Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime |
Categoria: Appalti
Numero: 7194 |
Data di udienza: 22 Gennaio 2019
* APPALTI – Appalto di opera pubblica – Ritardo del collaudo – Condizioni e limiti all’estinzione delle garanzie – Vizio dell’opera riscontrato in sede di tardivo collaudo – Effetti – Responsabilità dell’appaltatore – Presupposti – Giurisprudenza – Esecuzione dei contratti pubblici – Pagamento della rata di saldo delle opere pubbliche – Termini entro i quali deve essere compiuto il collaudo – Ritardo imputabile alla P.A. – Effetti – Azioni dell’appaltatore e messa in mora dell’amministrazione inerte – Decorrenza della prescrizione del credito – Superamento del termine di sei mesi dalla data di ultimazione dei lavori – Ritardo imputabile alla P.A. – Presunzione "iuris tantum" di responsabilità della committenza – Onere della prova – Diritto dell’impresa alla restituzione della cauzione prestata – Estinzione di eventuali fideiussioni – Responsabilità dell’impresa per i vizi dei lavori commessi – Novazione oggettiva – Nuove ed autonome situazioni giuridiche del contratto – Nuovo rapporto obbligatorio in sostituzione del precedente – Elementi essenziali, oltre ai soggetti ed alla causa, l‘animus novandi – Transazione contrattuale e interpretazione del contratto – Volontà estintiva della originaria obbligazione – Valutazione del giudice.
Provvedimento: Ordinanza
Sezione: 1^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 13 Marzo 2019
Numero: 7194
Data di udienza: 22 Gennaio 2019
Presidente: GENOVESE
Estensore: SCALIA
Premassima
* APPALTI – Appalto di opera pubblica – Ritardo del collaudo – Condizioni e limiti all’estinzione delle garanzie – Vizio dell’opera riscontrato in sede di tardivo collaudo – Effetti – Responsabilità dell’appaltatore – Presupposti – Giurisprudenza – Esecuzione dei contratti pubblici – Pagamento della rata di saldo delle opere pubbliche – Termini entro i quali deve essere compiuto il collaudo – Ritardo imputabile alla P.A. – Effetti – Azioni dell’appaltatore e messa in mora dell’amministrazione inerte – Decorrenza della prescrizione del credito – Superamento del termine di sei mesi dalla data di ultimazione dei lavori – Ritardo imputabile alla P.A. – Presunzione "iuris tantum" di responsabilità della committenza – Onere della prova – Diritto dell’impresa alla restituzione della cauzione prestata – Estinzione di eventuali fideiussioni – Responsabilità dell’impresa per i vizi dei lavori commessi – Novazione oggettiva – Nuove ed autonome situazioni giuridiche del contratto – Nuovo rapporto obbligatorio in sostituzione del precedente – Elementi essenziali, oltre ai soggetti ed alla causa, l‘animus novandi – Transazione contrattuale e interpretazione del contratto – Volontà estintiva della originaria obbligazione – Valutazione del giudice.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez.1^ 13/03/2019 (Ud. 22/01/2019), Ordinanza n.7194
APPALTI – Appalto di opera pubblica – Ritardo del collaudo – Condizioni e limiti all’estinzione delle garanzie – Vizio dell’opera riscontrato in sede di tardivo collaudo – Effetti – Responsabilità dell’appaltatore – Presupposti – Giurisprudenza.
In tema di appalto di opera pubblica il fatto imputabile all’impresa che ex art. 5 L. 741 del 1981 impedisce l’estinzione delle garanzie, altrimenti conseguente ipso iure alla omissione, ma anche al semplice ritardo del collaudo, deve consistere in una condotta o in un evento riferibile all’impresa che impedisca o ostacoli lo svolgimento delle operazioni di collaudo nel termine di legge (come nel caso di mancata consegna delle opere o della mancata rimozione di materiali o attrezzi); come tale esso non può rinvenirsi nel vizio dell’opera riscontrato in sede di tardivo suo collaudo, attenendo siffatto vizio al diverso e successivo profilo della responsabilità dell’appaltatore, per incompleta o difettosa esecuzione dell’opera, espressamente fatto salvo dal medesimo art. 5 (in termini: Cass. 27/03/2012 n. 4915; Cass. 21/12/2015 n. 25674; Cass. 09/05/2018 n. 11189).
APPALTI – Esecuzione dei contratti pubblici – Pagamento della rata di saldo delle opere pubbliche – Termini entro i quali deve essere compiuto il collaudo – Ritardo imputabile alla P.A. – Effetti – Azioni dell’appaltatore e messa in mora dell’amministrazione inerte – Decorrenza della prescrizione del credito.
In tema di pagamento della rata di saldo delle opere pubbliche, l’art. 5 della legge n. 741 del 1981, nel prevedere i termini entro i quali deve essere compiuto il collaudo, delinea con certezza il periodo superato il quale, perdurando l’inerzia dell’ente committente quest’ultimo deve ritenersi inadempiente, con la duplice conseguenza che l’appaltatore può agire per il pagamento senza necessità di mettere in mora l’amministrazione e che, dalla scadenza del predetto termine, inizia a decorrere la prescrizione del credito (in termini: Cass. 16/11/2007 n. 23746; Cass. 18/12/2008 n. 29530; Cass. 16/08/2011 n. 17314; Cass. 29/07/2011 n. 16740).
APPALTI – Appalto di opere pubbliche – Superamento del termine di sei mesi dalla data di ultimazione dei lavori – Ritardo imputabile alla P.A. – Presunzione "iuris tantum" di responsabilità della committenza – Onere della prova – Diritto dell’impresa alla restituzione della cauzione prestata – Estinzione di eventuali fideiussioni – Responsabilità dell’impresa per i vizi dei lavori commessi.
In tema di appalto di opere pubbliche, il superamento del termine di sei mesi dalla data di ultimazione dei lavori, per la conclusione del collaudo fissato nell’art. 5 della legge 10 dicembre 1981, n. 741 fa sorgere il diritto dell’impresa alla restituzione della cauzione prestata, al pagamento immediato delle ritenute operate a garanzia ed alla estinzione di eventuali fideiussioni. Tuttavia, la presunzione "iuris tantum" di responsabilità della committenza nel ritardo nell’espletamento del collaudo, dettata dal "favor" per le ragioni dell’impresa, se incide, alleggerendolo, sul relativo onere della prova, non per questo impedisce alla committenza di provare il contrario. Infatti, una cosa è la fattispecie del ritardo nel collaudo e dei suoi presuntivi, ma vincibili, effetti, altra è la diversa ipotesi della responsabilità dell’impresa per i vizi dei lavori commessi, che non è destinata ad operare, escludendolo, sul diritto alla restituzione delle ritenute in garanzia, ex art. 5, comma, 4, legge n. 741 del 1981
APPALTI – Contratti pubblici – Novazione oggettiva – Nuove ed autonome situazioni giuridiche del contratto – Nuovo rapporto obbligatorio in sostituzione del precedente – Elementi essenziali, oltre ai soggetti ed alla causa, l’animus novandi – Transazione contrattuale e interpretazione del contratto – Volontà estintiva della originaria obbligazione – Valutazione del giudice.
La novazione oggettiva si configura come un contratto estintivo e costitutivo di obbligazioni, caratterizzato dalla volontà di far sorgere un nuovo rapporto obbligatorio in sostituzione di quello precedente con nuove ed autonome situazioni giuridiche e di tale contratto sono elementi essenziali, oltre ai soggetti ed alla causa, l’animus novandi, consistente nella inequivoca e comune intenzione di entrambe le parti di estinguere l’originaria obbligazione, sostituendola con una nuova, e l’aliquid novi, inteso come mutamento sostanziale dell’oggetto della prestazione o del titolo del rapporto. Sicché, in materia di transazione là dove il giudice del merito abbia escluso la volontà estintiva della originaria obbligazione e quindi nel più recente accordo l’esistenza dell’animus novandi dell’intero rapporto contrattuale, per ciò stesso resta debitamente esclusa la natura novativa dell’atto per la cui unica ed assorbente operatività è necessario che lo stesso disciplini per l’intero il rapporto negoziale. Pertanto, l’interpretazione del contratto, traducendosi in una operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito che resta censurabile in cassazione per violazione delle regole ermeneutiche, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (Cass. 14/07/2016 n. 14355; Cass. 10/02/2015 n. 2465).
(riforma sentenza n. 3824/2015 – CORTE D’APPELLO di ROMA, dep. 19/06/2015) Pres. GENOVESE, Rel. SCALIA, Ric. D.A.R. Costruzioni S.r.l. contro Polfer Edil Società Cooperativa Edilizia a r.l.
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez.1^ 13/03/2019 (Ud. 22/01/2019), Ordinanza n.7194
SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez.1^ 13/03/2019 (Ud. 22/01/2019), Ordinanza n.7194
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE,
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso 17133/2016 proposto da:
D.A.R. Costruzioni S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Piazza Giuseppe Mazzini n.27, presso lo studio dell’avvocato Petrone Marco, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso
-ricorrente –
nonchè
contro
Polfer Edil Società Cooperativa Edilizia a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Viale Mazzini n.41, presso lo studio dell’avvocato Sepiacci Fabrizio Maria, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Balla Paolo, giusta procura speciale per Notaio Laura Leonzi di Roma – Rep.n. 1088 del 13.6.2018
-controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
D.A.R. Costruzioni S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Piazza Giuseppe Mazzini n.27, presso lo studio dell’avvocato Petrone Marco, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso principale
-controricorrente al ricorso incidentale –
avverso la sentenza n. 3824/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 19/06/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/01/2019 dal cons. Laura Scalia
FATTI DI CAUSA
1. Il Tribunale di Roma su ricorso della D.A.R. Costruzioni S.r.l., d’ora in poi solo D.A.R., emetteva decreto ingiuntivo nei confronti della Polfer Edil soc. coop. a r.l., nel prosieguo indicata come Polfer, per il pagamento di tre fatture insolute: la prima di euro 26 mila in relazione alla fattura n. 1/04 del 16.02.2004 a saldo del certificato di pagamento n. 6 del 39.09.2003; la seconda di euro 57.285,53 oltre Iva in relazione alla fattura n. 13/04 del 28.11.2004 a svincolo delle ritenute di garanzia oltre interessi di mora ex artt. 35 e 36 d.P.R. n. 1063 del 1962 ed ulteriori interessi di mora fino all’integrale soddisfo; la terza di euro 149.277,30 oltre Iva in relazione alla fattura n. 6/05 del 06.06.2005 a saldo dello stato finale oltre interessi di mora ex artt. 35 e 36 citt. ed ulteriori interessi di mora fino all’integrale soddisfo.
Gli importi erano relativi al contratto di appalto stipulato tra le parti il 14 maggio 1999 per la realizzazione nel Comune di Roma, piano di zona B/20 Cesano, comparto R/23, di un complesso edilizio comprendente un fabbricato residenziale.
In seguito all’opposizione proposta da Polfer, il Tribunale di Roma, in accoglimento della relativa eccezione, con sentenza del 10 dicembre 2007 dichiarava la nullità del decreto ingiuntivo e l’inammissibilità della riconvenzionale proposta dall’opponente per il risarcimento dei danni a lei cagionati dalla D.A.R. nell’esecuzione dei lavori, per avere le parti rimesso agli arbitri la controversia derivante dal contratto di appalto.
D.A.R. proponeva appello avverso l’indicata sentenza; Polfer si costituiva chiedendo il rigetto dell’avversa impugnazione e contestando nel merito le pretese avversarie.
La Corte di appello di Roma con sentenza depositata il 19 giugno 2015, in parziale accoglimento dell’impugnazione proposta ed in riforma dell’appellata sentenza, dichiarata la propria giurisdizione, revocava il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Roma nei confronti di Polfer che condannava, sulle maggiori richieste, al pagamento in favore di D.A.R. della somma di euro 26 mila, per la fattura n. 1 del 2004 emessa a saldo del certificato di pagamento n. 6 del 30 settembre 2003, oltre interessi di mora ex art. 35 d.P.R. n. 1063 del 1962 fino al soddisfo.
Venivano rigettate le domande di D.A.R. di pagamento degli ulteriori importi a titolo di svincolo delle ritenute di garanzia e di saldo finale.
Ricorre in cassazione avverso l’indicata sentenza D.A.R. con quattro motivi.
Resiste con controricorso Polfer che propone altresì ricorso incidentale affidato ad unico motivo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente principale D.A.R. Costruzioni a r.l. denuncia violazione e falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 5 legge n. 741 del 1981, 36, 38 e 44 del d.P.R. n. 1063 del 1962, 1665 e 2697 cod. civ. La Corte di appello, in violazione delle norme dettate in materia di collaudo di opere appaltate e sulla distribuzione dell’onere della prova, di cui aveva impropriamente gravato l’appaltatrice, non aveva considerato l’avvenuto svincolo delle ritenute a garanzia quale effetto automatico del decorso del tempo stabilito per legge o per contratto, e pari nella specie ad un anno (art. 10 contratto di appalto) a far data dalla ultimazione lavori (registrata il 28 novembre 2003), per le operazioni di collaudo senza che rilevasse il loro effettivo e positivo compimento.
La Corte territoriale avrebbe dato erronea interpretazione alle norme applicate nella parte in cui aveva stigmatizzato la condotta dell’appaltatrice. Questa, all’esito di un terzo sopralluogo relativo alle operazioni di collaudo in ragione del quale veniva riscontrato che le opere non erano state eseguite a regola d’arte, con fissazione di un termine all’impresa per il ripristino, sì da consentire le operazioni di collaudo e l’emissione del certificato finale, non avrebbe offerto in giudizio la prova della comunicazione al direttore dei lavori circa l’avvenuta esecuzione delle lavorazioni e versato il certificato di collaudo positivo.
All’esigibilità del credito per l’inutile decorso del termine per le operazioni di collaudo non avrebbe potuto ostare l’accertamento di eventuali vizi delle opere riscontrati dal collaudatore nel corso di operazioni tardivamente compiute.
2. Con il secondo motivo di ricorso, articolato per quattro profili, si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nei termini di cui all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. ovverosia dell’intervenuto collaudo dell’opera, estremo considerato, con travisamento del dato probatorio, non soddisfatto dall’appaltatrice da parte della Corte di appello.
2.1. La Corte di merito sarebbe incorsa nel travisamento del dato probatorio integrato dall’esistenza del collaudo, la cui positiva evidenza sarebbe stata sostenuta dalla non contestazione delle parti sul punto e dalla documentazione prodotta in appello, in allegato alla comparsa di costituzione e risposta di Polfer, e consistente negli atti e nella consulenza di ufficio relativi al procedimento per a.t.p. svoltosi tra le medesime parti dinanzi al Tribunale di Roma.
2.2. Il fatto del collaudo, decisivo per il giudizio, era stato oggetto di discussione tra le parti già in primo grado nella memoria di replica alla conclusionale avversaria da parte dell’odierna ricorrente e quindi, nel giudizio di appello, là dove, in sede di costituzione e poi di conclusionali e repliche, dell’esistenza del collaudo si era dato atto tra le pari per richiamo agli esiti di una A.t.p. e quindi di una consulenza tecnica di ufficio, rispettivamente disposte in vista e nel corso del distinto giudizio ordinario, r.g. n. 77789/2009, pendente tra le medesime parti dinanzi al Tribunale di Roma ed avente ad oggetto altre poste creditorie maturate all’interno del medesimo contratto di appalto.
2.3. Dalla documentazione in atti sarebbe risultata l’esistenza del collaudo e l’imputabilità del ritardo nella conclusione delle operazioni non dal mancato completamento delle opere da parte dell’appaltatrice, ma dalla intempestiva fornitura da parte della committenza della documentazione richiesta dal collaudatore.
2.4. La mancata eliminazione dei vizi non sarebbe stata in ogni caso ostativa alla conclusione del collaudo, come invece erroneamente ritenuto dalla Corte di appello, risultando il collaudo comunque intervenuto con mere detrazioni a carico dell’appaltatrice, peraltro contenute nel loro ammontare dai consulenti di ufficio nominati nel procedimento per a.t.p. e quindi nel distinto giudizio ordinario (r.g. 77789/2009).
3. Con il terzo motivo si fa valere la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 2697 cod. civ., in relazione alle statuizioni contrattuali, e degli artt. 36, 38 e 44 del d.P.R. n. 1063/1962 (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.).
Vengono articolati cinque profili di ricorso che possono essere compendiati nei termini che seguono.
La Corte di appello nel dichiarare non dovuta la somma di euro 149.277,30 richiesta da D.A.R. quale saldo lavori avrebbe ritenuto — obliterando i contenuti delle pattuizioni negoziali (artt. 10 e 14) e violando i canoni di interpretazione sistematico-letterale che presiedono alla ricostruzione della volontà comune delle parti, gravando l’appaltatrice del relativo onere della prova — la completa ultimazione delle opere e la loro esecuzione a regola d’arte quale presupposto per il pagamento delle somme là dove invece avrebbe avuto rilievo la sola certificazione della fine lavori, formata nel contraddittorio delle parti, e la redazione della contabilità finale nel successivo termine di tre mesi.
Nella impugnata sentenza sarebbe rimasta male intesa la differenza tra il pagamento del saldo prezzo risultante dalla contabilità finale, che presuppone che sia certificata l’ultimazione delle opere e quantificato in contabilità il corrispettivo, e lo svincolo delle ritenute in garanzia, subordinato all’esito positivo del collaudo o allo spirare infruttuoso del termine per il suo compimento. Sarebbe rimasto violato anche l’art. 36 d.P.R. n. 1063 del 1962, richiamato in contratto, per il quale, scaduto il termine per il collaudo, il credito dell’appaltatore relativo al saldo lavori sarebbe divenuto esigibile dopo i 120 gg. dalla scadenza decorsi i quali l’appaltatrice avrebbe avuto diritto agli interessi legali, di mora dopo gli ulteriori 60 gg.
4. Con il quarto motivo, articolato in subordine al mancato accoglimento degli altri, si deduce l’inosservanza del disposto di cui all’art. 112 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., e, in alternativa, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio nei termini di cui all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.
Nonostante in atti risultasse in modo univoco l’importo dei vizi accertati in corso di collaudo — quantificabili, nel massimo, in euro 27.926,57, pari a quanto verificato dal collaudatore, o in quelli, minori, di euro 11.740,95 o di 12.493,38, definiti dagli accertamenti tecnici espletati nel procedimento per a.t.p. e nel separato giudizio introdotto dalla committente contro l’appaltatrice ed il direttore dei lavori, in cui si era disposta dal Tribunale una c.t.u. — e destinati a costituire limite all’eccezione di inadempimento sollevata dalla committente, la Corte di merito aveva ritenuto quest’ultima capace di paralizzare per l’intero la pretesa dell’appaltatrice, in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
L’omesso esame dell’entità dei vizi delle opere, e della loro quantificazione, su cui pure le parti avevano dibattuto, avrebbe integrato il la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. 5. Polfer affida il proposto ricorso incidentale ad un unico motivo con cui denuncia la violazione di legge ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 1230, 1231 e 1362 cod. civ., in cui sarebbe incorsa la Corte di appello nel qualificare come transazione conservativa e non novativa la scrittura privata conclusa tra le parti il 19 gennaio 2004, riservando al primo la disciplina di un aspetto del rapporto contrattuale conseguente ad un evento imprevisto qual è stato la mancata erogazione del mutuo alla committente.
Secondo deduzione difensiva, la disciplina contrattuale non sarebbe stata limitata al solo aspetto relativo alle modalità di finanziamento dell’opera ed agli effetti della maggiore durata dell’appalto e dei più alti correlati costi conseguenti all’indicata sopravvenienza, lasciando invariate le statuizioni contenute nel contratto di appalto, ma ai complessivi rapporti in essere tra le parti, sia nel pregresso che per il futuro.
Resiste sul ricorso incidentale D.A.R., con controricorso.
6. Sono state depositate memorie ex art. 378 cod. proc. civ. da entrambe le parti in cui D.A.R. conclude con il sollecitare la trattazione congiunta del presente giudizio con altro, connesso, avente R.g.n. 8754 del 2018, relativo all’impugnativa della sentenza di appello emessa sulla domanda risarcitoria proposta dalla committente Polfer e sulla riconvenzionale di pagamento del residuo di D.A.R. e, quindi, anche sul saldo lavori e lo svincolo delle trattenute in garanzia, insta altresì, in via subordinata, per la declaratoria di cessazione della materia del contendere all’esito della definizione della distinta e presupposta controversia, con esito di rigetto del ricorso ivi proposto da Polfer.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Nel giudizio di cassazione, le finalità di economia processuale e di uniformità delle decisioni, anche se relative a casi di litispendenza o continenza non giustificano la riunione dei processi ma possono essere utilmente perseguite attraverso la trattazione di più cause nella medesima udienza e davanti allo stesso giudice, come nella specie si è verificato (vedi Cass. 30/11/2017 n. 28686).
In applicazione dell’indicato principio va disattesa la riunione sollecitata dalla ricorrente D.A.R. nella memoria in atti.
2. Nel resto.
L’esame delle contrapposte posizioni fatte valere in giudizio dalle parti determina questa Corte di legittimità a riservare preliminare scrutinio al motivo, introdotto con il ricorso incidentale da Polfer Edil, società cooperativa a r.l., con cui si censura per violazione di legge, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. pen., la sentenza impugnata là dove ha ritenuto il carattere conservativo, o non novativo, della transazione intercorsa tra le parti il 19 gennaio 2004 e, pertanto, la proponibilità delle domande introdotte dall’appaltatrice in giudizio — quanto al certificato di pagamento n. 6; allo svincolo delle ritenute in garanzia ed allo saldo dello stato finale — nell’apprezzata loro estraneità all’accordo transattivo e quindi alla cognizione arbitrale altrimenti prevista.
La Corte territoriale non avrebbe correttamente apprezzato la previsione di cui all’art. 1231 cod. civ. che relega a modifiche non novative del preesistente negozio quelle di carattere marginale, riconducendo a dette modifiche l’accordo del 19 gennaio 2004.
Il motivo si presta ad una plurima lettura di inammissibilità.
2.1. La sentenza impugnata opera delle questioni dedotte una interpretazione conforme a diritto in adesione ai principi fatti propri dalla giurisprudenza di legittimità, per quanto più oltre si dirà, e l’esame del motivo che sostiene il ricorso incidentale non offre elementi per mutare orientamento.
La ricorrente sotto la denuncia di una violazione di legge fa in realtà valere, in modo inammissibile, una diversa ed alternativa interpretazione della scrittura destinata a sovrapporsi a quella fornita dalla Corte di appello.
Ferma è nei principi della giurisprudenza di legittimità, l’affermazione per la quale l’interpretazione del contratto, traducendosi in una operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito che resta censurabile in cassazione per violazione delle regole ermeneutiche, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (Cass. 14/07/2016 n. 14355; Cass. 10/02/2015 n. 2465).
2.2. Il motivo del ricorso incidentale si espone ad un ulteriore profilo di inammissibilità nella parte in cui, richiamando come erroneamente applicati dalla Corte territoriale gli artt. 1230 e 1231 cod. civ. e, segnatamente, la norma da ultimo indicata nella parte in cui essa relega a modalità non implicanti novazione le modifiche di natura accessoria, come l’apposizione o l’eliminazione di un termine, non si confronta con la motivazione impugnata.
La Corte di appello di Roma ha ritenuto il carattere non novativo dell’accordo dopo averne circoscritto l’oggetto ai maggiori costi dell’appalto derivanti dalla mancata erogazione del mutuo in favore della cooperativa committente nella loro parziale incidenza sul preesistente assetto contrattuale, nel resto rimasto immutato.
La novazione oggettiva si configura come un contratto estintivo e costitutivo di obbligazioni, caratterizzato dalla volontà di far sorgere un nuovo rapporto obbligatorio in sostituzione di quello precedente con nuove ed autonome situazioni giuridiche e di tale contratto sono elementi essenziali, oltre ai soggetti ed alla causa, l’animus novandi, consistente nella inequivoca e comune intenzione di entrambe le parti di estinguere l’originaria obbligazione, sostituendola con una nuova, e l’aliquid novi, inteso come mutamento sostanziale dell’oggetto della prestazione o del titolo del rapporto (ex plurimis: Cass. 26/02/2009 n. 4670).
In materia di transazione là dove il giudice del merito abbia escluso la volontà estintiva della originaria obbligazione e quindi nel più recente accordo l’esistenza dell’animus novandi dell’intero rapporto contrattuale, per ciò stesso resta debitamente esclusa la natura novativa dell’atto per la cui unica ed assorbente operatività è necessario che lo stesso disciplini per l’intero il rapporto negoziale.
Per l’effetto, il ricorso in cassazione con cui si è denunciato l’inadeguatezza dell’aliquid novi convenuto dalle parti ad integrare modifiche meramente accessorie del negozio originario nei termini di cui all’art. 1231 cod. civ. nel dedotto incisivo mutamento che al primo si accompagni dell’originaria regolamentazione pattizia, è inammissibile per sua non specificità.
Esso non si raccorda infatti con la ratio decidendi della sentenza impugnata con la quale il giudice del merito ha escluso della transazione il carattere novativo apprezzandone la cumulabilità con il preesistente negozio nella ritenuta parzialità del nuovo patto, incapace, come tale, di disciplinare, per l’intero, il rapporto in essere tra le parti.
Nel definire la portata conservativa del negozio del 19 gennaio 2004, la Corte di appello di Roma conclude per il carattere cumulativo degli indennizzi riconosciuti in transazione dalla committenza all’appaltatrice con quanto già oggetto di corrispettivo nell’appalto, nella ritenuta, per la parte restante, perdurante operatività del contratto originario, circoscrivendo l’applicabilità del nuovo negozio alla finalità di riallineare gli equilibri contrattuali limitatamente alla maggiore durata dell’appalto conseguente alla sopravvenuta impossibilità della committenza di D.A.R.e esecuzione ai pagamenti per le lavorazioni eseguite, in esito alla mancata erogazione di un mutuo in suo favore.
Il ricorso incidentale proposto da Polfer Edil società cooperativa edilizia a r.l. è pertanto inammissibile.
3. Venendo al ricorso principale, vanno congiuntamente trattati il primo ed il secondo motivo.
Con il secondo motivo di ricorso, la cui valutazione si antepone al primo per una migliore intelligenza della critica difensiva e dello scrutinio di sua fondatezza, si denuncia dell’impugnata sentenza l’illegittimità per violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.
Dalle deduzioni di parte e dalle produzioni documentali sarebbe emersa la positiva esistenza del collaudo dell’opera e la Corte di appello ritenendo che l’appaltatrice non ne avesse fornito la prova avrebbe omesso di esaminare un fatto decisivo che pure emergeva dagli dati probatori acquisiti in atti.
Il motivo è fondato.
Il collaudo delle opere commesse in appalto, intervenuto il 17 gennaio 2006 è evidenza fattuale che, come puntualmente dedotto nel ricorso principale (pp. 18 e 19), è stata oggetto del dibattito processuale tra le parti perché presente nella documentazione prodotta in appello da Polfer — che aveva provveduto ad allegare alla comparsa di costituzione sia il ricorso di D.A.R. che la propria comparsa di costituzione del procedimento per a.t.p. insieme alla relazione conclusiva di tale accertamento — ed altresì oggetto dello scambio di conclusionali e repliche tra le parti nel presente giudizio, per il richiamo ivi operato agli atti del distinto giudizio ordinario, rubricato al n. r.g. 77789/2009, pendente dinanzi al Tribunale di Roma ed all’accertamento per c.t.u. ivi disposto.
Sull’indicata premessa dell’appartenenza dell’atto di collaudo al dibattito processuale, obliterato per siffatti contenuti dalla Corte territoriale, resta da valutare il primo motivo di ricorso, il suo carattere decisivo ai fini del giudizio, e scrutinarne alfine la fondatezza.
4. Con detto motivo si denuncia la violazione di legge in cui sarebbe incorsa la Corte romana nel ritenere lo svincolo delle ritenute in garanzia previsto dall’art. 5, comma 4, della legge n. 741 del 1981, e pari all’importo di euro 57.285,53, destinato a non operare ove insorga tra le parti contestazione nel corso delle operazioni di collaudo sulla corretta esecuzione delle opere.
Nell’apprezzato intersecarsi delle sorti dello svincolo delle ritenute in garanzia con quelle del procedimento di collaudo, in cui si era riscontrata dalla committenza l’esistenza di opere eseguite non a regola d’arte, ragione per la quale era stato fissato un termine all’impresa per provvedere, la Corte di merito ha negato il diritto allo svincolo ponendo a carico dell’appaltatrice l’onere di allegazione e prova dell’attività successiva alla comunicazione della fine lavori e del certificato relativo.
Il motivo è fondato.
Il procedimento per lo svincolo delle ritenute in garanzia previsto all’art. 5, comma 4, legge n. 741 del 1981 ha una connotazione sua propria che ne consente l’operatività là dove risultino integrati determinati presupposti che sono distinti ed autonomi rispetto a quelli che governano l’eventuale responsabilità dell’appaltatrice accertata in sede di collaudo per l’esecuzione dei lavori commessi non a regola d’arte.
Ai fini dello svincolo può rilevare infatti quale causa ostativa, la mancata approvazione del collaudo o del certificato di regolare esecuzione dei lavori per inosservanza dei termini fissati dalla legge, rispettivamente indicati in quello di sei mesi prorogabili ad un anno e di tre mesi là dove il ritardo risulti, come tale, imputabile all’appaltatrice.
In tema di appalto di opera pubblica è infatti destinato a valere il principio in più occasioni espresso da questa Corte di legittimità per il quale: «il fatto imputabile all’impresa che ex art. 5 I. 741 del 1981 impedisce l’estinzione delle garanzie, altrimenti conseguente ipso iure alla omissione, ma anche al semplice ritardo del collaudo, deve consistere in una condotta o in un evento riferibile all’impresa che impedisca o ostacoli lo svolgimento delle operazioni di collaudo nel termine di legge (come nel caso di mancata consegna delle opere o della mancata rimozione di materiali o attrezzi); come tale esso non può rinvenirsi nel vizio dell’opera riscontrato in sede di tardivo suo collaudo, attenendo siffatto vizio al diverso e successivo profilo della responsabilità dell’appaltatore, per incompleta o difettosa esecuzione dell’opera, espressamente fatto salvo dal medesimo art. 5» (Cass. 05/06/2001 n. 7596; Cass. 13/02/2002 n. 2069; più recentemente, in termini: Cass. 27/03/2012 n. 4915; Cass. 21/12/2015 n. 25674; Cass. 09/05/2018 n. 11189).
Di siffatto principio costituisce diretto corollario l’affermazione per la quale il ritardo nel collaudo dell’opera o nell’emissione del certificato di regolare esecuzione è evento che l’art. 5, comma 4, della legge n. 741 del 1981, titolata «Ulteriori norme per l’accelerazione delle procedure per l’esecuzione di opere pubbliche», in applicazione di una presunzione iuris tantum, semplificativa della prova e dettata dal legislatore a tutela delle ragioni dell’impresa, attribuisce alla stazione appaltante e che, come tale, non risulta impeditivo dello svincolo delle ritenute in favore dell’appaltatrice.
Resta ancora ricompreso nel richiamato principio, quale ulteriore effetto applicativo, quello che vuole che l’art. 5, cit. non esclude che la prova presuntiva, che imputa alla stazione appaltante l’inadempimento, possa essere vinta dalla prova storica che il ritardo nel collaudo ostativo al riconoscimento dello svincolo sia dipeso dalla condotta dell’appaltatrice da intendersi, in forza di una stretta interpretazione della norma rispettosa della ratio segnata dal favor delle ragioni dell’impresa, quale condotta di diretto ostacolo allo svolgimento del collaudo nei termini di legge.
Conclusivamente, va quindi affermato il seguente principio: «in tema di appalto di opere pubbliche, il superamento del termine di sei mesi dalla data di ultimazione dei lavori, per la conclusione del collaudo fissato nell’art. 5 della legge 10 dicembre 1981, n. 741 fa sorgere il diritto dell’impresa alla restituzione della cauzione prestata, al pagamento immediato delle ritenute operate a garanzia ed alla estinzione di eventuali fideiussioni. Tuttavia, la presunzione "iuris tantum" di responsabilità della committenza nel ritardo nell’espletamento del collaudo, dettata dal "favor" per le ragioni dell’impresa, se incide, alleggerendolo, sul relativo onere della prova, non per questo impedisce alla committenza di provare il contrario. Infatti, una cosa è la fattispecie del ritardo nel collaudo e dei suoi presuntivi, ma vincibili, effetti, altra è la diversa ipotesi della responsabilità dell’impresa per i vizi dei lavori commessi, che non è destinata ad operare, escludendolo, sul diritto alla restituzione delle ritenute in garanzia, ex art. 5, comma, 4, legge n. 741 del 1981».
La Corte di appello consentendo agli accertamenti instauratisi tra le parti sulla corretta esecuzione delle opere in fase di collaudo di frapporsi alla immediata restituzione delle ritenute in garanzia operate dalla committenza, senza verificare se il ritardo nelle operazioni di collaudo fosse o meno ascrivibile all’impresa per condotte finalizzate ad impedire il collaudo stesso o alla committenza, ha mancato di fare applicazione degli indicati principi ed ha errato nell’interpretazione della legge, impropriamente intersecando i distinti piani del diritto dell’appaltatrice allo svincolo delle ritenute in garanzia e quello del risarcimento del danno risentito dalla committenza, per la non corretta esecuzione delle opere accertata in sede di collaudo.
5. Il terzo motivo con cui si impugna per violazione di legge, e, segnatamente, dei canoni di interpretazione della volontà negoziale di cui agli artt. 1362 e 1363 cod. civ., la sentenza di appello per avere la Corte territoriale impropriamente integrato la pattuizioni negoziali che agli artt. 10 e 14 stabilivano regola analoga a quella contenuta nell’art. 36 d.P.R. n. 1063 del 1962 — richiamato all’art. 2 del contratto — è fondato.
La Corte di merito obliterando il dato di legge, per il quale il presupposto per il pagamento del saldo lavori è costituito dalla certificazione dell’ultimazione degli stessi da parte della D.L. e dalla redazione della contabilità finale, e ritenendo che l’eccezione di non regolare esecuzione delle opere, sollevata dalla committenza, valesse ad escludere il relativo obbligo di pagamento, ha posto a carico dell’appaltatrice un onere non previsto, con il ritenere il saldo lavori subordinato alla prova dell’esatto adempimento quanto alla ultimazione delle opere ed alla loro esecuzione a regola d’arte.
Il meccanismo previsto dall’art. 36 d.P.R. n. 1063 del 1962 risponde ad un atteggiarsi di favore della norma rispetto alle ragioni dell’appaltatrice, incidendo sull’onere di prova che attenuato per l’impresa consente a quest’ultima di percepire la rata del saldo lavori, nella imputabilità del ritardo nel collaudo alla committenza.
In tema di pagamento della rata di saldo delle opere pubbliche, l’art. 5 della legge n. 741 del 1981, nel prevedere i termini entro i quali deve essere compiuto il collaudo, delinea con certezza il periodo superato il quale, perdurando l’inerzia dell’ente committente quest’ultimo deve ritenersi inadempiente, con la duplice conseguenza che l’appaltatore può agire per il pagamento senza necessità di mettere in mora l’amministrazione e che, dalla scadenza del predetto termine, inizia a decorrere la prescrizione del credito (in termini: Cass. 16/11/2007 n. 23746; Cass. 18/12/2008 n. 29530; Cass. 16/08/2011 n. 17314; Cass. 29/07/2011 n. 16740).
6. Assorbito il quarto motivo di ricorso, in via subordinata introdotto, la sentenza impugnata va cassata in accoglimento del primo, secondo e terzo motivo con rinvio alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà a fare applicazione dei principi indicati, verificando la sussistenza di un inadempimento dell’appaltatrice ostativo ad un tempestivo collaudo e determinandosi, conseguentemente, sul diritto della stessa allo svincolo delle ritenute di garanzia ed al pagamento del saldo lavori di cui all’art. 5, commi 4 e 5, legge n. 741 del 1981.
P.Q.M.
Accoglie i primi tre motivi del ricorso principale, assorbito l’altro, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del presente giudizio.
Dichiara inammissibile il ricorso incidentale proposto da Polfer, Società cooperativa a r.l.
Così deciso in Roma, il 22/01/2019.