Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime |
Categoria: Appalti,
Diritto processuale civile
Numero: 15502 |
Data di udienza: 10 Gennaio 2018
APPALTI – Le disposizioni speciali non derogano al principio generale sull’adempimento del contratto con prestazioni corrispettive – Inadempimento del contratto di appalto – Opera conformemente al contratto e alle regole dell’arte – Onere della prova – Inadempimento del contratto di appalto e inadempimento contrattuale – Differente responsabilità dell’appaltatore – Omesso completamento dell’opera – Artt. 1453, 1667, 1668, 1669 c.c. – Contratto d’opera – Difformità e vizi dell’opera – Termine di decadenza per la denunzia – Distinzione tra vizi noti al committente o facilmente riconoscibili da quelli occulti – Art. 2226 c.c. – Nomen iuris dei contratti non vincolante per il giudice – DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – Esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito – Errore denunciato – Specifica dei fatti processuali – Art. 342 cod. proc. civ..
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 13 Giugno 2018
Numero: 15502
Data di udienza: 10 Gennaio 2018
Presidente: D'ASCOLA
Estensore: TEDESCO
Premassima
APPALTI – Le disposizioni speciali non derogano al principio generale sull’adempimento del contratto con prestazioni corrispettive – Inadempimento del contratto di appalto – Opera conformemente al contratto e alle regole dell’arte – Onere della prova – Inadempimento del contratto di appalto e inadempimento contrattuale – Differente responsabilità dell’appaltatore – Omesso completamento dell’opera – Artt. 1453, 1667, 1668, 1669 c.c. – Contratto d’opera – Difformità e vizi dell’opera – Termine di decadenza per la denunzia – Distinzione tra vizi noti al committente o facilmente riconoscibili da quelli occulti – Art. 2226 c.c. – Nomen iuris dei contratti non vincolante per il giudice – DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – Esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito – Errore denunciato – Specifica dei fatti processuali – Art. 342 cod. proc. civ..
Massima
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. 2^ 13/06/2018 (Ud. 10/01/2018), Sentenza n.15502
APPALTI – Le disposizioni speciali non derogano al principio generale sull’adempimento del contratto con prestazioni corrispettive – Inadempimento del contratto di appalto – Opera conformemente al contratto e alle regole dell’arte – Onere della prova.
In tema di inadempimento del contratto di appalto, le disposizioni speciali dettate dal legislatore attengono essenzialmente alla particolare disciplina della garanzia per le difformità ed i vizi dell’opera, assoggettata ai ristretti termini decadenziali di cui all’art.1667 cod. civ., ma non derogano al principio generale che governa l’adempimento del contratto con prestazioni corrispettive, il quale comporta che l’appaltatore, il quale agisca in giudizio per il pagamento del corrispettivo convenuto, abbia l’onere – allorché il committente sollevi l’eccezione di inadempimento di cui al terzo comma di detta disposizione – di provare di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione e, quindi, di aver eseguito l’opera conformemente al contratto e alle regole dell’arte.
APPALTI – Inadempimento del contratto di appalto e inadempimento contrattuale – Differente responsabilità dell’appaltatore – Omesso completamento dell’opera – Artt. 1453, 1667, 1668, 1669 c.c..
In tema di inadempimento del contratto di appalto (arTt. 1667, 1668, 1669 c.c.) integrano, ma non escludono i principi generali in tema di inadempimento contrattuale, che sono applicabili quando non ricorrano i presupposti delle norme speciali, nel senso che la comune responsabilità dell’appaltatore ex art. 1453 e ss. c.c. sorge allorquando egli non esegue integralmente l’opera o, se l’ha eseguita, si rifiuta di consegnarla o vi procede con ritardo rispetto al termine di esecuzione pattuito, mentre la differente responsabilità dell’appaltatore inerente alla garanzia per vizi o difformità dell’opera, previste dagli artt. 1667 e 1668 c.c., ricorre quando il suddetto ha consegnato un’opera completa ma affetta da vizi o non conforme e così ha violato le prescrizioni pattuite per l’esecuzione dell’opera o le regole imposte dalla tecnica. Pertanto, in caso di omesso completamento dell’opera (anche se questa, per la parte eseguita, risulti difettosa o difforme), non è consentito, al fine di accertare la responsabilità dell’appaltatore, per inesatto adempimento, far ricorso alla disciplina della suindicata garanzia, che richiede necessariamente il totale compimento dell’opera.
APPALTI – Contratto d’opera – Difformità e vizi dell’opera – Termine di decadenza per la denunzia – Distinzione tra vizi noti al committente o facilmente riconoscibili da quelli occulti – Art. 2226 c.c..
In tema di contratto d’opera ed in ipotesi di difformità e vizi dell’opera, ai sensi dell’
art. 2226 c.c. ed al fine di individuare il termine di decadenza per la denunzia di essi, occorre distinguere i vizi noti al committente o facilmente riconoscibili da quelli occulti, giacché nella prima ipotesi l’accettazione dell’opera senza riserve libera il prestatore dalla responsabilità per i suddetti vizi, mentre nella seconda ipotesi il termine di decadenza di otto giorni decorre dalla relativa scoperta, a prescindere quindi dall’accettazione dell’opera. Dunque la norma non fornisce argomento per sostenere che se non c’è stata accettazione tanto i vizi palesi quanto quelli occulti potrebbero essere denunciati in qualsiasi momento.
APPALTI – Nomen iuris dei contratti non vincolante per il giudice.
Il nomen iuris ai contratti dato dalle parti non è mai vincolante per il giudice (Cass. n. 15925/2007).
DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – Esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito – Errore denunciato – Specifica dei fatti processuali – Art. 342 cod. proc. civ..
Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – che trova la propria ragion d’essere nella necessità di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte – vale anche in relazione ai motivi di appello rispetto ai quali si denuncino errori da parte del giudice di merito; ne consegue che, ove il ricorrente denunci la violazione e falsa applicazione dell’
art. 342 cod. proc. civ. conseguente alla mancata declaratoria di nullità dell’atto di appello per genericità dei motivi, deve riportare nel ricorso, nel loro impianto specifico, i predetti motivi formulati dalla controparte (Cass. n. 86/2012). Inoltre, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un
errar in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso (Cass. n.22880/2017)».
(riforma sentenza della CORTE D’APPELLO DI TORINO n. 1444/13 – 1/07/2013) Pres. D’ASCOLA, Rel. TEDESCO, Ric. Miorini c. Bouihad
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. 2^ 13/06/2018 (Ud. 10/01/2018), Sentenza n.15502
SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. 2^ 13/06/2018 (Ud. 10/01/2018), Sentenza n.15502
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 25675/2013 R.G. proposto da
MIORINI Danilo, rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dall’avv. Filippo Amoroso, con domicilio eletto in Roma, piazza di Pietra 26, presso lo studio dell’avv. Daniela Jouvenal;
– ricorrente –
contro
BOUIHAD SAID;
-intimato-
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Torino n. 1444/13, depositata l’1 luglio 2013.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10 gennaio 2018 dal Consigliere Giuseppe Tedesco;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Federico Salvato, che ha concluso per l’accoglimento del quarto motivo di ricorso e il rigetto dei restanti motivi;
udito l’avv. Bo~elli Fernando, su delega, per il ricorrente.
FATTI DI CAUSA
Bouihad Said chiedeva ed otteneva dal tribunale di Aosta, nei confronti del committente Miorini Danilo, un decreto ingiuntivo per il pagamento del corrispettivo per lavori di termo idraulica.
Contro il decreto il Miorini proponeva opposizione, che era rigettata dal quel medesimo tribunale con sentenza confermata dalla corte d’Appello di Torino, che rigettava l’appello principale proposto dal Miorini, ritenendo che il committente non avesse dato prova della tempestività della denuncia dei vizi dell’opera.
Il giudice d’appello, pur confermando la decisione di primo grado rilevava, in dissenso dal tribunale, che la norma di riferimento non era l’art. 1667 c.c. in materia di appalto, ma l’art. 2226 c.c. in tema di contratto d’opera, dovendosi qualificare in questi termini il rapporto inter partes.
Contro la sentenza il Miorini ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sette motivi.
Bouihad è rimasto intimato.
RAGIONI DELLA DECISIONE.
1. Con il primo motivo del ricorso si deduce, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c., che la corte di merito ha applicato la disciplina dei vizi e difetti pur avendo il committente eccepito la mancata ultimazione delle opere oggetto del contratto. Conseguentemente era applicabile la disciplina ordinaria sull’inadempimento, non quella speciale riguardante i vizi e difetti dell’opera: il prestatore avrebbe dovuto quindi provare l’esecuzione della prestazione dedotta in contratto.
Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c., la qualificazione giuridica del contratto quale contratto d’opera invece che come contratto di appalto. In via riflessa rispetto a tale errore di qualificazione, la corte di merito ne aveva commesso un altro, per avere applicato le norme del contratto d’opera invece che quelle dell’appalto.
Il terzo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c., che i giudici d’appello non avevano considerato che, in assenza di accettazione dell’opera, non si applicava il temine di decadenza per la denuncia dei vizi stabilito dall’art. 2226 c.c.
Il quarto motivo denuncia, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per omissione di pronuncia sul motivo d’appello riguardante il mancato rilascio delle certificazioni di conformità degli impianti a regola d’arte.
Il quinto motivo denuncia, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4, c.p.c., l’omesso rilievo, da parte della corte d’appello, dell’inammissibilità dell’appello incidentale per mancanza dei motivi specifici di impugnazione.
Il sesto motivo denuncia, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c., omesso esame di fatti decisivi: la mancata accettazione delle opere e la loro mancata ultimazione, essendosi la corte di concentrata solo sulla tempestività della denuncia dei vizi.
Il settimo motivo denuncia, in relazione all’art. art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c., omesso esame di documenti dai quali si desumeva la tempestività della denuncia.
2. Il primo motivo è fondato.
«Le disposizioni speciali in tema di inadempimento del contratto di appalto (
art. 1667, 1668, 1669 c.c.) integrano, ma non escludono i principi generali in tema di inadempimento contrattuale, che sono applicabili quando non ricorrano i presupposti delle norme speciali, nel senso che la comune responsabilità dell’appaltatore ex art. 1453 e c.c. sorge allorquando egli non esegue integralmente l’opera o, se l’ha eseguita, si rifiuta di consegnarla o vi procede con ritardo rispetto al termine di esecuzione pattuito, mentre la differente responsabilitàdell’appaltatore inerente alla garanzia per vizi o difformità dell’opera, previste dagli artt. 1667 e 1668 c.c., ricorre quando il suddetto ha consegnato un’opera completa ma affetta da vizi o non conforme e così ha violato le prescrizioni pattuite per l’esecuzione dell’opera o le regole imposte dalla tecnica. Pertanto, in caso di omesso completamento dell’opera (anche se questa, per la parte eseguita, risulti difettosa o difforme), non è consentito, al fine di accertare la responsabilità dell’appaltatore, per inesatto adempimento, far ricorso alla disciplina della suindicata garanzia, che richiede necessariamente il totale compimento dell’opera (Cass. n. 11950/1990)».
«In tema di inadempimento del contratto di appalto, le disposizioni speciali dettate dal legislatore attengono essenzialmente alla particolare disciplina della garanzia per le difformità ed i vizi dell’opera, assoggettata ai ristretti termini decadenziali di cui all’art.1667 cod. civ., ma non derogano al principio generale che governa l’adempimento del contratto con prestazioni corrispettive, il quale comporta che l’appaltatore, il quale agisca in giudizio per il pagamento del corrispettivo convenuto, abbia l’onere – allorché il committente sollevi l’eccezione di inadempimento di cui al terzo comma di detta disposizione – di provare di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione e, quindi, di aver eseguito l’opera conformemente al contratto e alle regole dell’arte (Cass. n. 936/2010)».
La corte d’appello non si è attenuta a tali principi.
Il committente aveva fatto valere l’inadempimento del prestatore, chiedendo la condanna Bouihad Said «a portare a termine a norma di legge, le opere commissionatele, ivi compreso il collaudo delle medesime e il rilascio delle dichiarazioni di conformità» (v. conclusioni dell’appellante trascritte nella sentenza impugnata).
La corte di merito non poteva perciò applicare la disciplina dei vizi, stabilita dall’art. 2226 c.c., senza statuire preliminarmente sulla questione riguardante l’integrale esecuzione dell’opera.
3. Il secondo motivo è infondato.
Il ricorrente sostiene che la volontà dei contraenti, correttamente intesa, deponeva nel senso che il contratto inter partes doveva essere qualificato non come contratto d’opera, ma come contratto d’appalto.
In questi termini la censura si esaurisce nel proporre una diversa interpretazione del contratto, in contrasto con il principio che l’interpretazione del negozio data dal giudice di merito è censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti (Cass. n. 28319/2017).
In verità il ricorrente menziona i canoni del complessivo comportamento delle parti, anche posteriore alla conclusione del contratto e il canone della buona fede, ma in modo generico, mentre, ai fini di suffragare la censura, avrebbe dovuto precisare «in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità» (Cass. n.
17168/2012; conf. n. 13242/2010; n. 9054/2013).
Nell’ambito di questo motivo il ricorrente imputa alla corte di merito di non avere tenuto conto che la qualificazione come appalto risultava da scrittura prodotta dal medesimo prestatore. E’ vero – continua il ricorrente – che il documento era stato firmato solo dal committente, tuttavia la controparte, che l’aveva prodotto, aveva dichiarato di volersene avvalere, anche se solo parzialmente. Secondo il ricorrente, non essendo possibile scindere il contenuto della scrittura, vi era stata ad essa completa adesione, anche in ordine alla qualificazione del rapporto come appalto.
La censura si traduce nella denuncia di un omesso esame di un fatto, di cui, però, è a priori palese la non decisività: fermi i fatti costitutivi il nomen iuris dato dalle parti non è mai vincolante per il giudice (Cass. n. 15925/2007).
4. Il terzo motivo è infondato.
L’art. 2226 c.c. dispone: [ 1] «L’accettazione espressa o tacita dell’opera libera il prestatore d’opera dalla responsabilità per difformità o per vizi della medesima, se all’atto dell’accettazione questi erano noti al committente o facilmente riconoscibili, purché in questo caso non siano stati dolosamente occultati. [2] Il committente deve, a pena di decadenza, denunziare le difformità e i vizi occulti [1490, 1667], al prestatore d’opera entro otto giorni dalla scoperta.
L’azione si prescrive entro un anno dalla consegna. [3]
I diritti del committente nel caso di difformità o di vizi dell’opera sono regolati dall’articolo 1668».
Il significato della norma è stato chiarito dalla Suprema Corte in questi termini: «In tema di contratto d’opera ed in ipotesi di difformità e vizi dell’opera, ai sensi dell’art. 2226 c.c. ed al fine di individuare il termine di decadenza per la denunzia di essi, occorre distinguere i vizi noti al committente o facilmente riconoscibili da quelli occulti, giacché nella prima ipotesi l’accettazione dell’opera senza riserve libera il prestatore dalla responsabilità per i suddetti vizi, mentre nella seconda ipotesi il termine di decadenza di otto giorni decorre dalla relativa scoperta, a prescindere quindi dall’accettazione dell’opera »(Cass. n. 3295/2003).
Dunque la norma non fornisce argomento per sostenere, come si sostiene nel motivo, che se non c’è stata accettazione tanto i vizi palesi quanto quelli occulti potrebbero essere denunciati in qualsiasi momento.
5. Il quarto motivo (omessa pronuncia sul motivo d’appello con il quale fu censurata la sentenza di primo grado sul punto del rilascio delle certificazioni di conformità) è fondato.
Il giudice di primo grado pose l’accento sul fatto che le certificazioni furono prodotte dal prestatore nel corso del giudizio.
Nell’impugnare la sentenza il committente sostenne che la produzione era irrilevante e dimostrava sotto altro profilo l’inadempimento del prestatore e la mancata accettazione delle opere.
Il relativo motivo di appello, riportato nel ricorso, non è stato considerato dalla corte di merito, che su questo aspetto, strettamente connesso con la deduzione dell’inadempimento del prestatore, non ha emesso alcuna statuizione, conseguendone un’omissione di pronuncia tale da imporre la cassazione della sentenza.
Il quinto motivo è inammissibile.
Si legge nel ricorso; «da un’attenta lettura della comparsa di costituzione e risposta, contenente l’appello incidentale, il cui contenuto non viene riportato per brevità di esposizione [ … ]». Tale scelta del ricorrente non tiene conto degli insegnamenti della Suprema Corte sul modo di deduzione di una simile censura. E’ stato chiarito che «il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – che trova la propria ragion d’essere nella necessità di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte – vale anche in relazione ai motivi di appello rispetto ai quali si denuncino errori da parte del giudice di merito; ne consegue che, ove il ricorrente denunci la violazione e falsa applicazione dell’
art. 342 cod. proc. civ. conseguente alla mancata declaratoria di nullità dell’atto di appello per genericità dei motivi, deve riportare nel ricorso, nel loro impianto specifico, i predetti motivi formulati dalla controparte (Cass. n. 86/2012)».
«L’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un errar in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso (Cass. n.22880/2017)».
Il sesto motivo e il settimo motivo sono assorbiti.
In conclusione, accolti il primo e il quarto motivo, la sentenza è cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Torino, che provvederà a nuovo esame attenendosi ai principi di cui sopra e regolerà le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie il primo e il quarto motivo; rigetta il secondo, il terzo e il quinto motivo; dichiara assorbiti il sesto e il settimo motivo; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Torino anche per le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, il 10 gennaio 2018.