Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime |
Categoria: Diritto processuale penale,
Rifiuti
Numero: 30018 |
Data di udienza: 1 Dicembre 2017
* RIFIUTI – Qualificazione giuridica di un rifiuto come pericoloso – Criteri – Carattere della pericolosità – Preventiva analisi da parte dell’ARPA – Esclusione – Codice CER Fattispecie: accertamento da parte della polizia giudiziaria – Conferimenti abusivi – Accettazione e ricezione di rifiuti in violazione delle prescrizioni autorizzative e dei requisiti d’ammissibilità – Responsabilità del gestore della discarica – Gestione di discarica abusiva o irregolare nella fase post-operativa – Permanenza del reato – Disponibilità dell’area il gestore – Momento della cessazione della permanenza – Art. 256, co. 3, d. lgs. n. 152 del 2006 – Giurisprudenza – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione e vizio di travisamento della prova – Ricorso per cassazione e rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione – Preclusione – Ricorso per cassazione e vizio di "travisamento della prova" – Ricorso per cassazione e aspecificità dei motivi.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 4 Luglio 2018
Numero: 30018
Data di udienza: 1 Dicembre 2017
Presidente: CAVALLO
Estensore: SCARCELLA
Premassima
* RIFIUTI – Qualificazione giuridica di un rifiuto come pericoloso – Criteri – Carattere della pericolosità – Preventiva analisi da parte dell’ARPA – Esclusione – Codice CER Fattispecie: accertamento da parte della polizia giudiziaria – Conferimenti abusivi – Accettazione e ricezione di rifiuti in violazione delle prescrizioni autorizzative e dei requisiti d’ammissibilità – Responsabilità del gestore della discarica – Gestione di discarica abusiva o irregolare nella fase post-operativa – Permanenza del reato – Disponibilità dell’area il gestore – Momento della cessazione della permanenza – Art. 256, co. 3, d. lgs. n. 152 del 2006 – Giurisprudenza – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione e vizio di travisamento della prova – Ricorso per cassazione e rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione – Preclusione – Ricorso per cassazione e vizio di "travisamento della prova" – Ricorso per cassazione e aspecificità dei motivi.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 04/07/2018 (Ud. 01/12/2017), Sentenza n.30018
RIFIUTI – Qualificazione giuridica di un rifiuto come pericoloso – Criteri – Carattere della pericolosità – Preventiva analisi da parte dell’ARPA – Esclusione – Codice CER Fattispecie: accertamento da parte della polizia giudiziaria.
Ai fini della qualificazione giuridica di un rifiuto come pericoloso non è necessaria la preventiva analisi da parte dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (ARPA), essendo sufficiente che il rifiuto abbia sul piano oggettivo il carattere della pericolosità. Nella specie, quanto al profilo attinente all’attribuzione del carattere di pericolosità ai rifiuti, è stato ritenuto sufficienza anche il semplice accertamento da parte della polizia giudiziaria (Cass. Sez. 3, n. 52838 del 14/07/2016 – dep. 14/12/2016, Serrao e altri).
RIFIUTI – Gestione dei rifiuti – Conferimenti abusivi – Accettazione e ricezione di rifiuti in violazione delle prescrizioni autorizzative e dei requisiti d’ammissibilità – Responsabilità del gestore della discarica.
In tema di gestione dei rifiuti, ai fini del giudizio in ordine alla responsabilità del gestore della discarica per l’accettazione e la ricezione di rifiuti in violazione delle prescrizioni autorizzative e dei requisiti d’ammissibilità previsti dal D.M. 3 agosto 2005 (recante "Definizione dei criteri d’ammissibilità dei rifiuti in discarica"), emanato in attuazione del D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36, la verifica di ammissibilità dei rifiuti può essere effettuata, dopo il conferimento, non soltanto mediante accertamento analitico ma anche attraverso l’utilizzazione di ogni elemento di prova valutabile dal giudice (Cass. Sez. 3, n. 21146 del 02/05/2013 – dep. 16/05/2013, Galvagni).
RIFIUTI – Gestione di discarica abusiva o irregolare nella fase post-operativa – Permanenza del reato – Disponibilità dell’area il gestore – Momento della cessazione della permanenza – Art. 256, co. 3, d. lgs. n. 152 del 2006 – Giurisprudenza.
La permanenza del reato previsto dall’art. 256, comma terzo, del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, per la gestione abusiva o irregolare della fase post-operativa di una discarica, cessa o con il venir meno della situazione di antigiuridicità per rilascio dell’autorizzazione amministrativa, la rimozione dei rifiuti o la bonifica dell’area o con il sequestro che sottrae al gestore la disponibilità dell’area, o, infine, con la pronuncia della sentenza di primo grado (Cass. Sez. 3, n. 39781 del 13/04/2016 – dep. 26/09/2016, Pajardi; Sez. 3, n. 45931 del 09/10/2014 – dep. 06/11/2014, Cifaldi; Sez. 3, n. 32797 del 18/03/2013 – dep. 29/07/2013, P.G., R.C., Rubegni e altri). Nella specie, il sequestro non aveva privato della disponibilità dell’area il gestore, con conseguente corretta determinazione del "dies a quo" alla data di pronuncia della sentenza di primo grado.
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione e vizio di travisamento della prova.
In tema di motivi di ricorso per cassazione, il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo purché specificamente indicati dal ricorrente, è ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale /probatorio, fermi restando il limite del "devolutum" in caso di cosiddetta "doppia conforme" e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (Sez.6, n. 5146 del 16/01/2014 – dep. 03/02/2014, Del Gaudio e altri).
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione e rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione – Preclusione.
In tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito.
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione e vizio di "travisamento della prova".
In tema di motivi di ricorso per cassazione, a seguito delle modifiche dell’art. 606, comma primo, lett. e) ad opera dell’art. 8 della L. n.46 del 2006, mentre non è consentito dedurre il "travisamento del fatto", stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, è, invece, consentito dedurre il vizio di "travisamento della prova", che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che, in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano (Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007 – dep. 23/10/2007, Casavola e altri).
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione e aspecificità dei motivi.
E’ inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo).
(conferma sentenza della Corte d’appello di TRENTO – 18/05/2016) Pres. CAVALLO, Rel. SCARCELLA, Ric. Travaglia
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 04/07/2018 (Ud. 01/12/2017), Sentenza n.30018
SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 04/07/2018 (Ud. 01/12/2017), Sentenza n.30018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso proposto da TRAVAGLIA RENZO, n. 12/08/1952 a Cavedine;
avverso la sentenza della Corte d’appello di TRENTO in data 18/05/2016;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. L. Cuomo, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
udite, per il ricorrente, le conclusioni del difensore, Avv. B. Giudiceandrea, che ha chiesto accogliersi il ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 18.05.2016, depositata in data 25.08.2016, la Corte d’appello di Trento, in parziale riforma della sentenza emessa in data 11.05.2014 dal tribunale di Trento, appellata per quanto qui di interesse dal Travaglia e dal P.M., rideterminava la pena inflitta nei confronti del Travaglia in anni 1, mesi 3 di arresto ed € 10.000,00 di ammenda, confermando nel resto l’appellata sentenza che aveva riconosciuto il Travaglia, nella qualità di Sindaco del Comune di Cavedine dal 30.10.2009 al 16.05.2010, colpevole del reato di cui all’art. 256, co. 3, d. lgs. n. 152 del 2006, per avere gestito una discarica abusiva in relazione a fatti contestati come commessi dall’1.01.2009 al 13.07.2010 e, quanto ai conferimenti abusivi, in permanenza ed in corso di consumazione come gestione di discarica abusiva nella fase post – operativa, giusta modifica dell’imputazione all’udienza 20.06.2014.
2. Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo di difensore di fiducia iscritto all’albo speciale ex art. 613 c.p.p., deducendo quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Deduce il ricorrente, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), c) ed e), c.p.p. per violazione degli artt. 256, co. 3, d. lgs. n. 152 del 2006 e dell’art. 546 c.p.p., e correlato vizio di travisamento probatorio e mancata enunciazione delle ragioni di inattendibilità delle prove.
Si duole il ricorrente, in sintesi, del fatto che, a fronte di una completa ed esauriente ricostruzione dei fatti operata nei motivi di appello, la sentenza impugnata avrebbe invece operato una ricostruzione errata, caratterizzata da lacune, travisamento e sottovalutazioni di elementi e prove in atti acquisite; ciò avrebbe condotto la Corte d’appello a sottovalutare le vicende anteriori dell’impianto di gestione dei rifiuti, pretermettendo la lunga storia della discarica risalente al 1987, epoca della prima autorizzazione all’attività di discarica, vicende che avevano comportato conseguenze materiali sia sulla situazione fisica del sito che sulla consistenza del materiale allocatovi ed oggetto di verifiche e rilievi da parte degli inquirenti; i giudici di appello si sarebbero soffermati su dati suggestivi, privi di effettivo rilievo tecnico – giuridico, qualificando come "pericolosi" rifiuti che in realtà non lo erano da un punto di vista quanti-qualitativo; si rileva, anzitutto, in ricorso che la semplice constatazione della presenza nella discarica di materiali apparentemente pericolosi non sarebbe idonea a fornire la prova né dell’effettiva pericolosità del rifiuto né della sua consapevole introduzione all’interno del sito; non sarebbe dato sapere se, all’atto del reperimento, i rifiuti recassero tracce significative della loro pericolosità, non essendo stata svolta alcuna analisi quantitativa e qualitativa sui rifiuti repertati da parte degli inquirenti, rifugiandosi i giudici di merito sull’utilizzo di avverbi (ad es. pacificamente) per affermare la natura pericolosa di parte del materiale elencato.
2.1.1. In particolare, con riferimento alla questione relativa all’accertamento della pericolosità dei rifiuti, la Corte territoriale non si sarebbe confrontata con il dato normativo costituito dall’art. 5, d. lgs. n. 152 del 2006, non essendo infatti sufficiente ad attribuire natura di rifiuto pericoloso sulla base della sola indicazione del codice CER di pericolosità, senza aver effettuato alcuna specifica indagine sul rifiuto, al fine di verificare se effettivamente contenesse o meno sostanze pericolose; richiamando giurisprudenza di questa Corte a sostegno di tale assunto (il riferimento è a Cass. 9187/2012), si sostiene che nella sentenza ricorsa nulla emergerebbe di concreto circa i materiali in sequestro e la loro pericolosità, né in sede istruttoria dibattimentale i giudici avrebbero supplito all’inerzia degli inquirenti sulle analisi necessarie ad appurare la natura allo stato attuale dei rifiuti, non avendo disposto alcun autonomo accertamento, preferendosi affidare a presunzioni non fondate su elementi concreti; in sostanza, dunque, il reperimento di materiali in astratto classificabili come pericolosi, se rapportato soprattutto alla dimensione del sito ed alla dimensione quanti-qualitativa dei materiali allocati, non sarebbe dimostrativo della tesi accusatoria, e dunque sarebbe inidoneo a determinare la trasformazione della discarica comunale autorizzata in una discarica non autorizzata destinata al recepimento di rifiuti pericolosi.
2.1.2. Ancora, si censura la sentenza impugnata per non aver nemmeno considerato che parte dei materiali di cui si contesta la non conformità in quanto pericolosi, in realtà fosse stata ivi introdotta per mano di terzi ignoti forzando periodicamente la recinzione che il Comune aveva fatto erigere sull’intero perimetro del sito, come comprovato dalle deposizioni testimoniali rese dagli operai della discarica Manara, Turrina e Pisani; richiamando la giurisprudenza di questa Corte che esclude la responsabilità del proprietario del sito per il reato di discarica abusiva in consimili ipotesi (il riferimento è a Cass. 2206/2006), il ricorrente evidenzia che il Comune aveva completamente recintato il sito e puntualmente provveduto ad effettuare la manutenzione ed il ripristino della recinzione ogniqualvolta essa era stata manomessa; si critica a tal proposito la parte della sentenza impugnata laddove si afferma che fosse da escludere l’ingresso di rifiuti dall’esterno in quanto la quantità e la natura dei rifiuti rinvenuti era incompatibile con un conferimento abusivo notturno ad opera di terzi, dovendo comunque detto materiale anomalo essere segnalato non appena scoperto attesa la reiterazione delle condotte di conferimento; si censura detta motivazione in quanto contraddittoria, atteso che da una parte l’introduzione abusiva di rifiuti da parte di estranei è negata, laddove subito dopo la si ammette come possibile anche se come ipotesi occasionale e quantitativamente ridotta rispetto a quanto rinvenuto all’interno del perimetro del sito, peraltro dimenticando che a quota superiore rispetto al sito era allocato il centro raccolta materiale in cui veniva conferita tipologia assai diversificata di rifiuti, non potendosi escludere che fenomeni atmosferici potessero spostare i rifiuti sul sito incriminato in quanto posto a quota inferiore; la sentenza sarebbe dunque complessivamente censurabile sul punto, avendo i giudici territoriali valorizzato quanto visto dai carabinieri del NOE durante un sopralluogo rispetto alle dichiarazioni di testi che erano stati invece presenti sui luoghi avendo esperienza diretta di plurimi danneggiamenti e intrusioni finalizzate a collocare all’interno della discarica comunale materiale che non vi poteva entrare con la presenza del personale.
2.1.3. Ancora, ulteriore profilo oggetto di censura nel primo motivo, riguarda la questione dell’accettazione in discarica di materiale non pericoloso ma non conforme a quello autorizzato, rispetto al quale i giudici di appello si sarebbero limitata in sentenza ad una mera elencazione, senza tuttavia fare riferimento alle quantità ritrovate o ritenute oggetto di raggiunta prova e senza aver condotto un corretto e critico giudizio sulla qualità dei rifiuti; in sostanza si sarebbe accomunato, senza una partizione per tipologia di rifiuto, per quantità e luoghi e caratteri, tutto quanto si trovava al momento del sopralluogo e delle verifiche all’interno del sito comunale; a tal proposito, il ricorso si sofferma a chiarire le ragioni per cui tale contestazione dovesse considerarsi insussistente illustrando il percorso autorizzatorio, a far data, in particolare, dall’anno 2005 in cui la discarica era stata autorizzata dal Sindaco Lever alla prosecuzione dell’attività di gestione dei rifiuti, ivi inclusi anche quelli contraddistinti dai codici CER della tabella 1 annessa al DM 13.03.2004 (compresi quelli recanti codice CER 170904, rifiuti misti da costruzione e demolizione, che potevano essere conferiti fino al marzo 2006 senza caratterizzazione ed ammettendo la presenza di altri tipi di materiale in percentuale minima), laddove fino al 2010 era stato possibile conferire materiale con codice CER 170107 che poteva contenere basse percentuali di altri tipi di materiale; né varrebbe, si osserva, a trasformare una discarica autorizzata in discarica abusiva la sola presenza di rifiuti affioranti (pezzi di asfalto o materiale misto da demolizione, pezzi di plastica e lamiera, fil di ferro), qualora il quantitativo di detti rifiuti si presenti in percentuale minoritaria rispetto al conferito, non facendo del resto la sentenza alcun riferimento alla dimensione quantitativa, se non genericamente ed in modo determinato, non tenendo conto di quanto dettagliatamente descritto dal teste Dallago e alla relativa relazione peritale; a conclusione del primo motivo, infine, dopo aver richiamato il testo normativo degli artt. 183, lett. n), d. lgs. n. 36 del 2003 e 256, d. lgs. n. 152 del 2006, il ricorrente osserva che, attesa la variegata natura tecnico – giuridica dell’attività di deposito, la scelta di quale tipo di deposito si tratti dipende dagli elementi specifici della concreta fattispecie, comportando una valutazione in fatto, in ciò dovendosi tener conto delle varie difficoltà frapposte alle iniziative comunali che, in permanenza del sequestro della discarica, avevano incaricato una ditta specializzata al fine di eliminare le conseguenze del reato, come testimoniato dalle deposizioni dei tecnici Dallago e Cattoi.
2.2. Deduce il ricorrente, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) ed e), c.p.p. per violazione dell’art. 256, co. 3, d. lgs. n. 152 del 2006 e correlato vizio di travisamento probatorio e di erronea valutazione delle risultanze processuali in tema di intervenuta regolarizzazione della discarica.
Si duole il ricorrente, in sintesi, del fatto che i giudici di appello avrebbero travisato un dato incontestabilmente risultante dagli atti, ossia che nessun rilievo avrebbe l’autorizzazione del Sindaco Lever del 2005 in quanto non protocollata e priva del parere dell’APPA e che sarebbe in ogni caso superata dalla successiva delibera con cui la nuova amministrazione aveva disciplinato i conferimenti dei rifiuti in discarica; si tratterebbe di un’affermazione apodittica, in quanto l’autorizzazione del 2005 in realtà è regolarmente protocollata ed autorizzava esplicitamente la coltivazione del secondo e del terzo fronte del terzo lotto, in sostanza autorizzando il proseguimento dell’attività di conferimento di rifiuti inerti nel rispetto del piano di adeguamento, ad eccezione dell’eventuale barriera geologica non più necessaria a seguito dell’emanazione del regolamento provinciale DPGP 9.06.2005, n. 1444/Leg. AII. B; in sostanza, si osserva, la discarica poteva ricevere i rifiuti elencati nella tabella 3 annessa all’art. 2, DM 13.03.2003, in particolare con riferimento ai fronti 2 e 3 della discarica; nel richiamare ed allegare al ricorso anche la tabella di cui all’art. 5 DM 13.03.2003 vigente al momento dell’autorizzazione dell’ex Sindaco di Cavedine, il ricorrente evidenzia come la scelta dei rifiuti conferibili senza autorizzazione contenesse anche il codice CER 170904, all’epoca conferibile senza caratterizzazione, e che poteva contenere "una bassa percentuale di altri tipi di materiale (come metalli, plastica, terra, sostanze organiche, legno, gomma, etc.. )"; soltanto dal 15.03.2006, si osserva, il predetto DPGP 9.06.2005 aveva recepito il DM 3.08.2005 che non consentiva più il recepimento in discarica dei rifiuti con codice CER 170904, contenenti una bassa percentuale di altri tipi di materiali e, solo in seguito (ossia il 5.09.2008) la Giunta comunale aveva provveduto ad adeguare la tabella dei rifiuti conferibili, eliminando di fatto il codice CER 170904, registrandosi dai dati dei conferimenti dell’anno successivo che vi era stata ancora qualche conferimento nel 2009 di tale materiale, ma in percentuale nettamente minoritaria e con una riduzione dell’80% rispetto al periodo in cui poteva essere conferito; ne conseguirebbe, dunque, secondo il ricorrente, che in considerazione del fatto che fino al 14.03.2006 erano conferibili in discarica rifiuti con il predetto codice CER 170904, era ben possibile che nella discarica potessero essere reperibili piccole quantità di plastica ed altri materiali del tipo di quelli rinvenuti, proprio perché provenienti da demolizioni; del resto, ciò sarebbe comprovato anche dalle risultanze analitiche condotte su più trincee realizzate in discarica, da cui era risultata una presenza massima di croste di asfalto pari all’1% in peso del materiale scavato, risultando che in tale così ridotta percentuale le analisi non avevano dato luogo ad alcun superamento dei limiti di legge nell’eluato per le discariche di inerti, dovendosi quindi escludere qualsiasi danno ambientale come attestato dall’analisi di rischio commissionata dal Comune; quanto, poi, al materiale recante codice CER 170107, conferito negli anni 2008/2009 in percentuale maggioritaria rispetto agli altri codici, la normativa, si osserva, prevede la possibilità che possa esservi una percentuale bassa di altri materiali, esattamente come previsto per l’altro codice CER 170904; l’attribuzione del carattere di pericolosità dei materiali rinvenuti durante i sopralluoghi del NOE non consentirebbe comunque di qualificare detti materiali come pericolosi, mancando la determinazione delle sostanze potenzialmente pericolose rinvenute e la determinazione di una loro concentrazione al di sopra delle soglie individuate dalla normativa, atteso che ad impedire il conferimento in discarica degli inerti non osterebbe la semplice presenza di sostanze contaminanti, ma il superamento delle soglie indicate dalla legge.
2.3. Deduce il ricorrente, con il terzo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) ed e), c.p.p. per violazione di legge e travisamento della prova in ordine alla delega di funzioni ed alla delimitazione dei fatti nel tempo, oltre che dell’elemento psicologico del reato.
Si duole il ricorrente, in sintesi, del fatto che, tenuto conto dell’imputazione contestata e del relativo arco temporale (dal 1.01.2009 al 13.07.2010), emergeva dagli atti che, segnatamente per il periodo dal 1.01.2009 al 29.10.2009 era stato delegato per la cura degli adempimenti ambientali il consigliere comunale Valenti; a ciò va aggiunto che nel periodo 30.10.2009 – 11.05.2010 il ricorrente non rivetiva le funzioni di Sindaco, essendo stata la discarica gestita in quel periodo dal Commissario straordinario che aveva di fatti esautorato i funzionati comunali dalla gestione, dapprima disponendone la chiusura temporanea in data 18.12.2009 e, successivamente, disponendone la riapertura in data 7.05.2010, a far data dall’ll maggio; infine, la delega era stata riassegnata dal ricorrente al Consigliere comunale Bolognani, a far data dal 24.05.2010 sino al 13.07.2010, donde al ricorrente avrebbe potuto essere imputata la mala gestio della discarica solo per il ristretto periodo di 11 giorni, ossia dal 12.05.2010 al 23.05.2010; orbene, si duole nello specifico il ricorrente che nella sentenza sarebbe mancato, in relazione al tema della delega di funzioni, il concreto esame dei rapporti gestionali e delle rispettive deleghe di funzioni in seno all’ente pubblico territoriale, nonché la prova in ordine alla consapevolezza da parte del Sindaco dello stoccaggio di detti materiali; inoltre, si censura il fatto che la sentenza non avrebbe tenuto conto dei rapporti intercorrenti tra potere politico e funzione amministrativa, richiamando a tal proposito giurisprudenza di questa Corte (il riferimento è a Cass. 8530/2002) che esclude che al Sindaco possa essere attribuita una responsabilità a titolo di colpa in presenza di una valida delega di funzioni a soggetto idoneo e qualificato a rivestirle.
2.4. Deduce il ricorrente, con il quarto ed ultimo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), c.p.p. per violazione dell’art. 157 c.p. in tema di prescrizione del reato e cessazione della contestata permanenza.
Si duole il ricorrente, in sintesi, del fatto che la Corte d’appello, muovendo dalla contestazione suppletiva operata dal PM all’ud. 20.06.2014, richiamando una serie di decisioni di questa Corte che qualificano il reato come permanente comprendendo la cessazione della permanenza anche la gestione post-operativa della discarica e di ripristino ambientale, ha ritenuto sussistere la responsabilità penale dell’imputato finanche durante il sequestro disposto dall’a.g., anche in assenza di disponibilità dell’area; l’errore giuridico sarebbe evidente, in quanto proprio la giurisprudenza richiamata (il riferimento è a Cass. 32797 /2013) giungerebbe a conclusioni chiare ed inequivocabili in tema di cessazione della permanenza del reato in caso di sequestro, nel senso che la permanenza cessa con il sequestro dell’area che faccia venir meno la disponibilità della stessa in capo al gestore, e l’impossibilità per costui di compiere ulteriori attività; ad analogo approdo si dovrebbe per- venire anche valorizzando altra decisione (il riferimento è a Cass. 25216/2001) secondo cui per i reati permanenti il termine prescrizionale decorre dalla data del sequestro effettuato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. il ricorso è infondato e dev’essere rigettato.
4. Ritiene infatti il Collegio che la sentenza si presenta complessivamente ben motivata e corretta, sia logicamente che giuridicamente. Tutte le doglianze sollevate dalla difesa presentano un identico elemento che le inficia, in quanto si risolvono nella mera riproposizione degli analoghi motivi di doglianza già sollevati contro la sentenza di primo grado che vengono, per così dire "replicati" in sede di legittimità, così prestando il fianco al giudizio di inammissibilità per aspecificità. Deve, invero, ricordarsi che è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).
5. Tanto premesso, seguendo l’ordine suggerito dalla struttura dell’impugnazione proposta in questa sede, può procedersi nell’esame del primo, articolato, motivo, in relazione al quale devono essere affrontato i seguenti punti: a) la questione relativa all’accertamento delle pericolosità dei rifiuti; b) la questione del conferimento da parte di terzi ignoti; c) la questione dell’accettazione in discarica di materiale non pericoloso ma non conforme a quello autorizzato.
Tutte e tre le questioni sono state oggetto di puntuale trattazione e disamina da parte delle sentenze di primo grado e di appello (che, com’è noto si integrano reciprocamente: Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013 – dep. 04/11/2013, Argentieri, Rv. 257595), la cui lettura consente di rilevare in maniera palese la manifesta infondatezza del primo motivo, atteso che i giudici del merito, con percorso argomentativo immune da vizi logici, indicano nelle rispettive sentenze le ragioni per le quali hanno ritenuto di dover disattendere le questioni sollevate dalla difesa, ragioni che si intendono in questa sede integralmente richiamate per esigenze di economia motivazionale né essendo richiesto a questa Corte di procedere ad una ricognizione e riproposizione delle argomentazioni in fatto sviluppate dalla Corte territoriale (e dal primo giudice) a sostegno di quanto sopra, dovendo la Corte di Cassazione limitarsi a valutare la congruenza motivazionale e la logicità complessiva dell’apparato argomentativo utilizzato dai giudici di merito e non certo sindacare gli argomenti fattuali utilizzati dai predetti giudici.
6. In ogni caso, in relazione ai singoli punti, si osserva.
Quanto alla questione relativa all’accertamento della pericolosità dei rifiuti, la Corte d’appello affronta il tema sia nella parte in cui sintetizza gli argomenti opposti dal primo giudice a confutazione (p. 11) , sia in particolare nella parte in cui (v. pagg. 40/42) giustifica l’accoglimento dell’appello proposto dal PM (e, si noti, particolare rilievo assume la stessa asportazione in data 6.12.2011 di rifiuti pericolosi in misura parziale che ne descriveva eloquentemente consistenza e qualità). La censura difensiva è peraltro priva di pregio laddove ritiene che in mancanza di accertamenti analitici non potevano ritenersi presenti nell’area rifiuti pericolosi. Ed invero, sul punto, la giurisprudenza di questa Corte è nel senso che ai fini della qualificazione giuridica di un rifiuto come pericoloso non è necessaria la preventiva analisi da parte dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (ARPA), essendo sufficiente che il rifiuto abbia sul piano oggettivo il carattere della pericolosità (Sez. 3, n. 52838 del 14/07/2016 – dep. 14/12/2016, Serrao e altri, Rv. 268919).
Quanto, in secondo luogo, alla questione del conferimento di rifiuti da parte di terzi ignoti, la Corte d’appello si occupa della questione in quella parte della motivazione (p. 13) in cui riassume le argomentazioni sviluppate a tal proposito dalla sentenza di primo grado, ai soprattutto alle pag. 37/38 della motivazione in cui la Corte d’appello confuta le argomentazioni richiamando le deposizioni dei testi Filippi e Conti. La doglianza difensiva sul punto, a fronte della motivazione non manifestamente illogica, si presenta come un articolato "dissenso" rispetto alla valutazione operata dai giudici di merito. Così facendo, tuttavia, il ricorrente dimentica che la verifica che la Corte di cassazione è abilitata a compiere sulla completezza e sulla correttezza della motivazione di una sentenza non può essere confusa con una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella fornita dal giudice di merito. Nè la Corte suprema può esprimere alcun giudizio sulla rilevanza e sull’attendibilità delle fonti di prova, giacché esso, anche in base all’ordinamento processuale preesistente all’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale – nel quale non esistevano i limiti preclusivi che un’avvertita esigenza di maggior razionalizzazione del sistema ha introdotto con l’art. 606, primo comma, lett. e) -, del codice di procedura vigente – era attribuito al giudice di merito, con la conseguenza che le scelte da questo compiute, se coerenti, sul piano logico, con una esauriente analisi delle risultanze probatorie acquisite, si sottraggono al sindacato di legittimità, una volta accertato che il processo formativo del libero convincimento del giudice non ha subito il condizionamento di una riduttiva indagine conoscitiva o gli effetti altrettanto negativi di un’imprecisa ricostruzione del contenuto di una prova (per tutte: Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995 – dep. 23/02/1996, P.G. in proc. Fachini, Fachini e altri, Rv. 203767).
In terzo ed ultimo luogo, quanto alla questione dell’accettazione in discarica di materiale non pericoloso, ma non conforme a quello autorizzato, la censura si risolve nella ininfluente ricostruzione di tutte le vicende che avevano caratterizzato la discarica in questione, senza tener conto che, sul punto, non soltanto la sentenza d’appello non si presenta come una mera riedizione della sentenza di primo grado, ma, anzi, con motivazione autonoma e particolarmente dettagliata opera una penetrante ricostruzione delle vicende giuridiche ed amministrative che l’avevano caratterizzata, ma soprattutto si occupa del tema alle pagg. 38/40 (da intendersi in questa sede integralmente richiamate per esigenze di economia motivazionale) in cui la Corte d’appello provvede anche a sgombrare il campo dall’equivoco che traspariva dall’atto di appello che viene peraltro ad essere riproposto davanti a questa S.C. Si tratta, del resto, di valutazione circa il rispetto dei criteri di ammissibilità conducibile anche in base ad elementi diversi dagli accertamenti che, comunque, erano stati eseguiti (perizia Rampanelli), come più volte riconosciuto anche da questa stessa Sezione. Si è infatti affermato sul punto che in tema di gestione dei rifiuti, ai fini del giudizio in ordine alla responsabilità del gestore della discarica per l’accettazione e la ricezione di rifiuti in violazione delle prescrizioni autorizzative e dei requisiti d’ammissibilità previsti dal D.M. 3 agosto 2005 (recante "Definizione dei criteri d’ammissibilità dei rifiuti in discarica"), emanato in attuazione del D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36, la verifica di ammissibilità dei rifiuti può essere effettuata, dopo il conferimento, non soltanto mediante accertamento analitico ma anche attraverso l’utilizzazione di ogni elemento di prova valutabile dal giudice (Sez. 3, n. 21146 del 02/05/2013 – dep. 16/05/2013, Galvagni, Rv. 255495).
7. Può quindi, procedersi all’esame del secondo motivo di ricorso, che richiede di dover affrontare due distinti profili: a) il primo, è quello attinente l’asserito travisamento probatorio della c.d. autorizzazione del Sindaco Lever del 2005; b) il secondo, è quello relativo all’esistenza dei provvedimenti amministrativi che avrebbero consentito sino al 14.03.2006 il conferimento in discarica dei rifiuti aventi codice CER 170904.
Quanto al primo, lo stesso, oltre a ricevere adeguata confutazione dalla Corte d’appello a pag. 35, non presenta, isolatamente considerata, quei caratteri richiesti dalla giurisprudenza di questa Corte al fine di poter disarticolare il ragionamento probatorio della sentenza impugnata. Non deve essere dimenticato, infatti, che in tema di motivi di ricorso per cassazione, il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo purché specificamente indicati dal ricorrente, è ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale /probatorio, fermi restando il limite del "devolutum" in caso di cosiddetta "doppia conforme" e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (Sez.6, n. 5146 del 16/01/2014 – dep. 03/02/2014, Del Gaudio e altri, Rv. 258774). Quanto al secondo profilo di doglianza, articolato richiamando i provvedimenti amministrativi che avrebbero consentito sino al 14.03.2006 il conferimento in discarica dei rifiuti aventi codice CER 170904 e che, dunque, rendeva logico il reperimento in loco di materiali di quel tipo "misto", come confortato dalle risultanze analitiche, si tratta all’evidenza di un tentativo di spingere questa Corte a sostituire la valutazione di quel medesimo dato, già operata in maniera non manifestamente illogica dalla Corte d’appello alle pagg. 40/43 (che si intendono in questa sede integralmente richiamate), operazione non consentita in questa sede di legittimità. Va infatti ribadito che in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 – dep. 27/11/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 1, n. 20038 del 09/05/2006 – dep. 13/06/2006, P.M. in proc. Matera, Rv. 233783). Quanto, fine, al profilo attinente all’attribuzione del carattere di pericolosità ai rifiuti, valgono (oltre le argomentazioni indicate a pag. 13 della sentenza, da intendersi qui integralmente richiamate) le considerazioni espresse a proposito del primo motivo, anche con riferimento alla sufficienza dell’accertamento della polizia giudiziaria (v., la già citata Sez. 3, n. 52838 del 14/07/2016 – dep. 14/12/2016, Serrao e altri, Rv. 268919).
8. Deve, ancora, essere esaminato il terzo motivo, anche esso infondato.
Ed infatti, quanto al tema della delega di funzioni, la irrilevanza della stessa viene adeguatamente evidenziata a pag. 17 ed a pag. 43 della sentenza (da intendersi in questa sede integralmente richiamate). Le censure difensive, quindi, oltre ad apparire generiche in quanto meramente riproduttive delle medesime ragioni di doglianza svolte in sede di appello ( e dunque generiche per aspecificità ex Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849), si traducono ancora una volta nel tentativo di criticare la valutazione operata dalla Corte d’appello in ordine alla questione della rilevanza o meno della delega di funzioni, sotto il profilo di una censura di travisamento, ma dolendosi erroneamente della valutazione di tale elemento di fatto da parte dei giudici territoriali. Non può, sul punto, non essere ricordato che in tema di motivi di ricorso per cassazione, a seguito delle modifiche dell’art. 606, comma primo, lett. e) ad opera dell’art. 8 della L. n.46 del 2006, mentre non è consentito dedurre il "travisamento del fatto", stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, è, invece, consentito dedurre il vizio di "travisamento della prova", che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che, in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano (Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007 – dep. 23/10/2007, Casavola e altri, Rv.238215).
Quanto, poi, all’aspetto soggettivo ed alla correlativa responsabilità, la Corte d’appello motiva del tutto adeguatamente e con percorso argomentativo non manifestamente illogico, in particolare a pag. 44 della sentenza (da intendersi in questa sede integralmente richiamata), evidenziando quindi anche tale profilo, rispetto al quale, pertanto, la censura costituisce ancora una volta una manifestazione di dissenso rispetto alla valutazione operata dai giudici di appello.
9. Resta, infine, da esaminare il tema della prescrizione, anch’esso da rigettarsi. La censura, oltre che apparire generica per non svolgere alcuna innovativa critica rispetto alla puntuale motivazione della Corte d’appello a confutazione della richiesta di estinzione per prescrizione, è altresì manifestamente infondata alla luce del corretto diniego espresso sia da primo giudice (v. pag. 14/15 della sentenza) sia dalla Corte d’appello (v. pagg. 26/29), in cui la Corte territoriale in particolare chiarisce correttamente (richiamando pacifica giurisprudenza di questa Corte, letta ed interpretata in maniera del tutto conforme ai principi affermati, secondo cui la permanenza del reato previsto dall’art. 51, comma terzo, del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (oggi sostituito dall’art. 256, comma terzo, del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152), per la gestione abusiva o irregolare della fase post-operativa di una discarica, cessa o con il venir meno della situazione di antigiuridicità per rilascio dell’autorizzazione amministrativa, la rimozione dei rifiuti o la bonifica dell’area o con il sequestro che sottrae al gestore la disponibilità dell’area, o, infine, con la pronuncia della sentenza di primo grado; v. da ultimo: Sez. 3, n. 39781 del 13/04/2016 – dep. 26/09/2016, Pajardi, Rv. 268236; Sez. 3, n. 45931 del 09/10/2014 – dep. 06/11/2014, Cifaldi, Rv. 260873; Sez. 3, n. 32797 del 18/03/2013 – dep. 29/07/2013, P.G., R.C., Rubegni e altri, Rv. 256664) le ragioni per le quali il sequestro non aveva privato della disponibilità dell’area il gestore, con conseguente corretta determinazione del "dies a quo" alla data di pronuncia della sentenza di primo grado (ossia in data 11.05.2015), donde la prescrizione maturerà solo in data 11.05.2020.
10. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 1 dicembre 2017