In tema di rifiuti, l’operazione posta in essere di ricoprire con tufo di terra di cava l’area da bonificare al fine di ricondurre la concentrazione del parametro idrocarburi nei limiti consentiti, in assenza di autorizzazione per il trattamento di rifiuti pericolosi, configura il reato previsto dall’art. 256, comma 1, lettera B), d. lgs. 152 del 2006. In specie, è il rifiuto pericoloso del terreno che rileva e che risulta trattato illecitamente, non come previsto dal piano di bonifica, ma con ricondizionamento preliminare volto a falsare le analisi degli addetti all’eventuale controllo. Sicché, ai sensi dell’art. 183, lettera Z), d. lgs. 152 del 2006 si considera smaltimento qualsiasi operazione diversa dal recupero. Inoltre l’allegato B) alla parte IV del d. lgs. 152 del 2006 riporta un elenco non esaustivo delle operazioni di smaltimento. L’allegato B) prevede tra le varie ipotesi al punto D14 il "ricondizionamento preliminare prima di una delle operazioni di cui ai punti da D1 a D 13". Infine, la condotta del ricorrente non rientra nell’ipotesi dell’art. 257, d. lgs. 152 del 2006, perché lo stesso risulta applicabile a chi ha cagionato l’inquinamento, e così la speciale condizione di non punibilità ivi prevista al comma 4, per l’osservanza dei progetti di bonifica: "Il reato di cui all’art. 257 T. U. ambientale è estinto dalla bonifica operata, secondo le disposizioni del progetto approvato dall’autorità competente, dal soggetto che ha causato l’inquinamento del sito, a prescindere dalla natura (pericolosa o meno) delle sostanze inquinanti". (Sez. 3, n. 22006 del 13/04/2010 – dep. 09/06/2010, Mazzocco e altri).
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 04/05/2017 (Ud. 19/07/2016) Sentenza n.21259
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 04/05/2017 (Ud. 19/07/2016) Sentenza n.21259
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da MORGANTI MARCO nato il 12/07/1952 a VERNIO;
avverso la sentenza del 21/05/2015 della CORTE APPELLO di FIRENZE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/07/2016, la relazione svolta dal Consigliere ANGELO MATTEO SOCCI;
Udito il Procuratore Generale in persona del dott. PASQUALE FIMIANI che ha concluso per: "Qualificato il fatto come smaltimento di rifiuti non pericolosi senza autorizzazione ex art. 256, comma 1, lett. A T.U. ambiente annullamento senza rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio. Inammissibilità nel resto".
Sentito il difensore Avv. Nicola Zanobini: "Accoglimento".
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Firenze con sentenza del 21 maggio 2015, riformava parzialmente la decisione del Tribunale di Firenze del 27 marzo 2014, che aveva condannato Morganti Marco alla pena di mesi 4 di arresto ed € 2.000,00 di ammenda, con le generiche, ritenendo configurato il reato di cui all’art. 257, comma 5, in relazione al comma 1, lettera B del d. lgs. 152 del 2006; la Corte di appello invece riqualificava il fatto come originariamente contestato, e condannava il ricorrente alla pena di mesi 4 di arresto ed € 1.800,00 di ammenda (art. 208 e 256, comma 1, lettera B, d. lgs. 152 del 2006), perché, quale responsabile tecnico della Ellegi S.r.l., incaricata della realizzazione del progetto approvato di bonifica del sito ex cooperativa fiascai della bufferia Toscana, effettuava, sull’area interessata dalla bonifica, operazione di riporto di terra di cava, al fine di riportare la concentrazione del parametro idrocarburi nei limiti consentiti, e così effettuava in assenza di autorizzazione un’operazione di trattamento di rifiuti pericolosi. Accertato in Empoli il 2 settembre del 2011.
2. L’imputato ha proposto ricorso, tramite il difensore, per i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
2. 1. Erronea applicazione della legge penale. Art. 606, comma 1, lettera B, cod. proc. pen. in relazione all’art. 256, comma 1, lettera B, e all’art. 257 d. lgs. 152 del 2006.
Del reato di omessa bonifica può rispondere anche l’autore della bonifica, se vi sia la prova che la stessa abbia fornito un ulteriore apporto di inquinamento o di contaminazione (Cassazione sez. 3. N. 19962 del
2013).
2. 2. Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo provvedimento impugnato; assenza del presupposto su cui si basa la condanna cioè del rifiuto. Art. 606, comma 1, lettera E del cod. proc. pen.
È assolutamente contraddittorio motivare che la terra utilizzata per il riporto certamente non può qualificarsi come rifiuto, escludendo la configurabilità dell’ipotesi della miscelazione (invece ritenuta dal giudice di primo grado), e poi motivare che la condotta posta in essere dal ricorrente va ricondotta alla fattispecie originariamente contestata di trattamento di rifiuti pericolosi non autorizzato.
Se il tufo non può essere qualificato rifiuto, non si può sostenere che il ricorrente abbia effettuato in assenza di autorizzazione un’operazione di trattamento di rifiuti pericolosi.
Né di miscelazione, né di trattamento di rifiuti, peraltro pericolosi, si può parlare nel caso in oggetto, poiché risulta pacificamente assente il presupposto sia della prima e sia della seconda fattispecie criminosa: il rifiuto.
Del resto il tufo è stato asportato senza difficoltà e l’opera di bonifica è proseguita e si è conclusa con esito positivo.
I tecnici ARPAT avevano ipotizzato, e confermato in dibattimento, che l’esatta qualificazione giuridica del fatto fosse quella di cui all’articolo 257, comma 1, d. lgs. 152 del 2006. La Corte di appello esclude la sussistenza dell’articolo 257, perché ascrivibile solo a chi ha inquinato originariamente il sito. Risulta quindi illogica e contraddittoria la motivazione della sentenza impugnata che, prima esclude l’ipotesi della miscelazione tra rifiuti, ritenuta invece dal primo giudice, e poi sorprendentemente attribuisce al ricorrente la responsabilità di aver effettuato un trattamento di rifiuti, peraltro pericolosi, dove il rifiuto trattato è proprio il tufo (non rifiuto).
Ha chiesto quindi l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato e deve rigettarsi con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La complessa questione giuridica che ha comportato una difformità di ricostruzione e qualificazione giuridica tra il giudice di primo grado e di secondo grado (art. 257, comma 5, in relazione al comma 1, lettera B, d. lgs 152 del 2006, per il Tribunale di Firenze, e art. 256, comma 1, lettera B), d. lgs 152 del 2006 – come originariamente contestato – per la Corte di appello di Firenze; e ancora per la Procura Generale della Corte di Cassazione art. 256, comma 1, lettera A – conclusioni – ) risulta però chiara nei suoi presupposti di fatto. Nel terreno oggetto di bonifica approvata dal Comune di Empoli, il 26 novembre 2010, era stata svolta l’attività di vetreria esercitata dalla Cooperativa Fiascai e il terreno era stato venduto alla società immobiliare Elsana s.r.l., che aveva affidato alla ditta di consulenza ambientale "Idrogea Vision" il compito di redigere il piano di bonifica per l’utilizzo residenziale del terreno. La bonifica venne affidata alla Ellegi s.r.l. (di cui l’imputato Morganti Marco era direttore tecnico). L’area in oggetto era fortemente contaminata da sostanze pericolose, idrocarburi e metalli pesanti riconducibili all’attività di vetreria esercitata dalla Cooperativa Fiascai. Secondo il progetto di bonifica la ditta incaricata doveva asportare un notevole quantitativo di terreno contaminato da smaltire come rifiuto pericoloso, secondo la normativa di settore.
Il 2 settembre 2001, durante un sopralluogo, il funzionario Arpat di Empoli Marconi si rende conto che "sulla superficie del terreno vi era un riporto di terra del tutto diverso da quello sottostante; si trattava di un terreno sabbioso che addirittura presentava delle conchiglie … Gli esami effettuati sullo strato superficiale del terreno, quello riportato appunto, evidenziavano una buona qualità mentre quelli sul terreno imposto documentavano un rilevante inquinamento per presenza di idrocarburi e metalli pesanti ampiamente oltre i limiti di legge".
L’imputato nel corso dell’interrogatorio aveva ammesso che "dopo la rimozione di circa 60.000 tonnellate di terra contaminata per una spesa pari ad € 180.000,00 le analisi effettuate dimostravano che i valori erano ancora superiori ai limiti di legge; pertanto preso dallo sconforto per aver causato una perdita finanziaria alla ditta per cui lavorava, di sua iniziativa acquistò 320 tonnellate di terreno di tufo vergine di cava, rifiuto non pericoloso, utilizzato per eseguire un cappotto sulle maglie di prelievo ove i valori superavano i limiti".
3. 1. Il Tribunale di Firenze, come sopra visto, aveva configurato nei fatti il reato di miscelazione di rifiuti, ritenendo che la diluizione tra la terra non contaminata con il terreno contaminato comportasse una miscelazione di rifiuti. La Corte di appello invece ha ritenuto il comportamento del ricorrente trattamento di rifiuti pericolosi non autorizzato.
Per il ricorrente se il tufo non può considerarsi rifiuto non dovrebbe sussistere una condotta di trattamento di rifiuti pericolosi.
L’argomentazione del ricorrente è infondata, perché il trattamento è riferito non al tufo ma ai rifiuti pericolosi del terreno da bonificare, che invece di essere escavati e smaltiti (come dal piano di bonifica) sono stati ricoperti da uno strato superficiale per falsare le analisi degli addetti all’eventuale controllo.
Ai sensi dell’art. 183, lettera Z), d. lgs. 152 del 2006 si considera smaltimento qualsiasi operazione diversa dal recupero. Inoltre l’allegato B) alla parte IV del d. lgs. 152 del 2006 riporta un elenco non esaustivo delle operazioni di smaltimento. L’allegato B) prevede tra le varie ipotesi al punto D14 il "ricondizionamento preliminare prima di una delle operazioni di cui ai punti da D1 a D 13".
Conseguentemente l’operazione posta in essere nel sito in oggetto costituisce un’operazione di smaltimento, prevista dall’art. 256, comma 1, lettera B), d. lgs. 152 del 2006 come correttamente ritenuto dalla sentenza impugnata. Infatti è il rifiuto pericoloso del terreno che rileva e che risulta trattato illecitamente, non come previsto dal piano di bonifica, ma con ricondizionamento preliminare volto a falsare le analisi.
3. 2. Infine non può rientrare la condotta del ricorrente nell’ipotesi dell’art. 257, d. lgs. 152 del 2006, perché lo stesso risulta applicabile a chi ha cagionato l’inquinamento, e così la speciale condizione di non punibilità ivi prevista al comma 4, per l’osservanza dei progetti di bonifica: "Il reato di cui all’art. 257 T. U. ambientale è estinto dalla bonifica operata, secondo le disposizioni del progetto approvato dall’autorità competente, dal soggetto che ha causato l’inquinamento del sito, a prescindere dalla natura (pericolosa o meno) delle sostanze inquinanti". (Sez. 3, n. 22006 del 13/04/2010 – dep. 09/06/2010, Mazzocco e altri, Rv. 24765101).
Nel nostro caso l’imputato non risulta il soggetto che ha cagionato l’inquinamento originario del sito, e quindi la speciale condizione di non punibilità non può trovare applicazione (per il buon esito della bonifica, ovvero la successiva separazione del tufo dal terreno inquinato, con la conclusione del progetto di bonifica).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso 19/07/2016