Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Beni culturali ed ambientali, Diritto processuale penale, Diritto urbanistico - edilizia Numero: 18690 | Data di udienza: 22 Marzo 2016

* DIRITTO URBANISTICO – BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Intervento edilizio minimo e permesso di costruire – Rilevanza paesaggistica – Presupposto – Delitto paesaggistico ex art. 181, comma 1-bis, d. lgs. n. 42/2004DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Contrasto tra dispositivo e motivazione non contestuali – Carattere unitario della sentenza – Effetti.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 5 Maggio 2016
Numero: 18690
Data di udienza: 22 Marzo 2016
Presidente: Fiale
Estensore: Scarcella


Premassima

* DIRITTO URBANISTICO – BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Intervento edilizio minimo e permesso di costruire – Rilevanza paesaggistica – Presupposto – Delitto paesaggistico ex art. 181, comma 1-bis, d. lgs. n. 42/2004DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Contrasto tra dispositivo e motivazione non contestuali – Carattere unitario della sentenza – Effetti.



Massima

 



CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 05/05/2016 (Ud. 22/03/2016) Sentenza n.18690

 
DIRITTO URBANISTICO – BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Intervento edilizio minimo e permesso di costruire  – Rilevanza paesaggistica – Presupposto – Delitto paesaggistico ex art. 181, comma 1-bis, d. lgs. n. 42/2004.
 
Si configura il reato paesaggistico nei casi in cui l’intervento edilizio necessita di permesso di costruire, atteso che ai fini della configurabilità del reato paesaggistico la nozione di alterazione del paesaggio deve intendersi riferita a modifiche anche minime, purché apprezzabili, dello stato dei luoghi. Fattispecie: realizzazione di cordonatura perimetrale mediante posa in opera di elementi prefabbricati in cemento.
 
 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Contrasto tra dispositivo e motivazione non contestuali – Carattere unitario della sentenza – Effetti.
 
In caso di contrasto tra dispositivo e motivazione non contestuali, il carattere unitario della sentenza, in conformità al quale l’uno e l’altra, quali sue parti, si integrano naturalmente a vicenda, non sempre determina l’applicazione del principio generale della prevalenza del primo in funzione della sua natura di immediata espressione della volontà decisoria del giudice; invero, laddove nel dispositivo ricorra un errore materiale obiettivamente riconoscibile, il contrasto con la motivazione è meramente apparente, con la conseguenza che è consentito fare riferimento a quest’ultima per determinare l’effettiva portata del dispositivo, individuare l’errore che lo affligge ed eliminarne gli effetti, giacché essa, permettendo di ricostruire chiaramente ed inequivocabilmente la volontà del giudice, conserva la sua funzione di spiegazione e chiarimento delle ragioni fondanti la decisione.
 

(riforma sentenza della Corte d’Appello di NAPOLI in data 2/10/2014) Pres. FIALE, Rel. SCARCELLA, Ric. Mauriello
 
 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 05/05/2016 (Ud. 22/03/2016) Sentenza n.18690

SENTENZA

 

 
 
 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 05/05/2016 (Ud. 22/03/2016) Sentenza n.18690
 
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
– Sul ricorso proposto da: MAURIELLO FRANCESCO n. 12/04/1966 a Napoli;
– avverso la sentenza della Corte d’Appello di NAPOLI in data 2/10/2014;
– visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
– udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
– udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. P. Filippi, che ha chiesto annullarsi con rinvio la sentenza;
– udite, per la parte civile, le conclusioni dell’Avv. I. Coppola in sostituzione dell’Avv. R. Conturso che ha depositato conclusioni scritte e nota spese;
– udite, per il ricorrente, le conclusioni dell’Avv. A. Sarno Sabino, che ha chiesto accogliersi il ricorso; 

RITENUTO IN FATTO
 
1. Con sentenza emessa in data 2/10/2014, depositata in data 3/11/2014, la Corte d’appello di Napoli, in riforma della sentenza tribunale di Napoli, sez. dist. Portici, appellata dal Mauriello, dichiarava non doversi procedere per intervenuta estinzione del reato per prescrizione in ordine ai reati di cui ai capi a) e b) della rubrica, confermando nel resto l’impugnata sentenza che lo aveva anche riconosciuto colpevole del delitto paesaggistico ex art. 181, comma 1-bis, d. lgs. n. 42 del 2004, in relazione a fatti accertati in data 26/09/2008, secondo le modalità esecutive e spazio – temporali meglio descritte nell’imputazione.
 
2. Ha proposto ricorso MAURIELLO FRANCESCO mezzo del difensore fiduciario cassazionista, impugnando la sentenza predetta con cui deduce quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art.173 disp. att. cod. proc. pen.
 
2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), cod. proc, pen., per violazione dell’art. 130 cod. proc. pen.
 
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, l’ordinanza 18/12/2014, depositata in data 20/12/2014, emessa dalla Corte d’appello ha disposto la correzione del dispositivo della sentenza, inserendo dopo la declaratoria di non doversi procedere la frase “ridetermina la pena da infliggersi, in relazione alla residua contestazione, in quella di 8 mesi di reclusione”; tale “correzione” avrebbe comportato, a giudizio del ricorrente, una modificazione essenziale dell’atto, non potendo sostenersi che tale integrazione abbia reso esplicita una decisione necessariamente consequenziale; cita a sostegno giurisprudenza di questa Corte (il riferimento è alla sentenza n.43993/2010).
 
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., per violazione di legge ed, in particolare, degli artt. 130 cod. proc. pen., 157 cod. pen. e 181, comma 1-bis, d. lgs. n. 42 del 2004 quanto all’esatto computo della prescrizione.
 
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, la Corte d’appello all’ud. 2/10/2014 avrebbe pronunciato solo sentenza di proscioglimento per i capi a) e b) della rubrica, mentre la condanna sarebbe stata pronunciata all’atto del deposito della motivazione (3/11/2014) e della successiva ordinanza di correzione dell’errore materiale (20/12/2014); ciò avrebbe determinato la violazione della disciplina evocata, in quanto, decorso il termine previsto, non può più essere emessa una pronuncia di condanna.
 
2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., per violazione dell’art. 597, comma quarto, cod. proc. pen. e correlato vizio motivazionale.
 
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, la Corte d’appello ha dichiarato non doversi procedere senza operare conseguentemente la rideterminazione della pena finale per la residua imputazione; la Corte territoriale avrebbe irrogato la stessa pena (mesi 8 di reclusione) che il primo giudice aveva applicato per tutti e tre i reati contestati; in assenza di impugnazione del P.M., dunque, il trattamento sanzionatorio così determinato, si sarebbe verificata la violazione del divieto di reformatio in peius.
 
2.4. Deduce, con il quarto motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., per violazione dell’art. 181, comma 1-bis, d. lgs. n. 42 del 2004.
 
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, le opere descritte non necessiterebbero di permesso di costruire, non comportando alcuna trasformazione urbanistica ed edilizia, sicchè le stesse erano inidonee a causare ostruzioni e/o impedimenti alla visibilità o ad alterare in qualche modo l’estetica dell’immobile.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
3. Il ricorso è parzialmente fondato.
 
4. Seguendo l’ordine sistematico suggerito dalla struttura dell’impugnazione proposta in questa sede può procedersi anzitutto nell’esame del primo motivo. Sul punto, al fine di evidenziarne l’infondatezza, è sufficiente qui rilevare come nell’originario dispositivo della sentenza della Corte d’appello di Napoli (compulsato da questa Corte in quanto giudice del fatto, attesa la natura processuale dell’eccezione: v. affol. 30 del fascicolo della Corte d’appello), veniva dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione dei reati sub a) e b), peraltro specificandosi che la sentenza di primo grado veniva ~~fermata nel resto”; vero è che, solo successivamente, con l’ordinanza resa fuori udienza in data 18-20/12/2014, successiva al deposito della sentenza impugnata (3/11/2014), la Corte territoriale in applicazione della procedura di cui all’art.130 cod. proc. pen., procedeva ad integrare il dispositivo della sentenza inserendovi l’inciso relativo alla rideterminazione della pena per il reato sub c).
 
E’ indubbio, pertanto, che avendo la Corte d’appello “confermato nel resto” la sentenza appellata, aveva quindi convalidato il giudizio di responsabilità penale del primo giudice con riferimento all’unica violazione che ancora residuava (il capo e), donde non può ritenersi – contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente che la successiva integrazione avesse determinato una modificazione essenziale del provvedimento-dispositivo, essendosi solo determinato il giudice di appello a determinare quella pena che conseguiva alla statuizione di conferma della responsabilità penale per il reato per il quale era intervenuta condanna in primo grado.
 
Trova, quindi, applicazione il principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui in caso di contrasto tra dispositivo e motivazione non contestuali, il carattere unitario della sentenza, in conformità al quale l’uno e l’altra, quali sue parti, si integrano naturalmente a vicenda, non sempre determina l’applicazione del principio generale della prevalenza del primo in funzione della sua natura di immediata espressione della volontà decisoria del giudice; invero, laddove nel dispositivo ricorra un errore materiale obiettivamente riconoscibile, il contrasto con la motivazione è meramente apparente, con la conseguenza che è consentito fare riferimento a quest’ultima per determinare l’effettiva portata del dispositivo, individuare l’errore che lo affligge ed eliminarne gli effetti, giacché essa, permettendo di ricostruire chiaramente ed inequivocabilmente la volontà del giudice, conserva la sua funzione di spiegazione e chiarimento delle ragioni fondanti la decisione (v., da ultimo: Sez. F, n. 47576 del 09/09/2014 – dep.18/11/2014, Savini, Rv. 261402).
 
5. Ne consegue, pertanto, che – ritenuto infondato il primo motivo di ricorso – conseguentemente deve ritenersi infondato il secondo motivo, in quanto il termine di prescrizione del reato sub c) maturerà il prossimo 26/05/2016 (deve, tuttavia, rilevarsi che, il giorno successivo alla decisione assunta da questa Corte, è intervenuta la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 181, comma 1-bis, d. lgs. n. 42 del 2004 – nella parte in cui prevede «: a) ricadano su immobili od aree che, per le loro caratteristiche paesaggistiche siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori; b) ricadano su immobili od aree tutelati per legge ai sensi dell’articolo 142 ed» – ad opera della sentenza n. 56 del 23/03/2016, pubblicata nella G. U. 30/03/2016 n. 13). 
 
6. Passando ad esaminare il terzo motivo, ritiene il Collegio fondata la censura non essendo possibile per questa Corte comprendere il procedimento logico – giuridico con cui il giudice ha provveduto al calcolo della pena; ed invero, valutando la sentenza di primo grado (dovendo questa Corte considerare anche detta sentenza, alla luce della natura processuale dell’eccezione, che investe la sentenza d’appello che, sul punto, si limita a determinare la pena base richiamando quella di primo grado), è agevole rendersi conto di come il primo giudice non abbia proceduto alla determinazione del calcolo della pena, nemmeno procedendo alla indicazione dell’aumento applicabile per la continuazione con i reati sub a) e b) per i quali era intervenuta condanna in primo grado. Il giudice di primo grado, infatti, si limita ad indicare solo la pena finale di 8 mesi di reclusione, restando quindi ignote le modalità di calcolo, ciò che preclude la possibilità a questa Corte di valutare nello specifico la doglianza di violazione dell’art. 597 cod. proc. pen. (ed invero, se il primo giudice fosse partito dalla pena base all’epoca applicabile, prima della richiamata declaratoria di incostituzionalità, avrebbe dovuto determinare la pena in 1 anno di reclusione e, laddove avesse ritenuto di ridurla per il riconoscimento delle attenuanti generiche in misura massima, avrebbe dovuto determinare la pena in 8 mesi di reclusione, non essendo quindi chiaro: a) se egli abbia individuato la p.b. nel minimo di 1 anno di reclusione; b) se egli invece, muovendo da tale p.b., abbia ridotto oltre 1/3 la pena per il riconoscimento dell’art. 62 bis cod. pen.; c) o, ancora, se egli, individuando la p.b. di 1 anno di reclusione, riducendole correttamente di 1/3 in mesi 8 di reclusione, abbia omesso di applicare l’aumento per la continuazione; è evidente, quindi, che in tutte la variabili ipotesi indicate la violazione del divieto di reformatio in peius non sarebbe ravvisabile, in applicazione del principio secondo cui non viola il divieto di “reformatio in peius” la sentenza del giudice d’Appello che, nel pronunciare sentenza parzialmente assolutoria per uno dei reati in continuazione, non provvede a ridurre la pena complessiva per aver il primo giudice determinato la pena base in misura inferiore al minimo edittale, ciò in quanto l’obbligo imposto dall’art. 597, comma quarto, cod. proc. pen. Presuppone che la pena da ridurre sia stata determinata in maniera legale, ovvero in misura eguale o superiore al minimo edittale: (Sez.3, n. 39882 del 03/10/2007 – dep. 29/10/2007, Costanzo, Rv. 238009).
 
Il motivo di ricorso è quindi fondato, con conseguente annullamento dell’impugnata sentenza, e rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello che provvederà a colmare detto deficit (dovendo – lo si evidenzia incidenter tantum – peraltro valutare la rilevanza che la sentenza n. 56 del 2016 in relazione alla persistente perseguibilità penale del delitto sub c). 
 
7. Quanto, infine, al quarto motivo di ricorso, con cui si svolgono censure in ordine alla configurabilità dell’illecito penale sub e), la Corte d’appello ha escluso la fondatezza della tesi difensiva precisando essersi trattato di nuova costruzione in relazione all’opera indicata nell’imputazione (realizzazione di cordonatura perimetrale mediante posa in opera di elementi prefabbricati in cemento). Trattasi di intervento edilizio rispetto al quale, all’evidenza, è necessario il permesso di costruire, quindi, le doglianze difensive sulla presunta irrilevanza paesaggistica sono del tutto sfornite di pregio, atteso che ai fini della configurabilità del reato paesaggistico la nozione di alterazione del paesaggio deve intendersi riferita a modifiche anche minime, purché apprezzabili, dello stato dei luoghi (v., in termini: Sez. 3, n. 3159 del 28/11/2002 – dep. 23/01/2003, Gentili, Rv. 226150).
 
8. Il ricorso dev’essere, conclusivamente, accolto nei limiti predetti. All’annullamento della sentenza, limitatamente alla determinazione della pena, consegue tuttavia – essendo divenuta irrevocabile la statuizione sulla responsabilità penale del ricorrente per il reato sub e) – la condanna al pagamento delle sole spese relative all’azione civile, liquidate come da dispositivo in applicazione dei criteri di cui al D.M. n. 55/2014.

P.Q.M.
 
La Corte annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della pena e rinvia, sul punto, ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.
 
Rigetta il ricorso nel resto e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del grado in favore della costituita parte civile Comune di Portici, in persona del Sindaco pro – tempore, che liquida in complessivi Euro 3.500,00, oltre spese generali ed accessori di legge.
 
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione ,il 22 marzo 2016
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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