Il bosco risulta essere una nozione di tipo naturalistico e comprende ogni terreno coperto da vegetazione forestale arborea, associata o meno a quella arbustiva, da castagneti, sughereti o da macchia mediterranea ed indipendentemente dal fatto che la zona venga riportata come tale dalla Carta tecnica regionale (Cass. Sez. 3, n. 1874 del 16/11/2006, Monni e Cass. Sez.3, n.17060 del 21/3/2006, Bagnasco), atteso che ai fini della sottoposizione a vincolo paesaggistico la nozione non può essere intesa in senso riduttivo (Cass.. Sez.3, n.35495 del 6/7/2007, Tramonti), dovendo comprendere anche le aree limitrofe (Cass. Sez. 3, n. 3975 del 26/3/1997, Lui).
Ai sensi dell’articolo 2, commi 2 e 6, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 227 si considerano bosco i terreni coperti da vegetazione forestale arborea associata o meno a quella arbustiva di origine naturale o artificiale, in qualsiasi stadio di sviluppo, i castagneti, le sugherete e la macchia mediterranea, ed esclusi i giardini pubblici e privati, le alberature stradali, i castagneti da frutto in attualità di coltura e gli impianti di frutticoltura e d’arboricoltura di cui al comma 5. Le suddette formazioni vegetali e i terreni su cui essi sorgono devono avere estensione non inferiore ai 2.000 metri quadrati e larghezza media non inferiore a 20 metri e copertura non inferiore al 20 per cento, con misurazione effettuata dalla base esterna dei fusti. Sono altresì assimilati a bosco i fondi gravati dall’obbligo di rimboschimento per le finalità di difesa idrogeologica del territorio, qualità dell’aria, salvaguardia del patrimonio idrico, conservazione della biodiversità, protezione del paesaggio e dell’ambiente in generale, nonché le radure e tutte le altre superfici d’estensione inferiore a 2000 metri quadrati che interrompono la continuità del bosco.” Sicché, nelle zone paesisticamente vincolate è inibita – in assenza dell’autorizzazione le cui procedure di rilascio sono disciplinate dall’art. 146 del D.Lgs. n. 42 del 2004 – ogni modificazione dell’assetto del territorio, attuata sia attraverso un’opera edilizia che mediante interventi “di qualunque genere” (ad eccezione della manutenzione, ordinaria e straordinaria, del consolidamento statico o restauro conservativo, purché non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici; dell’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale, che non comporti alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie od altre opere civili e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l’assetto idrogeologico; del taglio colturale, forestazione, riforestazione, opere di bonifica, antincendio e di conservazione da eseguirsi nei boschi e nelle foreste, purché previsti ed autorizzati in base alle norme vigenti in materia). Naturalmente la valutazione circa l’idoneità delle condotte a compromettere l’ambiente è una valutazione in fatto che risulta affidata ai giudici di merito ed è incensurabile in sede di legittimità laddove congruamente motivata.
In materia di notificazioni la nullità assoluta e insanabile ricorre solo se la notificazione della citazione sia stata omessa del tutto o quando, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, sia risultata inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte dell’imputato (cfr. Sez. U, n. 119 del 27/10/2004, Palumbo, Rv. 229539). Sicché, lo stato di convivenza può essere ragionevolmente presunto, come nel caso di specie, quando la notifica sia avvenuta all’indirizzo di residenza dell’imputato e nelle mani di persona a lui legata da uno stretto e qualificato rapporto parentale, per cui la notifica del decreto di citazione in oggetto deve considerarsi valida (Cass. Sez.4, n. n. 10449 del 22/12/2009 Pois e altro).
Nel caso in cui le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente e forma con essa un unico complessivo corpo argomentativo (Cass. Sez. 4, n. 15227 dell’11/4/2008, Baretti; Cass. Sez. 6, n. 1307 del 14/1/2003, Delvai). Tale integrazione tra le due motivazioni si verifica allorchè i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado (Cass. Sez. 3, n. 10163 del 12/3/2002, Lombardozzi).
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 26/09/2011 (Ud. 3/05/2011) Sentenza n. 34752
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 26/09/2011 (Ud. 3/05/2011) Sentenza n. 34752
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
Composta dagli 1ll.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CLAUDIA SQUASSONI – Presidente
Dott. MARIO GENTILE – Consigliere
Dott. GIULIO SARNO – Consigliere
Dott. ELISABETTA ROSI – Rel. Consigliere
Dott. ALESSANDRO MARIA ANDRONIO – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
– sul ricorso proposto da:
1) TANCREDI ANTONIO N. IL 03/01/1976
2) MARRAZZO GIOVANNI N. IL 07/09/1971
– avverso la sentenza n, 923/2009 CORTE APPELLO di SALERNO, del 23/09/2010
– visti gli atti, la sentenza e il ricorso
– udita in PUBBLICA UDIENZA del 03/05/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ELISABETTA ROSI
– Udito il Procuratore Gene le in persona del DottFrancesco Salzano che ha concluso per il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
La Corte di Appello di Salerno con sentenza del 23 settembre 2009 ha confermato la sentenza del Tribunale di Vallo della Lucania del 24 novembre 2008, che aveva condannato Tancredi Antonio e Marrazzo Giovanni, per il reato di cui agli artt. 110 c.p. 181 d.lgs n. 42 del 2004 e 734 c.p., per avere eseguito, lavori di mutamento di destinazione d’uso di un terreno nel Comune di Roccagloriosa, meglio definito catastalmente nel capo di imputazione, mediante la soppressione del soprassuolo boscato e spietramento, in zona sottoposta a vincolo, senza l’autorizzazione prescritta dall’art. 146 del medesimo d.lgs, fatto accertato il 30 maggio 2006.
Avverso la sentenza hanno proposto ricorsi gli imputati ed anche il difensore dell’imputato Marrazzo, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:
quanto al ricorrente Tancredi,
1. Violazione dell’art. 606, lett. c) c.p.p, nullità del giudizio per omessa notifica del decreto di citazione a giudizio innanzi al giudice monocratico, che sarebbe stata eseguita al familiare convivente, quando invece la madre del ricorrente non condivide lo stesso appartamento ma si limita ad abitare nello stesso stabile.
2. Violazione dell’art. 606, lett. d) ed e) per manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione per travisamento dei fatti, in quanto il proprietario del terreno ebbe a presentare richiesta di autorizzazione per effettuare lavori di manutenzione straordinaria, lavori autorizzati, e solo successivamente il Corpo forestale avrebbe redatto alcuni verbali contrastanti nella descrizione dei luoghi, in quanto in uno si descriveva la zona come bosco d’essenze quercine e macchia mediterranea ed in un altro si faceva riferimento ad un uliveto. Invece i lavori in corso erano lavori di decespugliamento di bassa macchia ed eliminazione di picchi di roccia regolarmente autorizzati: nel verbale non risulterebbe che è stato eliminato un bosco, in quanto non si dà atto del numero di alberi tagliati e dalle foto non è ricavabile la prova che l’area fosse boschiva.
Quanto a Marrazzo Giovanni,
1. Violazione ex art. 606, lett. e) c.p.p. per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione della sentenza, perché, a fronte di venti pagine di motivi di appello, i giudici avrebbero omesso di esaminare specificamente i rilievi e non è possibile far ricorso alla giurisprudenza relativa alla motivazione “per relationem”.
2. Violazione ex art. 606, lett. b) c.p.p. inosservanza o erronea applicazione dell’art. 181 del D. Lgs. n. 42 del 2004, il quale, in ossequio al principio costituzionale di offensività, deve essere considerato reato a pericolo concreto, mentre la sentenza non ha tenuto conto che la natura di zona boschiva doveva essere accertata, non essendo sufficiente che nella carta tecnica regionale la zona risulti come boschiva, e che non sussiste danno ambientale, in quanto lo stesso era stato eliso dal naturale processo di “riforestazione”, per cui la sospensione condizionale della pena non doveva essere subordinata alla rimessione in pristino.
3. Violazione ex art. 606, lett. b) c.p.p. per inosservanza o erronea applicazione dell’art. 734 c.p. che costituisce un’ipotesi di reato di danno, per cui per la sua punibilità è necessario che in concreto si realizzi realmente l’effetto della distruzione o del deturpamento di bellezze naturali. Lo stato di fatto conseguente allo sbancamento e spietramento autorizzati non ha invece provocato tale danno, infatti l’attività di pulizia da sterpaglia e dal pietrame sparso non può che configurarsi come una meritoria attività di implementazione del terreno. In tema di tutela dei paesaggio, alla nozione di bosco non può essere ricondotta ogni diversa tipologia della cosiddetta macchia mediterranea.
4. Violazione ex art. 606, lett. b) c.p.p. erroneità della impugnata sentenza per omesso e/o erroneo vaglio dell’elemento psicologico del contravventore. Il Marrazzo si era affidato ad un tecnico abilitato per curare la parte amministrativa del lavoro da compiere, quindi gli doveva essere riconosciuta la diligenza se non l’errore in buona fede. Esaminando le autorizzazioni rilasciate dalla P.A. aventi ad oggetto gli interventi effettivamente eseguiti, risulterebbe evidente che il ricorrente è caduto in un errore incolpevole.
5. Violazione ex art. 606, lett. b) c.p.p. inosservanza o erronea applicazione della legge penale; mancanza di offensività. L’operato del ricorrente è stato (sia pur nel non pieno rispetto delle procedure burocratiche, laddove si dovesse accedere alla tesi accusatoria) improntato al miglioramento del fondo e, di conseguenza, dell’ambiente medesimo. La sentenza non ha invece spiegato come nella condotta riconducibile al Marrazzo si sarebbe realizzata quella “potenzialità lesiva” a detrimento dell’ambiente, posto che l’intervento è stato volto a migliorare un terreno, estirpando sterpi ed arbusti, liberandolo da pietrame, al fine di impiantarvi in sostituzione un rigoglioso frutteto (o qualsiasi altra proficua attività produttiva). La valutazione avrebbe dovuto essere effettuata mediante ricorso a criteri oggettivi e non soggettivi e tenendo presente non solo l’aspetto «quantitativo» dell’intervento (dimensioni, estensione dell’area interessata etc.) ma anche quello «qualitativo» inerente, cioè, alle caratteristiche intrinseche dell’intervento rapportate al contesto in cui lo stesso si colloca, al fine di valutare l’astratta idoneità dei singoli interventi ad incidere negativamente sull’originario assetto del territorio.
6. Violazione ex art. 606 lett. c) inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza e art. 606 lett. e) c.p.p. per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione. Il primo Giudice aveva subordinato la concessione del beneficio di cui all’art. 163 c.p. al ripristino dello status quo ante dei luoghi con un ragionamento erroneo, in quanto da un lato, ha ritenuto provata la deturpazione dell’ambiente e dall’altro ha ritenuto non possibile la rimessione in pristino, senza che la stessa sia concordata cori le autorità amministrative. Pertanto la motivazione è insufficiente: da un lato non esiste prova del danno ambientale, dall’altro si subordina il beneficio ad un’attività che non può essere in concreto svolta dal ricorrente.
7. Violazione ex art. 606, lett. b) c.p.p. inosservanza o erronea applicazione della legge per mancata valutazione delle prove a discarico. Il giudice di merito si sarebbe basato sulle fotografie agli atti, sopravvalutando le dichiarazioni dei verbalizzanti, i quali avevano dichiarato di non avere conoscenza della situazione dei luoghi anteriore all’intervento accertato, mentre non ha considerato i testi della difesa.
8. Violazione ex art. 606, lett. b) c.p.p. inosservanza o erronea applicazione della legge penale per omessa valutazione sulla mancanza dello strumento regolamentare del Parco. Il nulla osta previsto dall’art. 13 della legge 6 dicembre 1991 n. 394, é necessario solo in presenza di una disciplina “partecipata” del parco, in assenza della quale la predetta autorizzazione si risolverebbe in un mero formalismo, essendo esclusivamente collegata alla verifica della conformità dell’intervento progettato alle disposizioni del piano e del regolamento del parco, che si pongono, quali strumenti fondamentali di conformazione del territorio. Nel caso di specie l’accusa non ha prodotto o provato l’adozione di tale regolamento.
9. Violazione ex art. 606, lett. b) c.p.p. per omessa valutazione di congruità della pena, secondo i criteri di cui all’art. 133 c.p..
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso non sono fondati.
1. In primis risulta infondato il primo motivo di ricorso proposto dall’imputato Tancredi, in quanto dall’esame degli atti, che questa Corte è legittimata a consultare essendo stato sollevato un vizio processuale, la notifica del decreto di citazione per il giudizio di primo grado avvenne in data 29 maggio 2007, con consegna a mani della madre convivente, per l’udienza del 26 ottobre 2007; in tale udienza il difensore di fiducia, che era presente, nulla ebbe ad eccepire in merito alla regolarità di tale notifica; né la pretesa irregolarità, connessa al fatto che la madre non fosse convivente nella stesso appartamento, bensì nello stesso stabile, risulta formulata espressamente nei motivi di appello. Peraltro, in applicazione dei principi consolidati in giurisprudenza, trattandosi di eccezione di una nullità di carattere relativo, la stessa doveva essere avanzata immediatamente dopo l’accertamento della costituzione delle parti” (cfr. Sez. 3, n. 20349 del 16/3/2010, Catania, Rv. 247109), posto che in materia di notificazioni la nullità assoluta e insanabile ricorre solo se la notificazione della citazione sia stata omessa del tutto o quando, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, sia risultata inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte dell’imputato (cfr. Sez. U, n. 119 del 27/10/2004, Palumbo, Rv. 229539). Comunque questo Collegio rileva che tale doglianza non ha alcun pregio, in quanto lo stato di convivenza può essere ragionevolmente presunto, come nel caso di specie, quando la notifica sia avvenuta all’indirizzo di residenza dell’imputato e nelle mani di persona a lui legata da uno stretto e qualificato rapporto parentale, per cui la notifica del decreto di citazione in oggetto deve considerarsi valida (per fattispecie analoga, cfr. Sez.4, n. n. 10449 del 22/12/2009 Pois e altro, Rv. 246530).
2. Risulta poi manifestamente infondato il primo motivo di ricorso presentato dal Marrazzo. Va premesso che nel caso in cui le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente e forma con essa un unico complessivo corpo argomentativo (cfr. Sez. 4, n. 15227 dell’11/4/2008, Baretti, Rv. 239735; Sez. 6, n. 1307 del 14/1/2003, Delvai, Rv. 223061). Tale integrazione tra le due motivazioni si verifica allorchè i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado (Cfr. la parte motiva della sentenza Sez. 3, n. 10163 del 12/3/2002, Lombardozzi, Rv. 221116).
3. Il principio va riaffermato e, in un caso come quello di cui si tratta, l’integrazione è ben possibile, in quanto la sentenza di appello ha espressamente richiamato i fatti addebitati agli imputati, facendo espresso richiamo alla ricostruzione svolta in maniera analitica dal giudice di primo grado, esprimendo la propria condivisione per le considerazioni valutative e l’applicazione dei principi di diritto esposti ed ha sviluppato una propria autonoma argomentazione, confermando, in particolare, che dalle risultanze istruttorie – costituite dalle testimonianze dei verbalizzanti e dai verbali di sopralluoghi effettuati comprensivi degli allegati fotografici – era emerso che i lavori svolti nell’area interessata, situata all’interno del perimetro del Parco nazionale del Cilento e del vallo di Diano, non avevano avuto le caratteristiche di mera pulizia e decespugliamento, come era stato prescritto dalla DIA del 14/11/2005, ma erano consistiti in “uno spietramento profondo della zona e lo sradicamento di alberi ad alto fusto” ed in lavori di movimento-terra ben diversi dallo speitramento, concludendo che gli stessi erano stati tali “da alterare il paesaggio e naturale quadro della zona, deturpando la bellezza del sito”.
4. Prima di procedere all’esame degli altri motivi di ricorso, è bene premettere che la disciplina in tema di tutela penale dell’ambiente e del paesaggio si è sviluppata seguendo una linea coerente sin dall’emanazione del D.L. 27 giugno 1985, n. 312 (art. 1-sexies) e successivamente nel D.Igs. 15 ottobre 1999, n. 490 (art. 163) e poi nel D.Igs. 22 gennaio 2004, n. 42 (art. 181), e con carattere di piena autonomia rispetto ai reati in materia. Nelle zone paesisticamente vincolate è inibita – in assenza dell’autorizzazione le cui procedure di rilascio sono disciplinate dall’art. 146 del D.Lgs. n. 42 del 2004 – ogni modificazione dell’assetto del territorio, attuata sia attraverso un’opera edilizia che mediante interventi “di qualunque genere” (ad eccezione della manutenzione, ordinaria e straordinaria, del consolidamento statico o restauro conservativo, purché non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici; dell’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale, che non comporti alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie od altre opere civili e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l’assetto idrogeologico; del taglio colturale, forestazione, riforestazione, opere di bonifica, antincendio e di conservazione da eseguirsi nei boschi e nelle foreste, purché previsti ed autorizzati in base alle norme vigenti in materia). Anche la giurisprudenza dl legittimità ha individuato nel corso del tempo alcune linee guida interpretative. La posizione più rigorosa ritiene che gli illeciti previsti costituiscono reati di pericolo, che si realizzano a seguito della sottrazione delle opere al controllo preventivo delle autorità, senza che debba accertarsi se sussista un’offesa rilevante ai beni paesaggistici; secondo tale indirizzo tale offesa risulta sussistente anche quando dette autorità attestino ex post la compatibilità ambientale dell’intervento (fra tutte, Sez.3, n. 16713, dell’8/4/2004, Di Muzio, Rv. 227965 e n. 10463 del 17/3/2005, Di Cesare e altro, Rv. 231247). Per altro orientamento il reato paesaggistico, ritenuto concordemente quale reato di pericolo, si perfeziona quando viene messa in pericolo l’integrità paesaggistico-ambientale, ritenuta esistente quando l’agente abbia fatto un uso del bene diverso da quello cui esso è destinato od abbia posto in essere interventi idonei anche solo astrattamente a mettere in pericolo tale bene (per questa linea, tra le altre, Sez.3, n. 6180 del 29/5/2000, Faiola e altro,Rv. 216975 e n.2903 del. 22/1/2010, Soverini, Rv. 245908); in altre decisioni è stato affermato che il pericolo può dirsi sussistente solo quando si sia realizzata una modificazione apprezzabile dell’assetto ambientale, e quindi un’incidenza in senso fisico ed estetico, rilevante anche sotto il profilo temporale, sulle caratteristiche del luogo sottoposto alla speciale tutela ambientale (in tal senso, Sez. 3, n. 16036 dell’ 11/5/2006, Senesi, Rv. 234329 e n. 5462 del 14/2/2005, Boscacci, Rv. 230845). Naturalmente la valutazione circa l’idoneità delle condotte a compromettere l’ambiente è una valutazione in fatto che risulta affidata ai giudici di merito ed è incensurabile in sede di legittimità laddove congruamente motivata.
5. Nel caso di specie, l’area in questione si trova in zona sottoposta a vincolo in quanto fa parte del Parco nazionale del Cilento e come tale rientra tra le aree tutelate per legge ai sensi dell’art. 142 del D.Igs n. 42 del 2004, che include sia i parchi e le riserve nazionali o regionali (nonchè i territori di protezione esterna dei parchi), che “i territori coperti da foreste e da boschi, ancorchè percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento, come definiti dall’articolo 2, commi 2 e 6, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 227”. Tale decreto legislativo art.2, infatti, così recita:
“1. Agli effetti del presente decreto legislativo e di ogni altra normativa in vigore nel territorio della Repubblica i termini bosco, foresta e selva sono equiparati.
2. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo le regioni stabiliscono per il territorio di loro competenza la definizione di bosco (…)
4. La definizione di cui ai commi 2 e 6 si applica ai fini dell’individuazione dei territori coperti da boschi di cui al D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, art. 146, comma 1, lett. g) (ora sostituito dal D.Lgs n. 42 del 2004) ….
6. Nelle more dell’emanazione delle norme regionali di cui al comma 2 e ove non diversamente già stabilito dalle regioni stesse si considerano bosco i terreni coperti da vegetazione forestale arborea associata o meno a quella arbustiva di origine naturale o artificiale, in qualsiasi stadio di sviluppo, i castagneti, le sugherete e la macchia mediterranea, ed esclusi i giardini pubblici e privati, le alberature stradali, i castagneti da frutto in attualità di coltura e gli impianti di frutticoltura e d’arboricoltura di cui al comma 5.
Le suddette formazioni vegetali e i terreni su cui essi sorgono devono avere estensione non inferiore ai 2.000 metri quadrati e larghezza media non inferiore a 20 metri e copertura non inferiore al 20 per cento, con misurazione effettuata dalla base esterna dei fusti. Sono altresì assimilati a bosco i fondi gravati dall’obbligo di rimboschimento per le finalità di difesa idrogeologica del territorio, qualità dell’aria, salvaguardia del patrimonio idrico, conservazione della biodiversità, protezione del paesaggio e dell’ambiente in generale, nonché le radure e tutte le altre superfici d’estensione inferiore a 2000 metri quadrati che interrompono la continuità del bosco.” Quindi il bosco pertanto risulta essere una nozione di tipo naturalistico e comprende “ogni terreno coperto da vegetazione forestale arborea, associata o meno a quella arbustiva, da castagneti, sughereti o da macchia mediterranea” ed indipendentemente dal fatto che la zona venga riportata come tale dalla Carta tecnica regionale (cfr. Sez. 3, n. 1874 del 16/11/2006, Monni, Rv.235869 e Sez.3, n.17060 del 21/3/2006, Bagnasco, Rv.234318), atteso che ai fini della sottoposizione a vincolo paesaggistico la nozione non può essere intesa in senso riduttivo (cfr. Sez.3, n.35495 del 6/7/2007, Tramonti, Rv.237386), dovendo comprendere anche le aree limitrofe (già prima della citata legge, in tal senso, si veda Sez. 3, n. 3975 del 26/3/1997, Lui, Rv. 208038).
Pertanto nella zona interessata, vuoi per l’appartenenza al Parco, vuoi perché si trattava di area boschiva, era necessaria una specifica autorizzazione per il taglio colturale, la forestazione e/o riforestazione, le opere di bonifica e quant’altro, come previsto dall’art. 149, lett. c) dei citato D.Igs n. 42 del 2004, pur non essendo necessario il c.d. nulla osta paesaggistico, mentre l’autorizzazione ottenuta non comprendeva il taglio di piante come accertato.
6. Né ha motivo di pregio che il nulla osta di cui all’art. 13 della L. 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette) non potesse essere richiesto in quanto l’Ente Parco non risultava aver approvato il proprio regolamento (motivo n. 8) posto che ciò che è stato contestato, e riconosciuto come verificato ai ricorrenti, non è il mancato rilascio del nulla-osta dell’Ente parco, ma la mancata autorizzazione del taglio delle piante da rilasciarsi ex art. 146 del citato D.Igs, disposizione che fa riferimento all”‘organo competente”, richiamando le competenze regionali e la possibilità che le stesse vengano delegate anche “a province, a forme associative e di cooperazione fra enti locali come definite dalle vigenti disposizioni sull’ordinamento degli enti locali, agli enti parco ovvero a comuni, purché gli enti destinatari della delega dispongano di strutture in grado di assicurare un adeguato livello di competenze tecnico-scientifiche nonché di garantire la differenziazione tra attività di tutela paesaggistica ed esercizio di funzioni amministrative in materia urbanistico-edilizia” (comma 4). Nel caso di specie, per l’appunto, l’amministrazione del Comune di Roccagloriosa aveva rilasciato il titolo abilitativo, che era stato ottenuto a seguito di parere favorevole della Comunità Montana Lambro Mingardo (la quale aveva svolto le proprie verifiche utilizzando il tecnico Giuseppe Tierno – teste ascoltato nel dibattimento, il quale ebbe poi a verificare, a seguito di successivo controllo, che i lavori erano stati in realtà posti in essere su un’area diversa da quella oggetto dell’autorizzazione).
7. Per tutto quanto sopra detto, emerge con evidenza l’assoluta inconsistenza delle censure rivolte alla sentenza impugnata, sia con i diversi motivi di ricorso che censurano la violazione di legge per erronea interpretazione delle disposizioni contestate (art. 181 e 734 c.p.), sia con quelli che sollevano il vizio di motivazione illogica e contraddittoria (ivi compreso il secondo motivo proposto dal Tancredi): come già evidenziato al punto 3 di questa parte motiva, la decisione ha fornito una motivazione più che corretta ed esaustiva delle ragioni che hanno condotto a dichiarare i ricorrenti responsabili dei fatti come ascritti, né questa Corte può procedere ad una diversa valutazione nel merito, sulla scorta di una rilettura degli elementi di fatto della vicenda, così specificamente riassunti dai giudici di secondo grado, i quali hanno evidenziato in maniera adeguata i profili di offensività dei lavori eseguiti, valutati idonei a compromettere l’ambiente paesaggistico ed hanno concluso per la realizzazione di una effettiva messa in pericolo del paesaggio, valutabile come tale ex ante, e per un effettivo pregiudizio e danno alla bellezza naturale dei luoghi.
8. Quanto poi alla censura di carenza di motivazione quanto all’elemento psicologico dei reati ascritti al Marrazzo (motivo n. 4), deve essere sottolineato come i giudici di secondo grado nulla avevano l’obbligo di motivare sul punto, poiché nulla fu sollevato a tale proposito con i motivi di impugnazione in grado appello.
9. Risultano del tutto infondati i motivi proposti relativi alla dosimetria della pena ed alla disposta subordinazione al ripristino, della concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. I giudici di appello hanno offerto una motivazione più che esaustiva delle ragioni che hanno condotto alla determinazione dell’entità della pena inflitta (mesi otto di arresto e 20.000,00 di ammenda), ritenuta congrua rispetto alla gravità ed estensione dei fatti ed al danno effettivo che è era stato arrecato alla bellezza dei luoghi. Quanto alla sospensione condizionale della pena, in accoglimento dei motivi di appello, i giudici hanno stabilito, e spiegato, le ragioni per le quali il beneficio già concesso non dovesse più essere inteso come condizionato, sicché il motivo risulta del tutto inconferente.
I ricorsi devono pertanto essere rigettati ed i ricorrenti devono essere condannati, ai sensi del disposto di cui all’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.
PQM
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 3 maggio 2011.