Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Sicurezza sul lavoro Numero: 1160 | Data di udienza: 26 Aprile 2011

* SICUREZZA DEL LAVORO – Normativa antinfortunistica – Finalità – C.d. obbligo di prevenzione – Incidenti derivanti dal comportamento colposo del danneggiato – Responsabilità dell’imprenditore – Sussistenza – Limiti – Prevenzione degli infortuni sul lavoro – Prelievi di acqua ad uso irriguo da laghetti – Struttura gestita a fini imprenditoriali – Dispositivi di protezione in relazione all’attività esercitata – Effetti – Fattispecie.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^
Regione: Toscana
Città: Firenze
Data di pubblicazione: 19 Settembre 2011
Numero: 1160
Data di udienza: 26 Aprile 2011
Presidente: Occhipinti
Estensore: Dinisi


Premassima

* SICUREZZA DEL LAVORO – Normativa antinfortunistica – Finalità – C.d. obbligo di prevenzione – Incidenti derivanti dal comportamento colposo del danneggiato – Responsabilità dell’imprenditore – Sussistenza – Limiti – Prevenzione degli infortuni sul lavoro – Prelievi di acqua ad uso irriguo da laghetti – Struttura gestita a fini imprenditoriali – Dispositivi di protezione in relazione all’attività esercitata – Effetti – Fattispecie.



Massima

 

 

CORTE D’APPELLO FIRENZE, Sez. 2 CIVILE 19 Settembre 2011(Ud. 26/04/2011), Sentenza n. 1160

 

 
SICUREZZA DEL LAVORO – Normativa antinfortunistica – Finalità – C.d. obbligo di prevenzione – Incidenti derivanti dal comportamento colposo del danneggiato – Responsabilità dell’imprenditore – Sussistenza – Limiti.
 
All’obbligo di osservanza della normativa antinfortunistica, finalizzata ad impedire l’insorgere di pericoli in qualunque fase del lavoro, trova applicazione l’ulteriore principio, secondo cui l’obbligo di prevenzione è diretto a tutelare il soggetto anche contro gli incidenti derivanti dal suo stesso comportamento colposo, dei quali, quindi, l’imprenditore è chiamato a rispondere per il solo fatto del mancato apprestamento di idonee misure protettive, pur in presenza della condotta imprudente o negligente del medesimo (Cass. Pen. dep. il 4.7.2007, n. 25502), salvi i casi di comportamenti del tutto abnormi ed eccezionalmente esorbitanti dalle direttive ricevute o delle regole di comune prudenza. 
 
Pres. Occhipinti,  Rel. Dinisi
 
 

 

SICUREZZA DEL LAVORO – Normativa antinfortunistica – Prevenzione degli infortuni sul lavoro – Prelievi di acqua ad uso irriguo da laghetti – Struttura gestita a fini imprenditoriali – Dispositivi di protezione in relazione all’attività esercitata – Effetti – Fattispecie.
 
La normativa antinfortunistica fa obbligo al datore di lavoro, in relazione alla natura dell’attività esercitata, di valutare i rischi per la sicurezza degli impianti e dei luoghi di lavoro mediante l’elaborazione di un apposito documento contenente l’individuazione della misure di prevenzione e protezione necessarie e di provvedere, poi, all’adozione di tali misure sia di carattere generale, che di carattere individuale, fornendo agli operatori, oltre alle necessarie informazioni sul rischio, i più idonei dispositivi di protezione in relazione all’attività esercitata (v. artt. 3 e 4 D.Lgs. 626/94). Nel caso di specie, posto che il laghetto era destinato ad attingimento di acqua da parte di privati autorizzati, era necessario – alla stregua della suddetta normativa – valutare i rischi connessi a tale specifica attività ed adottare i necessari dispositivi di protezione facendo in modo che fosse salvaguardata l’utilizzazione del bene in condizioni di sicurezza. Inoltre, essendo il laghetto una struttura gestita a fini imprenditoriali – ed essendo, peraltro, alcuni abilitati ad accedervi in base al un rapporto di fornitura instaurato con l’Ente Irriguo – l’obbligo di osservanza della suddetta normativa, posta a salvaguardia della sicurezza degli impianti, opera non solo nei confronti lavoratori subordinati o ad essi equiparati, ma si estende anche alle persone estranee all’ambito imprenditoriale che possano comunque venire in contatto o trovarsi ad operare nel campo di loro funzionalità (Cass. Pen. dep. l’11.3.2008, n. 10842; Cass. dep. il 31.3.2006, n. 11360).
 
Pres. Occhipinti,  Rel. Dinisi
 


 

Allegato


Titolo Completo

CORTE D'APPELLO FIRENZE, Sez. 2 CIVILE 19 Settembre 2011(Ud. 26/04/2011), Sentenza n. 1160

SENTENZA

 

CORTE D’APPELLO FIRENZE, Sez. 2 CIVILE 19 Settembre 2011(Ud. 26/04/2011), Sentenza n. 1160

 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
CORTE D’APPELLO DI FIRENZE
SECONDA SEZIONE CIVILE
 
composta dai magistrati:
 
Dr. Paolo Occhipinti                               – Presidente
Dr. Elisabetta Materi                               – Consigliere
Dr. Nicola Antonio Dinisi                       – Consigliere Rel. 
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
nella causa civile iscritta al n. 1466/07 ruolo generale A degli affari contenziosi civili, vertente tra: Co.Lu. – in proprio e in qualità di procuratore speciale di Di.Ro. – Pa.Ro., Ro.Ro. e Ba.Sa. – in proprio e in qualità di genitore esercente la potestà sul minore Mi.Ro., rappresentati e difesi dagli avv. G.Vi. e V.Be., come da procura in atti ed elettivamente domiciliati in Firenze, presso l’avv. C.Fa.
 
Attori in riassunzione
 
Contro
 
Ch.Fa. e Ch.Le., in qualità di eredi di Ch.Ca., rappresentati e difesi dagli avv. V.Ta., F.Ta., e A.Ma., come da procura in atti ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo, in Firenze,
 
Convenuti in riassunzione
 
E
 
Ente Irriguo Umbro Toscano, rappresentato e difeso dall’avv. G.Fa., come da procura in atti ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. L.De., in Firenze,
 
Convenuto in riassunzione
 
La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza dell’1 dicembre 2010 sulle conclusioni precisate dalle parti come a verbale della stessa udienza.
 
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
 
Con sentenza dell’8.3.2003 il Tribunale di Arezzo assolveva, per non aver commesso il fatto, Ch.Ca. dal reato di cui all’art. 589, commi 1, 2 e 3 c.p. contestatogli in relazione alla morte di Ne.Ro. e St.Ro. avvenuta il 16.5.1998, disponendo la trasmissione degli atti al P.M. per la prosecuzione delle indagini nei confronti di altri soggetti eventualmente responsabili.
 
Il Ch. era stato rinviato a giudizio per avere, quale responsabile dei servizi di prevenzione e sicurezza degli impianti gestiti dall’Ente Irriguo Umbro Toscano, per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia, nonché nella violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro (art. 3, 8 e 9 del D.Lgs. n. 626 del 1994) e, segnatamente, nella mancata predisposizione, nel documento di valutazione dei rischi, di dotazioni di salvataggio o comunque di dispositivi di aiuto al galleggiamento, cagionato il decesso di Ne. e St.Ro. che, nell’attingere acqua da un laghetto, vi erano caduti dentro l’uno dopo l’altro ed erano annegati.
 
Il Tribunale perveniva all’assoluzione del Ch. sul rilievo che il predetto svolgesse all’interno dell’Ente Irriguo compiti di natura meramente amministrativa e non tecnica, mentre la gestione degli impianti era affidata ad altri soggetti, a carico dei quali potevano essere configurati eventuali estremi di responsabilità.
 
Tale sentenza veniva impugnata dal P.G. e dalle parti civili davanti alla Corte di Appello di Firenze che, con sentenza del 23.9.2004, in riforma della pronuncia di primo grado, assolveva il Ch. dal reato ascrittogli con la diversa formula “perché il fatto non sussiste”.
 
La Corte, premesso che non era possibile esaminare i profili di responsabilità ascritti al Ch. se prima non si individuava il fattore di rischio, insito nella struttura, al quale lo stesso avrebbe dovuto porre rimedio e rilevato che essendo l’ambiente di per sé pieno di pericoli di colpa si potesse parlare solo in presenza di una situazione di insidia o trabocchetto, osservava che l’infortunio si era verificato per imprudenza delle stesse vittime, attesa l’evidenza del pericolo insito nel fatto di salire e scendere con secchi d’acqua lungo la china scivolosa del laghetto. In tale contesto, a giudizio della Corte, la responsabilità del Ch. sarebbe stata ipotizzabile solo ove si fosse individuato un riferimento normativo che gli addossasse l’obbligo di prevedere e prevenire anche i rischi creati dall’imprudenza altrui. Tale obbligo non era configurabile nella fattispecie in esame, nella quale non aveva senso il richiamo alle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro, settore nel quale l’obbligo sussiste, perché tra gli infortunati e l’Ente Irriguo non intercorreva un rapporto di lavoro, posto che i predetti si servivano dell’acqua del laghetto per uso di irrigazione dei propri campi in base ad un contratto di fornitura. La Corte evidenziava anche che la struttura era fornita di una scala di ferro, della quale sarebbe stato possibile e doveroso servirsi da parte degli infortunati i quali, quindi, erano rimasti vittima della loro stessa imprudenza.
 
Ricorrevano per cassazione, per i soli interessi civili, i congiunti degli infortunati costituitisi parti civile nel procedimento, i quali chiedevano che la sentenza fosse annullata con rinvio o che fosse affermata la responsabilità penale dell’imputato, con condanna del medesimo e del responsabile civile Ente Irriguo Umbro Toscano al risarcimento del danno, da liquidarsi in separato giudizio, e alle spese di costituzione e difesa delle parti civili.
 
La Corte di Cassazione, con pronuncia n. 6348 del 18.2/15.2.2997 annullava la sentenza impugnata con rinvio, anche ai fini della liquidazione della spese, al giudice civile competente per valore in grado di appello, ai sensi dell’art. 622 c.p.p.. La Corte, premesso che il nucleo argomentativo intorno al quale ruotava la decisione impugnata era costituito dall’inapplicabilità alla fattispecie delle norme in materia di prevenzione infortuni sul lavoro, osservava che la Corte territoriale, così argomentando, aveva completamente pretermesso i principi giurisprudenziali in punto di operatività della normativa antinfortunistica, in base ai quali, da un lato, la posizione di garante della sicurezza degli impianti che l’ordinamento addossa all’imprenditore non opera nei soli confronti dei lavoratori subordinati o a questi equiparati, ma si estende anche alle persone estranee all’ambito imprenditoriale che possano comunque venire a contatto o trovarsi ad operare nel campo di loro funzionalità, dall’altro, l’obbligo di prevenzione si estende agli incidenti che possano derivare da colpa dello stesso infortunato, essendo esclusa la responsabilità del datore o del destinatario del presidio solo in presenza di comportamenti che presentino i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità e dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo, alle direttive organizzative ricevute o alla comune prudenza. Concludeva che così ricostruito il contesto normativo, le problematiche relative all’estensione degli obblighi di salvaguardia dell’Ente Irriguo e alla valutazione del comportamento degli infortunati nell’eziologia dell’evento dovessero essere completamente rivisitate, aggiungendo, infine, come non si potesse non segnalare …malgrado il carattere dirimente del vizio di erronea applicazione della legge, la faticosa compatibilità tra un giudizio di esclusiva responsabilità delle vittime nella causazione dell’incidente e la descrizione in termini di “china scivolosa” della guaina che circondava il laghetto.
 
Il procedimento veniva riassunto davanti a questa Corte dalle parti civili Lu.Ca., moglie di Ne.Ro. e madre di St.Ro.; Pa. e Ro.Ro., figli di Ne. e fratelli di St.; Di.Ro., sorella di Ne. e zia di St.; Ba.Sa., moglie di St.Ro., anche in qualità di genitore esercente la potestà sul minore Mi.Ro., figlio di St. e nipote di Ne.Ro..
 
Richiamato lo svolgimento dei fatti che avevano condotto alla morte dei congiunti ed evidenziato come dagli elementi istruttori assunti fosse emersa l’omessa adozione degli opportuni dispositivi di sicurezza in relazione all’utilizzo del laghetto per prelievi di acqua ad uso irriguo, sostenevano che alla stregua di tali elementi e dei principi di diritto enunciati dalla Suprema Corte, risultasse evidente la responsabilità dell’Ente Irriguo per violazione delle disposizioni di cui agli artt. 3, 8 e 9 del D.Lgs. 626/94. Aggiungevano che, pur assumendo rilievo assorbente il profilo attinente alla violazione della disciplina antinfortunistica, alla stregua della segnalazione fatta dalla Suprema Corte nella parte conclusiva della motivazione – ove si era evidenziata la faticosa compatibilità tra un giudizio di esclusiva responsabilità delle vittime nella causazione dell’incidente e la descrizione in termini di “china scivolosa” della guaina che circondava il laghetto – la responsabilità doveva essere affermata anche sotto il profilo della colpa generica.
 
Riproponendo le argomentazioni svolte in sede di impugnazione avverso la sentenza di primo grado, gli attori ribadivano l’assunto secondo cui le emergenze processuali avessero tratteggiato il ruolo centrale assunto dal Ch. nell’economia dei fatti oggetto dell’imputazione, tale da legittimare ampiamente l’affermazione della sua responsabilità. Sottolineavano che, all’epoca dei fatti, il Ch. era il responsabile del servizio interno di prevenzione e sicurezza ai sensi dell’art. 4 del D.Lgs. 626/94 e in tale veste aveva seguito, per conto dell’Ente Irriguo, l’attività per la predisposizione del piano di valutazione dei rischi delegata dall’Ente a una ditta specializzata. Evidenziavano come il documento non aveva previsto il rischio connesso alla destinazione del lago al prelievo dell’acqua per uso irriguo, omettendo di conseguenza l’adozione dei relativi presidi di sicurezza e che di tali carenze e delle conseguenze ad esse etiologicamente ricollegabili il Ch. doveva rispondere nei termini di cui all’imputazione.
 
Chiedevano che fosse affermata la responsabilità del Ch. per i fatti a lui ascritti e che il medesimo fosse condannato, in solido con l’Ente Irriguo, al risarcimento dei danni morali e materiali subiti dagli attori, da liquidarsi in un separato giudizio. Instavano affinché, avendone già fatto richiesta al primo giudice, fosse disposto il pagamento in favore degli attori di una provvisionale ex art. 539 c.p.p. nella misura per ciascuno specificamente indicata, oltre alla refusione delle spese di tutti i gradi del giudizio.
 
Si costituivano l’Ente Irriguo Umbro Toscano e, congiuntamente, Fa.Ch. e Le.Ch., in qualità di eredi di Ca.Ch. nel frattempo deceduto, che chiedevano, in tesi, il rigetto delle domande attrici e, in ipotesi, che fosse affermato il preponderante concorso di colpa di Ne. e St.Ro., con conseguente riduzione del danno risarcibile ex art. 1227 c.c.. Gli eredi di Ca.Ch. chiedevano che, in ogni caso, fosse dichiarata la loro responsabilità non in solido, ma in proporzione della rispettiva quota ereditaria e quindi in misura di un mezzo ciascuno.
 
Le parti precisavano le conclusioni all’udienza dell’1.12.2010 e a tale udienza la causa veniva trattenuta in decisione con assegnazione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c..
 
MOTIVI DELLA DECISIONE
 
In applicazione dei principi espressi dalla Suprema Corte la responsabilità del Ch. per il fatto ascrittogli e dell’Ente Irriguo, quale responsabile civile, deve essere valutata non solo in relazione alla sussistenza dei profili caratterizzanti la colpa generica ma, prima ancora, in relazione all’osservanza della normativa infortunistica.
 
In particolare, come sottolineato dalla Corte, in sintonia con la sua consolidata giurisprudenza, essendo il laghetto una struttura gestita a fini imprenditoriali – ed essendo, peraltro, i Ro. abilitati ad accedervi in base al un rapporto di fornitura instaurato con l’Ente Irriguo – l’obbligo di osservanza della suddetta normativa, posta a salvaguardia della sicurezza degli impianti, opera non solo nei confronti lavoratori subordinati o ad essi equiparati, ma si estende anche alle persone estranee all’ambito imprenditoriale che possano comunque venire in contatto o trovarsi ad operare nel campo di loro funzionalità (v. Cass. Pen. dep. l’11.3.2008, n. 10842; Cass. dep. il 31.3.2006, n. 11360).
 
Ricorrendo la suddetta fattispecie e vigendo l’obbligo di osservanza della normativa antinfortunistica, finalizzata ad impedire l’insorgere di pericoli in qualunque fase del lavoro, trova applicazione l’ulteriore principio, anch’esso sottolineato dalla Corte, secondo cui l’obbligo di prevenzione è diretto a tutelare il soggetto anche contro gli incidenti derivanti dal suo stesso comportamento colposo, dei quali, quindi, l’imprenditore è chiamato a rispondere per il solo fatto del mancato apprestamento di idonee misure protettive, pur in presenza della condotta imprudente o negligente del medesimo (v. Cass. Pen. dep. il 4.7.2007, n. 25502), salvi i casi di comportamenti del tutto abnormi ed eccezionalmente esorbitanti dalle direttive ricevute o delle regole di comune prudenza.
 
Valutata in tale diversa prospettiva la questione della responsabilità, essa deve essere affermata sia nei confronti del Ch. che nei confronti dell’Ente Irriguo citato quale responsabile civile.
 
La normativa antinfortunistica fa obbligo al datore di lavoro, in relazione alla natura dell’attività esercitata, di valutare i rischi per la sicurezza degli impianti e dei luoghi di lavoro mediante l’elaborazione di un apposito documento contenente l’individuazione della misure di prevenzione e protezione necessarie e di provvedere, poi, all’adozione di tali misure sia di carattere generale, che di carattere individuale, fornendo agli operatori, oltre alle necessarie informazioni sul rischio, i più idonei dispositivi di protezione in relazione all’attività esercitata (v. artt. 3 e 4 D.Lgs. 626/94).
 
Nel caso di specie, posto che il laghetto di cui si tratta era destinato ad attingimento di acqua da parte di privati autorizzati, era necessario – alla stregua della suddetta normativa – valutare i rischi connessi a tale specifica attività ed adottare i necessari dispositivi di protezione facendo in modo che fosse salvaguardata l’utilizzazione del bene in condizioni di sicurezza.
 
Dall’esame del documento di valutazione dei rischi, acquisito agli atti, predisposto dalla società Gr. su incarico dell’Ente Irriguo, si evince invece che i rischi connessi alla specifica attività di attingimento diretto di acqua dal laghetto non erano stati presi minimamente in esame e non erano state di conseguenza adottate precauzioni o dispositivi di prevenzione e di salvaguardia in relazione allo svolgimento di tale specifica attività.
 
La relazione di infortunio redatta dal consulente del Pubblico Ministero ing. Ca. (allegata agli atti) evidenzia la situazione di assoluta inadeguatezza dell’impianto di attingimento di cui si tratta, la cui attivazione prevedeva il compimento di una serie di operazioni manuali all’interno del recinto del laghetto che, considerate le caratteristiche dei luoghi, non potevano svolgersi in condizioni di sicurezza e perciò avrebbero dovuto essere evitate: i Ro. caddero nel laghetto nel tentativo di prelevare da esso con un secchio l’acqua necessaria per attivare l’impianto, non riuscendo a risalire per la rilevante pendenza della parete (40%) resa scivolosa dalla guaina impermeabilizzante di rivestimento, bagnata ed insensibile all’attrito.
 
L’autorizzazione concessa ai Ro. di attingere acqua del laghetto avrebbe richiesto da parte dell’Ente Irriguo una preliminare valutazione dei rischi connessi allo svolgimento di tale attività e, nel concedere l’autorizzazione, l’Ente avrebbe dovuto esigere la predisposizione di un impianto avente caratteristiche di sicurezza, che quell’impianto invece non aveva. Come osservato dal Ctu nella relazione sopra indicata sarebbe stato sufficiente richiedere la predisposizione di un sistema automatico di innesco dell’impianto (senza dover tutte le volte provvedere manualmente a riempire di acqua la condotta di aspirazione), azionato dall’esterno del recinto, per poter consentire il prelevamento dell’acqua dal bacino tenendo i Ro. fuori dal recinto medesimo; in alternativa sarebbe occorsa quanto meno la predisposizione di adeguati dispositivi di galleggiamento o di appoggio posti in prossimità della tubazione, per evitare la caduta o l’affondamento.
 
Nessuna di tali cautele era stata richiesta o predisposta, se si eccetua la presenza di una scala metallica posta lungo la parete del laghetto, che non può tuttavia considerarsi presidio sufficiente, essendo, peraltro, collocata dalla parte opposta a quella del luogo di ubicazione dell’impianto di attingimento (in assenza di predisposizione di una recinzione lungo il camminamento tale da rendere obbligatorio l’accesso all’acqua solo utilizzando la suddetta scala).
 
Le inosservanze della normativa antinfortunistica sopra evidenziale e il rilievo causale da esse assunto sull’evento mortale per cui è causa sono imputabili alla persona di Ch.Ca..
 
E’ pacifico che quest’ultimo fosse stato designato dall’Ente Irriguo, di cui era dipendente, quale responsabile del servizio di prevenzione e protezione ai sensi del D.Lgs. 626/94, come risulta documento di valutazione dei rischi, dalle lettere 27.11.95 e 30.12.96 del Presidente dell’Ente Irriguo, dalla deposizione del teste Zu., nonché dichiarazioni dello stesso Ch. in sede di interrogatorio reso al P.M. in data 18.11.1999.
 
In tale qualità il Ch. era tenuto alla individuazione e valutazione dei fattori di rischio e alla individuazione ed elaborazione delle misure di prevenzione e protezione (art. 9 D.Lgs. 626/94).
 
E’ pur vero che l’Ente, con incarico conferito il 25.11.1997, aveva affidato ad un soggetto esterno (società Gr. s.r.l.) il compito di procedere alla elaborazione del documento di valutazione dei rischi, ma ciò non comportava il venir meno del suddetto ruolo da parte del Ch. all’interno dell’Ente. Risulta anzi dall’istruttoria che egli, nella sua qualità di responsabile del servizio di prevenzione, fu incaricato di seguire i lavori della società Gr. per la redazione il documento di valutazione dei rischi e costituì il referente diretto della società per acquisire le informazioni attinenti all’attività esercitata dall’Ente e alla individuazione dei rischi da prevenire (v. deposizioni rese dai testi Zu. e Pe.).
 
Il Ch. era perfettamente a conoscenza dell’attività di attingimento diretto di acqua dal laghetto, avendo in merito alla richiesta avanzata dai privati interessati (fra cui i Ro.) espresso il proprio parare favorevole con la lettera del 24.6.1997 (in atti). Egli era pertanto tenuto a fornire alla Gr. le necessarie informazioni in ordine a tale attività ai fini della valutazione ed individuazione dei rischi ad essa connessi. Tale specifico rischio non risulta invece preso in alcuna considerazione dal citato documento ed è significativo, ai fini della valutazione della condotta colpevole, che nella stessa lettera di parare sopra indicata, indirizzata al direttore generale dell’Ente, non si sia fatto alcun cenno alla necessità di predisporre le opportune misure di sicurezza connesse allo svolgimento di tale specifica attività di attingimento diretto, limitandosi a segnalare la sola necessità di collocazione di contalitri occorrenti per accertare il consumo di acqua.
 
Né può valere ad escludere la responsabilità del Ch. il fatto che egli fosse un mero dipendente privo di un effettivo potere decisionale all’interno dell’Ente. La mancanza di poteri decisionali di rilevanza esterna non esclude infatti la responsabilità del soggetto cui siano affidati i compiti del servizio di prevenzione e protezione (quali quelli previsti dal D.Lgs. 626/94), tutte le volte che l’evento dannoso sia ricollegabile ad una situazione di pericolosità che egli avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere, nel sistema delineato dal legislatore, che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l’adozione da parte dell’imprenditore delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione di pericolo (v. Cass. Pen. 18 3.2010, n. 16134; Cass. Pen. 16.12.2009, n. 1834; Cass. Pen. 23.4.2008, n. 25288; Cass. Pen. 15.2.2007, n. 15226).
 
Deve essere dunque affermata la responsabilità di Ca.Ch. per l’evento mortale per cui è causa.
 
Tale responsabilità non può essere tuttavia ritenuta in va esclusiva, avendo concorso alla produzione dell’evento la condotta imprudente degli stessi infortunati.
 
La responsabilità derivante dall’inosservanza della normativa antinfortunistica per l’omessa o l’insufficiente adozione di idonee misure protettive, non esclude, infatti, che debba essere preso in esame l’eventuale comportamento colposo della vittima che, con la propria condotta imprudente, non imposta dalla particolare situazione di fatto ma deliberatamente assunta, abbia concorso al verificasi dell’evento dannoso.
 
Nel caso di specie la condotta imprudente degli infortunati non può essere negata ove si consideri, da una parte, che la decisione di scendere nel laghetto, lungo la parete pendente e scivolosa, per prelevare con un secchio l’acqua occorrente alla attivazione dell’impianto, non era una condotta necessitata, potendo procurarsi l’acqua necessaria in altro modo (ad es. portandola da casa), dall’altra, che l’accesso alle acque del lago poteva essere prudentemente effettuato (dopo aver percorso il camminamento esistente lungo il bordo superiore), dalla parte opposta a quella di ubicazione dell’impianto, utilizzando la scaletta di ferro esistente o comunque operando in prossimità di essa, onde potersi servire di tale strumento in caso di caduta o di difficoltà di risalita.
 
Alla condotta imprudente degli infortunati appare giusto attribuire un contributo causale pari al 50%, per gli effetti di cui all’art. 1227, primo comma c.c..
 
Gli eredi di Ca.Ch. e l’Ente Irriguo Umbro Toscano, quale responsabile civile ex art. 2049 c.c., vanno condannati al risarcimento nei confronti degli attori in riassunzione, danno che, come richiesto dagli stessi attori, deve essere liquidato in un separato giudizio. La condanna, di natura solidale, va disposta, per gli eredi Ch., nei limiti della rispettiva quota ereditaria (art. 1295 c.c., art. 752 c.c.).
 
Agli attori in riassunzione, che ne hanno fatto richiesta fin dal giudizio di primo grado, va concessa una somma a titolo di provvisionale nei limiti in cui può ritenersi raggiunta la prova del danno.
 
Al riguardo, tenuto conto dell’accertato concorso di colpa delle vittime e del grado di parentela intercorrente con le parti istanti e avuto riguardo ai criteri di liquidazione del danno non patrimoniale normalmente adottati in ambito distrettuale, la provvisionale più essere determinata, per ciascuno degli aventi diritto, come segue:
 
– Euro 125.000,00 a favore di Co.Lu. (moglie di Ne.Ro. e madre di St.Ro.);
– Euro 75.000,00 ciascuno a favore di Ro.Pa. e Ro.Ro. (figli di Ne.Ro. e fratelli di St.Ro.);
– Euro 10.000,00 a favore di Di.Ro. (sorella di Ne.Ro.);
– Euro 75.000,00 a favore di Sa.Ba. (moglie di St.Ro.);
– Euro 75.000,00 a favore di Ro.Mi. (figlio di St.Ro.).
 
Atteso l’esito finale del giudizio, gli eredi Ch. e l’Ente Irriguo Umbro Toscano vanno condannati in solido al pagamento della metà delle spese di tutti i gradi di giudizio, liquidate come in dispositivo, con compensazione della residua metà.
 
P.Q.M.
 
La Corte, definitivamente pronunciando in sede di rinvio ex art. 622 c.p.p., così provvede:
 
1) dichiara Ch.Ca. responsabile dell’evento mortale per cui è causa, ritenuto il concorso di colpa degli infortunati e determinato tale concorso nella misura del 50%;
2) condanna in solido l’Ente Irriguo Umbro Toscano, Ch.Fa. e Ch.Le. – questi ultimi nei limiti della rispettiva quota ereditaria – al risarcimento del danno subito dagli attori in riassunzione, danno da liquidarsi in separata sede;
3) condanna l’Ente Irriguo Umbro Toscano, Ch.Fa. e Ch.Le. – in solido e con il limite sopra indicato – al pagamento di una provvisionale a favore degli attori, che determina come segue:
 
– Euro 125.000,00 a favore di Co.Lu. (moglie di Ne.Ro. e madre di St.Ro.);
– Euro 75.000,00 ciascuno a favore di Ro.Pa. e Ro.Ro. (figli di Ne.Ro. e fratelli di St.Ro.);
– Euro 10.000,00 a favore di Di.Ro. (sorella di Ne.Ro.);
– Euro 75.000,00 a favore di Sa.Ba. (moglie di St.Ro.);
– Euro 75.000,00 a favore di Ro.Mi. (figlio di St.Ro.);
 
4) dichiara le spese dell’intero giudizio compensate per un mezzo e condanna l’Ente Irriguo Umbro Toscano, Ch.Fa. e Ch.Le., in solido, a pagamento della residua metà, liquidando tale quota, per il primo grado, in complessivi Euro 4.880,00 (di cui Euro 880,00 per indennità e Euro 4.000,00 per onorari), per il grado di appello, in complessivi Euro 3.690,00 (di cui Euro 90,00 per indennità e Euro 3.600,00 per onorari), per il giudizio di cassazione, in complessivi Euro 5.000,00 per onorari, e, per il presente giudizio, in complessivi Euro 6.350,00 (di cui Euro 250,00 per esborsi, Euro 1,600,00 per diritti e Euro 4.500,00 per onorari), oltre al rimborso delle spese generali, Iva e Cap come per legge.
 
Così deciso in Firenze, il 26 aprile 2011.
 
Depositata in Cancelleria il 19 settembre 2011.
 

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