AREE PROTETTE – Regione Campania – Norme per la valorizzazione della sentieristica e della viabilità minore – L.r. Campania n. 2/2017 – Illegittimità costituzionale degli artt. 4, 7, 8, 9, 10, 13, 14 e 16.
Provvedimento: Sentenza
Sezione:
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 7 Giugno 2018
Numero: 121
Data di udienza: 11 Aprile 2018
Presidente: Lattanzi
Estensore: Coraggio
Premassima
AREE PROTETTE – Regione Campania – Norme per la valorizzazione della sentieristica e della viabilità minore – L.r. Campania n. 2/2017 – Illegittimità costituzionale degli artt. 4, 7, 8, 9, 10, 13, 14 e 16.
Massima
CORTE COSTITUZIONALE – 7 giugno 2018, n. 121
AREE PROTETTE – Regione Campania – Norme per la valorizzazione della sentieristica e della viabilità minore – L.r. Campania n. 2/2017 – Illegittimità costituzionale degli artt. 4, 7, 8, 9, 10, 13, 14 e 16.
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dei seguenti articoli della l.r. Campania 20 gennaio 2017, n. 2 (Norme per la valorizzazione della sentieristica e della viabilità minore):
– art. 4, comma 2, nella parte in cui non prevede che la funzione di pianificazione degli interventi di recupero e valorizzazione del patrimonio escursionistico regionale debba essere esercitata, all’interno delle aree naturali protette, in conformità al loro regolamento e al rispettivo piano per il parco, nonché alle misure di salvaguardia eventualmente dettate dal provvedimento istitutivo;
– art. 7, nella parte in cui la disciplina ivi prevista trova applicazione anche in relazione a porzioni della rete escursionistica regionale incluse nel territorio delle aree naturali protette;
– art. 8, comma 2, lettera n), nella parte in cui prevede che il rappresentante degli Enti parco è «designato dalla Federparchi» anziché «dagli Enti parco allocati su territorio campano»;
– art. 9, comma 1, nella parte in cui non prevede che la gestione tecnica dei siti ricompresi nella rete escursionistica regionale e inclusi nei territori delle aree naturali protette sia di competenza esclusiva degli enti gestori di queste ultime;
– art. 9, comma 2, lettera a), nella parte in cui prevede che le modalità di fruizione della rete escursionistica regionale, per la parte in cui essa si sviluppa all’interno delle aree naturali protette, debbano essere individuate dagli enti di gestione delle aree protette in accordo con i Comuni territorialmente interessati, invece di essere determinate dal regolamento dell’area protetta;
– art. 10, comma 1, nella parte in cui non prevede che il Piano triennale degli interventi sulla rete escursionistica campana, ove rivolto alle porzioni di territorio regionale ricomprese nel perimetro delle aree naturali protette, deve rispettare il regolamento e il piano di queste ultime;
– art. 10, commi 3 e 5, nella parte in cui trovano applicazione anche all’interno delle aree naturali protette;
– art. 13, nella parte in cui si applica anche a porzioni della rete escursionistica regionale incluse nel territorio delle aree naturali protette;
– art. 16, comma 2, lettere a), b), c), d), f) e g), nella parte in cui affida al regolamento attuativo, adottato dalla Giunta regionale, la disciplina degli oggetti ivi previsti anche con riferimento al territorio delle aree naturali protette;
– art. 14, comma 3.
Pres. Lattanzi, Est. Coraggio – Presidente del Consiglio dei Ministri c. Regione Campania
Allegato
Titolo Completo
CORTE COSTITUZIONALE – 7 giugno 2018, n. 121SENTENZA
CORTE COSTITUZIONALE – 7 giugno 2018, n. 121
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
– Giorgio LATTANZI Presidente
– Aldo CAROSI Giudice
– Marta CARTABIA ”
– Mario Rosario MORELLI ”
– Giancarlo CORAGGIO ”
– Giuliano AMATO ”
– Silvana SCIARRA ”
– Daria de PRETIS ”
– Franco MODUGNO ”
– Augusto Antonio BARBERA ”
– Giulio PROSPERETTI ”
– Giovanni AMOROSO ”
– Francesco VIGANÒ ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 4, comma 2; 7; 8, comma 2, lettera n); 9, commi 1 e 2, lettera a); 10, commi 1, 3, 4 e 5; 13; 16, comma 2, lettere a), b), c), d), f) e g); 14, comma 3; 15, commi 3 e 8, della legge della Regione Campania 20 gennaio 2017, n. 2 (Norme per la valorizzazione della sentieristica e della viabilità minore), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 20-23 marzo 2017, depositato in cancelleria il 27 marzo 2017, iscritto al n. 34 del registro ricorsi 2017 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell’anno 2017.
Visto l’atto di costituzione della Regione Campania;
udito nell’udienza pubblica del 10 aprile 2018 il Giudice relatore Franco Modugno;
uditi l’avvocato dello Stato Gianna Galluzzo per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Alba Di Lascio per la Regione Campania.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 20-23 marzo 2017 e depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il successivo 27 marzo 2017 (registro ricorsi n. 34 del 2017), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, ai sensi dell’art. 127 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4, comma 2; 7; 8, comma 2, lettera n); 9, commi 1 e 2, lettera a); 10, commi 1, 3, 4 e 5; 13; 16, comma 2, lettere a), b), c), d), f) e g); 14, comma 3; 15, commi 3 e 8, della legge della Regione Campania 20 gennaio 2017, n. 2 (Norme per la valorizzazione della sentieristica e della viabilità minore), in riferimento agli artt. 25, secondo comma;117, secondo comma, lettere l) e s), e sesto comma; 118, primo e secondo comma, della Cost.
2.– L’Avvocatura generale dello Stato premette che la censurata legge regionale prevede l’istituzione, l’individuazione e la definizione delle modalità di gestione della Rete escursionistica campana (d’ora in avanti: REC), la quale «interessa tutto il territorio regionale, compreso quello ricadente nei parchi nazionali e nelle altre aree protette, nazionali e regionali». In Campania sono presenti due diversi parchi nazionali, oltre ad alcune riserve naturali statali e ad alcuni parchi regionali.
Al riguardo, la difesa statale rammenta che la legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette) deve considerarsi, come chiarito dalla giurisprudenza costituzionale (sono richiamate le sentenze n. 44 del 2011, n. 315 e n. 20 del 2010), espressione dell’esercizio della competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Le Regioni, pertanto, in ambito di aree protette, possono soltanto determinare maggiori livelli di tutela, ma non derogare alla legislazione statale (sono citate le sentenze n. 44 del 2011, n. 193 del 2010, n. 61 del 2009 e n. 232 del 2008). La giurisprudenza costituzionale ha altresì precisato che la tutela di tali aree viene esercitata per mezzo di due differenti tipi di strumenti: la regolamentazione sostanziale delle attività che possono essere svolte in quelle aree (sentenze n. 44 del 2011 e n. 315 del 2010) e la «predisposizione di strumenti programmatici e gestionali per la valutazione di rispondenza delle attività svolte nei parchi, alle esigenze di protezione della flora e della fauna» (sentenze n. 44 del 2011 e n. 387 del 2008).
3.– Ciò premesso, il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che più disposizioni della legge reg. Campania n. 2 del 2017 presentino profili di contrasto con la normativa statale, dovendo dunque essere considerate costituzionalmente illegittime.
3.1.– La prima disposizione oggetto delle censure del ricorrente è l’art. 4, comma 2, della legge regionale campana, reputato in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., «nella parte in cui non prevede che la funzione di pianificazione degli interventi di recupero e valorizzazione del patrimonio escursionistico regionale debba essere esercitata – nei casi in cui interessi aree rientranti in Parchi nazionali – in conformità al Piano del Parco ed al Regolamento del Parco, nonché alle misure di salvaguardia eventualmente dettate dal provvedimento istitutivo». Gli artt. 8, 11 e 12 della legge n. 394 del 1991, infatti, affidano al regolamento del parco il compito di disciplinare l’esercizio delle attività consentite entro il territorio del parco stesso ed al piano per il parco la tutela dei suoi valori naturali e ambientali, prevedendo altresì misure di salvaguardia fino all’entrata in vigore della specifica disciplina dell’area protetta: la normativa regionale, pertanto, inciderebbe «sul nucleo di salvaguardia predisposto dalla legge statale, in esercizio della propria competenza esclusiva in materia di “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”, con riferimento ad una particolare categoria di aree protette».
La disposizione censurata sarebbe altresì in contrasto, da un lato, con l’art. 117, sesto comma, Cost., in quanto, in assenza della previsione della conformità al regolamento del parco delle attività relative alla REC, sarebbe lesiva della potestà regolamentare in una materia di competenza esclusiva statale, nella specie affidata dall’art. 11 della legge n. 394 del 1991 agli Enti parco; dall’altro, con l’art. 118, primo e secondo comma, Cost., poiché la possibilità che l’attività gestionale e organizzatoria regionale si esplichi in difformità dal piano per il parco pregiudicherebbe una «funzione amministrativa di tipo programmatorio affidata dalla legge statale, in una materia di propria competenza, ad un ente pubblico nazionale quale l’Ente Parco».
3.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri censura poi l’art. 7 della medesima legge regionale, novamente per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., «nella parte in cui pretende di disciplinare anche porzioni della rete escursionistica campana, incluse nel territorio dei Parchi nazionali». La norma, infatti, disciplinando, anche in tali ambiti territoriali, la viabilità minore lungo la REC si porrebbe in contrasto con gli artt. 11 e 12 della legge n. 394 del 1991, i quali affidano specificamente al regolamento del parco e al piano per il parco la relativa disciplina. La difesa dello Stato precisa che la disciplina «è anche di tipo esplicitamente permissivo», il che potrebbe determinare la diretta violazione dei beni ambientali a presidio dei quali sono stati istituiti gli Enti parco, qualora tali attività risultino incompatibili con lo specifico tipo di protezione predisposto dalla regolamentazione degli stessi enti.
L’impugnato art. 7 sarebbe altresì in contrasto, di nuovo con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. oltre che con l’art. 118, primo e secondo comma, Cost., pure nella parte in cui statuisce che la Giunta regionale abbia il potere di chiudere al transito escursionistico anche quelle porzioni di sentieri rientranti nei parchi nazionali. Con ciò, infatti, si riconoscerebbe alla Giunta una funzione gestoria delle aree protette che gli artt. 1, comma 4, e 9 della legge n. 394 del 1991 affidano agli Enti parco.
Tale disposizione sarebbe altresì lesiva, per ragioni analoghe a quelle alla base delle censure rivolte contro l’art. 4, comma 2, della legge regionale campana, degli artt. 117, sesto comma, e 118, primo e secondo comma, Cost.
3.3.– Il ricorrente censura altresì l’art. 8, comma 2, lettera n), della citata legge regionale, ancora per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., oltre che degli artt. 117, sesto comma, e 118, primo e secondo comma, Cost.
La legge impugnata istituisce la Consulta regionale per il patrimonio escursionistico, la quale – osserva il Presidente del Consiglio dei ministri – è chiamata a collaborare con la Giunta regionale «all’esercizio di funzioni lato sensu gestorie della rete dei sentieri rientranti nella REC». Il ricorrente rileva che, correttamente, la legge campana predispone forme di collaborazione organica con gli Enti parco, in considerazione del fatto che la REC si sviluppa anche all’interno del territorio dei parchi nazionali: in particolare, è previsto che Federparchi designi, in rappresentanza dei parchi nazionali, un componente della neoistituita Consulta regionale. Tuttavia, poiché gli artt. 1, comma 3, e 9 della legge n. 394 del 1991 individuano negli Enti parco i soggetti portatori degli interessi tutelati, la disposizione censurata sarebbe costituzionalmente illegittima nella parte in cui affida a Federparchi l’individuazione del rappresentante dei gestori delle aree protette.
La medesima disposizione sarebbe altresì illegittima «laddove conferisce all’amministrazione regionale una funzione gestoria dell’area protetta che risulta chiaramente affidata, con norme poste a presidio di standard di tutela ambientale, all’Ente Parco».
3.4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna poi l’art. 9, commi 1 e 2, lettera a), legge reg. Campania n. 2 del 2017, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), e sesto comma, nonché dall’art. 118, primo e secondo comma, Cost.
Il comma 1 sarebbe illegittimo perché affiderebbe la gestione tecnica dei siti ricompresi nella REC alla Regione Campania, agli enti locali territorialmente competenti e agli enti di gestione delle aree protette: in queste aree, infatti, tale gestione dovrebbe considerarsi, alla luce degli artt. 1, comma 3, 9 e 12 della legge n. 394 del 1991, di spettanza esclusiva degli Enti parco. L’illegittimità costituzionale del comma 2, lettera a), risiederebbe, invece, nell’impedimento per i soggetti gestori delle aree protette di autodeterminarsi nelle scelte inerenti le loro funzioni, in forza del necessario accordo che la disposizione censurata impone di raggiungere con i Comuni per l’individuazione delle «diverse modalità di fruizione della Rete regionale».
Entrambe le disposizioni sarebbero altresì in contrasto con l’art. 117, sesto comma, Cost., perché le modalità di fruizione dei sentieri, per la parte di territorio ricadente nelle aree protette, sarebbero attribuite dall’art. 11 della legge n. 394 del 1991 al regolamento del parco.
3.5.– Il ricorrente dubita inoltre della legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 1, della legge regionale campana, per contrasto con i diversi parametri costituzionali già evocati.
Tale disposizione, non prevedendo che, per la parte in cui si rivolge alle porzioni di territorio regionale ricomprese nel perimetro dei parchi nazionali, il Piano triennale degli interventi sulla REC debba necessariamente rispettare il regolamento ed il piano per il parco, inciderebbe sul nucleo di salvaguardia predisposto, in esercizio della competenza esclusiva statale in materia di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», dagli artt. 11 e 12 della legge n. 394 del 1991. La medesima disposizione sarebbe altresì lesiva, per ragioni analoghe a quelle alla base delle censure rivolte contro le altre disposizioni della medesima legge, degli artt. 117, sesto comma, e 118, primo e secondo comma, Cost.
Illegittimi sarebbero altresì i commi 3, 4 e 5 del medesimo art. 10 della citata legge regionale.
Il comma 4 – il quale prevede che il Piano triennale degli interventi sia approvato dalla Giunta regionale, sentita la commissione consiliare competente, e che le sue integrazioni e modifiche siano effettuate con una ulteriore delibera di Giunta – affiderebbe all’amministrazione regionale una importante funzione programmatoria e gestoria che, nella parte in cui interessa anche le aree protette, sarebbe di esclusiva spettanza degli Enti parco, in base a quanto previsto dalla legge n. 394 del 1991.
I commi 3 e 5 prevedono che il Piano annuale degli interventi sulla REC individui gli interventi di competenza della Regione e affidano a tale Piano annuale il compito di individuare «il soggetto obbligato alla manutenzione, il contenuto dell’obbligo e la periodicità minima del controllo»: in tal modo, attribuirebbero all’amministrazione regionale importanti funzioni gestorie che – per la parte concernente le aree protette – la legge statale riconoscerebbe in via esclusiva agli Enti parco.
3.6.– Il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta il contrasto con gli artt. 117, secondo comma, lettera s), e sesto comma, e 118, primo e secondo comma, Cost. anche dell’art. 13 legge reg. Campania n. 2 del 2017, nella parte in cui prevede che la disciplina sulla segnaletica della REC ivi prevista si applichi anche alla frazione della rete regionale presente nel territorio dei parchi nazionali. Tale disciplina, infatti, rientrerebbe tra i compiti che gli artt. 1, comma 3, 9, 11 e 12 della legge n. 394 del 1991 variamente attribuiscono agli Enti parco.
3.7.– Il ricorrente impugna, ancora per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), e sesto comma, Cost., l’art. 16, comma 2, lettere a), b), c), d), f) e g), della citata legge regionale, nella parte in cui tali disposizioni prevedono che il regolamento attuativo della medesima legge disciplini diversi oggetti che, con riferimento al territorio degli Enti parco, dovrebbero essere regolati, in forza degli artt. 11 e 12 della legge n. 394 del 1991, dal regolamento e dal piano per il parco.
3.8.– Il Presidente del Consiglio dei ministri precisa, poi, che tutte le disposizioni già impugnate devono ritenersi incostituzionali, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), e sesto comma, Cost., «anche con riguardo alla parte in cui la loro applicazione è destinata a coinvolgere porzioni del territorio incluse nel perimetro di riserve naturali statali e aree protette regionali».
L’Avvocatura generale dello Stato rileva infatti, in primo luogo, che gli artt. 1 e 17 della legge n. 394 del 1991 pongono, pur «in modo certamente meno dettagliato», vincoli organizzativi e funzionali analoghi a quelli caratterizzanti i parchi nazionali, a tutela della missione ambientale delle riserve naturali statali. In secondo luogo, osserva che la giurisprudenza costituzionale ha affermato che la legge quadro sulle aree protette detta «norme fondamentali del settore cui la legislazione regionale deve uniformarsi anche con riferimento alle aree protette regionali» (si richiamano le sentenze n. 212 del 2014, n. 171 del 2012, n. 325 e n. 41 del 2011): in particolare, deve essere prevista l’esistenza di un soggetto gestore dell’area protetta competente agli interventi sulla stessa (artt. 1, comma 4, e 23 della legge n. 394 del 1991), nonché l’adozione di un regolamento (art. 22, comma 1, lettera d) e di un piano (art. 23), aventi «compiti analoghi agli omologhi strumenti di regolamentazione e pianificazione degli enti parco». Infine, l’art. 29 della richiamata legge statale del 1991, che affida all’organismo di gestione dell’area naturale protetta «importanti poteri di controllo circa la conformità delle attività realizzate nell’area rispetto al regolamento, al Piano e al nulla osta», deve applicarsi tanto alle riserve naturali statali che alle aree protette.
4.– Il ricorrente dubita altresì della legittimità costituzionale di ulteriori disposizioni della legge reg. Campania n. 2 del 2017, ma per ragioni diverse dalla violazione della legge quadro sulle aree protette.
4.1.– Costituzionalmente illegittimi sarebbero, innanzitutto, gli artt. 14, comma 3, e 15, comma 8, della legge regionale, per contrasto con l’art. 25 Cost.
L’Avvocatura generale dello Stato premette che l’art. 14, comma 1, della legge regionale fa divieto di alterare o modificare lo stato di fatto dei percorsi escursionistici inseriti nella REC, mentre l’art. 14, comma 2, della medesima legge regionale consente la modifica della loro destinazione d’uso, a seguito di interventi progettati dai Comuni, se autorizzata dalla Giunta regionale, previa comunicazione alla Consulta regionale. L’impugnato art. 14, comma 3, della legge regionale stabilisce, poi, che «la violazione del comma 2 comporta l’applicazione delle sanzioni e delle misure previste» dal decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nelle misure dallo stesso determinate.
Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, la formulazione di quest’ultima disposizione sarebbe «estremamente generica, con riferimento sia alla natura sia all’entità delle sanzioni da applicare alle violazioni in esse previste»: di qui il contrasto con il principio di legalità sancito dall’art. 25 Cost. i cui canoni, secondo consolidata giurisprudenza costituzionale (si richiama la sentenza n. 196 del 2010), dovrebbero essere estesi a tutte le misure di carattere punitivo, comprese quelle amministrative, imponendo che la formulazione di queste ultime sia sufficientemente chiara e dettagliata. Del resto, tali canoni sono espressamente richiamati dall’art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), in materia di sanzioni amministrative.
Le medesime ragioni sorreggono anche la questione di costituzionalità avente per oggetto l’art. 15, comma 8, della legge regionale campana, il quale risulterebbe «formulato in modo non chiaro nel riferimento a disposizioni sanzionatorie contenute nei commi precedenti».
4.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri censura, poi, l’art. 15, comma 3, legge reg. Campania n. 2 del 2017, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
Osserva il ricorrente che la disposizione impugnata punisce con la sanzione amministrativa pecuniaria «chiunque danneggia la segnaletica o le opere realizzate per la percorribilità e la sosta lungo i percorsi escursionistici della Rete regionale», descrivendo, dunque, la condotta del reato di danneggiamento, di cui all’art. 635, comma 2, numero 1), del codice penale. Tuttavia, la determinazione delle fattispecie di reato costituirebbe materia riservata alla legislazione esclusiva dello Stato, secondo quanto previsto dall’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
5.– Con atto depositato il 20 aprile 2017 si è costituita in giudizio la Regione Campania, la quale si è limitata ad eccepire l’inammissibilità e l’infondatezza di tutte le questioni promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, successivamente argomentate con la memoria illustrativa depositata il 20 marzo 2018.
5.1.– Dopo aver sinteticamente riassunto le censure mosse a larga parte delle disposizioni impugnate da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, la resistente sostiene che dalla lettura dell’art. 1 della legge reg. Campania n. 2 del 2017 emergerebbe «con chiarezza» che il legislatore regionale è intervenuto sul solo patrimonio ambientale regionale, escludendo che la relativa disciplina normativa possa trovare applicazione anche all’interno delle aree naturali protette nazionali. Lo spirito della legge regionale, infatti, sarebbe quello di «tutelare i sentieri e la viabilità minore di territori non ricadenti nei Parchi e nelle aree protette», unendo grandi itinerari già esistenti sul territorio campano, al fine di promuovere l’escursionismo «quale mezzo per realizzare un corretto ed equilibrato rapporto con l’ambiente».
In quest’ottica, la disciplina adottata non violerebbe la competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente bensì valorizzerebbe l’equilibrio tra detta tutela e il turismo escursionistico «in quanto attività che si influenzano e si caratterizzano reciprocamente». Secondo la giurisprudenza costituzionale, l’ambiente deve essere considerato una materia trasversale, che non impedirebbe dunque l’esercizio della potestà legislativa regionale in materie di sua competenza (sono richiamate le sentenze n. 407 del 2002 e n. 108 del 2005).
5.2.– Neppure meritevoli di accoglimento – secondo la resistente – sarebbero le censure rivolte alle disposizioni impugnate per la parte in cui esse troverebbero applicazione all’interno di riserve naturali statali e di aree protette regionali.
La Regione Campania osserva che le disposizioni censurate sarebbero rispettose dell’art. 22, comma 1, lettera d), della legge n. 394 del 1991, che pone quale principio fondamentale per la disciplina delle aree naturali protette «l’adozione, secondo criteri stabiliti con legge regionale in conformità ai princìpi di cui all’articolo 11, di regolamenti delle aree protette». Secondo la difesa regionale, le disposizioni oggetto delle questioni di legittimità costituzionale individuerebbero, per l’appunto, criteri generali in base ai quali gli Enti gestori delle aree protette dovrebbero adeguare i rispettivi regolamenti.
In base a quanto previsto dalla legge n. 394 del 1991, e in particolare dal suo art. 23, nelle aree protette di interesse regionale le singole Regioni, inoltre, sarebbero legittimate «a stabilire obiettivi di tutela e regimi di protezione anche diversi da quelli propri dei parchi nazionali, purché diretti ad offrire una maggiore tutela». Ne deriverebbe, pertanto, che, all’interno delle aree protette da loro istituite, le Regioni, da un lato, sarebbero «parzialmente libere di istituire regimi di protezione particolari mediante la previsione di standard di tutela diversi da quelli dei parchi nazionali»; dall’altro, nulla impedirebbe loro «di utilizzare la propria potestà in materia di governo del territorio e materie affini per istituire tipologie atipiche di aree regionali protette con finalità in tutto o in parte diverse da quelle previste dalla legge n. 394/1991».
La difesa regionale rileva, infatti, che l’art. 2 della legge statale qualifica i parchi naturali regionali per la presenza non solo di valori naturalistici e ambientali, ma anche «paesaggistici e artistici, nonché di valori legati alle tradizioni culturali delle popolazioni locali». Il legislatore statale, pertanto, avrebbe caratterizzato le aree protette regionali per una «‘fruizione antropica’ di valorizzazione e conservazione più intensa rispetto ai parchi nazionali».
La resistente, poi, osserva che la giurisprudenza della Corte costituzionale avrebbe affermato che la disciplina delle aree protette si fonda sul principio della necessaria cooperazione tra Stato, Regioni e Province autonome, «finalizzato al bilanciamento dei differenti valori rispondenti alle esigenze di protezione ambientale» (sono richiamate le sentenze n. 366 del 1992 e n. 302 del 1994). Le Regioni, pertanto, potrebbero all’interno delle aree protette regionali stabilire «equilibri tra le esigenze di sviluppo economico, urbanistico e turistico e la conservazione della natura diversi da quelli propri della disciplina statale».
5.3.– La Regione Campania ritiene altresì non fondate le censure rivolte nei confronti degli artt. 14, comma 3, e 15, comma 8, legge reg. Campania n. 2 del 2017 per violazione dell’art. 25 Cost.
La difesa regionale osserva che l’art. 14, comma 1, descrive adeguatamente le condotte che, in assenza dell’autorizzazione di cui al successivo comma 2, sono oggetto di sanzione amministrativa mercé il rinvio, «per la disciplina della graduazione delle sanzioni e delle misure applicabili», al decreto legislativo n. 285 del 1992. Il legislatore regionale avrebbe pertanto operato un «rinvio materiale e recettizio» alle disposizioni del codice della strada e, in particolare, agli artt. 26 e 27, commi 10, 11 e 12: in tal modo, secondo una tecnica normativa accolta nell’ordinamento, avrebbe integrato il precetto nel rispetto del principio di legalità e della riserva di legge, oltre che dei principi di tipicità, tassatività e determinatezza (sono richiamate le sentenze n. 292 del 2002, n. 21 del 2009 e n. 168 del 1971).
5.4.– La resistente, infine, reputa non fondata anche la censura mossa all’art. 15, comma 3, della legge regionale, il quale – a parere del ricorrente – descriverebbe la condotta del reato di danneggiamento, così invadendo la competenza esclusiva statale in materia di «ordinamento penale».
La difesa regionale rileva che la fattispecie di danneggiamento di segnaletica stradale oggetto della disposizione impugnata non è dissimile da quella prevista dall’art. 15 cod. strada, «a nulla rilevando, dunque, il reato di danneggiamento di cui all’art. 635 del codice penale».
Questa Corte, del resto, avrebbe stabilito che la prescrizione di sanzioni amministrative accede a quella competenza legislativa ritenuta dalla Costituzione più adatta alla tutela di determinati diritti o interessi (sono richiamate le sentenze n. 384 del 2005, n. 12 del 2004 e n. 28 del 1996). Con la legge regionale oggetto d’impugnazione, la Regione Campania avrebbe inteso promuovere «il recupero, la conservazione e la valorizzazione del proprio patrimonio ambientale e culturale, costituito dalla sentieristica e dalla viabilità minore, mediante l’individuazione di percorsi di interesse ambientale e storico e il recupero dei sentieri, delle mulattiere e dei tratturi regionali»: non vi sarebbe alcuna invasione, pertanto, della materia «ordinamento penale», la sanzione amministrativa in questione accedendo al bene d’interesse regionale «viabilità e sentieristica minore».
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato plurime disposizioni della legge della Regione Campania 20 gennaio 2017, n. 2 (Norme per la valorizzazione della sentieristica e della viabilità minore), co n la quale il legislatore regionale, con l’intento «di sviluppare il turismo sostenibile» (art. 1, comma 1, della legge regionale) e di promuovere «la sentieristica e la viabilità minore attraverso l’individuazione di percorsi di interesse ambientale e storico» (art. 1, comma 2, della legge regionale), ha istituito la Rete escursionistica campana (d’ora in avanti: REC).
Le numerose questioni proposte dal ricorrente possono suddividersi in due insiemi, che è opportuno prendere in esame separatamente.
2.– Con il primo insieme di questioni, il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta che le varie disposizioni impugnate trovino tutte applicazione anche in relazione alle aree naturali protette, siano esse nazionali o regionali. L’istituita REC, infatti, interesserebbe tutto il territorio regionale campano, entro il quale sono presenti due parchi nazionali oltre ad alcune riserve naturali statali e parchi regionali, la cui tutela è però disciplinata dalla legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette) (d’ora in avanti: legge quadro): legge che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, deve ricondursi alla competenza esclusiva statale in materia di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», di modo che le Regioni possono a tale riguardo determinare maggiori livelli di tutela, ma non derogare in peius alla legislazione statale. Le norme censurate, invece, presentano – secondo il ricorrente – profili di contrasto con la normativa statale, tali da risultare costituzionalmente illegittime per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.
In particolare, il Presidente del Consiglio lamenta che, in base alle disposizioni impugnate, la gestione della REC sia condotta, all’interno delle aree protette, anche senza il necessario rispetto di quanto stabilito dal regolamento e dal piano per il parco: strumenti programmatici e gestionali, questi ultimi, per mezzo dei quali, secondo la legge quadro, gli Enti parco debbono tutelare le aree protette, siano queste parchi nazionali, riserve naturali, statali o regionali, o parchi regionali.
In relazione ad alcune delle disposizioni impugnate, il ricorrente lamenta, inoltre, la violazione anche degli artt. 117, sesto comma, e 118, primo e secondo comma, Cost. Per un verso, infatti, la mancata previsione di conformità al regolamento del parco delle attività volta a volta previste dalle norme censurate determinerebbe una lesione della potestà regolamentare statale, nella specie affidata, dalla legge quadro, a tale regolamento; per un altro, la mancata partecipazione degli Enti parco alla gestione e organizzazione della REC, per la parte in cui questa si sviluppa all’interno delle aree protette, pregiudicherebbe le funzioni amministrative che lo Stato, in materia di propria competenza, ha loro affidato.
3.– Preliminarmente, va rilevato che, nell’impugnare l’art. 8, comma 2, lettera n), della legge reg. Campania n. 2 del 2017, il ricorrente fa riferimento anche all’art. 117, sesto comma, Cost., così come, nel rivolgere le censure agli artt. 9, commi 1 e 2, lettera a), e 13 della legge regionale, fa riferimento anche all’art. 118, primo e secondo comma, Cost. All’evocazione di tali parametri costituzionali, tuttavia, non corrisponde alcuna motivazione circa la loro violazione da parte delle richiamate disposizioni impugnate, di modo che essi debbono ritenersi estranei al thema decidendum (sentenza n. 175 del 2017).
4.– Le censure di cui al primo insieme di questioni di legittimità costituzionale muovono tutte dalla denunciata violazione, da parte delle singole disposizioni impugnate, di plurime disposizioni della legge quadro e, conseguentemente, della competenza esclusiva statale in materia di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.), oltre che, in alcuni casi, degli artt. 117, sesto comma, e 118, primo e secondo comma, Cost.
4.1.– Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» non identifica una sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata, giacché essa investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze, anche regionali (di recente, sentenze n. 66 del 2018, n. 212 del 2017 e n. 210 del 2016). L’ambiente è, dunque, un «“valore” costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia “trasversale”, in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale» (sentenza n. 407 del 2002).
Nell’ambito delle materie di loro competenza, pertanto, le Regioni trovano un limite negli standard di tutela fissati a livello statale. Questi, tuttavia, non impediscono ai legislatori regionali di adottare discipline normative che prescrivano livelli di tutela dell’ambiente più elevati (di recente, sentenze n. 66 del 2018, n. 74 del 2017, n. 267 del 2016 e n. 149 del 2015), i quali «implicano logicamente il rispetto degli standard adeguati e uniformi fissati nelle leggi statali» (sentenza n. 315 del 2010).
La legge quadro è stata reiteratamente ricondotta dalla giurisprudenza costituzionale alla materia «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» (da ultimo, sentenze n. 74 e n. 36 del 2017): ai principi fondamentali da essa dettati, dunque, le Regioni sono tenute ad adeguarsi, pena l’invasione di un ambito materiale di esclusiva spettanza statale. Questa Corte, in particolare, ha posto in evidenza come lo standard minimo uniforme di tutela nazionale si estrinsechi nella predisposizione da parte degli enti gestori delle aree protette «di strumenti programmatici e gestionali per la valutazione di rispondenza delle attività svolte nei parchi alle esigenze di protezione» dell’ambiente e dell’ecosistema (sentenza n. 171 del 2012; nello stesso senso, le sentenze n. 74 del 2017, n. 263 e n. 44 del 2011, n. 387 del 2008). Sono dunque il regolamento (art. 11) e il piano per il parco (art. 12), nonché le misure di salvaguardia adottate nelle more dell’istituzione dell’area protetta (artt. 6 e 8), gli strumenti attraverso i quali tale valutazione di rispondenza deve essere compiuta a tutela dell’ambiente e dell’ecosistema; allo stesso tempo, l’art. 29 – inserito tra le disposizioni finali, valevole per tutte le species di area protetta – attribuisce all’organismo di gestione il compito di assicurare il rispetto del regolamento e del piano.
Tale modello di tutela, imperniato appunto sull’esistenza di un ente gestore dell’area protetta, sulla predisposizione di strumenti programmatici e gestionali e sulla funzione di controllo del loro rispetto, attribuita all’ente gestore, è sostanzialmente replicato dalla normativa statale per le riserve naturali statali. L’art. 17 della legge quadro, infatti, dispone che il decreto istitutivo della riserva deve, tra le altre cose, determinare l’organismo di gestione e stabilire indicazioni e criteri specifici cui devono conformarsi il piano di gestione della riserva ed il relativo regolamento attuativo, emanato secondo i principi contenuti nell’art. 11.
4.2.– Questa Corte ha altresì precisato che la legge quadro non si limita a dettare standard minimi uniformi atti a tutelare soltanto i parchi e le riserve naturali nazionali – istituiti ai sensi dell’art. 8 della legge quadro (rispettivamente, con decreto del Presidente della Repubblica e con decreto del Ministro dell’ambiente) – ma impone anche un nucleo minimo di tutela del patrimonio ambientale rappresentato dai parchi e dalle riserve naturali regionali, che vincola il legislatore regionale nell’ambito delle proprie competenze (sentenze n. 74 e n. 36 del 2017, n. 212 del 2014, n. 171 del 2012, n. 325, n. 70 e n. 44 del 2011).
Anche in relazione alle aree protette regionali, invero, il legislatore statale ha predisposto un modello fondato sull’individuazione del loro soggetto gestore, ad opera della legge regionale istitutiva (art. 23), sull’adozione, «secondo criteri stabiliti con legge regionale in conformità ai principi di cui all’articolo 11, di regolamenti delle aree protette» (art. 22, comma 1, lettera d, peraltro significativamente ed espressamente ricompreso tra i «princìpi fondamentali per la disciplina delle aree naturali protette regionali»), nonché su un piano per il parco tramite il quale siano attivate le finalità del parco naturale regionale (art. 25).
5.– La Regione Campania si è costituita in giudizio chiedendo l’inammissibilità o il rigetto del ricorso.
5.1.– La resistente sostiene, innanzitutto, che la legge reg. Campania n. 2 del 2017 intende intervenire sul solo patrimonio ambientale regionale, di modo che la relativa disciplina normativa non potrebbe trovare applicazione all’interno delle aree naturali protette nazionali. Lo spirito della legge regionale, infatti, sarebbe quello di «tutelare i sentieri e la viabilità minore di territori non ricadenti nei Parchi e nelle aree protette», con l’obiettivo di valorizzare, «nell’ambito dei poteri riconosciuti alle Regioni», «l’equilibrio tra la tutela dell’ambiente ed il turismo escursionistico in quanto attività che si influenzano e si caratterizzano reciprocamente».
Ostano a tale soluzione ermeneutica, tuttavia, più disposizioni della legge campana, dalle quali, al contrario, si evince che la disciplina impugnata, pur intervenendo su ambiti riconducibili anche alla potestà legislativa regionale in materia di «turismo», mai circoscrive il proprio ambito di operatività alle sole aree protette regionali, ben interessando anche aree protette nazionali.
A tal proposito viene in considerazione, innanzitutto, l’art. 1 della citata legge regionale, il quale, nel delimitare l’oggetto dell’intervento legislativo, espressamente si riferisce al recupero, alla conservazione e alla valorizzazione del «patrimonio ambientale» della Regione Campania: patrimonio però che non può non ricomprendere anche le aree protette nazionali che si sviluppano all’interno del territorio regionale.
L’art. 2 della legge regionale campana, a sua volta, nell’indicare le finalità della disciplina normativa, dichiaratamente prevede, al comma 1, lettera l), «la valorizzazione di percorsi escursionistici di tipo regionale, nazionale e internazionale», così come l’art. 4, comma 3, espressamente afferma che la REC «è costituita da sentieri di interesse europeo, inserita nella rete europea della European Ramblers Association ed interregionale»: difficilmente i sentieri potrebbero considerarsi nazionali, internazionali o di interesse europeo senza attraversare anche le aree protette nazionali.
Nella gestione della REC e per la vigilanza e il controllo sul rispetto della legge regionale, il legislatore campano, inoltre, esplicitamente coinvolge gli enti di gestione delle aree protette generalmente intesi, senza dunque limitare tale coinvolgimento agli enti di gestione delle aree protette regionali (artt. 8, comma 2, lettera n; 9, comma 1; 15, commi 1 e 4). Al contrario, la volontà di coinvolgere, nello svolgimento di tali funzioni, anche gli enti cui è affidata la tutela delle aree protette nazionali è resa palese dall’utilizzo, all’art. 8, comma 2, lettera n), della locuzione «Enti Parco», che è la medesima utilizzata dall’art. 9 della legge quadro nel riferirsi, appunto, al soggetto gestore delle aree protette nazionali.
Infine, all’art. 14, nel prevedere i divieti connessi alla disciplina legislativa, la legge regionale dichiaratamente fa salva «l’osservanza della vigente normativa statale e regionale in materia di aree naturali protette», con una formola comprensiva – come, del resto, lo è quella identica adoperata dalla legge quadro (specialmente artt. 1 e 2) – tanto delle aree naturali protette nazionali quanto di quelle regionali.
5.2.– Per quel che riguarda l’applicabilità delle disposizioni impugnate all’interno delle aree protette regionali, secondo la Regione Campania la legge regionale sarebbe conforme a quanto disposto dall’art. 22, comma 1, lettera d), della legge quadro: le disposizioni censurate non farebbero altro che individuare criteri generali in base ai quali gli enti gestori delle aree protette dovrebbero adottare o adeguare i rispettivi regolamenti.
Inoltre, in base a quanto previsto dalla legge quadro, nelle aree protette di interesse regionale le singole Regioni sarebbero legittimate «a stabilire obiettivi di tutela e regimi di protezione anche diversi da quelli propri dei parchi nazionali, purché diretti ad offrire una maggiore tutela». Ciò, in particolare, perché i parchi naturali regionali sarebbero qualificati per la presenza non solo di valori naturalistici e ambientali, ma anche «paesaggistici e artistici, nonché di valori legati alle tradizioni culturali delle popolazioni locali»: il che consentirebbe alle Regioni di stabilire «equilibri tra le esigenze di sviluppo economico, urbanistico e turistico e la conservazione della natura diversi da quelli propri della disciplina statale».
Anche in questo caso, le difese della Regione Campania non colgono nel segno.
Per un verso, deve escludersi che la legge campana oggetto del presente scrutinio sia la legge regionale cui si riferisce l’art. 22, comma 1, lettera d), della legge quadro. La legge regionale, difatti, in nessuna sua parte è tesa a disciplinare direttamente o indirettamente le aree protette regionali, dando attuazione alla disposizione statale; diversamente, come si afferma all’art. 1, essa intende «sviluppare il turismo sostenibile», promovendo «la sentieristica e la viabilità minore» e valorizzandone, in particolare, le infrastrutture connesse. La circostanza per cui la disciplina ch’essa reca interferisce con il regime di tutela per le aree naturali protette non vale a renderla attuativa della legge quadro ma, al contrario, esige la verifica circa la sua compatibilità con i principi fondamentali dettati dal legislatore statale.
Per altro verso, può senz’altro riconoscersi che il legislatore statale ha previsto, per le aree naturali protette regionali, un quadro normativo meno dettagliato di quello predisposto per le aree naturali protette nazionali, tale che le Regioni abbiano un qualche margine di discrezionalità tanto in relazione alla disciplina delle stesse aree protette regionali quanto sul contemperamento tra la protezione di queste ultime e altri interessi meritevoli di tutela da parte del legislatore regionale. Ciò non toglie, tuttavia, che l’esistenza di un regolamento e di un piano dell’area protetta, cui devono conformarsi le attività svolte all’interno del parco o della riserva, così come l’attribuzione a un organismo di gestione della verifica del rispetto di tali strumenti regolatori e programmatici, siano costituzionalmente necessarie, perché sono la manifestazione di quello standard minimo di tutela che il legislatore statale ha individuato nell’esercizio della propria competenza esclusiva in materia di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» e che le Regioni possono accompagnare con un surplus di tutela, ma non derogare in peius.
6.– Alla luce della richiamata giurisprudenza costituzionale, nonché dei principi stabiliti dalla legge quadro, va rilevato, dunque, che la univoca ed esclusiva vocazione turistica della legge regionale campana, ove non correlata (e subordinata) alle esigenze di tutela dell’ambiente, salvaguardato dal complesso di strumenti promozionali e di controllo predisposti dalla normativa quadro statale, finirebbe per risultare ontologicamente invasiva della competenza legislativa esclusiva dello Stato, in quanto facoltizzata, per sé sola, a determinare modalità, dimensioni e controllo per la realizzazione di un “turismo sostenibile” anche in zone a riconosciuta “sensibilità” ambientale.
Tanto premesso, possono ora prendersi in esame le singole questioni di legittimità costituzionale di cui al primo insieme.
7.– L’art. 4, comma 2, legge reg. Campania n. 2 del 2017 disciplina la pianificazione degli interventi di recupero e valorizzazione del patrimonio escursionistico regionale.
Il Presidente del Consiglio dei ministri reputa tale disposizione invasiva della competenza esclusiva statale in materia di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.), perché non prevede che tale funzione di pianificazione debba essere esercitata, quando interessi aree rientranti in parchi nazionali, in conformità al regolamento del parco, al piano per il parco, nonché alle misure di salvaguardia eventualmente dettate dal provvedimento istitutivo.
La questione è fondata.
Si è già rilevato come questa Corte abbia riconosciuto che lo standard minimo uniforme di tutela ambientale si articola nella previsione di strumenti programmatici e regolatori delle attività esercitabili all’interno delle aree protette. La disposizione regionale, nella parte in cui non prevede che la pianificazione concernente la REC all’interno delle aree protette nazionali sia conforme a quanto stabilito da tali strumenti gestori, si pone dunque in contrasto con quanto stabilito dalla legge quadro.
7.1.– La medesima disposizione è altresì censurata nella parte in cui non prevede che la pianificazione concernente la REC, anche quando questa si sviluppi all’interno di riserve naturali e aree protette regionali, sia conforme a quanto stabilito dai relativi strumenti gestori.
La questione è fondata.
La legge quadro, come si è visto, impone anche per le riserve naturali e le aree protette regionali un regolamento e un piano, cui devono conformarsi le attività che si svolgono all’interno di tali aree: di qui l’illegittimità della disposizione impugnata, nella parte in cui non prevede che la pianificazione concernente la REC sia conforme a tali strumenti. Deve escludersi, infatti, che in tal modo il legislatore regionale abbia predisposto un livello di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema più elevato di quello garantito dal legislatore statale.
7.2.– Restano assorbite le ulteriori questioni aventi per oggetto l’art. 4, comma 2, della legge regionale.
8.– L’art. 7 della legge reg. Campania n. 2 del 2017 disciplina la viabilità minore di uso privato inclusa nella REC, stabilendo limiti al transito.
Il Presidente del Consiglio dei ministri lo reputa lesivo della competenza esclusiva statale in materia di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» perché – nella parte in cui è volto a disciplinare anche porzioni della REC incluse nel territorio dei parchi nazionali – si pone in contrasto con gli artt. 11 e 12 della legge n. 394 del 1991, i quali affidano specificamente al regolamento del parco e al piano per il parco la relativa disciplina.
La questione, che involve i primi due commi della disposizione, è fondata.
L’art. 11, comma 2, della legge quadro, infatti, affida al regolamento del parco la disciplina del soggiorno e della circolazione del pubblico con qualsiasi mezzo di trasporto (lettera c) e dell’accessibilità nel territorio del parco attraverso percorsi e strutture idonee per disabili, portatori di handicap e anziani (lettera h); l’art. 12, comma 1, prevede che il piano per il parco disciplini, tra le altre cose, i vincoli, le destinazioni di uso pubblico o privato e le norme di attuazione relative con riferimento alle varie aree o parti del piano (lettera b) e i sistemi di accessibilità veicolare e pedonale con particolare riguardo ai percorsi, agli accessi e alle strutture riservati a disabili, ai portatori di handicap e agli anziani.
La disposizione regionale, pertanto, si presenta come invasiva di competenze attribuite dalla legge quadro, a tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, al regolamento e al piano per il parco.
Il medesimo art. 7 sarebbe altresì in contrasto, di nuovo con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., pure nella parte in cui, al suo terzo e ultimo comma, statuisce che la Giunta regionale abbia il potere di chiudere al transito escursionistico anche quelle porzioni di sentieri rientranti nei parchi nazionali. Con ciò, infatti, si riconoscerebbe alla Giunta una funzione gestoria delle aree protette che gli artt. 1, comma 4, e 9 della legge quadro affidano agli Enti parco.
Anche tale questione è fondata.
La legge quadro affida la tutela dell’area protetta al suo ente gestore, di modo che la legge regionale non può attribuire ad altro soggetto – nel caso di specie, alla Giunta regionale – il potere di decidere se chiudere al transito aree rientranti nel territorio di parchi o riserve nazionali.
8.1.– L’art. 7 è impugnato dal ricorrente nella parte in cui trova applicazione anche all’interno delle riserve naturali e delle aree protette regionali.
Le questioni sono fondate.
Anche all’interno delle riserve naturali e delle aree protette regionali, secondo quanto previsto dalla legge quadro a loro tutela (artt. 17, 22, 23 e 25), per un verso, spetta al regolamento e al piano per il parco disciplinare l’accessibilità, il soggiorno e la circolazione; per un altro, è soltanto l’ente gestore che, conseguentemente, può decidere se chiudere al transito determinate porzioni del territorio dell’area protetta.
8.2.– Restano assorbite le ulteriori questioni aventi per oggetto l’art. 7 della legge regionale.
9.– L’art. 8 legge reg. Campania n. 2 del 2017 istituisce la Consulta regionale per il patrimonio escursionistico «quale sede di concertazione e organismo consultivo e propositivo della Giunta regionale».
Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che, pur corretta la predisposizione di forme di collaborazione organica con gli Enti parco, la previsione che il rappresentante di tali enti in seno alla Consulta regionale sia designato da Federparchi sarebbe costituzionalmente illegittima: la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. deriverebbe dalla circostanza che la legge quadro, agli artt. 1, comma 3, e 9, individua direttamente e soltanto negli enti gestori delle aree protette i soggetti portatori degli interessi tutelati, di modo che il loro rappresentante non potrebbe essere individuato da un soggetto diverso quale, per l’appunto, Federparchi.
La questione è fondata.
La designazione del rappresentante degli Enti parco campani, proprio perché è loro affidata la tutela delle aree protette di cui sono gestori, deve spettare loro in via esclusiva. La designazione ad opera di Federparchi – associazione costituita dagli Enti e dai soggetti pubblici e privati gestori di aree protette in Italia – risulta, invece, lesiva dei compiti affidati ai soggetti gestori delle aree protette interessate dalla REC, anche perché alla scelta del rappresentante parteciperebbero, per il tramite dell’associazione, enti gestori di aree protette che si sviluppano anche fuori dal territorio campano.
L’art. 8, comma 2, lettera n), della legge regionale campana, pertanto, deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede che il rappresentante degli Enti parco sia «designato dalla Federparchi», anziché dagli Enti parco allocati su territorio campano.
9.1.– Restano assorbite le ulteriori questioni aventi per oggetto l’art. 8, comma 2, lettera n), della citata legge regionale.
10.– L’art. 9 legge reg. Campania n. 2 del 2017 individua i soggetti competenti alla gestione tecnica dei siti ricompresi nella REC, affidata alla Regione Campania e agli Enti locali territorialmente competenti, oltre che agli enti di gestione delle aree protette.
Il Presidente del Consiglio dei ministri lo reputa illegittimo per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., nella parte in cui, in contrasto con gli artt. 1, comma 3, 9, e 12 della legge quadro: (a) non prevede che la gestione tecnica dei siti ricompresi nella REC ed inclusi nei territori delle aree protette sia di competenza esclusiva dei relativi enti gestori (comma 1); (b) prevede che gli enti di gestione delle aree protette debbano individuare le modalità di fruizione della rete regionale «in accordo con i comuni territorialmente interessati», impedendo a tali enti di autodeterminarsi nelle scelte inerenti le funzioni loro attribuite dalla legge statale (comma 2, lettera a). Inoltre, sarebbe costituzionalmente illegittimo per violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost., perché l’art. 11 della legge quadro affida al regolamento del parco la disciplina delle modalità di fruizione dei sentieri, per la parte di territorio ricadente all’interno delle aree protette.
Le questioni sono fondate.
La legge quadro, come si è già detto, attribuisce ai soli enti gestori la tutela delle aree protette, da porre in essere in particolare attraverso il regolamento e il piano per il parco. Le disposizioni ora in esame, invece, affiancano all’Ente parco tanto la Regione Campania, quanto gli enti locali, così ponendosi in contrasto con i principi stabiliti dal legislatore statale.
Non varrebbe opporre che l’art. 12, comma 4, della legge quadro prescrive una particolare procedura per l’adozione del piano per il parco, il quale prima della sua approvazione, per un verso, è sottoposto alle osservazioni di chicchessia, e, per un altro, deve essere oggetto d’intesa, per alcuni aspetti, con la Regione e con i Comuni interessati. A tal proposito è sufficiente rilevare, da un lato, che la predisposizione del piano è affidata in via esclusiva all’ente gestore (art. 12, comma 3), così evidentemente riconoscendo a quest’ultimo un ruolo primario e solitario; dall’altro, che in assenza della approvazione del piano, quest’ultimo è rimesso prima a un comitato costituito da rappresentanti del Ministero dell’ambiente e delle regioni e province autonome e poi, eventualmente, al Consiglio dei ministri: con il che si esclude che Regioni o enti locali abbiano un ruolo pari a quello dell’Ente parco o dello Stato.
L’art. 11 della legge quadro, poi, affida al regolamento del parco, come si è visto, il compito di disciplinare la circolazione del pubblico all’interno dell’area protetta: circolazione che ben può avvenire, ovviamente, attraverso la REC. Le disposizioni impugnate affidano invece anche a Regione ed enti locali, l’individuazione delle diverse modalità di fruizione della rete escursionistica, così evidentemente ponendosi in contrasto con la legge quadro e, conseguentemente, con l’art. 117, sesto comma, Cost.
10.1.– Le medesime disposizioni di cui all’art. 9 sono impugnate dal ricorrente anche nella parte in cui trovano applicazione all’interno delle riserve naturali e delle aree protette regionali, risultando così in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), e sesto comma, Cost.
Le questioni sono fondate.
Come si è già posto in luce, la legge quadro affida, anche per la tutela delle aree protette regionali, al regolamento e al piano per il parco la disciplina della gestione di tali aree (artt. 22, 23 e 25). La legge regionale può, sì, stabilire i criteri in base ai quali deve essere adottato il regolamento, ma deve farlo in conformità ai princìpi di cui all’art. 11 della legge quadro (art. 22, comma 1, lettera d) e, comunque sia, predisponendo un livello di tutela dell’ambiente pari o superiore a quello garantito dalla legge statale. Deve escludersi, tuttavia, che attribuire a Regione, enti locali territorialmente competenti e enti di gestione delle aree protette, invece che solo a questi ultimi, la competenza in tema di gestione tecnica dei siti regionali e di fruizione della REC all’interno delle aree protette si risolva in una maggiore tutela di queste ultime.
11.– L’art. 10 legge reg. Campania n. 2 del 2017 prevede un Piano annuale e un Piano triennale di interventi sulla REC. Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna i commi 1, 3, 4 e 5: è necessario che l’esame delle singole questioni venga condotto partitamente.
11.1– L’art. 10, comma 1, definisce quali debbono essere i contenuti del Piano triennale ed è censurato perché ritenuto in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. in quanto, per la parte in cui si rivolge alle porzioni di territorio regionale ricomprese nel perimetro dei parchi nazionali, non è previsto che sia conforme al regolamento e al piano per il parco, così incidendo sul nucleo di salvaguardia predisposto dagli artt. 11 e 12 della legge quadro. Il Presidente del Consiglio dei ministri reputa costituzionalmente illegittima la medesima disposizione anche per la parte in cui si rivolge a porzioni di territorio ricomprese nel perimetro di riserve naturali statali e aree protette regionali.
Le questioni sono fondate.
Si è già più volte posto in evidenza quanto siano centrali, nella disciplina predisposta dalla legge quadro, gli strumenti del regolamento e del piano per il parco per la tutela delle aree naturali protette, siano esse nazionali o regionali: è attraverso di questi, e soltanto di questi, che l’ente gestore valuta la rispondenza delle attività svolte all’interno dei parchi alla loro tutela. La disposizione regionale – che prevede che il Piano triennale definisca gli interventi da effettuare sulla REC ed individui le opere oggetto di finanziamento – evidentemente interferisce con la funzione esclusiva di tutela delle aree protette affidata dal legislatore statale agli Enti parco.
11.2.– Restano assorbite le ulteriori questioni aventi per oggetto l’art. 10, comma 1, della legge regionale campana.
11.3.– L’art. 10, comma 4, della medesima legge regionale prevede che il Piano triennale sia approvato dalla Giunta regionale, sentito il parere della commissione consiliare permanente competente in materia, e che le sue integrazioni e modifiche annuali siano effettuate con una ulteriore delibera di Giunta.
Il Presidente del Consiglio dei ministri lo reputa lesivo della competenza esclusiva statale in materia di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», perché affida all’amministrazione regionale una importante funzione programmatoria e gestoria che, nella parte in cui interessa anche le aree protette, è di esclusiva spettanza degli Enti parco, posti a presidio dei «valori naturalistici, scientifici, estetici, culturali, educativi e ricreativi» presenti nel parco (art. 2, comma 1, legge quadro). La medesima disposizione è reputata costituzionalmente illegittima dal Presidente del Consiglio dei ministri anche per la parte in cui si rivolge a porzioni di territorio ricomprese nel perimetro di riserve naturali statali e aree protette regionali.
Va rilevato che, a seguito della parziale dichiarazione d’illegittimità costituzionale dell’art. 10, comma 1, della medesima legge regionale (supra, paragrafo 11.1.), il Piano triennale, pur se adottato da soggetti diversi dagli enti di gestione delle aree protette – in quanto volto a disciplinare porzioni di territorio regionali anche esterne a queste ultime – deve necessariamente rispettarne il regolamento e il piano, pena la sua illegittimità. Ne consegue la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale ora in esame.
11.4.– L’art. 10 della legge regionale campana dispone, al comma 3, che il Piano annuale degli interventi sulla REC individua gli interventi di competenza della Regione e, al comma 5, che il medesimo Piano annuale individui, per ciascun percorso compreso nella REC, il soggetto obbligato alla manutenzione, in cosa questa consista e la periodicità del controllo.
Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna entrambe le disposizioni per violazione della competenza esclusiva statale in materia di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», reputandole in contrasto con i principi fondamentali della legge quadro nella parte in cui attribuiscono all’amministrazione regionale importanti funzioni gestorie in relazione a parti di territorio ricomprese all’interno delle aree protette. Le medesime disposizioni sono ritenute costituzionalmente illegittime anche per la parte in cui si rivolgono a porzioni di territorio ricomprese nel perimetro di riserve naturali statali e aree protette regionali.
Le questioni sono fondate, per le medesime ragioni già reiteratamente esposte: funzioni quali quelle di cui alle disposizioni impugnate – interventi e manutenzione di territorio all’interno delle aree protette – sono attribuite dagli artt. 11 e 12 della legge quadro in via esclusiva agli enti gestori delle aree protette, cui è inderogabilmente affidata dalla legge statale la tutela dei valori ambientali attraverso l’approvazione di regolamento e piano per il parco.
12.– L’art. 13 della legge reg. Campania n. 2 del 2017 disciplina la segnaletica lungo la REC: è previsto, in particolare, che la Giunta regionale e l’istituita Consulta regionale dettino linee guida sulle specifiche della segnaletica, la cui posa e manutenzione spetta poi ai Comuni.
Il ricorrente lamenta che, nella parte in cui tale disposizione si applica anche alla frazione della rete regionale presente nel territorio dei parchi nazionali, si riveli in contrasto con gli artt. 1, comma 3, 9, 11 e 12 della legge quadro e, dunque, con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Si osserva, a tal proposito, che è il regolamento del parco a disciplinare le attività consentite entro il territorio dell’area protetta ed è il piano per il parco a disciplinare i sistemi di accessibilità pedonale; così come posa, installazione, adeguamento e manutenzione della segnaletica sono funzioni che le richiamate disposizioni della legge quadro affidano agli Enti parco. Il Presidente del Consiglio dei ministri reputa costituzionalmente illegittima la medesima disposizione anche per la parte in cui si rivolge a porzioni di territorio ricomprese nel perimetro di riserve naturali statali e aree protette regionali.
Le questioni sono fondate.
L’installazione di segnaletica all’interno delle aree protette è, in tutta evidenza, attività che può avere non poco impatto sui valori ambientali e naturalistici che la legge quadro intende proteggere, affidando agli strumenti del regolamento e del piano per il parco la tutela di detti valori.
Il regolamento del parco non solo disciplina le attività consentite entro il territorio dell’area protetta, come più volte si è già posto in luce, ma deve altresì prevedere, secondo quanto dispone la legge quadro, «la tipologia e le modalità di costruzione di opere e manufatti» (art. 11, comma 2, lettera a). E non può esservi dubbio sul fatto che la segnaletica debba considerarsi manufatto, se non altro perché tale la considera l’art. 15, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), ai sensi del quale «Su tutte le strade e loro pertinenze è vietato: […] b) danneggiare, spostare, rimuovere o imbrattare la segnaletica stradale ed ogni altro manufatto ad essa attinente».
Il piano per il parco, per conto suo, deve disciplinare sistemi di accessibilità anche pedonale, sistemi di attrezzature e servizi per la gestione e la funzione sociale del parco, indirizzi e criteri per gli interventi sulla flora e sull’ambiente naturale in genere (art. 12, comma 1, lettere c e d): tutte funzioni entro le quali rientrano anche quelle concernenti l’installazione e la manutenzione della segnaletica.
12.1.– Restano assorbite le ulteriori questioni aventi per oggetto l’art. 13 della citata legge regionale campana.
13.– L’art. 16 della legge reg. Campania n. 2 del 2017 prevede che la Giunta regionale approvi, entro novanta giorni dall’entrata in vigore della medesima legge regionale, il relativo regolamento attuativo.
Il Presidente del Consiglio dei ministri ne impugna il comma 2, lettere a), b), c), d), f) e g): rimane estranea alle censure, dunque, la sola lettera e). Il ricorrente ritiene che – nell’affidare al regolamento attuativo la disciplina di diversi oggetti i quali, con riferimento al territorio delle aree protette, dovrebbero essere regolati dal piano e dal regolamento del parco – le disposizioni impugnate si pongano in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Per analoghe ragioni, esse sarebbero costituzionalmente illegittime anche per la parte in cui si rivolgono a porzioni di territorio incluse nel perimetro di riserve naturali statali e aree protette regionali.
Le questioni sono fondate.
Tutti gli oggetti che il regolamento attuativo, secondo le disposizioni in esame, dovrebbe andare a disciplinare (dalle caratteristiche della segnaletica ai criteri per la progettazione e la realizzazione di sentieri; dalle caratteristiche di sicurezza per la fruizione della REC ai criteri generali di manutenzione dei percorsi della stessa REC e all’individuazione del soggetto tenuto a effettuarla) rientrano in attività che, come si è invero già visto, spetta al regolamento e al piano delle aree protette regolare.
13.1.– Restano assorbite le ulteriori questioni aventi per oggetto l’art. 16, comma 2, lettere a), b), c), d), f) e g), della legge regionale campana.
14.– Deve ora passarsi allo scrutinio del secondo insieme di questioni di legittimità proposte dal Presidente del Consiglio dei ministri, le quali hanno per oggetto alcune disposizioni della legge reg. Campania n. 2 del 2017 che prevedono sanzioni amministrative.
15.– L’art. 14, comma 3, della richiamata legge regionale dispone che la violazione di quanto previsto al comma 2 del medesimo art. 14 comporta «l’applicazione delle sanzioni e delle misure» previste dal codice della strada. Secondo il ricorrente, la formulazione della disposizione impugnata sarebbe «estremamente generica, con riferimento sia alla natura sia all’entità delle sanzioni da applicare alle violazioni in esse previste»: di qui il contrasto con il principio di legalità sancito dall’art. 25 Cost., i cui canoni, secondo la giurisprudenza di questa Corte, dovrebbero essere estesi a tutte le misure di carattere punitivo, comprese quelle amministrative.
Per analoghe ragioni sarebbe costituzionalmente illegittimo anche l’art. 15, comma 8, della citata legge regionale («Oltre alle sanzioni previste dai commi 2 e 3, la violazione delle norme generali contenute nell’articolo 14, comma 6, dà luogo all’applicazione delle seguenti sanzioni amministrative pecuniarie»), in quanto risulterebbe «formulato in modo non chiaro» nel riferimento a disposizioni sanzionatorie contenute nei commi precedenti.
15.1.– La Regione Campania ritiene non fondate entrambe le questioni di legittimità costituzionale.
Secondo la resistente, l’art. 14, comma 1, legge reg. Campania n. 2 del 2017 descriverebbe adeguatamente le condotte che, in assenza dell’autorizzazione di cui al successivo comma 2, sono oggetto di sanzione amministrativa mercé il rinvio al codice della strada. Il legislatore regionale avrebbe pertanto operato un «rinvio materiale e recettizio» alle disposizioni di tale codice – in particolare agli artt. 26 e 27, commi 10, 11 e 12 – integrando dunque il precetto nel rispetto del principio di legalità e della riserva di legge.
15.2.– Va preliminarmente osservato che l’art. 14, comma 2, della richiamata legge regionale, la cui violazione è sanzionata dall’impugnato art. 14, comma 3, non prevede alcun divieto, ma si limita a disciplinare il procedimento, cui prendono parte i Comuni, la Consulta regionale di cui all’art. 8 della citata legge regionale e la Giunta regionale, per modificare la destinazione d’uso dei sentieri della REC. Tuttavia, neppure può ritenersi che il legislatore regionale sia incorso in un mero errore materiale e che le condotte vietate e sanzionate dalla disposizione censurata siano, come adombra nella memoria difensiva la Regione Campania, quelle di cui all’art. 14, comma 1, della medesima legge regionale: alla violazione dei divieti ivi previsti, difatti, segue la sanzione amministrativa posta dal successivo art. 15, comma 5.
15.3.– Ancora in via preliminare, deve ricordarsi come la giurisprudenza di questa Corte abbia già affermato che il principio della legalità della pena è «ricavabile anche per le sanzioni amministrative dall’art. 25, secondo comma, della Costituzione, in base al quale è necessario che sia la legge a configurare, con sufficienza adeguata alla fattispecie, i fatti da punire» (sentenza n. 78 del 1967). Si è poi precisato, più di recente, che dall’art. 25 Cost., data l’ampiezza della sua formulazione, è desumibile il principio secondo cui «tutte le misure di carattere punitivo-afflittivo devono essere soggette alla medesima disciplina della sanzione penale in senso stretto» (sentenza n. 196 del 2010; in identico senso anche le sentenze n. 276 del 2016 e n. 104 del 2014).
Vero è che tali affermazioni sono state formulate, in ragione delle questioni di legittimità allora proposte, con riferimento a uno dei corollari del principio di legalità, quello dell’irretroattività delle norme incriminatrici. Tuttavia, esse sono parimente da riferire ad altro corollario di detto principio, di rilievo nelle odierne questioni: il principio di determinatezza delle norme sanzionatorie. Principio, quest’ultimo, il quale, per un verso, vuole evitare che, in contrasto con il principio della divisione dei poteri, l’autorità amministrativa o «il giudice assuma[no] un ruolo creativo, individuando, in luogo del legislatore, i confini tra il lecito e l’illecito» (sentenza n. 327 del 2008; sul punto anche ordinanza n. 24 del 2017); per un altro verso, non diversamente dal principio d’irretroattività, intende «garantire la libera autodeterminazione individuale, permettendo al destinatario della norma penale di apprezzare a priori le conseguenze giuridico-penali della propria condotta» (ancora sentenza n. 327 del 2008).
Con riferimento a questo tipo di sanzioni amministrative, il principio di legalità, prevedibilità e accessibilità della condotta sanzionabile e della sanzione aventi carattere punitivo-afflittivo, qualunque sia il nomen ad essa attribuito dall’ordinamento, del resto, non può, ormai, non considerarsi patrimonio derivato non soltanto dai principi costituzionali, ma anche da quelli del diritto convenzionale e sovranazionale europeo, in base ai quali è illegittimo sanzionare comportamenti posti in essere da soggetti che non siano stati messi in condizione di “conoscere”, in tutte le sue dimensioni tipizzate, la illiceità della condotta omissiva o commissiva concretamente realizzata.
15.4.– Ciò premesso, la questione relativa all’art. 14, comma 3, legge reg. Campania n. 2 del 2017 è fondata.
La disposizione censurata, infatti, innanzitutto non descrive minimamente la condotta foriera delle sanzioni amministrative di cui al codice della strada, se non attraverso l’oscuro rinvio all’art. 14, comma 2, il quale – come si è visto – non dispone alcun divieto, ma regola un procedimento per la modifica di destinazione d’uso dei sentieri della REC.
In secondo luogo, è manifestamente in contrasto con il principio di legalità delle pene, sub specie di determinatezza, il rinvio, per quel che concerne le sanzioni e le misure da applicare, all’intiero decreto legislativo n. 285 del 1992, perché in tal modo il legislatore regionale non ha, previamente e chiaramente, individuato la specifica misura sanzionatoria irrogabile a seguito della «violazione del comma 2». Né il vulnus costituzionale è rimediabile in via ermeneutica, intendendosi il rinvio, come sostenuto dalla difesa regionale, ai soli artt. 26 e 27, commi 10, 11 e 12, cod. strada: a prescindere da ogni valutazione sulla plausibilità di tale interpretazione della ratio legis, essa non trova riscontro alcuno nel tessuto normativo della legge campana.
Va solo precisato che non è in discussione la possibilità per il legislatore, anche regionale, di integrare i precetti punitivi e sanzionatori mercé il rinvio ad altri atti normativi, ma è in palese contrasto con i principi costituzionali di cui all’art. 25 Cost. che ciò avvenga in modo tale che la determinazione ex lege della conseguenza giuridico-sanzionatoria derivante dalla violazione del precetto normativo sia assente o, ad ogni modo, insufficiente.
15.5.– L’analoga questione relativa all’art. 15, comma 8, legge reg. Campania n. 2 del 2017, invece, non è fondata.
L’ermeneutica della disposizione impugnata non giustifica le censure di costituzionalità che le sono mosse dal Presidente del Consiglio dei ministri. Essa, infatti, descrive adeguatamente le condotte vietate, per mezzo del rinvio all’art. 14, comma 6, della legge regionale, e prevede espressamente le sanzioni amministrative pecuniarie che conseguono alla violazione. Con il richiamo dell’art. 15, commi 2 e 3, della citata legge regionale – posto in apertura della disposizione in esame e attorno al quale ruotano i dubbi di costituzionalità del ricorrente – il legislatore regionale ha poi inteso disporre che, laddove i divieti di cui ai richiamati commi siano violati con le condotte descritte dalla disposizione impugnata, le sanzioni previste in tali commi si cumulino a quelle esplicitamente stabilite dall’art. 15, comma 8, della medesima legge regionale.
16.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, infine, reputa in contrasto con la Costituzione anche l’art. 15, comma 3, della legge reg. Campania n. 2 del 2017, il quale prevede una sanzione amministrativa pecuniaria per «chiunque danneggia la segnaletica o le opere realizzate per la percorribilità e la sosta lungo i percorsi escursionistici della Rete regionale». Secondo il ricorrente, tale disposizione descrive la condotta del reato di danneggiamento di cui all’art. 635, comma 2, numero 1), del codice penale: in tal modo, risulterebbe invasiva della competenza esclusiva statale in materia di «ordinamento penale» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
16.1.– La difesa regionale rileva che la fattispecie di danneggiamento di segnaletica le oggetto della disposizione impugnata non è dissimile da quella prevista dall’art. 15 cod. strada, «a nulla rilevando, dunque, il reato di danneggiamento di cui all’art. 635 del codice penale». La sanzione amministrativa, d’altra parte, accederebbe – in linea con quanto ammesso dalla giurisprudenza costituzionale – alla tutela del bene d’interesse regionale «viabilità e sentieristica minore», non invadendo pertanto la materia «ordinamento penale».
16.2.– Deve innanzitutto ribadirsi il principio ripetutamente affermato da questa Corte – e rammentato, come si è appena visto, dalla Regione Campania – secondo il quale «la competenza sanzionatoria amministrativa non è in grado di autonomizzarsi come materia a sé, ma accede alle materie sostanziali» (sentenza n. 12 del 2004; in senso analogo, tra le tante, sentenze n. 240 del 2007, n. 384 del 2005, n. 28 del 1996).
La legge campana impugnata detta una disciplina che, nell’ambito della competenza esclusiva regionale in materia di «turismo», intende sviluppare il «turismo sostenibile» attraverso un’articolata attività di promozione e valorizzazione del patrimonio escursionistico regionale, caratterizzato in particolare da percorsi di interesse ambientale e storico. La previsione della sanzione amministrativa de qua – in quanto diretta a tutelare la segnaletica e le opere realizzate per la percorribilità e la sosta lungo la REC, evidentemente funzionali a garantire la migliore fruibilità del patrimonio escursionistico regionale – non è dunque estranea all’ambito di competenza del legislatore regionale.
16.3.– Ciò premesso, la questione non è fondata.
La disposizione impugnata è analoga a quella di cui all’art. 15, comma 1, lettera b), cod. strada, il quale vieta di «danneggiare, spostare, rimuovere o imbrattare la segnaletica stradale ed ogni altro manufatto ad essa attinente», sanzionando la violazione del divieto con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 41 ad euro 169, oltre che con quella accessoria dell’obbligo del ripristino dei luoghi (art. 15, commi 2 e 4, del medesimo codice). Sul rapporto di tale disposizione con il reato di danneggiamento si è espressa la Corte di cassazione, affermando che essa «riveste natura di norma speciale rispetto alla disposizione di cui all’art. 635, cod. pen., in quanto concerne la disciplina relativa ad una specifica categoria di beni, sicché ai sensi dell’art. 9 della legge n. 689 del 1981 la relativa condotta costituisce illecito amministrativo» (Corte di Cassazione, sezione seconda penale, sentenza 9 aprile 2013, n. 20789; Corte di Cassazione, sezione seconda penale, sentenza 13 dicembre 2011, n. 9541; Corte di Cassazione, sezione seconda penale, sentenza 20 ottobre 1994, n. 4491).
Il principio così affermato dal giudice della nomofilachia trova fondamento nella previsione del primo comma del citato art. 9 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), secondo la quale «[q]uando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, […] si applica la disposizione speciale». Nel caso in esame, peraltro, venendo in rilievo il rapporto non fra due norme sanzionatorie entrambe statali, ma tra una statale e una regionale, trova applicazione il disposto del secondo comma del medesimo art. 9 della legge n. 689 del 1981, in forza del quale «quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione regionale o delle province autonome di Trento e di Bolzano che preveda una sanzione amministrativa, si applica in ogni caso la disposizione penale, salvo che quest’ultima sia applicabile solo in mancanza di altre disposizioni penali».
Ne consegue che la sanzione amministrativa prevista dalla disposizione censurata potrà essere irrogata solo qualora il fatto non integri il reato di danneggiamento. L’art. 15, comma 3, della legge regionale campana, pertanto, non invade, né erode la sfera di operatività della norma penale, trovando applicazione soltanto in via residuale, in relazione a condotte non penalmente sanzionate. Circostanza, questa, che vale senz’altro a escludere la denunciata lesione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di «ordinamento penale».
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 2, della legge della Regione Campania 20 gennaio 2017, n. 2 (Norme per la valorizzazione della sentieristica e della viabilità minore), nella parte in cui non prevede che la funzione di pianificazione degli interventi di recupero e valorizzazione del patrimonio escursionistico regionale debba essere esercitata, all’interno delle aree naturali protette, in conformità al loro regolamento e al rispettivo piano per il parco, nonché alle misure di salvaguardia eventualmente dettate dal provvedimento istitutivo;
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 7 legge reg. Campania n. 2 del 2017, nella parte in cui la disciplina ivi prevista trova applicazione anche in relazione a porzioni della rete escursionistica regionale incluse nel territorio delle aree naturali protette;
3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 2, lettera n), legge reg. Campania n. 2 del 2017, nella parte in cui prevede che il rappresentante degli Enti parco è «designato dalla Federparchi» anziché «dagli Enti parco allocati su territorio campano»;
4) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, legge reg. Campania n. 2 del 2017, nella parte in cui non prevede che la gestione tecnica dei siti ricompresi nella rete escursionistica regionale e inclusi nei territori delle aree naturali protette sia di competenza esclusiva degli enti gestori di queste ultime;
5) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 2, lettera a), legge reg. Campania n. 2 del 2017, nella parte in cui prevede che le modalità di fruizione della rete escursionistica regionale, per la parte in cui essa si sviluppa all’interno delle aree naturali protette, debbano essere individuate dagli enti di gestione delle aree protette in accordo con i Comuni territorialmente interessati, invece di essere determinate dal regolamento dell’area protetta;
6) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 10, comma 1, legge reg. Campania n. 2 del 2017, nella parte in cui non prevede che il Piano triennale degli interventi sulla rete escursionistica campana, ove rivolto alle porzioni di territorio regionale ricomprese nel perimetro delle aree naturali protette, deve rispettare il regolamento e il piano di queste ultime;
7) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 10, commi 3 e 5, legge reg. Campania n. 2 del 2017, nella parte in cui trovano applicazione anche all’interno delle aree naturali protette;
8) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13 legge reg. Campania n. 2 del 2017, nella parte in cui si applica anche a porzioni della rete escursionistica regionale incluse nel territorio delle aree naturali protette;
9) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, comma 2, lettere a), b), c), d), f) e g), legge reg. Campania n. 2 del 2017, nella parte in cui affida al regolamento attuativo, adottato dalla Giunta regionale, la disciplina degli oggetti ivi previsti anche con riferimento al territorio delle aree naturali protette;
10) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 3, legge reg. Campania n. 2 del 2017;
11) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 4, legge reg. Campania n. 2 del 2017, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
12) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 8, legge reg. Campania n. 2 del 2017, promossa, in riferimento all’art. 25 Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
13) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 3, legge reg. Campania n. 2 del 2017, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 aprile 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Giancarlo CORAGGIO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 7 giugno 2018.