Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime |
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Numero: 46149 |
Data di udienza: 13 Luglio 2016
INQUINAMENTO ATMOSFERICO – ARIA – Emissioni in atmosfera – Origine non industriale – Situazione idonea a determinare di disturbo, disagio o fastidio nelle persone – Applicabilità dell’art. 674 cod. pen. – Giurisprudenza – Molestie olfattive – Protezione adeguata all’ambiente ed alla salute umana – Parametro della “stretta tollerabilità” – Art. 844 cod. civ. – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza – Nesso causale e elemento soggettivo del reato – Mutamento del fatto – Pregiudizio dei diritti della difesa – Art. 521 cod. proc. pen..
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 3 Novembre 2016
Numero: 46149
Data di udienza: 13 Luglio 2016
Presidente: ANDREAZZA
Estensore: RENOLDI
Premassima
INQUINAMENTO ATMOSFERICO – ARIA – Emissioni in atmosfera – Origine non industriale – Situazione idonea a determinare di disturbo, disagio o fastidio nelle persone – Applicabilità dell’art. 674 cod. pen. – Giurisprudenza – Molestie olfattive – Protezione adeguata all’ambiente ed alla salute umana – Parametro della “stretta tollerabilità” – Art. 844 cod. civ. – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza – Nesso causale e elemento soggettivo del reato – Mutamento del fatto – Pregiudizio dei diritti della difesa – Art. 521 cod. proc. pen..
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 03/11/2016 (Ud. 13/07/2016) Sentenza n.46149
INQUINAMENTO ATMOSFERICO – ARIA – Emissioni in atmosfera – Origine non industriale – Situazione idonea a determinare di disturbo, disagio o fastidio nelle persone – Applicabilità dell’art. 674 cod. pen. – Giurisprudenza.
Le emissioni in atmosfera rilevanti ai fini dell’applicabilità dell’art. 674 cod. pen., non devono essere necessariamente di origine industriale, ma possono essere riconducibili a qualunque ordinaria attività umana: dalle immissioni causate da caldaie a metano per il riscaldamento (Sez. 3, n. 35730 del 28/09/2007, Bodrato), alle esalazioni maleodoranti, provenienti da deiezioni animali (Sez. 3, n. 32063 del 31/07 /2008, Imperadori; Sez. 3, n. 19206 del 13/05/2008, Crupi e altro), sino all’odore di caffè bruciato, purché particolarmente intenso (Sez. 3, n. 12019 del 10/02/2015, Pippi). Ciò che rileva, in questi casi, è che l’emissione odorigena sia tale da poter determinare una situazione di disturbo, disagio o fastidio nelle persone (Cass. Sez. 3, n. 2377 del 4/11/2011, Landi; Sez. 3, n. 3678 del 4/11/2006, Giusti).
INQUINAMENTO ATMOSFERICO – ARIA – Emissioni – Molestie olfattive – Protezione adeguata all’ambiente ed alla salute umana – Parametro della “stretta tollerabilità” Art. 674 cod. pen. – Art. 844 cod. civ..
Per l’integrazione della contravvenzione prevista dall’art. 674 cod. pen. nel caso di “molestie olfattive” prodotte al di fuori di attività produttive le cui emissioni siano assoggettate a limiti normativi, rinvia al parametro della “stretta tollerabilità”, sul presupposto che il criterio della “normale tollerabilità” previsto dall’art. 844 cod. civ. e richiesto da talune pronunce (v. Sez. 3, n. 45230 del 3/07/2014, Benassi; Sez. 3, n. 34896 del 14/07/2011, Ferrara) non sia idoneo ad assicurare una protezione adeguata all’ambiente ed alla salute umana (Sez. 3, n. 36905 del 18/06/2015, Maroni; Sez. 3, n. 2475 del 9/10/2007, Alghisi e altro). Una situazione, quella delle emissioni eccedenti la “stretta tollerabilità”, legata a emissioni certamente non misurabili con specifici strumenti, ma altrettanto pacificamente accertabili, nella loro idoneità offensiva, alla stregua delle semplici dichiarazioni di testi, consistenti nel riferimento a quanto oggettivamente percepito dagli stessi dichiaranti (Sez. 3, n. 12019 del 10/02/2015, Pippi). Ciò che, appunto, si è verificato nel caso di specie, avendo le persone offese, sentite come testi, riferito gli effetti pregiudizievoli prodotti dall’inalazione; effetti che certamente eccedevano la normale tollerabilità, essendo gli stessi dovuti ricorrere finanche al controllo dei medici, sia pure, fortunatamente, senza ulteriore conseguenze sul piano delle indicazioni terapeutiche.
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza – Nesso causale e elemento soggettivo del reato – Mutamento del fatto – Pregiudizio dei diritti della difesa – Art. 521 cod. proc. pen..
Le norme che disciplinano la correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza, avendo lo scopo di assicurare il contraddittorio sul contenuto dell’accusa e, quindi, il pieno esercizio del diritto di difesa dell’imputato, vanno interpretate con riferimento alle finalità alle quali sono dirette. Pertanto, esse non possono ritenersi violate da qualsiasi modificazione rispetto all’accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell’imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell’imputato. In altri termini, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione, da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa (Sez. U., n. 36551 del 15/07 /2010, Carelli). Su tali basi la violazione del principio in questione sussiste solo quando, nella ricostruzione del fatto posta a fondamento della decisione, la struttura dell’imputazione sia modificata quanto alla condotta, al nesso causale ed all’elemento soggettivo del reato, al punto che, per effetto delle divergenze introdotte, la difesa apprestata dall’imputato non abbia potuto utilmente sostenere la propria estraneità ai fatti criminosi globalmente considerati. E dunque, ai fini della valutazione di corrispondenza tra pronuncia e contestazione di cui all’art. 521 cod. proc. pen. deve tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell’imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicché questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento della decisione (Sez. 6, n. 47527 del 13/11/2013, Di Guglielmi e altro, Rv. 257278; Sez. 6, n. 5890 del 22/01/2013, Lucera e altri, Rv. 254419; Sez. 3, n. 15655 del 27/02/2008, Fontanesi, Rv.239866).
(Dichiara inammissibile il ricorso avverso la sentenza in data 24/11/2014 del TRIBUNALE DI ASTI) Pres. ANDREAZZA, Rel. RENOLDI, Ric. Capello
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 03/11/2016 (Ud. 13/07/2016) Sentenza n.46149
SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 03/11/2016 (Ud. 13/07/2016) Sentenza n.46149
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da Capello Ester, nata a Carnnagnola il 17/05/1961;
avverso la sentenza in data 24/11/2014 del Tribunale di Asti;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Carlo Renoldi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. Gabriele Mazzotta, che ha concluso chiedendo la pronuncia di una declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 24/11/2014, il Tribunale di Asti condannò Ester Capello alla pena di 200,00 euro di ammenda in relazione alla contravvenzione di cui all’art. 674 cod. pen., accertata in Carmagnola il 26/09/2011, per avere, con colpa legata all’utilizzo di sostanze irritanti in un cortile ad uso comune con altre famiglie e senza alcun preavviso, sversato una quantità di creolina idonea a provocare emissioni di vapori che, inalati da Lorenzo Perrero e Graziella Solaro, avevano cagionato loro “un forte fastidio agli occhi ed alla gola”.
Con lo stesso provvedimento, l’imputata fu assolta, con la formula “perché il fatto non sussiste”, in relazione al reato di cui all’art. 590 cod. pen., contestato in concorso con la predetta contravvenzione.
1.1. Secondo il Tribunale era stato provato, all’esito dell’istruttoria dibattimentale, che l’imputata avesse sparso una sostanza chimica, denominata “creoàlina”, nel cortile condominiale, al fine di eliminare i residui organici e il relativo odore prodotti dal gatto dei vicini di casa, Lorenzo Ferrera e Graziella Solaro; e che, in conseguenza di tale azione, costoro avessero subito “un forte fastidio agli occhi ed alla gola”. Tale vicenda, secondo quanto emerso a dibattimento, si inseriva nell’ambito dei rapporti di “mal vicinato” tra le parti, attestati da un lungo elenco di reciproche querele.
Nondimeno, secondo il Tribunale, nessun dubbio poteva ragionevolmente nutrirsi in ordine alla verificazione del fatto e alla sua riferibilità all’imputata, sia tenuto conto delle dichiarazioni rese dalle parti offese, pacificamente utilizzabili ai fini della decisione, per giurisprudenza costante, indipendentemente dalla loro costituzione come parte civile, secondo il regime dettato dall’art. 192, comma 1, cod. proc. pen.; sia in considerazione dei riscontri acquisiti rispetto a tali dichiarazioni (v. la deposizione di Mauro Fantino, in servizio presso l’A.S.L. di Torino il quale, intervenuto sul posto nei giorni successivi, aveva avvertito ancora un odore intenso e fortemente sgradevole); sia in considerazione del fatto che la stessa imputata aveva sostanzialmente ammesso l’addebito, precisando di aver acquistato il prodotto chimico e di averlo utilizzato per le finalità prima ricordate.
1.2. Secondo il primo giudice, inoltre, lo sversamento del prodotto all’interno del cortile condominiale aveva integrato l’elemento oggettivo del reato di getto pericoloso di cose di cui all’art. 674 cod. pen., configurabile anche in presenza di “immissioni olfattive”, rientrando tra le “emissioni di gas, vapore o fumo atte ad offendere o imbrattare o molestare persone”, tutte le sostanze volatili che emanino “odori” provocanti disturbo, disagio o fastidio alle persone; ed essendo stato, nella specie, dimostrato che le immissioni avevano “creato eclatanti disturbi alla coppia dei vicini”.
Inoltre, secondo il Tribunale, nel caso in esame, ai fini della integrazione della fattispecie non sarebbe stato necessario verificare l’avvenuto superamento del limite della normale tollerabilità previsto dall’art. 844 cod. civ., atteso che nella specie non si era “in presenza di alcuna attività lavorativa strutturata”; e per lo stesso motivo fu ritenuta infondata la tesi difensiva secondo cui non sarebbe stato dimostrato il mancato superamento di determinati limiti tabellari. Ciò conformemente all’orientamento giurisprudenziale secondo cui la clausola “nei casi non consentiti dalla legge”, contemplata nell’art. 674 cod. pen., non sarebbe riferibile alla condotta di getto o versamento pericoloso di cose di cui alla prima parte della norma citata, escludendosi il reato soltanto per le emissioni di gas, vapori o fumo specificamente consentite ove rispettose di determinati limiti tabellari o di altre disposizioni amministrative.
Quanto poi al profilo soggettivo, la sentenza impugnata affermò l’esistenza di un profilo di colpa a carico dell’imputata, da un lato in ragione della particolare sostanza utilizzata (necessitante “di un utilizzo misurato e competente a causa dei rischi di tossicità connessa”), dall’altro lato per il fatto che lo sversamento era avvenuto nel cortile condominiale e, dunque, in un luogo ovviamente frequentato.
2. Avverso la predetta sentenza Ester Capello ha proposto appello a mezzo del proprio difensore. L’impugnazione, articolata in quattro motivi, deve ritenersi convertita in ricorso per cassazione in virtù del principio generale posto dall’art. 568, comma 5, cod. proc. pen..
Con il primo motivo, si denuncia la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza e la carenza di prova in ordine al fatto che l’emissione di vapori, contestata all’imputata, sia avvenuta in violazione delle norme che regolano l’inquinamento atmosferico (ovvero, nel caso di specie, del d.p.r. n. 203 del 1998).
Sotto un primo profilo, la sentenza di primo grado avrebbe affermato la responsabilità penale di Ester Capello in relazione ad una condotta generativa di “immissioni olfattive”, laddove il capo di imputazione avrebbe, invece, fatto riferimento allo sversamento di “una quantità di creolina idonea a provocare emissione di vapori che inalati da Ferrera Lorenzo e Solaro Graziella cagionavano loro lesioni”.
Inoltre, con riferimento alle condotte di emissione di vapori, ai fini della configurabilità del reato previsto dalla seconda parte dell’art. 674, l’espressione “nei casi non consentiti dalla legge” richiederebbe che l’emissione sia avvenuta in violazione delle norme in materia di inquinamento atmosferico, individuate nel D.P.R. n. 203 del 1998. Con la conseguenza, che, ponendo la legge una sorta di presunzione di legittimità delle emissioni di vapori non superiori alla soglia fissata dalle leggi speciali, sarebbe stato necessarie dimostrare che le stesse avevano superato gli standard fissati dalla legge; atteso che quando le emissioni, pur essendo contenute nei limiti normativi, abbiano arrecato concretamente fastidio alle persone, superando la “normale tollerabilità”, si applicherebbero soltanto le norme di carattere civilistico contenute nell’art. 844 cod. civ..
Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta l’errata motivazione nella quale sarebbe incorso il Tribunale nel ritenere infondata la tesi difensiva circa la mancata prova del superamento del limite di tollerabilità, nonché l’insufficienza delle prove anche in ordine alla causa specifiche delle emissioni olfattive.
Sotto quest’ultimo profilo, si deduce che il Tribunale non avrebbe affatto provato che le emissioni rilevate sul posto fossero da ascriversi allo sversamento del disinfettante e non, piuttosto, all’azione combinata del disinfettante utilizzato e delle deiezioni del felino, le quali, già prima dello sversamento della creolina, avrebbero provocato “miasmi insopportabili superiori alla normale tollerabilità”.
Con il terzo motivo si deduce la carenza dell’elemento soggettivo in capo all’imputata e la sussistenza dell’esimente della legittima difesa, atteso che la donna avrebbe agito unicamente per porre rimedio ai pericoli per la salute derivanti dai residui organici dell’animale di proprietà dei vicini; e, in una tale situazione, avrebbe agito per legittima difesa, quantomeno putativa.
Con il quarto motivo la ricorrente deduce la inattendibilità delle persone offese, costituite parti civili, dimostrata dalle continue denunce e querele dagli stessi presentate nei suoi confronti e, indirettamente, dal fatto che nessun disturbo sarebbe stato lamentato, invece, dall’imputata e dai suoi familiari, quali abitavano nello stesso immobile che si affacciava sul cortile comune.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Procedendo all’analisi dei motivi di ricorso secondo un ordine logico, conviene innanzitutto trattare il quarto motivo di ricorso, il quale è manifestamente infondato.
Per un verso, infatti, esso finisce per articolare una serie di semplici censure di fatto, argomentando l’inattendibilità delle persone offese alla stregua del dato, peraltro non certo decisivo, che altri abitanti del condominio, tra cui la stessa imputata, non avrebbero lamentato analoghi disturbi.
Per altro verso, ritiene il Collegio che la sentenza impugnata abbia comunque esplicitato, con percorso motivazionale coerente ed immune da censure logiche, le ragioni per le quali ha ritenuto provato sia che il versamento della creolina, nell’aria condominiale comune, fosse stato compiuto dall’imputata, avendo ella pacificamente ammesso tale circostanza; sia che la sostanza fosse idonea, per la sua tossicità, a determinare un pregiudizio per la salute dei presenti, anche tenuto conto che l’odore acre persisteva nell’ambiente anche a distanza di alcuni giorni, secondo quanto riferito dal teste della A.s.l..
Ne consegue, pertanto, la declaratoria di manifesta infondatezza della censura dedotta con il quarto motivo.
4. Venendo, poi, al primo motivo di impugnazione, la ricorrente deduce, innanzitutto, la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, atteso che il Tribunale ne avrebbe affermato la responsabilità penale in relazione ad una condotta generativa di “immissioni olfattive”, laddove il capo di imputazione avrebbe, invece, fatto riferimento allo sversamento di “una quantità di creolina idonea a provocare emissione di vapori che inalati da Ferrera Lorenzo e Solaro Graziella cagionavano loro lesioni”.
Sul punto occorre premettere che il primo giudice si è in realtà pronunciato su un’imputazione nella quale era stato descritto un episodio suscettibile di integrare, quantomeno alla stregua dell’ipotesi accusatoria, due distinte fattispecie incriminatrici: quella di cui all’art. 674 e quella contemplata dall’art. 590 cod. pen..
Appare chiaro, pertanto, anche alla stregua dell’ordito motivazionale della sentenza impugnata, che il riferimento alle lesioni, guaribili in tre giorni, fosse in realtà riferibile all’ipotesi di cui all’art. 590 cod. pen., peraltro ritenuta insussistente all’esito dell’istruttoria dibattimentale.
Viceversa, la contravvenzione prevista dall’art. 674 cod. pen. è stata ritenuta integrata attraverso lo sversamento di una sostanza chimica volatile (la creolina) e la conseguente produzione di emissioni odorigene sotto forma di vapori che, inalati dalle due persone offese, avevano ad esse “creato eclatanti disturbi”.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, deve ritenersi non contestabile che il provvedimento impugnato si sia confrontato esclusivamente con la descrizione del fatto contenuta nell’imputazione e non con altre circostanze o accadimenti ad essa estranei.
In argomento va ricordato il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui le norme che disciplinano la correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza, avendo lo scopo di assicurare il contraddittorio sul contenuto dell’accusa e, quindi, il pieno esercizio del diritto di difesa dell’imputato, vanno interpretate con riferimento alle finalità alle quali sono dirette. Pertanto, esse non possono ritenersi violate da qualsiasi modificazione rispetto all’accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell’imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell’imputato. In altri termini, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione, da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa (Sez. U, n. 36551 del 15/07 /2010, Carelli, Rv. 248051).
Su tali basi la violazione del principio in questione sussiste solo quando, nella ricostruzione del fatto posta a fondamento della decisione, la struttura dell’imputazione sia modificata quanto alla condotta, al nesso causale ed all’elemento soggettivo del reato, al punto che, per effetto delle divergenze introdotte, la difesa apprestata dall’imputato non abbia potuto utilmente sostenere la propria estraneità ai fatti criminosi globalmente considerati (Sez. 6, n. 34879 del 10/01/2007, Sartori e altri, Rv. 237415; Sez. 6, n. 12175 del 21/01/2005, Tarricone e altri, Rv. 231483; Sez. 1, n. 4655 del 10/12/2005, Addis, Rv. 230771; Sez. 6, n. 40538 del 6/02/2004, Lombardo, Rv. 229950). E dunque, ai fini della valutazione di corrispondenza tra pronuncia e contestazione di cui all’art. 521 cod. proc. pen. deve tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell’imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicché questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento della decisione (Sez. 6, n. 47527 del 13/11/2013, Di Guglielmi e altro, Rv. 257278; Sez. 6, n. 5890 del 22/01/2013, Lucera e altri, Rv. 254419; Sez. 3, n. 15655 del 27/02/2008, Fontanesi, Rv.239866).
Nel caso di specie, il primo giudice ha analizzato proprio quelle circostanze di fatto che erano state descritte nell’imputazione: e segnatamente, come già osservato, lo sversamento della sostanza tossica, la conseguente produzione di vapori, la inalazione degli stessi da parte dei due vicini di casa, lo stato di malessere e di fastidio dagli stessi patito.
Nessun mutamento del fatto, né alcuna violazione del diritto di difesa è, dunque, configurabile nel caso di specie, posto che il fatto oggetto della sentenza è sicuramente il medesimo descritto nell’imputazione e che, nel corso del giudizio di primo grado, l’imputata ha, comunque, potuto pienamente confrontarsi, in chiave dialettica e critica, con le contestazioni che le erano state mosse.
4.1. Tanto premesso, e venendo alle ulteriori censure relative alla ricostruzione della fattispecie contravvenzionale per cui è condanna, giova preliminarmente ricordare come l’art. 674 cod. pen., rubricato “getto pericoloso di cose”, punisca il fatto di colui che “getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti”.
Nel caso di specie, invero, il giudice di prime cure ha correttamente ritenuto che fosse stata integrata la fattispecie contemplata dalla seconda parte della citata disposizione, relativa alla condotta di colui il quale”( … ) in un luogo privato ma di comune ( … ) uso”, provoca “nei casi non consentiti dalla legge, emissioni ( … ) di vapori ( … ), atti” a “molestare persone”.
Tale fattispecie, che all’epoca della sua introduzione costituì un significativo elemento di novità rispetto a quanto previsto dal codice penale precedente, è finalizzata a punire la produzione di emissioni pericolose o comunque moleste, le quali, secondo la previgente normativa, non integravano alcun illecito contravvenzionale, in quanto non riconducibili alla nozione di “getto” o “versamento” di cose. Emissioni in atmosfera che, secondo un ormai consolidato indirizzo interpretativo, non devono essere necessariamente di origine industriale, ma che possono essere riconducibili a qualunque ordinaria attività umana: dalle immissioni causate da caldaie a metano per il riscaldamento (Sez. 3, n. 35730 del 28/09/2007, Bodrato, Rv. 237381), alle esalazioni maleodoranti, provenienti da deiezioni animali (Sez. 3, n. 32063 del 31/07 /2008, Imperadori, Rv. 240832; Sez. 3, n. 19206 del 13/05/2008, Crupi e altro, Rv. 239874), sino all’odore di caffè bruciato, purché particolarmente intenso (Sez. 3, n. 12019 del 10/02/2015, Pippi, Rv. 262711).
Ciò che rileva, in questi casi, è che l’emissione odorigena sia tale da poter determinare, come rilevato dal Tribunale, una situazione di disturbo, disagio o fastidio nelle persone (così Sez. 3, n. 2377 del 4/11/2011, Landi, Rv. 251903; Sez. 3, n. 3678 del 4/11/2006, Giusti, Rv. 233291).
Secondo quanto accertato nel corso dell’istruttoria di primo grado, l’imputata aveva versato della creolina, prodotto chimico utilizzato per disinfettare e dalla elevata tossicità, nel cortile condominiale allo scopo di eliminare gli odori e ogni altro residuo organico riconducibili al gatto delle persone offese; e, per effetto di tale utilizzo, queste ultime avevano patito “un forte fastidio agli occhi e alla gola”.
Dunque, secondo quanto ritenuto nella sentenza impugnata, la condotta appena descritta ha determinato la diffusione nello spazio condominiale di gas o vapori dalla accertata capacità offensiva o comunque molestatrice, secondo una modalità operativa che appare chiaramente riconducibile al paradigma normativo.
Secondo l’assunto dell’imputato, però, ai fini dell’integrazione della fattispecie occorrerebbe verificare se la condotta abbia superato i valori stabiliti da parametri normativi o comunque amministrativi, dovendo escludersi, in caso di riscontro negativo, la configurabilità del reato.
Tale ricostruzione non appare fondata alla luce dell’orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, secondo cui nei casi in cui le emissioni non siano prodotte nell’ambito di attività industriali o comunque autorizzate, non può configurarsi l’operatività di criteri positivitizzati, normativi o amministrativi, ai quali l’attività di emissione atmosferica sia chiamata ad uniformarsi (v. Sez. 3, n. 34896 del 27/09/2011, Ferrara; Sez. 3, n. 2377 /2012 del 4/11/ 2011, Landi, Rv. 251903; Sez. 1, n. 16693 del 27/03/2008, Palizzi, Rv. 240117).
Giova, peraltro, ribadire che nel caso di specie, più che di emissioni meramente odorigene si era trattato, quantomeno alla stregua della contestazione e della pronuncia di condanna, di emissioni di sostanze vaporizzate o comunque allo stato gassoso le quali, venendo inalate, avevano determinato, nelle persone offese, “un forte fastidio agli occhi e alla gola” ovvero una situazione di marcata irritazione a livello fisico, legata al contatto determinatosi tra la sostanza e le mucose.
In proposito, occorre rilevare come al fine di apprezzare l’idoneità offensiva della condotta, appare comunque indispensabile, al fine di evitare il ricorso a inafferrabili soggettivismi valutativi, fare riferimento a parametri, che pur non rigidamente predeterminati in valori numerici fissi, siano comunque oggettivabili, alla stregua di criteri socialmente riconoscibili.
In questa prospettiva, nella specie può certamente mutuarsi l’indirizzo interpretativo che, per l’integrazione della contravvenzione prevista dall’art. 674 cod. pen. nel caso di “molestie olfattive” prodotte al di fuori di attività produttive le cui emissioni siano assoggettate a limiti normativi, rinvia al parametro della “stretta tollerabilità”, sul presupposto che il criterio della “normale tollerabilità” previsto dall’art. 844 cod. civ. e richiesto da talune pronunce (v. Sez. 3, n. 45230 del 3/07/2014, Benassi, Rv. 260980; Sez. 3, n. 34896 del 14/07/2011, Ferrara, Rv. 250868) non sia idoneo ad assicurare una protezione adeguata all’ambiente ed alla salute umana (Sez. 3, n. 36905 del 18/06/2015, Maroni, Rv. 265188; Sez. 3, n. 2475 del 9/10/2007, Alghisi e altro, Rv. 238447).
Una situazione, quella delle emissioni eccedenti la “stretta tollerabilità”, legata a emissioni certamente non misurabili con specifici strumenti, ma altrettanto pacificamente accertabili, nella loro idoneità offensiva, alla stregua delle semplici dichiarazioni di testi, consistenti nel riferimento a quanto oggettivamente percepito dagli stessi dichiaranti (Sez. 3, n. 12019 del 10/02/2015, Pippi, Rv. 262711). Ciò che, appunto, si è verificato nel caso di specie, avendo le persone offese, sentite come testi, riferito gli effetti pregiudizievoli prodotti dall’inalazione; effetti che certamente eccedevano la normale tollerabilità, essendo gli stessi dovuti ricorrere finanche al controllo dei medici, sia pure, fortunatamente, senza ulteriore conseguenze sul piano delle indicazioni terapeutiche.
4.2. Le considerazioni da ultimo svolte impongono di qualificare in termini di manifesta infondatezza anche il secondo motivo, laddove la ricorrente lamenta che il Tribunale non avrebbe provato che le emissioni moleste rilevate sul posto fossero da ascriversi allo sversamento del disinfettante e non anche all’azione combinata del disinfettante e delle deiezioni dell’animale domestico di proprietà delle persone offese. Anche a prescindere dalla circostanza che tale censura attiene, all’evidenza, a meri profili di fatto, come tali sottratti al controllo di legittimità, è appena il caso di rilevare come l’assenza di parametri oggettivi in grado di misurare l’idoneità offensiva delle emissioni e, dunque, la possibilità di determinare un effetto molesto, comporti, come più sopra rilevato, non già la non configurabilità del reato, quanto piuttosto la semplice necessità di riferirsi alle dichiarazioni dei testimoni, in questo caso individuabili nelle stesse persone offese, circa la capacità della condotta accertare di incidere, in misura eccedente la “stretta tollerabilità”, sulla salute delle persone o comunque sulla pubblica incolumità.
4.3. Quanto al terzo motivo di ricorso, la ricorrente ha dedotto da un lato la mancanza dell’elemento soggettivo in capo all’imputata e, dall’altro lato, la sussistenza dell’esimente della legittima difesa, avendo la donna agito per fronteggiare i pericoli per la salute derivanti dai residui delle deiezioni dell’animale di proprietà dei vicini.
La configurabilità della legittima difesa, che sulla base degli atti disponibili non risulta essere stata mai dedotta davanti al primo giudice, è certamente da escludere, nel caso in esame, considerato che l’imputata avrebbe sicuramente potuto ricorrere ad altro genere di rimedio, ad esempio sollecitando l’intervento da parte degli organi del Servizio sanitario pubblico, sicché nella specie non può configurarsi la situazione di reale “costrizione” ovvero di “necessità” difensiva richiesta dall’art. 52 cod. pen., secondo cui la reazione deve essere, nelle circostanze della vicenda apprezzate “ex ante”, l’unica possibile, non sostituibile con altra meno dannosa egualmente idonea alla tutela del diritto (v., tra le molte, Sez. 5, n. 25653 del 14/05/2008, Diop e altro, Rv. 240447).
Quanto poi alla censura relativa alla ritenuta insussistenza dell’elemento soggettivo, ricordato che la fattispecie contravvenzionale è soggettivamente imputabile a titolo di colpa, secondo la regola generale posta dall’art. 42, comma 4, cod. pen., deve riconoscersi l’adeguatezza del passaggio motivazionale della sentenza impugnata con la quale è stata rilevata la grave imprudenza commessa dall’imputata con l’utilizzo, in un’area frequentata dai condomini, di una sostanza chimica dalle elevate potenzialità tossiche. Ciò che, conseguentemente, impone di escludere anche la eventuale rilevanza di una ipotetica scriminante putativa, che ove riconducibile a colpa non escluderebbe, in ogni caso, la punibilità in relazione ad una fattispecie imputabile, soggettivamente, anche a tale titolo.
5. Pertanto, e conclusivamente, il ricorso formulato da Ester Capello deve essere dichiarato inammissibile, siccome manifestamente infondato.
Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata in 1.500,00 euro.
PER QUESTIMOTIVI
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 13/07/2016