Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto processuale penale, Diritto urbanistico - edilizia Numero: 35283 | Data di udienza: 5 Aprile 2011

* DIRITTO URBANISTICO – Manufatto principale abusivo –  Opera edilizia accessoria – Applicazione del regime delle pertinenze urbanistiche – Esclusione –  Locali interrati – Computo a fini volumetrici – Art. 38 D.P.R. 380/2001 in relazione all’art. 44 DPR 380/2001 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Sequestro preventivo o probatorio – Ricorso per cassazione – Limiti.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 29 Settembre 2011
Numero: 35283
Data di udienza: 5 Aprile 2011
Presidente: Ferrua
Estensore: Rosi


Premassima

* DIRITTO URBANISTICO – Manufatto principale abusivo –  Opera edilizia accessoria – Applicazione del regime delle pertinenze urbanistiche – Esclusione –  Locali interrati – Computo a fini volumetrici – Art. 38 D.P.R. 380/2001 in relazione all’art. 44 DPR 380/2001 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Sequestro preventivo o probatorio – Ricorso per cassazione – Limiti.



Massima

  

 

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 29/09/2011 (Ud. 5/04/2011) Sentenza n. 35283

 

DIRITTO URBANISTICO – Manufatto principale abusivo –  Opera edilizia accessoria – Applicazione del regime delle pertinenze urbanistiche – Esclusione –  Locali interrati – Computo a fini volumetrici – Art. 38 D.P.R. 380/2001 in relazione all’art. 44 DPR 380/2001.

 

In materia urbanistica, deve escludersi l’applicabilità del regime delle pertinenze urbanistiche ove l’opera edilizia accessoria acceda ad un manufatto principale abusivo (Cass. Sez.3, n.4087 del 22/11/2007, Ghignoni). Inoltre, è principio consolidato che i locali interrati debbano essere computati a fini volumetrici (Cass. sez.3, n.11011 del 9/7/21999, Boccellari).

 

(conferma ordinanza n. 83/2010 TRIB. LIBERTA’ di VERONA, del 30/07/2010) Pres. Ferrua, Est. Rosi, Ric. Testa

 

 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Sequestro preventivo o probatorio – Ricorso per cassazione – Limiti.

 

Il ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice. (Cass. Sez. U. n. 25932 del 26/06/2008, Ivanov; Cass. Sez. U, n. 5876 13/02/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua  è stato precisato che mentre rientra nel sindacato di legittimità la mancanza di motivazione o la presenza di una motivazione meramente apparente, non vi rientra la sua eventuale illogicità manifesta).

 

(conferma ordinanza n. 83/2010 TRIB. LIBERTA’ di VERONA, del 30/07/2010) Pres. Ferrua, Est. Rosi, Ric. Testa


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 29/09/2011 (Ud. 5/04/2011) Sentenza n. 35283

SENTENZA

 

 
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
 
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
Dott. GIULIANA FERRUA                                – Presidente
Dott. AMEDEO FRANCO                                 – Consigliere
Dott. GIOVANNI AMOROSO                           – Consigliere
Dott. GIULIO SARNO                                      – Consigliere
Dott. ELISABETTA ROSI                                  – Consigliere Rel.
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
– sul ricorso proposto da:  TESTA RACHELE N. IL 22/09/1966
– avverso l’ordinanza n. 83/2010 TRIB. LIBERTA’ di VERONA, del 30/07/2010
– sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Elisabetta Rosi;
– sentite le conclusioni del PG Dott. G.M. che ha chiesto il rigetto;
– udito il difensore avv. P.P. che ha chiesto l’accoglimento;
 
RITENUTO IN FATTO
 
Il Tribunale di Verona, Sezione Riesame, con ordinanza del 30 luglio 2010 ha rigettato il ricorso avverso il decreto di sequestro preventivo di un chiosco lungolago disposto dal Gip del Tribunale di Verona del 14 luglio 2010, nei confronti di Testa Rachele, indagata dei reati di cui agli artt. 44 lett.a) e c) DPR 380 del 2001 e al reato di abuso di ufficio, commessi in concorso con altri, in relazione al rilascio del permesso di costruire, e all’annullamento solo parziale del precedente permesso ed alla mancata adozione dell’ordine di rimessione in pristino, atti tutti illegittimi.
 
L’indagata, tramite il proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione per i seguenti motivi:
1.Violazione di legge per inosservanza o erronea applicazione dell’art. 321 c.p.p. e dell’art. 38 D.P.R. 380/2001 in relazione all’art. 44 DPR 380/2001, insussistenza del fumus delicti del reato edilizio. Il Tribunale del Riesame di Verona ha affermato che la sanatoria rilasciata dal Comune ex art. 38 D.P.R. n. 380/2001 sarebbe irrilevante, in quanto l’adottata opzione dell’irrogazione della sanzione amministrativa, in luogo dell’ordine di demolizione e di rimessione in pristino, era del tutto priva della prescritta “motivata valutazione” circa l’impossibilità di procedere alla demolizione e rimessione in pristino. Di contro, il provvedimento con il quale l’ufficio tecnico del Comune di Malcesine ha optato per l’irrogazione della sanzione amministrativa è in realtà fornito di motivata valutazione: “Ritenuto che non sia possibile la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino per le motivazioni in premessa”. Inoltre esiste un orientamento giurisprudenziale amministrativo che esprime il favor per la sanzione pecuniaria rispetto a quella demolitoria e che impone una esplicita motivazione in riferimento alle ragioni che inducono a ritenere prevalente l’interesse alla distruzione di un opera in luogo dell’irrogazione delle sanzioni alternative. Per quanto riguarda poi l’aspetto contenutistico del provvedimento l’aver considerato che “le opere che non rientrano in termini di volume, ovvero interrate”, costituiva un presupposto del tutto logico della scelta della sanzione pecuniaria. II Tribunale del Riesame avrebbe poi omesso di considerare che la ragione della scelta della rimozione della costruzione edificata non poteva essere individuata esclusivamente in una ragione tecnica, ma doveva essere contestualmente valutata la sussistenza dell’interesse pubblico alla demolizione e dell’interesse privato al mantenimento dell’opera. Da ultimo il Tribunale sarebbe incorso in errore in quanto Testa Rachele, proprietaria dell’immobile, non era né il soggetto che aveva richiesto il permesso di costruire, né l’originaria committente dei lavori.
 
2. Violazione di legge per inosservanza o erronea applicazione dell’art. 321 cpp, dell’art. 28 del regolamento edilizio del Comune di Malcesine, in relazione all’art.44 DPR 380/2001, per insussistenza del fumus del reato di violazione edilizia della violazione della normativa regolamentare e comunque per erronea valutazione della posizione di estraneità al reato della ricorrente. Il Tribunale del Riesame ha ritenuto illegittimo l’annullamento parziale del permesso di costruire, con riguardo ai soli volumi fuori terra, in quanto le costruzioni interrate non potevano essere al servizio di alcun fabbricato principale legittimamente costruito, invece l’art. 28 del Reg. Edilizio riguarda “costruzioni accessorie, e dunque, costruzioni che accedono a fabbricati principali”, per cui le costruzioni interrate non potevano essere considerate illegittime perchè opere accessorie. Infatti il comma 2 di tale disposizione prevede che: “In tutte le zone del territorio sono sempre ammissibili locali interrati destinati a deposito per artigianato produttivo e per il commercio, con assoluto divieto di esercitarvi qualsiasi attività produttiva. Il rilascio della concessione edilizia sarà subordinato alla dimostrazione dell’effettiva necessità da parte dei richiedenti”. Pertanto in relazione ai locali interrati, il concetto di accessorietà è stato sostituito da quello di destinazione d’uso in relazione ad una attività artigianale o commerciale, senza necessità quindi della dipendenza da struttura edilizia “principale” e la ricorrente è titolare di licenza per la somministrazione di alimenti e bevande, nonché per il noleggio di sdrai ed ombrelloni, atteso che il terreno è confinante con l’area destinata a spiaggia.
 
3. Violazione di legge per inosservanza o erronea applicazione dell’art. 321 cpp dell’art. 44 DPR 380/2001 e dell’art. 323 c.p. Ai sensi dell’art. 38 D.P.R. n. 380 del 2001 doveva essere ritenuta sanata la violazione, per cui non sussiste il fumus delicti. La legittimità del provvedimento di sanatoria, e del provvedimento di annullamento parziale del permesso di costruire illegittimo, con la conseguente salvaguardia della legittimità della parte di concessione concernente le opere interrate, sulla base di una corretta lettura ed interpretazione dell’art. 28, comma 2, del Regolamento edilizio del Comune di Malcesine, avrebbe dovuto condurre il Collegio del riesame a ritenere insussistente anche il fumus delicti del delitto di abuso di ufficio, atteso il corretto iter e l’adozione di provvedimenti alla luce di un parere legale fornito da professionista esterno all’Ufficio Comunale. Inoltre il Tribunale non ha tenuto conto che il permesso di costruire era stato preceduto dall’autorizzazione paesaggistica rilasciata con intervento favorevole della Sovrintendenza, per cui nessun danno ambientale era suscettibile di essere prodotto. II Tribunale del Riesame non ha inoltre considerato che la violazione di cui all’art. 44 del DPR 380/2001, peraltro estinta per effetto della procedura amministrativa adottata, è reato contravvenzionale per il quale non è prevista come sanzione accessoria la confisca.
In prossimità dell’udienza il difensore della ricorrente ha presentato memoria allegando copia di altre concessioni edilizie rilasciate dal Comune di Malcesine relative a locali interrati in zone di assoluto rispetto, identiche per tipologia a quella oggetto del giudizio.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
Tutti i motivi di ricorso non sono fondati.
 
Deve essere precisato che il ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo“, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice. (così, Sez. U, n. 25932 del 26 giugno 2008, Ivanov, Rv. 239692; in precedenza, con la sentenza Sez. U, n. 5876 del 13 febbraio 2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710, è stato precisato che mentre rientra nel sindacato di legittimità la mancanza di motivazione o la presenza di una motivazione meramente apparente, non vi rientra la sua eventuale illogicità manifesta).
 
Invero l’ordinanza impugnata ha esaustivamente motivato le ragioni del rigetto del gravame proposto, condividendo gli elementi posti a fondamento degli ipotizzati reati edilizi e dell’abuso di ufficio, per i quali si indaga (fumus delicti), elementi illustrati anche dal giudice per le indagini preliminari nel decreto di sequestro preventivo, ribadendo innanzitutto l’irrilevanza del rilasciato permesso a costruire il chiosco in data 21 ottobre 2009 (originariamente rilasciato a Testa Pietro e poi volturato alla ricorrente), in quanto palesemente illegittimo, perché la zona (via Lungolago) risulta nel P.R.G. non edificabile, di assoluto rispetto ed inoltre l’intervento è stato effettuato in violazione degli strumenti urbanistici e del regolamento edilizio. Né è stato ritenuto legittimo il successivo provvedimento di sanatoria, intervenuto in data 17 maggio 2010, dopo che, a seguito di segnalazioni e ricorsi, il Comune in sede di autotutela aveva annullato parzialmente (“limitatamente alla porzione dell’immobile che determina un volume urbanistico”) detto permesso, in data 21 aprile 2010, legittimando le opere interrate per circa 80 mq.
 
II giudice del riesame, infatti, ha il potere di sindacare tale provvedimento (cfr. Sez.3, n. 26144 del 22/4/2008, Papa, Rv 240728) ed ha ritenuto che la disposizione dell’art. 38 del D.P.R. 380 del 2001 fosse stata strumentalizzata in aperta violazione del suo dettato: il provvedimento di sanatoria (che aveva dato atto del versamento da parte di Testa Rachele della somma di 159 mila euro oltre a spese) aveva affermato l’impossibilità della restituzione in pristino senza alcuna effettiva motivazione sulle ragioni che non avrebbero consentito la demolizione dell’opera abusiva (quali ad esempio problemi di staticità). Inoltre il Collegio del riesame ha precisato che non può essere ritenuto in linea con la disposizione di cui al richiamato art. 28 del regolamento edilizio il provvedimento di annullamento parziale, posto che la norma si riferisce alle costruzioni accessorie, ma i volumi interrati in oggetto non potrebbero essere considerate accessori ad alcun fabbricato principale.
 
L’affermazione del Collegio del riesame è corretta: a tal proposito, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che deve escludersi l’applicabilità del regime delle pertinenze urbanistiche ove l’opera edilizia accessoria acceda ad un manufatto principale abusivo (in tal senso Sez.3, n.4087 del 22/11/2007, Ghignoni, Rv.238623); inoltre deve essere sottolineato che è principio consolidato che i locali interrati debbano essere computati a fini volumetrici (tra le altre sez.3, n.11011 del 9/7/21999, Boccellari, Rv.214273), per cui il provvedimento di annullamento adottato risulta ancor più contraddittorio laddove aveva “limitato” l’annullamento alla porzione di immobile che determinava volumetria, lasciando Inalterati i realizzati locali interrrati.
 
Il Collegio del riesame ha inoltre fornito congrua motivazione sulla sussistenza del fumus del reato di abuso di ufficio di cui all’art. 323 c.p., il quale deriva proprio dall’entità ed evidenza dell’illegittimità non solo dell’originario permesso di costruire, ma anche dell’annullamento in sede di autotutela e della successiva procedura di sanatoria, unito al fatto che altre analoghe richieste risultavano respinte, nonché dalla circostanza della esistente parentela con un assessore comunale del coindagato che aveva presentato la richiesta di rilascio del permesso a costruire poi volturato all’attuale intestataria e ricorrente.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato e la ricorrente deve essere condannata, ai sensi del disposto di cui all’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.
 
PQM
 
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. 
 
Così deciso in Roma, il 5 aprile 2011.

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