificazione avviato».

Ebbene, la disposizione regionale censurata, laddove implicitamente include anche il MiBACT tra le pubbliche amministrazioni partecipanti alle «conferenze di pianificazione», assegnandogli un ruolo meramente partecipativo e propositivo, violerebbe ancora una volta gli artt. 135 e 143 del codice dei beni culturali e del paesaggio, secondo i quali la pianificazione paesaggistica avviene con un atto elaborato congiuntamente dalla singola regione e dal MiBACT.

1.4.‒ L’art. 12, comma l, della legge reg. Liguria n. 11 del 2015, sostituisce l’art. 11 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, il cui comma 5 disponeva al momento del ricorso: «Il PTR può demandare al PTGcm e al PTC provinciale l’integrazione e lo sviluppo di alcuni elementi della disciplina di cui al comma 3, fornendo specifiche indicazioni in tal senso».

Osserva il ricorrente come, tra gli elementi che possono essere integrati e sviluppati dal PTGcm (piano territoriale generale della città metropolitana) e dal PTC (piano territoriale di coordinamento) provinciale, figuri anche «la disciplina di tutela, salvaguardia, valorizzazione e fruizione del paesaggio in ragione dei differenti valori espressi dai diversi contesti territoriali che lo costituiscono» (art. 11, comma 3, lettera a), della legge reg. Liguria n. 36 del 1997).

La disciplina regionale contrasterebbe, pertanto, con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto le pertinenti norme statali (artt. 143, comma 9, e 145 del codice dei beni culturali e del paesaggio) escludono che gli strumenti di pianificazione territoriale possano sostituirsi al piano paesaggistico.

1.5.‒ L’art. 18, comma l, della legge reg. Liguria n. 11 del 2015 ha introdotto nella legge reg. Liguria n. 36 del 1997 l’art. 16-bis, il cui comma 1 prevede che il PTR sia attuato «mediante progetti a scala urbanistica od edilizia, costituenti strumenti operativi da promuovere ed approvare da parte della Regione».

Secondo il Governo, la mancata partecipazione degli organi ministeriali al procedimento di conformazione ed adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica contrasterebbe con l’art. 145 del codice dei beni culturali e del paesaggio e, quindi, con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (viene citata la sentenza di questa Corte n. 64 del 2015). Sotto altro profilo, non sarebbe dato comprendere se il procedimento di approvazione dei citati strumenti attuativi presupponga l’acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica (in conformità con quanto stabilito dall’art. 146 del codice dei beni culturali e del paesaggio), ovvero sia sostitutivo della stessa, nonché se il medesimo procedimento sostituisca anche il parere previsto dagli artt. 16 e 28 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica statale).

1.6.‒ L’art. 27, comma l, sostituisce l’art. 23 della legge regionale n. 36 del 1997, il cui comma 2 ora prevede: «Decorsi cinque anni dall’approvazione del PTC provinciale il Consiglio provinciale ne accerta l’adeguatezza, alla luce anche del PTR e degli esiti delle verifiche effettuate in attuazione del programma di monitoraggio approvato in sede di procedure di VAS». Tale disposizione, nella parte in cui non contempla alcuna partecipazione del MiBACT alle attività di verifica dell’adeguatezza del PTC provinciale al PTR, si porrebbe anch’essa in contrasto con le previsioni di cui all’art. 145, comma 5, del codice dei beni culturali e del paesaggio, con conseguente illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

1.7.‒ L’art. 34, comma l, della legge impugnata ha inserito nel corpo della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, tra gli altri, l’art. 29-ter, il cui comma 3 prevede: «Per credito edilizio si intende la quantità di superficie agibile della costruzione esistente oggetto di demolizione eventualmente ridotta in relazione alla destinazione d’uso degli edifici da demolire in base ai coefficienti previsti dal PUC (Piano urbanistico comunale) in funzione degli obiettivi di riqualificazione urbanistica perseguiti. Non possono dar luogo al riconoscimento del credito edilizio gli edifici realizzati in assenza od in difformità dai prescritti titoli abilitativi edilizi e paesaggistici, se non previa loro regolarizzazione».

Secondo il ricorrente, la disposizione citata, nel consentire il riconoscimento di un credito edilizio a fronte della demolizione di edifici o complessi di edifici realizzati in assenza o in difformità dai prescritti titoli abilitativi e paesaggistici «previa loro regolarizzazione», travalicherebbe i limiti della potestà legislativa regionale in materia di condono edilizio (si citano le sentenze di questa Corte n. 225 del 2012 e n. 290 del 2009). Segnatamente, la norma regionale violerebbe i principi fondamentali in materia di «governo del territorio» di cui agli artt. 36 e 37 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia – Testo A), di seguito TUE, i quali subordinano il rilascio del titolo in sanatoria alla conformità dell’intervento edilizio alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda.

1.8.‒ Secondo il ricorrente la disciplina dei «margini di flessibilità» del PUC (Piano urbanistico comunale), contenuta negli artt. 31, comma l, 50, comma l, 51, comma l, 68, comma 7, e 80, comma l, lettera b), della legge impugnata, contrasterebbe con le norme del codice dei beni culturali e del paesaggio nonché con i principi fondamentali in materia di «governo del territorio» contenuti nel TUE, con conseguente violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, Cost.

L’art. 31, comma l, sostituisce l’art. 27 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, il cui comma 1, al momento del ricorso, recitava: «La struttura del PUC è costituita da: […] b) norme degli ambiti di conservazione, di riqualificazione e di completamento e norme dei distretti di trasformazione, comprensive della disciplina paesistica, dei margini di flessibilità delle relative indicazioni, della disciplina geologica e dell’eventuale disciplina di cui agli articoli 29-bis, 29-ter, 29-quater e 29-quinquies […]».

L’art. 50 sostituisce l’art. 43 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, stabilendo che le norme del PUC «definiscono i margini di flessibilità entro cui le relative previsioni possono essere attuate senza ricorso né alla procedura di aggiornamento di cui al comma 3, né alla procedura di variante di cui all’articolo 44».

L’art. 51 sostituisce l’art. 44 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, il cui comma 1, al momento del ricorso, così prevedeva: «Costituiscono varianti al PUC le modifiche non rientranti nei margini di flessibilità o nell’aggiornamento di cui all’articolo 43. Le varianti sono adottate ed approvate secondo la procedura stabilita agli articoli 38 o 39 a seconda del tipo di PUC da variare».

L’art. 68 modifica l’art. 60, comma 5, lettera b), della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, prevedendo che: «In sede di approvazione dei progetti a norma della presente legge può essere demandata al Comune: […] b) la facoltà di assentire direttamente in sede di titoli edilizi varianti non essenziali al progetto rientranti nei margini di flessibilità, da prefissare in apposito elaborato facente parte di quelli costitutivi del progetto approvato».

L’art. 80, comma l, lettera b), prevede che: «Fino all’approvazione del PUC a norma della L.R. 36/1997 come modificata dalla presente legge: […] b) per i comuni dotati di PUC già approvato a norma delle previgenti disposizioni della L.R. 36/1997 si applicano le disposizioni di cui al Titolo IV, Capo III e IV, ed al Titolo V della L.R. 36/1997 come modificata dalla presente legge, salvo quanto previsto all’articolo 81, comma 2, della presente legge».

Il Governo premette che, benché le norme regionali perseguano evidenti finalità di semplificazione, il concetto di «margini di flessibilità» dei piani urbanistici non è definito dalla vigente legislazione statale in materia urbanistica. Nel dettaglio, evidenzia i seguenti elementi di contrasto con la legislazione statale in materia paesaggistica ed edilizia.

La possibilità per il comune di modificare unilateralmente la disciplina paesistica contenuta nel PUC, senza contestualmente prevedere la partecipazione dei competenti organi ministeriali, violerebbe l’art. 145 del codice del paesaggio e dei beni culturali, sia perché non si prevederebbe che queste modifiche debbano essere conformi alla pianificazione paesaggistica, sia in quanto non si assicurerebbe la partecipazione degli organi ministeriali al procedimento di variante.

Per effetto del combinato disposto delle disposizioni regionali sopra richiamate, un indeterminato numero di fattispecie, relative anche alla disciplina paesaggistica e geologica, sarebbero sottratte alle ordinarie procedure di varianti al piano.

Potendo gli interventi edilizi realizzati in contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia contenuta nel PUC essere «successivamente legittimati sotto il profilo urbanistico ed edilizio», le norme censurate introdurrebbero una surrettizia forma di condono edilizio, in violazione dei principi fondamentali della materia del «governo del territorio» di cui agli artt. 30, comma 1, 36 e 37 del TUE (si citano le sentenze di questa Corte n. 225 del 2012 e n. 290 del 2009).

Da ultimo, la facoltà per i Comuni di assentire direttamente in sede di rilascio dei titoli edilizi, varianti non essenziali al progetto rientranti nei margini di flessibilità, si porrebbe in contrasto con l’art. 22, comma 2-bis, del TUE, il quale prevede che «[s]ono realizzabili mediante segnalazione certificata d’inizio attività e comunicate a fine lavori con attestazione del professionista, le varianti a permessi di costruire che non configurano una variazione essenziale, a condizione che siano conformi alle prescrizioni urbanistico-­edilizie e siano attuate dopo l’acquisizione degli eventuali atti di assenso prescritti dalla normativa sui vincoli paesaggistici, idrogeologici, ambientali, di tutela del patrimonio storico, artistico ed archeologico e dalle altre normative di settore».

1.9.– L’art. 61, comma 6, ha aggiunto la lettera d-bis), al comma l dell’art. 53 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, il quale ora prevede che «I P.U.O. sono considerati conformi al P.U.C. anche qualora, oltre i margini di flessibilità previsti dal PUC e dal PUO, comportino: […] d-bis) la fissazione di distanze tra fabbricati inferiori a quelle stabilite dal PUC che risultino idonee ad assicurare un equilibrato assetto urbanistico e paesaggistico in relazione alle tipologie degli interventi consentiti e tenuto conto degli specifici caratteri dei luoghi e dell’allineamento degli immobili già esistenti, fermo restando comunque il rispetto delle norme del codice civile e dei vincoli di interesse culturale e paesaggistico. Tale riduzione è applicabile anche nei confronti di edifici ubicati all’esterno del perimetro del PUO».

Il ricorrente lamenta che la possibilità di ridurre le distanze tra edifici anche per quelli ubicati all’esterno del perimetro del PUO (progetto urbanistico operativo) invaderebbe la competenza dello Stato nella materia dell’«ordinamento civile». La Regione Liguria non avrebbe utilizzato in modo corretto la facoltà derogatoria concessa dall’art. 2-bis del TUE, in quanto la norma regionale censurata conterrebbe previsioni urbanistiche del tutto generali e generiche, senza alcun riferimento a quelle particolari e specifiche esigenze legate al territorio che soltanto consentirebbero una disciplina delle distanze diversa da quella inderogabilmente fissata dal legislatore statale (si cita la sentenza di questa Corte n. 134 del 2014).

2.‒ Il 17 luglio 2015 si è costituita in giudizio la Regione Liguria, argomentando diffusamente sull’infondatezza dell’avverso ricorso.

2.1.‒ Con riguardo al primo ordine di motivi, la resistente osserva che il parere del MiBACT previsto dall’art. 14, comma 3, lettera a), della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, come novellato dalla legge reg. Liguria n. 11 del 2015, non sarebbe sostitutivo dell’intesa prescritta dall’art. 143, comma 2, del codice dei beni culturali e del paesaggio, bensì costituirebbe un contributo ulteriore e diverso apportato dal Ministero (sempre nell’iter di approvazione del PTR ma) ai fini della procedura di valutazione ambientale strategica (VAS), nel cui ambito è appunto previsto il coinvolgimento della soprintendenza. Analogamente, il procedimento di variante non eliderebbe affatto l’intesa prescritta dal codice dei beni culturali e del paesaggio.

2.2.‒ L’art. 2, comma 3, della legge regionale n. 11 del 2015, non si porrebbe in contrasto con l’art. 145, comma 3, del codice dei beni culturali e del paesaggio, giacché non intenderebbe derogare al principio di prevalenza del piano paesaggistico rispetto agli altri strumenti di pianificazione settoriale.

2.3.‒ Quanto all’impugnazione dell’art. 3, comma 2, della legge regionale n. 11 del 2015, la «conferenza di pianificazione» non sostituirebbe l’intesa tra Regione e Ministero, la quale dovrebbe esser già stata raggiunta in altra e diversa sede rispetto a quella della conferenza stessa.

2.4.‒ La resistente esclude che l’art. 11, comma 5, della legge reg. n. 36 del 1997, come sostituito dall’art. 12 della legge regionale n. 11 del 2015, possa determinare la sostituzione del piano paesaggistico con il piano territoriale generale della città metropolitana e con il piano territoriale di coordinamento provinciale. Questi due piani potrebbero soltanto integrare e sviluppare i contenuti paesaggistici del PTR, già elaborato ed approvato in forma co-pianificata da regione e Ministero.

2.5.‒ L’art. 18 della legge reg. n. 11 del 2015 non si porrebbe in contrasto con gli artt. 135, 143 e 145, comma 5, del codice dei beni culturali e del paesaggio, atteso che i «progetti a scala urbanistica od edilizia, costituenti strumenti operativi da promuovere ed approvare da parte della Regione» potrebbero attuare soltanto le previsioni del PTR approvato secondo le prescritte modalità di co-pianificazione con gli organi ministeriali.

Anche la doglianza relativa alla asserita violazione del procedimento di cui all’art. 146 del codice dei beni culturali e del paesaggio sarebbe infondata, essendo pacifico che nell’iter di rilascio dei titoli abilitativi debba essere acquisito il parere della soprintendenza.

La previsione regionale in esame sarebbe conforme anche agli artt. 16 e 28 della legge n. 1150 del 1942, in quanto il novellato art. 51, comma 3, della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, prevede che: «In caso di PUO aventi ad oggetto aree od immobili soggetti a vincolo paesaggistico ai sensi del D.Lgs. 42/2004 e successive modificazioni e integrazioni il Comune è tenuto a trasmettere il PUO adottato alla Soprintendenza ai beni architettonici e paesaggistici per l’acquisizione del relativo parere entro il termine di sessanta giorni dal ricevimento degli atti e, comunque, prima dell’approvazione ai sensi del comma 4».

2.6.‒ Quanto all’impugnazione dell’art. 27, comma l, della legge regionale n. 11 del 2015, il ricorrente avrebbe operato una indebita commistione tra l’obbligo di conformazione dei piani territoriali alle previsioni del piano paesaggistico prescritto dall’art. 145, comma 4, del codice dei beni culturali e del paesaggio – al quale l’ordinamento ligure si è adeguato con le previsioni contenute agli artt. 13, comma l, lettera b), e 79 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997 – e il diverso procedimento di «verifica di adeguatezza» del PTC provinciale al PTR previsto dalla norma regionale censurata, il quale risponderebbe a finalità ed effetti diversi rispetto al primo.

In primo luogo, la «verifica di adeguatezza» opera decorsi cinque anni dall’approvazione di un nuovo PTC provinciale, quindi successivamente al termine di due anni prescritto dal comma 4 dell’art. 145 del codice dei beni culturali e del paesaggio. Inoltre, è volta a far accertare l’adeguatezza delle previsioni del piano provinciale «alla luce anche del PTR e degli esiti delle verifiche effettuate in attuazione del programma di monitoraggio approvato in sede di procedure di VAS».

2.7.‒ L’art. 29-ter della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, introdotto dall’art. 34, comma l, della legge regionale n. 11 del 2015, costituisce attuazione dell’art. 3-bis del TUE. La norma specifica che i PUC, al fine di promuovere taluni interventi di riqualificazione edilizia o urbanistica, possono riconoscere ai soggetti interessati un credito edilizio.

La «regolarizzazione» delle opere realizzate in difformità dai titoli abilitativi, cui è subordinato il riconoscimento del credito edilizio, equivarrebbe all’accertamento di conformità previsto dagli artt. 36 e 37 del TUE (corrispondenti in Liguria agli artt. 43 e 49 della legge regionale 6 giugno 2008, n. 16, recante «Disciplina dell’attività edilizia») e non ad un condono edilizio, come erroneamente presupposto dal ricorrente.

2.8.‒ Con riguardo all’impugnazione delle norme relative ai «margini di flessibilità» del PUC, la Regione osserva che, per quanto il concetto di «margini di flessibilità» dei piani urbanistici non sia attualmente definito dalla vigente legislazione statale, la loro previsione non sarebbe preclusa dal quadro normativo statale di riferimento, trattandosi di istituto di semplificazione nella gestione dei piani urbanistici. I margini di flessibilità, infatti, consistono in previsioni alternative del PUC (relative a destinazioni d’uso, tipologie costruttive, parametri e materiali) individuate nella disciplina degli ambiti di conservazione, di riqualificazione e di completamento e dei distretti di trasformazione fra loro fungibili già individuati nel contesto delle norme degli ambiti e dei distretti. Superando la rigidità dei contenuti propria del tradizionale piano regolatore generale, il nuovo modello di PUC mirerebbe a evitare il ricorso frequente alle varianti del piano urbanistico e a renderne più snella l’attuazione.

Su queste basi, sarebbe infondata la dedotta violazione dell’art. 145 del codice dei beni culturali e del paesaggio, dal momento che i contenuti del PUC costituenti «margini di flessibilità» consisterebbero in previsioni normative che fanno già parte del PUC approvato dalla Regione in conformità alle indicazioni del PTCP e del PTR approvato sulla base del preventivo accordo con gli organi ministeriali.

Sarebbe inoltre escluso che in applicazione dei «margini di flessibilità» siano legittimati interventi edilizi abusivi o realizzati in contrasto con la vigente disciplina urbanistico-edilizia stabilita nei piani urbanistici, considerato che l’utilizzo dei «margini di flessibilità» comporta comunque il rilascio dei pertinenti titoli abilitativi previo riscontro della piena conformità con la normativa del PUC.

L’art. 68, comma 7, concernente l’applicazione dell’istituto dei «margini di flessibilità» nel rilascio dei titoli edilizi in attuazione di progetti approvati mediante le procedure di accordo di pianificazione, di accordo di programma e di conferenza di servizi, non interferirebbe con la disciplina dell’art. 22, comma 2-bis, del TUE che regola la variante a permessi di costruire assentibile mediante presentazione di segnalazione certificata di inizio attività (SCIA). La flessibilità del progetto in sede di rilascio del titolo abilitativo, cui si riferisce la norma impugnata, non autorizzerebbe (come erroneamente presupposto dal Governo) la diretta esecuzione di varianti in corso d’opera.

2.9.‒ L’ultimo periodo dell’art. 53, comma 1, lettera d-bis), della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, come modificato dall’art. 61, comma 6, della legge impugnata, presuppone che il comune in sede di approvazione del PUO verifichi preventivamente che la riduzione della distanza tra costruzioni assicuri «un equilibrato assetto urbanistico e paesaggistico in relazione alle tipologie degli interventi consentiti e tenuto conto degli specifici caratteri dei luoghi e dell’allineamento degli immobili già esistenti, fermo restando comunque il rispetto delle norme del codice civile e dei vincoli di interesse culturale e paesaggistico». Il Comune, pertanto, sarebbe tenuto a riscontrare la sussistenza delle specifiche condizioni urbanistiche e paesaggistiche che giustifichino la riduzione del parametro della distanza per assicurare un coerente assetto urbanistico.

Non vi sarebbe, dunque, alcun contrasto con l’art. 2-bis del TUE.

3.‒ Con memoria depositata il 17 gennaio 2017, la resistente ha riferito che, in corso di causa, è stata emanata la legge della Regione Liguria 18 novembre 2016, n. 29, recante «Prime disposizioni in materia urbanistica e di attività edilizia in attuazione della legge regionale 16 febbraio 2016, n. 1 (Legge sulla crescita)». La normativa sopravvenuta, in gran parte modificativa di quella oggetto di impugnativa, sarebbe idonea a far cessare la materia del contendere in ordine alle questioni di costituzionalità promosse nei primi sei motivi di ricorso.

In particolare, nel riassetto degli atti di pianificazione regionale operato con la nuova legge, il PTR non assume più valore di piano urbanistico territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici, essendo stato riconfigurato in termini di «piano territoriale di area vasta a valenza strategica». Nel contempo, tra gli strumenti della pianificazione territoriale, è stato introdotto il «Piano paesaggistico» con contenuti, effetti e modalità di co-pianificazione con il MiBACT conformi a quelle previste dagli artt. 135, 143 e 145 del codice dei beni culturali e del paesaggio. L’art. 16-bis della legge reg. Liguria n. 36 del 1997 (introdotto dall’art. 12 della legge impugnata) è stato invece soppresso.

La Regione Liguria sottolinea che le disposizioni della legge impugnata oggetto delle modifiche apportate con legge reg. Liguria n. 29 del 2016 non hanno avuto applicazione nel periodo di loro efficacia, in quanto il PTR in essa previsto non è mai stato approvato.

Insiste invece perché siano respinte le questioni promosse nei restanti tre motivi (settimo, ottavo e nono).

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale di numerose norme della legge della Regione Liguria 2 aprile 2015, n. 11, recante «Modifiche alla legge regionale 4 settembre 1997, n. 36 (Legge urbanistica regionale)», per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere l) e s), e terzo comma, della Costituzione.

2.– In via preliminare, deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere in ordine alle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 1, 3, comma 2, 12, comma 1, 14, comma 1, 15, comma 1, 17, comma 1, 18, comma 1, e 27, comma 1, della legge reg. Liguria n. 11 del 2015, per i seguenti motivi.

2.1.– Il Governo sostiene che la disciplina del procedimento di formazione (art. 15 della legge impugnata) e variante (art. 17 della legge impugnata) del «Piano territoriale regionale» (di seguito: PTR) contrasterebbe con gli artt. 135, comma 1, e 143, comma 2, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante il «Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137» (di seguito: codice dei beni culturali e del paesaggio), in quanto non è previsto che la formazione e la variazione avvenga con atto elaborato congiuntamente dalla singola regione e dal ministero, con modalità disciplinate da apposite intese, prevedendosi soltanto la trasmissione dello strumento pianificatorio al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (di seguito MiBACT) per la formulazione di un semplice parere. Va rimarcato che, sebbene il Governo abbia formalmente impugnato anche gli artt. 2, comma l, e 14, comma l, i motivi di ricorso riguardano i soli artt. 15, comma l, e 17, comma l.

Nelle more del giudizio, l’art. 8, comma 3, della legge della Regione Liguria 18 novembre 2016, n. 29, recante «Prime disposizioni in materia urbanistica e di attività edilizia in attuazione della legge regionale 16 febbraio 2016, n. 1 (Legge sulla crescita)», ha abrogato l’art. 13, comma 3, della legge reg. Liguria n. 36 del 1997 che attribuiva al PTR il valore di «piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici». La stessa legge sopravvenuta ha altresì espunto dal contenuto del PTR qualsivoglia riferimento alla tutela dei valori paesistico-ambientali (come risulta dall’attuale formulazione degli artt. 8 e 11 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997). Nel contempo, tra gli strumenti della pianificazione territoriale regionale, è stato introdotto il «Piano paesaggistico», il quale «ha i contenuti e gli effetti» previsti negli artt. 135, 143 e 145 del codice dei beni culturali e del paesaggio (si veda l’art. 3 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, come modificato dall’art. 2 della legge reg. Liguria n. 29 del 2016). Esso è inoltre predisposto attraverso modalità di elaborazione congiunta (previa intesa e successivo accordo) con il MiBACT, conformi a quanto prescritto dagli artt. 135, comma 1, terzo periodo, e 143, comma 2, del codice dei beni culturali e del paesaggio (come risulta ora dal nuovo art. 14-bis della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, aggiunto dall’art. 10, comma 1, della legge reg. Liguria n. 29 del 2016).

Come è noto, «perché possa essere dichiarata cessata la materia del contendere, devono congiuntamente verificarsi le seguenti condizioni: a) la sopravvenuta abrogazione o modificazione delle norme censurate in senso satisfattivo della pretesa avanzata con il ricorso; b) la mancata applicazione, medio tempore, delle norme abrogate o modificate (ex plurimis, sentenze n. 32 e n. 16 del 2015, n. 87 del 2014, n. 300, n. 193 e n. 32 del 2012, n. 325 del 2011)» (sentenza n. 149 del 2015).

Nel caso di specie ricorrono entrambi i presupposti citati. Da un lato, è venuta meno ogni ragione di contrasto tra le disposizioni regionali impugnate dal Governo e le norme statali che prescrivono determinate forme di collaborazione tra Stato e regioni nella formulazione dei piani paesaggistici. Quanto alla seconda condizione, la Regione Liguria ha dichiarato, senza contestazione di controparte, che le disposizioni della legge impugnata non hanno avuto applicazione nel periodo di loro efficacia, in quanto il PTR non è mai stato approvato.

2.2.‒ Alle medesime conclusioni si deve pervenire, per le stesse ragioni appena esposte, anche per quanto riguarda l’impugnazione dell’art. 3, comma 2, della legge reg. Liguria n. 11 del 2015, il quale, sostituendo il comma 3 dell’art. 3 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997 e richiamando le «modalità partecipative» indicate nell’art. 6 di tale legge, prevede che, ai fini dell’elaborazione del PTR, la Regione convoca apposite «conferenze di pianificazione», nell’ambito delle quali le pubbliche amministrazioni rappresentative degli interessi pubblici coinvolti «espongono le proprie osservazioni, proposte e valutazioni, delle quali si dà atto nel relativo verbale ai fini della loro considerazione nel processo di pianificazione avviato».

Secondo il Governo, l’impugnato art. 3, comma 2, violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in riferimento agli artt. 135, comma 1, e 143, comma 2, del codice dei beni culturali e del paesaggio, secondo i quali la pianificazione paesaggistica avviene con un atto elaborato congiuntamente dalla singola regione e dal MiBACT, con modalità disciplinate da apposite intese, prima della sua approvazione da parte della regione interessata.

Il venir meno della valenza paesaggistica del PTR, che la sopravvenuta legge reg. Liguria n. 29 del 2016 ha riconfigurato in termini di strumento pianificatorio avente portata esclusivamente urbanistica, determina la cessazione della materia del contendere sul punto.

2.3.‒ Parimenti superata dallo ius superveniens risulta la questione posta con riferimento all’art. 12, comma 1, della legge impugnata, che aveva sostituito l’art. 11 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, inserendo fra gli elementi dei quali il PTR avrebbe potuto demandare al PTGcm (Piano territoriale generale della città metropolitana) e al PTC (piano territoriale di coordinamento) provinciale l’integrazione e lo sviluppo, fornendo specifiche indicazioni, anche: «a) la disciplina di tutela, salvaguardia, valorizzazione e fruizione del paesaggio in ragione dei differenti valori espressi dai diversi contesti territoriali che lo costituiscono».

Secondo il Governo la norma avrebbe violato l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 143, comma 9, e 145, comma 3, del codice dei beni culturali e del paesaggio, i quali escludono che gli strumenti di pianificazione territoriale possano sostituirsi al piano paesaggistico.

L’art. 7 della legge reg. Liguria n. 29 del 2016 ha espunto dal contenuto del PTR (il quale, come si è detto, non è mai stato approvato) ogni riferimento alla tutela dei valori paesistico-ambientali, come risulta dall’attuale novellata formulazione dell’art. 11 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997.

2.4.‒ Analoghe considerazioni valgono per la questione posta con riferimento all’art. 18, comma l, che aveva introdotto nella legge reg. Liguria n. 36 del 1997 l’art. 16-bis, secondo cui il PTR è attuato «mediante progetti a scala urbanistica od edilizia, costituenti strumenti operativi da promuovere ed approvare da parte della Regione». Le censure del Governo riguardanti la mancata previsione della partecipazione degli organi ministeriali al procedimento di conformazione e adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica prescritta dall’art. 145, comma 5, del codice dei beni culturali e del paesaggio, nonché dell’acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica prescritta all’art. 146 dello stesso codice e del parere previsto dagli artt. 16 e 28 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica), sono superate dall’intervenuta modifica della legge regionale censurata. L’art. 12 della legge reg. Liguria n. 29 del 2016 ha infatti abrogato il citato art. 16-bis (introdotto dall’art. 18, comma 1, della legge impugnata), che non ha avuto alcuna applicazione.

2.5.– La perdita del valore di strumento di pianificazione paesaggistica del PTR in conseguenza della citata novella del 2016 determina infine anche il venire meno dell’interesse all’impugnazione dell’art. 27, comma l, della legge reg. Liguria n. 11 del 2015, il quale sostituisce integralmente l’art. 23 della precedente legge regionale n. 36 del 1997, il cui comma 2 ora prevede: «Decorsi cinque anni dall’approvazione del PTC provinciale il Consiglio provinciale ne accerta l’adeguatezza, alla luce anche del PTR e degli esiti delle verifiche effettuate in attuazione del programma di monitoraggio approvato in sede di procedure di VAS».

L’illegittimità della norma era infatti individuata dal ricorrente esclusivamente nel fatto che essa non contemplava la partecipazione del MiBACT alle attività di verifica dell’adeguatezza del PTC provinciale al PTR, ponendosi così in contrasto con le previsioni dell’art. 145, comma 5, del d.lgs. n. 42 del 2004.

3.– Non può ritenersi invece cessata la materia del contendere per quanto riguarda l’impugnazione dell’art. 2, comma 3, della legge regionale n. 11 del 2015, il quale sostituisce il comma 5 dell’art. 2 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997 con il comma seguente: «I piani di bacino, nonché i piani delle aree protette di cui alla vigente legislazione regionale, vincolano, nelle loro indicazioni di carattere prescrittivo, la pianificazione territoriale di livello regionale, metropolitano, provinciale e comunale con effetto di integrazione della stessa e, in caso di contrasto, di prevalenza su di essa».

Secondo il ricorrente, la norma violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione all’art. 145, comma 3, del codice dei beni culturali e del paesaggio, il quale prevede che le disposizioni dei piani paesaggistici prevalgono sulle disposizioni contenute negli altri atti di pianificazione territoriale di settore.

3.1.‒ La questione è fondata.

La norma regionale, subordinando la pianificazione territoriale di livello regionale ai piani di bacino e ai piani per le aree protette, si pone in evidente contrasto con il principio di prevalenza del piano paesaggistico sugli atti di pianificazione ad incidenza territoriale posti dalle normative di settore, dettato dall’art. 145, comma 3, del codice dei beni culturali e del paesaggio. Infatti, ai sensi dell’art. 3 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, nella formulazione vigente al momento della proposizione del ricorso, lo strumento della pianificazione territoriale di livello regionale è il PTR, avente (a norma dell’art. 13, comma 3, della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, poi abrogato dall’art. 8, comma 3, della legge reg. Liguria n. 29 del 2016) valore di «piano urbanistico-territoriale, con specifica considerazione dei valori paesaggistici». La chiarezza dell’enunciato normativo non lascia margini all’interpretazione conforme suggerita dalla Regione Liguria.

La rilevata antinomia non è stata superata dallo ius superveniens. Anche dopo la legge reg. Liguria n. 29 del 2016, il comma 5 dell’art. 2 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997 continua a vincolare ai piani di bacino e delle aree protette l’intera «pianificazione territoriale di livello regionale», categoria quest’ultima che ‒ a seguito delle modifiche apportate all’art. 3 della legge reg. n. 36 del 1997 dall’art. 2, comma 1, della legge reg. n. 29 del 2016 ‒ include ora anche il «Piano paesaggistico».

4.‒ L’art. 34, comma l, della legge impugnata inserisce nella legge urbanistica regionale della Liguria n. 36 del 1997 l’art. 29-ter. Questa disposizione consente al PUC (piano urbanistico comunale) di individuare, all’interno degli ambiti e dei distretti di trasformazione, gli edifici o complessi di edifici esistenti suscettibili di riqualificazione edilizia o urbanistica, in quanto caratterizzati da: condizioni di rischio idraulico o di dissesto idrogeologico; condizioni di incompatibilità per contrasto con la destinazione d’uso dell’ambito o del distretto di trasformazione o per la tipologia edilizia; situazioni di degrado strutturale, funzionale od igienico-sanitario; situazioni di interferenza con la realizzazione di servizi pubblici o di infrastrutture pubbliche. È inoltre previsto che, qualora gli interventi di riqualificazione rendano necessaria la demolizione totale o parziale dei fabbricati, i proprietari interessati maturino un «credito edilizio» corrispondente alla quantità di superficie agibile da demolirsi. I crediti edilizi sono negoziabili e trasferibili tra i soggetti interessati, previa trascrizione ai sensi dell’art. 2643 del codice civile. Il PUC individua gli ambiti e i distretti nei quali il credito può essere trasferito.

Il Governo si duole dell’ultimo periodo del comma 3 dell’art. 29-ter, secondo cui: «non possono dar luogo al riconoscimento del credito edilizio gli edifici realizzati in assenza od in difformità dai prescritti titoli abilitativi edilizi e paesaggistici, se non previa loro regolarizzazione». La disposizione censurata travalicherebbe i limiti della potestà legislativa regionale in materia di condono edilizio, ponendosi in contrasto con i principi fondamentali in materia di «governo del territorio» contenuti agli artt. 36 e 37 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia – Testo A), di seguito TUE, i quali subordinano il rilascio del titolo in sanatoria alla conformità dell’intervento alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso che al momento della presentazione della domanda.

5. ‒ La questione non è fondata.

L’accertamento di conformità, oggi previsto dall’art. 36 del TUE, fa riferimento alla possibilità di sanare opere che, sebbene sostanzialmente conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia, sono state realizzate in assenza del titolo stesso, ovvero con varianti essenziali. Il condono edilizio, invece, ha quale effetto la sanatoria non solo formale ma anche sostanziale dell’abuso, a prescindere dalla conformità delle opere realizzate alla disciplina urbanistica ed edilizia.

Il termine «regolarizzazione», utilizzato dalla norma in esame, richiama già sul piano semantico situazioni di mera irregolarità formale, come è confermato del resto dal fatto che la regolarizzazione ivi prevista ha per oggetto soltanto gli edifici «realizzati in assenza od in difformità dai prescritti titoli abilitativi edilizi e paesaggistici».

Si deve concludere pertanto che il legislatore regionale ha inteso subordinare il riconoscimento del credito edilizio, nel caso in cui ciò sia necessario, all’accertamento di conformità dettato dall’art. 36 del TUE, in coerenza con la disciplina statale.

6.‒ Secondo il Governo, la disciplina dei «margini di flessibilità» del PUC, contenuta negli artt. 31, comma l, 50, comma l, 51, comma l, 68, comma 7, e 80, comma l, lettera b), contrasterebbe con i principi fondamentali della materia del «governo del territorio» definiti nel TUE, nonché con le norme del codice dei beni culturali e del paesaggio, con conseguente violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, Cost.

L’art. 31, comma l, della legge impugnata sostituisce l’art. 27 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, il cui comma 1, al momento del ricorso, recitava : «La struttura del PUC è costituita da: […] b) norme degli ambiti di conservazione, di riqualificazione e di completamento e norme dei distretti di trasformazione, comprensive della disciplina paesistica, dei margini di flessibilità delle relative indicazioni, della disciplina geologica e dell’eventuale disciplina di cui agli articoli 29-bis, 29-ter, 29-quater e 29-quinquies».

L’art. 50 sostituisce l’art. 43 della legge urbanistica regionale n. 36 del 1997, stabilendo che le norme del PUC «definiscono i margini di flessibilità entro cui le relative previsioni possono essere attuate senza ricorso né alla procedura di aggiornamento di cui al comma 3, né alla procedura di variante di cui all’articolo 44».

L’art. 51, comma 1, sostituisce il comma 1 dell’art. 44 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, che, al momento del ricorso, così prevedeva: «Costituiscono varianti al PUC le modifiche non rientranti nei margini di flessibilità o nell’aggiornamento di cui all’articolo 43. Le varianti sono adottate ed approvate secondo la procedura stabilita agli articoli 38 o 39 a seconda del tipo di PUC da variare».

L’art. 68, comma 7, modifica l’art. 60, comma 5, lettera b), della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, prevedendo che: «In sede di approvazione dei progetti a norma della presente legge può essere demandata al Comune: […] b) la facoltà di assentire direttamente in sede di titoli edilizi varianti non essenziali al progetto rientranti nei margini di flessibilità, da prefissare in apposito elaborato facente parte di quelli costitutivi del progetto approvato».

L’art. 80, comma l, lettera b), della legge reg. Liguria n. 11 del 2015 prevede infine che: «Fino all’approvazione del PUC a norma della L.R. 36/1997 come modificata dalla presente legge: […] b) per i comuni dotati di PUC già approvato a norma delle previgenti disposizioni della L.R. 36/1997 si applicano le disposizioni di cui al Titolo IV, Capo III e IV, ed al Titolo V della L.R. 36/1997 come modificata dalla presente legge, salvo quanto previsto all’articolo 81, comma 2, della presente legge».

6.1.‒ Il Governo dubita innanzitutto che lo strumento urbanistico comunale possa legittimamente dettare prescrizioni dotate di «margini di flessibilità» e lamenta che, per effetto del combinato disposto delle norme richiamate, un indeterminato numero di fattispecie sarebbe sottratto alle ordinarie procedure di variante.

La censura non è fondata.

La definizione in termini di “flessibilità”, peraltro entro limiti definiti dalle previsioni del PUC, delle caratteristiche tipologiche e planivolumetriche dei singoli interventi non si pone in contrasto con i principi della legislazione urbanistica statale, giacché da quest’ultima non si desume alcun principio fondamentale della materia del «governo del territorio» che imponga allo strumento pianificatorio di dettare sin da subito e con carattere stringente le coordinate e gli indici della trasformazione territoriale.

L’ordinamento urbanistico ligure prevede un sistema di pianificazione a due stadi, imperniato sul binomio piano strutturale-piano operativo. Il PUC (piano urbanistico comunale) è lo strumento urbanistico di primo livello, il cui sviluppo operativo è affidato nei distretti di trasformazione al PUO (progetto urbanistico operativo) (artt. 24 e seguenti della legge reg. n. 36 del 1997). Questa articolazione del piano comunale consente di non adottare decisioni puntuali immediate e di modulare progressivamente la prescrittività delle scelte urbanistiche mano a mano che maturano le condizioni propizie alla concreta realizzazione, senza che sia necessario ricorrere di volta in volta a procedure di variante. A tale fine, determinati criteri e vincoli fissati dal piano di primo livello (densità abitativa, popolazione insediabile, limiti d’altezza delle costruzioni, standards urbanistici, ed altro) sono fisiologicamente dotati di un certo margine di flessibilità, principalmente negli ambiti (di trasformazione o di riqualificazione) in cui non è possibile prevedere quale sarà la specifica tipologia della domanda d’insediamento, ovvero quando occorrono interventi molto complessi che richiedono il coinvolgimento delle disponibilità finanziarie private.

Le disposizioni contestate peraltro non consentono una generica flessibilità delle previsioni del PUC, bensì autorizzano soltanto «indicazioni alternative» di elementi determinati (del tipo: funzioni ammesse, dotazioni infrastrutturali, densità territoriale, quantità di superficie da destinare a servizi pubblici), che devono mantenersi inoltre entro limiti ragionevoli. I margini di flessibilità, in particolare, non possono comunque incidere «sul carico urbanistico e sul fabbisogno di standard urbanistici» (si veda art. 43, comma 1, della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, come novellato dalla legge impugnata).

6.2.‒ Secondo il Governo le disposizioni impugnate introdurrebbero inoltre una surrettizia forma di condono edilizio, ponendosi in contrasto con gli artt. 30, comma 1, 36 e 37 del TUE.

La censura è inammissibile per assoluta carenza di argomenti a suo sostegno.

Il rimettente non chiarisce per quale ragione gli interventi edilizi realizzati in contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia del PUC potrebbero essere «successivamente legittimati sotto il profilo urbanistico ed edilizio».

Le norme sulle modalità di sviluppo operativo del piano urbanistico comunale, le quali contraddicono apertamente la prospettazione del Governo, non vengono prese in considerazione. In base a quanto previsto dall’art. 48 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, il PUC si attua negli ambiti di conservazione e di riqualificazione e negli ambiti di completamento «sulla base del titolo edilizio prescritto dalla vigente legislazione urbanistico-edilizia». I distretti di trasformazione sono invece attuati mediante il PUO, il quale contiene gli elementi urbanistici, edilizi, economici e gestionali idonei a realizzare lo sviluppo operativo dei distretti di trasformazione. La prevista possibilità che il PUC detti le sole condizioni minime di trasformabilità e rinvii alla successiva pianificazione operativa la puntualizzazione delle costruzioni e delle attività concretamente insediabili non legittima in alcun modo la sanatoria di interventi edilizi abusivi.

6.3.‒ Secondo il ricorrente, la facoltà per i Comuni di assentire direttamente in sede di rilascio dei titoli edilizi varianti non essenziali al progetto rientranti nei margini di flessibilità (art. 60, comma 5, della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, come novellato dall’art. 68, comma 7, della legge regionale n. 11 del 2015) costituirebbe una violazione dell’art. 22, comma 2-bis, del TUE, secondo cui: «Sono realizzabili mediante segnalazione certificata d’inizio attività e comunicate a fine lavori con attestazione del professionista, le varianti a permessi di costruire che non configurano una variazione essenziale, a condizione che siano conformi alle prescrizioni urbanistico-­edilizie e siano attuate dopo l’acquisizione degli eventuali atti di assenso prescritti dalla normativa sui vincoli paesaggistici, idrogeologici, ambientali, di tutela del patrimonio storico, artistico ed archeologico e dalle altre normative di settore».

La questione è inammissibile perché il ricorrente non spiega le ragioni per le quali vi sarebbe contrasto tra la disposizione censurata e il parametro (interposto) di costituzionalità. Per costante giurisprudenza di questa Corte, la mera indicazione delle norme da raffrontare, senza che siano forniti argomenti a sostegno del lamentato contrasto, non consente di valutare la compatibilità dell’una rispetto al contenuto precettivo dell’altra (ex plurimis, sentenze n. 120 del 2015 e n. 236 del 2011; ordinanze n. 26 del 2012, n. 321 del 2010 e n. 181 del 2009).

In ogni caso, ai sensi dell’art. 22, comma 2-bis, del TUE, le varianti esecutive a permessi di costruire, ove non configurino una variazione essenziale del progetto assentito e siano conformi alle prescrizioni urbanistico-edilizie, non richiedono il rilascio di un nuovo titolo edilizio, bensì sono realizzabili direttamente dall’interessato mediante segnalazione certificata d’inizio attività e successiva comunicazione a fine lavori con attestazione del professionista.

L’art. 68 della impugnata legge reg. Liguria n. 11 del 2015 non si occupa delle variazioni esecutive di un titolo edilizio già assentito. La disposizione regionale, nello specifico ambito dei procedimenti di natura concertativa connessi alla pianificazione territoriale (accordi di pianificazione, di programma, conferenze di servizi), accorda al Comune la (diversa) facoltà «di assentire direttamente in sede di titoli edilizi varianti non essenziali al progetto rientranti nei margini di flessibilità, da prefissare in apposito elaborato facente parte di quelli costitutivi del progetto approvato».

La disposizione regionale e quella statale hanno dunque contenuti non sovrapponibili: la prima opera una semplificazione “a monte” del titolo edilizio, in quanto l’amministrazione in sede di rilascio di quest’ultimo deve indicare preventivamente le variazioni non essenziali che sono consentite; la seconda opera una semplificazione “a valle” del titolo edilizio, in quanto consente la diretta esecuzione di varianti in corso d’opera, con l’unico onere della previa segnalazione.

6.4.‒ Da ultimo, il Governo si duole del fatto che, introducendo la possibilità per il Comune di modificare unilateralmente la disciplina paesaggistica contenuta nel PUC, senza prevedere la partecipazione degli organi ministeriali, le norme impugnate violerebbero l’art. 145 del codice dei beni culturali e del paesaggio.

Nemmeno questa questione è ammissibile.

Il contrasto con la norma interposta è semplicemente affermato, senza che a suo sostegno siano offerti argomenti idonei a giustificare la pretesa lesione delle prerogative statali.

Il Governo muove del resto da un erroneo presupposto. La struttura “flessibile” del PUC non consente al Comune di modificare unilateralmente o rendere “flessibili” i vincoli “eteronomi e sovraordinati” discendenti dalla disciplina paesistica. L’obbligo di conformazione dello strumento urbanistico alle prescrizioni del piano paesaggistico, del resto, è ribadito dall’art. 13 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, nella formulazione vigente al momento della proposizione del ricorso.

7.‒ L’art. 61, comma 6, della legge reg. Liguria n. 11 del 2015 ha aggiunto la lettera d-bis) al comma l dell’art. 53 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, il quale prevede: «I PUO sono considerati conformi al PUC anche qualora, oltre i margini di flessibilità previsti dal PUC e dal PUO, comportino: […] d-bis) la fissazione di distanze tra fabbricati inferiori a quelle stabilite dal PUC che risultino idonee ad assicurare un equilibrato assetto urbanistico e paesaggistico in relazione alle tipologie degli interventi consentiti e tenuto conto degli specifici caratteri dei luoghi e dell’allineamento degli immobili già esistenti, fermo restando comunque il rispetto delle norme del codice civile e dei vincoli di interesse culturale e paesaggistico. Tale riduzione è applicabile anche nei confronti di edifici ubicati all’esterno del perimetro del PUO».

Secondo il Governo, la possibilità di ridurre le distanze tra edifici anche nei confronti di edifici ubicati all’esterno del perimetro del PUO contrasterebbe con l’art. 2-bis, del TUE. Consentendo interventi edilizi puntuali in deroga alla normativa statale in materia di distanze, la disposizione regionale non sarebbe diretta a soddisfare esigenze urbanistiche, ma regolerebbe direttamente rapporti fra proprietari, invadendo così la sfera di competenza legislativa esclusiva statale in materia di «ordinamento civile».

7.1.‒ Secondo la giurisprudenza di questa Corte sul riparto di competenze in tema di distanze legali, «la disciplina delle distanze minime tra costruzioni rientra nella materia dell’ordinamento civile e, quindi, attiene alla competenza legislativa statale; alle Regioni è consentito fissare limiti in deroga alle distanze minime stabilite nelle normative statali, solo a condizione che la deroga sia giustificata dall’esigenza di soddisfare interessi pubblici legati al governo del territorio. Dunque, se da un lato non può essere del tutto esclusa una competenza legislativa regionale relativa alle distanze tra gli edifici, dall’altro essa, interferendo con l’ordinamento civile, è rigorosamente circoscritta dal suo scopo − il governo del territorio − che ne detta anche le modalità di esercizio» (sentenza n. 6 del 2013; nello stesso senso, sentenze n. 134 del 2014 e n. 114 del 2012; ordinanza n. 173 del 2011).

Si è affermato di conseguenza che: «Nella delimitazione dei rispettivi ambiti di competenza − statale in materia di “ordinamento civile” e concorrente in materia di “governo del territorio” −, il punto di equilibrio è stato rinvenuto nell’ultimo comma dell’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968, che questa Corte ha più volte ritenuto dotato di efficacia precettiva e inderogabile (sentenze n. 114 del 2012 e n. 232 del 2005; ordinanza n. 173 del 2011). Tale disposto ammette distanze inferiori a quelle stabilite dalla normativa statale, ma solo “nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche”. In definitiva, le deroghe all’ordinamento civile delle distanze tra edifici sono consentite se inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio (sentenza n. 6 del 2013)» (sentenza n. 134 del 2014).

Queste conclusioni devono essere ribadite anche alla luce dell’introduzione − ad opera dall’art. 30, comma 1, 0a), del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98 − dell’art. 2-bis del TUE. La disposizione recepisce la giurisprudenza di questa Corte, inserendo nel testo unico sull’edilizia i principi fondamentali della vincolatività, anche per le regioni e le province autonome, delle distanze legali stabilite dal decreto del Ministero dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 e dell’ammissibilità di deroghe solo a condizione che esse siano «inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio» (sentenza n. 134 del 2014; da ultimo, sentenze n. 231, n. 185 e n. 178 del 2016).

7.2.‒ Su queste basi, la questione non è fondata.

L’impugnato art. 61, comma 6, della legge reg. Liguria n. 11 del 2015 rientra nell’ambito applicativo dell’art. 2-bis del TUE, giacché, nel disciplinare i «limiti di conformità» del piano operativo rispetto a quello strategico, consente al PUO di derogare alle distanze previste nel PUC, il quale a sua volta ‒ in forza dell’art. 29-quinquies, comma 1, lettera b), della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, anch’esso inserito dall’art. 34, comma 1, della legge regionale n. 11 del 2015, ma non impugnato dal Governo ‒ potrebbe averle fissate in misura anche inferiore a quanto previsto nel d.m. n. 1444 del 1968.

La disposizione regionale, tuttavia, rispetta le condizioni stabilite dall’art. 2-bis del TUE, in quanto la possibilità di derogare alle distanze minime è accordata con la necessaria garanzia dell’intermediazione dello strumento urbanistico e al fine di conformare in modo omogeneo l’assetto di una specifica zona del territorio (circoscritta, per l’appunto, agli edifici ricompresi nel PUO), e non con riferimento a tipi di interventi edilizi singolarmente considerati (ristrutturazioni, sopraelevazioni, recupero di sottotetti, ed altro).

La previsione regionale non risulta priva di riferimento a specifiche esigenze del territorio neppure nella parte in cui dispone che la riduzione delle distanze è «applicabile anche nei confronti di edifici ubicati all’esterno del perimetro del PUO». L’inciso si giustifica in ragione del fatto che il territorio comunale viene ripartito in plurimi ambiti (di conservazione, di riqualificazione, di completamento) e distretti (di trasformazione), con la conseguente necessità che sia disciplinata anche la distanza tra un edificio ricompreso nel perimetro di uno strumento operativo e un edificio “frontista” rispetto al primo, ma esterno a quel perimetro e ricadente in altro ambito o distretto. Anche in questa parte, pertanto, la disposizione regionale è conforme alla disciplina statale, in quanto, da un lato, condiziona l’operatività del suo precetto alla presenza di uno strumento urbanistico, dall’altro lato autorizza la riduzione delle distanze solo se essa è idonea ad assicurare un «equilibrato assetto urbanistico e paesaggistico in relazione alle tipologie degli interventi consentiti e tenuto conto degli specifici caratteri dei luoghi e dell’allineamento degli immobili già esistenti».

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, della legge della Regione Liguria 2 aprile 2015, n. 11, recante «Modifiche alla legge regionale 4 settembre 1997, n. 36 (Legge urbanistica regionale)»;

2) dichiara cessata la materia del contendere in ordine alle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 1, 3, comma 2, 12, comma 1, 14, comma 1, 15, comma 1, 17, comma 1, 18, comma 1, e 27, comma 1, della legge reg. Liguria n. 11 del 2015, promosse, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

3) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 31, comma 1, 50, comma 1, 51, comma 1, 68, comma 7, e 80, comma 1, lettera b), della legge reg. Liguria n. 11 del 2015, promosse, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 31, comma 1, 50, comma 1, 51, comma 1, 68, comma 7, e 80, comma 1, lettera b), della legge reg. Liguria n. 11 del 2015, promossa, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

5) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 1, della legge reg. Liguria n. 11 del 2015, promossa, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

6) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 61, comma 6, della legge reg. Liguria n. 11 del 2015, promossa, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 febbraio 2017.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente
Daria de PRETIS, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 10 marzo 2017.
 

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