Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime |
Categoria: Diritto processuale penale,
Rifiuti
Numero: 45739 |
Data di udienza: 11 Maggio 2017
RIFIUTI – Deposito temporaneo – Criterio quantitativo e/o temporale – Deposito incontrollato sul suolo di rifiuti pericolosi e non – Illecita gestione di rifiuti – Artt. 183, 192 e 256 D.lgs. n.152/06 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Diniego della concessione delle attenuanti generiche – Reati in materia ambientale e giudizio prognostico sfavorevole in capo al reo – Ipotesi di sostanziale "doppia conforme" – Verifiche e limiti del ricorso in cassazione – Ragionamento probatorio e giustificazione della decisione del giudice di merito.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 5 Ottobre 2017
Numero: 45739
Data di udienza: 11 Maggio 2017
Presidente: SAVANI
Estensore: CIRIELLO
Premassima
RIFIUTI – Deposito temporaneo – Criterio quantitativo e/o temporale – Deposito incontrollato sul suolo di rifiuti pericolosi e non – Illecita gestione di rifiuti – Artt. 183, 192 e 256 D.lgs. n.152/06 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Diniego della concessione delle attenuanti generiche – Reati in materia ambientale e giudizio prognostico sfavorevole in capo al reo – Ipotesi di sostanziale "doppia conforme" – Verifiche e limiti del ricorso in cassazione – Ragionamento probatorio e giustificazione della decisione del giudice di merito.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 05/10/2017, (Ud. 11/05/2017) Sentenza n.45739
RIFIUTI – Deposito temporaneo – Criterio quantitativo e/o temporale – Deposito incontrollato sul suolo di rifiuti pericolosi e non – Illecita gestione di rifiuti – Artt. 183, 192 e 256 D.lgs. n.152/06.
In tema di rifiuti, il produttore può alternativamente e facoltativamente adeguarsi al criterio quantitativo o a quello temporale, ovvero, può conservare i rifiuti per non più di tre mesi in qualsiasi quantità, oppure possa conservarli per un anno purché non raggiungano (anche con riferimento ai rifiuti pericolosi) i limiti volumetrici previsti dalla norma di riferimento (
D.lgs. n.152/2006, art. 183, lett. bb), per cui, l’inosservanza anche di una sola delle condizioni previste e imposte per il deposito temporaneo, trasforma, automaticamente, l’attività oggetto del deposito in illecita gestione dei rifiuti o in abbandono degli stessi, e pertanto, in una condotta a rilevanza penale.
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Diniego della concessione delle attenuanti generiche – Reati in materia ambientale e giudizio prognostico sfavorevole in capo al reo – Ipotesi di sostanziale "doppia conforme".
In tema di diniego della concessione delle attenuanti generiche, la ratio della disposizione di cui all’art. 62 bis cod. pen. non impone al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo, invece, sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti; ne deriva che queste ultime possono essere negate anche soltanto in base ai precedenti penali dell’imputato, perché in tal modo viene formulato comunque, sia pure implicitamente, un giudizio di disvalore sulla sua personalità (Sez. 2, Sentenza n. 3896 del 20/01/2016). Nella specie il Giudice valutando i plurimi precedenti penali – recenti e specifici – in materia ambientale, ha effettuato un giudizio prognostico sfavorevole in capo al reo, con riferimento alla concessione delle dette attenuanti generiche e al beneficio della sospensione condizionale della pena. Nella specie, è anche, inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute, anche implicitamente, infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici (cfr. sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo; Sez. 4, n. 256 del 18/09/1997, dep.1998, Ahmetovic; sez. 4, n. 44139 del 27/10/2015).
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Verifiche e limiti del ricorso in cassazione – Ragionamento probatorio e giustificazione della decisione del giudice di merito.
La Corte di cassazione ha il compito di controllare il ragionamento probatorio e la giustificazione della decisione del giudice di merito, non il contenuto della medesima, essendo essa giudice non del risultato probatorio, ma del relativo procedimento e della logicità del discorso argomentativo e rimanendo preclusa al giudice di legittimità la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti.
(Dichiara inammissibile il ricorso avverso sentenza del 11/12/2015 della CORTE APPELLO di ANCONA) Pres. SAVANI, Rel. CIRIELLO, Ric. Carloni
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 05/10/2017, (Ud. 11/05/2017) Sentenza n.45739
SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 05/10/2017, (Ud. 11/05/2017) Sentenza n.45739
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da CARLONI MATTEO nato il 26/12/1970 a PESARO;
avverso la sentenza del 11/12/2015 della CORTE APPELLO di ANCONA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ANTONELLA CIRIELLO;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore STEFANO TOCCI che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza dell’11 dicembre 2015, la Corte d’appello di Ancona ha confermato, per quanto qui rileva, la decisione del Tribunale di Pesaro del 6 ottobre 2014 che aveva condannato alla pena di quattro mesi di arresto e 1.800,00 euro di ammenda CARLONI MATTEO, per il reato p. e p. dall’
art. 256, comma primo, lett. a), b) e secondo del D.lgs. n.152/06, perché nella qualità di amministratore unico della ditta "Italsystem S.r.l." esercente attività di produzione e commercio di prefabbricati per mobili, realizzava un deposito incontrollato sul suolo di rifiuti pericolosi e non, in violazione all’art. 192, comma primo, del citato D.lgs, in quanto i rifiuti pericolosi, quali tubi fluorescenti e altri rifiuti contenenti mercurio, monitor fuori uso, imballaggi contenenti residui di sostanze pericolose, ceneri di caldaia, venivano sparsi a terra, intorno all’area dell’opificio ed esposti agli agenti atmosferici.
2. – Avverso tale sentenza proponeva ricorso l’imputato, per mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento.
2.1.- Con il primo motivo, deduceva la violazione di legge e il vizio di motivazione, in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, che non aveva tenuto conto che il deposito in questione rivestiva le caratteristiche di un deposito temporaneo che non superava limiti quantitativi volumetrici di cui all’
art. 183, lett. bb) del D.lgs. n.152/2006.
Deduceva, in particolare, il ricorrente che il superamento non risultava contestato e non emergeva dalla documentazione in atti, la quale al contrario provava che, nell’area di pertinenza della "Italsystem s.r.l." vi fossero dei quantitativi minimi di materiali, temporaneamente, stoccati per essere, poi, smaltiti nei termini di legge. Non sussisteva, invece la prova che vi fosse un deposito incontrollato, mentre i tubi fluorescenti al neon erano correttamente raccolti in un recipiente che ne preveniva il rischio anche solo potenziale di rottura e sversamento al suolo.
Inoltre, nella prospettazione difensiva, anche se i rifiuti rinvenuti nell’area di pertinenza della ditta potevano considerarsi rifiuti promiscui, qualificati sia come pericolosi che non, l’insieme degli stessi non si poteva definire "deposito incontrollato", ai sensi dell’art. 256, comma secondo, del citato D.lgs., in quanto non sarebbe stata mai raggiunta la prova che la commistione dei rifiuti di tipo diverso e il deposito dei rottami in ferro fosse avvenuta per un tempo superiore a quello consentito di legge per il caso di deposito preliminare, ai sensi dell’art. 256, comma primo, realizzato cioè in vista di successive operazioni di smaltimento.
Nella prospettazione difensiva, dunque, l’autorizzazione richiesta per il deposito temporaneo di rifiuti – che occorre solo nel caso di deposito preliminare – non sarebbe necessaria, nel caso di specie, atteso che non vi sarebbe stata alcuna finalità a tale attività di smaltimento che era, invece, demandata a terzi.
Pertanto potendo il produttore scegliere, alternativamente, di adeguarsi al criterio quantitativo ovvero a quello temporale, cioè, rispettivamente conservare i rifiuti per tre mesi in qualsiasi quantità, ovvero, conservarli per un anno, purché essi non raggiungano i limiti volumetrici previsti dall’art. 183, lett. bb), del D.lgs. n.152/2006, il deposito poteva essere considerato come temporaneo, integando al più una violazione amministrativa e non un illecito penale.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente ha dedotto l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e il vizio di motivazione, per non avere la sentenza impugnata considerato che non sono stati superati i limiti temporali annuali di cui al D.lgs. n. 152/2006.
La Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere sussistente il superamento del termine per il deposito annuale lecito – in mancanza di superamento dei limiti quantitativi – affermando che i rifiuti sarebbero stati smaltiti solo in data 22 giugno 2013, rispetto all’accertamento del 15 maggio 2012.
Dal punto di vista probatorio, infatti, risulterebbe per tabulas che -i rifiuti smaltiti nel maggio del 2012 – fossero diversi e successivi a quelli oggetto di accertamento, che erano stati, nelle more, autonomamente processati: non sussisterebbe, a tal proposito, alcuna identità, né qualitativa né quantitativa ed anche il teste dell’accusa avrebbe confermato la verifica di avvenuto smaltimento.
2.3.- Con il terzo motivo, il ricorrente ha dedotto l’erronea applicazione della legge penale per il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e l’omessa applicazione dell’art. 131-bis, cod. pen. e della sospensione della pena.
Sostiene la difesa che la Corte d’appello avrebbe errato nell’escludere il giudizio prognostico favorevole per l’imputato in ragione delle precedenti condanne, che, ottenute nell’esercizio dell’attività imprenditoriale dall’imputato, erano di modesta rilevanza e piuttosto risalenti nel tempo; avrebbe invece dovuto valorizzare a tale fine la corte la circostanza che l’imputato avrebbe, comunque, smaltito correttamente e spontaneamente tutti i rifiuti, a distanza di un solo mese di scadenza dal termine annuale.
Infine, sempre a giudizio della difesa, la Corte d’appello avrebbe potuto ritenere sussistente la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 131- bis, atteso che il superamento temporale sarebbe consistito in soli trenta giorni di ritardo dalla scadenza del termine annuale previsto dalla legge per lo smaltimento dei rifiuti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è manifestamente infondato, in quanto manca in esso ogni correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione. I motivi di ricorso sono sostanzialmente coincidenti con i motivi di appello e non una parola è spesa per confutare le argomentazioni del giudice di appello che ha – con dettagliata motivazione – rigettato tali motivi.
Infatti, la Corte territoriale nel riconoscere, correttamente, quanto dedotto nell’atto impugnato dal difensore, ovvero, che – in tema di rifiuti – il produttore possa alternativamente e facoltativamente adeguarsi al criterio quantitativo o a quello temporale, ovvero, possa conservare i rifiuti per non più di tre mesi in qualsiasi quantità, oppure possa conservarli per un anno purché non raggiungano (anche con riferimento ai rifiuti pericolosi) i limiti volumetrici previsti dalla norma di riferimento (D.lgs. n.152/2006, art. 183, lett. bb), ha, nondimeno, tenuto conto dell’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui l’inosservanza anche di una sola delle condizioni previste e imposte per il deposito temporaneo, trasforma, automaticamente, l’attività oggetto del deposito in illecita gestione dei rifiuti o in abbandono degli stessi, e pertanto, in una condotta a rilevanza penale. Va rammentato che è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute, anche implicitamente, infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici (cfr. sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 4, n. 256 del 18/09/1997, dep.1998, Ahmetovic, Rv. 210157; sez. 4, n. 44139 del 27/10/2015).
Nella specie, l’impugnata sentenza -unitamente a quella originaria (la cui motivazione si integra con quella del Giudice dell’appello, versandosi in ipotesi di sostanziale "doppia conforme")-, in realtà, ha reso compiuta ed esaustiva motivazione, come tale non meritevole di alcuna censura, in ordine a tutte le doglianze sollevate con l’atto di appello (cfr. sez. 4, n. 16390 del 13/02/2015).
4. Nel caso in esame, le doglianze già proposte attengono esclusivamente al fatto. Giova, qui, ribadire che, in ordine alla definizione dei confini del controllo di legittimità sulla motivazione in fatto può dirsi ormai consolidato il principio giurisprudenziale, ripetuto in plurime sentenze delle Sezioni unite penali, per il quale la Corte di cassazione ha il compito di controllare il ragionamento probatorio e la giustificazione della decisione del giudice di merito, non il contenuto della medesima, essendo essa giudice non del risultato probatorio, ma del relativo procedimento e della logicità del discorso argomentativo e rimanendo preclusa al giudice di legittimità la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti.
4.1. Quanto alla manifesta illogicità della motivazione, è consolidata in giurisprudenza la massima secondo cui la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito propone effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione è compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento.
Il ricorso per cassazione deve, infatti, rappresentare censura alla sentenza impugnata, criticandone eventuali vizi in procedendo o in iudicando; esso, quindi, non può consistere in una supina riproposizione delle doglianze espresse con l’appello, ma deve consistere in una critica alle ragioni in fatto o in diritto sulla cui scorta il secondo giudice ha ritenuto di dover disattendere il gravame (sez. 4 n.44139 del 27/10/2015).
4. 2. la motivazione della sentenza impugnata, appare adeguata anche con riferimento al superamento temporale per lo smaltimento dei rifiuti, affermando, non solo, che i rifiuti furono smaltiti in data 22 giugno 2013 e, quindi, oltre l’anno decorrente dall’accertamento del 15 maggio 2012, ma che lo stesso imputato produsse, in dibattimento, un foglio relativo a un precedente conferimento di rifiuti del 2011.
Ciò posto, essendo onere dell’imputato dimostrare la temporaneità della conservazione dei rifiuti – ponendosi come deroga alla norma sullo smaltimento – è, quantomeno, verosimile che tra il 2011 e il 2013 – come osservato correttamente dalla Corte d’appello l’imputato non abbia effettuato conferimento di ulteriori rifiuti, e pertanto, che i rifiuti (anche di natura pericolosa), oggetto dell’odierno processo, siano rimasti per ben più di un anno sul terreno.
4. 3. Per quanto concerne, poi, quanto è stato dedotto con il terzo motivo, ovvero, il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche (rectius della sospensione condizionale della pena, come sviluppato nel motivo) e l’applicazione dell’art. 131 bis, cod. proc. pen., anche in questa occasione, l’operato della Corte d’appello appare privo di censure.
La Corte territoriale ha fatto propri gli insegnamenti della Suprema Corte di legittimità, che afferma come: "in tema di diniego della concessione delle attenuanti generiche, la ratio della disposizione di cui all’art. 62 bis cod. pen. non impone al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo, invece, sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti; ne deriva che queste ultime possono essere negate anche soltanto in base ai precedenti penali dell’imputato, perché in tal modo viene formulato comunque, sia pure implicitamente, un giudizio di disvalore sulla sua personalità". (Sez. 2, Sentenza n. 3896 del 20/01/2016); quindi, coerentemente con il citato orientamento, proprio valutando i plurimi precedenti penali – recenti e specifici – in materia ambientale, ha effettuato un giudizio prognostico sfavorevole in capo al reo, con riferimento alla concessione delle dette attenuanti generiche e al beneficio della sospensione condizionale della pena.
Anche con riferimento alla mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis, la Corte d’appello ha fatto saggio uso degli insegnamenti di questa Corte, secondo cui: "la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, non può essere applicata ai reati necessariamente abituali ed a quelli eventualmente abituali che siano stati posti in essere mediante reiterazione della condotta tipica, (Sez. 3, Sentenza n. 48318 del 11/10/2016), attribuendo rilievo, nel caso di specie, alle plurime violazioni della normativa in materia ambientale, così come risultanti dal casellario giudiziale dell’imputato.
Giova, infine, rammentare che la valutazione dei vari elementi rilevanti ai fini della dosimetria della pena rientra nei poteri discrezionali del giudice il cui esercizio (se effettuato nel rispetto dei parametri valutativi di cui all’art. 133 c.p., come nel caso di specie) è censurabile in cassazione solo quando sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico. Ciò che qui deve senz’altro escludersi (sez. 2, n.45312 del 03/11/2015; sez. 4 n.44815 del 23/10/2015).
6. Conclusivamente, una volta accertata la legittimità e la coerenza logica della sentenza impugnata, deve ritenersi che il ricorso, nel rappresentare l’inaffidabilità degli elementi posti a base della decisione di merito, pone solo questioni che esorbitano dal limiti della critica al governo dei canoni di valutazione della prova, per tradursi nella prospettazione del fatto storico alternativa a quella fatta argomentatamente propria dai giudicanti e nell’offerta di una diversa (e per il ricorrente più favorevole) valutazione delle emergenze processuali e del materiale probatorio. Questioni, queste, che sfuggono al sindacato di legittimità (sez. 6, n.
13170 del 06/03/2012).
7. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (cfr. Corte costituzionale sentenza n. 186 del 2000) – al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in e 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di €.2000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, l’11 maggio 2017.