Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 6 Maggio 2016
Numero: 18952
Data di udienza: 5 Aprile 2016
Presidente: AMORESANO
Estensore: Gentili
Premassima
RIFIUTI – Terre e delle rocce di scavo – Verifiche del grado di contaminazione – Disciplina – Bonifica del sito – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Riesame delle misure cautelari reali – Sequestro probatorio – Richiesta di revoca del sequestro probatorio – Ricorso per cassazione – Nozione di “violazione di legge” – Motivazione meramente apparente – Artt. 127, 253, 325 c.1 e 263, c.5, cod. proc. pen. – Artt. 184-bis, 186 e 256 dlgs n. 152/2006.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 06/05/2016 (Ud. 05/04/2016) Sentenza n.18952
In tema di rifiuti, il mancato esperimento delle opportune indagini chimiche volte a verificare il grado di contaminazione delle terre e dei materiali per i quali è stato conservato il sequestro probatorio, a distanza di quasi un anno e mezzo fra il momento in cui il sequestro è stato disposto ed il momento in cui il Tribunale dà atto della omissione delle indagini in questione, rende ingiustificata la permanenza della misura cautelare, essendo questa strumentale all’esperimento di un’attività di indagine (che, nella specie, non era stata eseguita non certo per un comportamento colpevolmente ostruzionistico del ricorrente, il quale, anzi, si era premurato di fare eseguire analisi di parte, il cui contenuto non risulta essere stato neppure preso in considerazione nel provvedimento impugnato), costituendo siffatta omissione un ulteriore profilo di mancanza motivazionale della ordinanza stessa. In conclusione, in materia di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di “violazione di legge”, per la quale soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’
art. 325, comma 1, cod. proc. pen., rientrano non soltanto la mancanza assoluta di motivazione ma anche la presenza di motivazione meramente apparente (Cass., Sezione, III pen., 3/07/2015, n. 28241), per tale dovendosi intendere la motivazione che sia sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l’iter logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato (Cass. Sez. VI penale, 11/02/2013, n. 6589).
(annulla con rinvio ordinanza emessa dal G.I.P. Tribunale di Avellino del 28/4/2015) Pres. AMORESANO, Rel. GENTILI, Ric. Troisi
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 06/05/2016 (Ud. 05/04/2016) Sentenza n.18952
SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 06/05/2016 (Ud. 05/04/2016) Sentenza n.18952
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da: TROISI Pasquale, nato a Solofra (Av) il 19 agosto 1954;
avverso l’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Avellino del 28 aprile 2015;
letti gli atti di causa, la ordinanza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;
letta la requisitoria scritta del PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Mario PINELLI, il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità del ricorso o, in subordine, il suo rigetto.
RITENUTO IN FATTO
Il Gip del Tribunale di Avellino, con ordinanza resa in data 28 aprile 2015, ha solo parzialmente accolto la opposizione propostada Troisi Pasquale, in qualità di legale rappresentante della CORCOSOL Spa, avverso il provvedimento del precedente 6 marzo 2015 con il quale il Pm di tale medesima sede, nell’ambito di indagini in corso di svolgimento in ordine alla violazione dell’
art. 256 del dlgs n. 152 del 2006 ad opera del Troisi, aveva rigettato la istanza di dissequestro presentata di fronte a lui dallo stesso Troisi, nella predetta qualità, relativamente al compendio costituito da un capannone industriale avente la superficie di circa 800 mq, in disponibilità alla predetta Società e dai materiali, costituiti da circa 2.300 metri cubi di terreno di riporto, misto ad imballaggi di plastica, legno ed altri materiali, ivi depositati, già oggetto di provvedimento di sequestro adottato in data 14 gennaio 2014.
In particolare il Gip aveva disposto il dissequestro del capannone, subordinatamente al trasferimento, da compiersi sotto il controllo dei CC di Solofra e dell’Arpac di Avellino, di quanto in questo contenuto, sul quale il provvedimento era mantenuto, all’interno di un altro capannone industriale al adiacente a quello liberato.
Avverso tale provvedimento ha presentato ricorso per cassazione il Troisi, nella spiegata qualità, articolando quattro motivi di impugnazione.
Col primo di essi è stata dedotta la violazione di legge in ordine alla qualificazione dei materiali depositati all’interno del capannone della CORCOSOL come rifiuti e non come sottoprodotti, in attuazione del dettato di cui al combinato disposto degli
artt. 184-bis e 186 del dlgs n. 152 del 2006.
Col secondo motivo il ricorrente ha eccepito, sempre sotto il profilo dell’
art. 606, comma 1, lettera b), cod. proc. pen., la violazione del dm n. 161 del 2012, che reca la disciplina dell’utilizzazione delle terre e delle rocce di scavo, nonché degli
artt. 184-bis, commi 1 e 2, lettera e), e 256 del dlgs n.152 del 2006.
Con il terzo motivo è dedotta la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato nella parte in cui, pur essendosi dato atto nel provvedimento del fatto che, per ragioni non dipendenti dalla inerzia dell’indagato, non risultano essere stati eseguiti dall’Arpac i necessari controlli onde poter affermare che i materiali depositati entro il capannone de quo non presentino le caratteristiche per potere essere qualificati come terre e rocce da scavo.
Infine con l’ultimo motivo di impugnazione è dedotta la mancanza di motivazione in relazione alla sussistenza degli elementi che, pur non risultando che i materiali in questione presentano i requisiti per essere definiti rifiuti, giustificano la permanenza del provvedimento cautelare reale in discorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, fondato nei sensi di cui in motivazione, deve, pertanto, essere accolto per quanto di ragione.
Va preliminarmente osservato che, secondo quanto risulta dagli atti, in data 14 gennaio 2014 è stato eseguito, all’esito di un sopralluogo compiuto da militari dell’Arma e da tecnici dell’Arpac di Avellino, il sequestro di un capannone di circa 800 mq di superficie e di quanto in esso contenuto; in particolare con riferimento a tale materiale, esso è risultato essere costituito da circa 2.300 metri cubi di terreno, misto ad imballaggi di plastica, legno ed altro, frutto della attività di scavo eseguita nel piazzale antistante lo stabilimento CORCOSOL di Solofra e della estrazione del terreno ivi presente, attività, oggetto delle prescritte autorizzazioni pubbliche e svolta in conformità ad esse, finalizzata alla bonifica del sito, in quanto lo stesso è stato riscontrato essere caratterizzato dalla presenza di rifiuti ivi interrati.
Da quanto emerge ulteriormente dagli atti, il predetto sequestro è stato disposto ai sensi dell’
art. 253 cod. proc. pen., trattandosi, pertanto, di sequestro probatorio, finalizzato ad assicurare la immutabilità delle caratteristiche chimico fisiche del predetto materiale, onde consentire lo svolgimento di esso, o meglio su campioni di esso, delle necessarie attività di analisi destinate ad accertare la natura del materiale stesso.
Attività di indagine, si precisa, che appaiono strumentali alla verifica della sussistenza del fumus commissi delicti a carico dell’attuale ricorrente.
Di tale specificità tipologica del provvedimento di sequestro in atto è inequivocabile indice la forma del procedimento seguito dal Gip di Avellino onde giudicare in merito alla opposizione proposta avverso il rigetto della richiesta di dissequestro indirizzata dall’attuale ricorrente al Pm procedente e da questi, appunto, disattesa con decreto del 6 marzo 2015.
Avendo, infatti, il Gip disposto la comparizione delle parti ai sensi del combinato disposto di cui agli
artt. 127 e 263, comma 5, cod. proc. pen., risulta chiaro che gli organi procedenti hanno inteso qualificare il sequestro in questione come sequestro probatorio, dato che le disposizioni richiamate disciplinano, espressamente, la opposizione avverso il provvedimento con il quale, il Pm nel corso delle indagini abbia respinto la richiesta di revoca del sequestro probatorio e di restituzione agli aventi diritto dei beni assoggettati alla misura.
Tanto premesso, osserva, tuttavia, il Collegio che, con riferimento alla possibilità di impugnazione di fronte alla Corte di cassazione del provvedimento con il quale il Gip abbia, a sua volta, respinto la opposizione avverso il rigetto della richiesta di revoca del sequestro probatorio (essendo, peraltro, il ricorso per cassazione l’unico strumento impugnatorio esperibile nei confronti di una siffatta decisione; in tale senso, infatti, si veda di recente: Corte di cassazione, Sezione II penale, 27 ottobre 2015, n. 43431), valgono gli stessi limiti previsti dall’
art. 325, comma 1, cod. proc. pen. per il caso della impugnazione di fronte al giudice della legittimità del provvedimento con il quale è stata rigettata la richiesta di riesame ovvero di appello avverso altro provvedimento cautelare reale (cfr. per tutte: Corte di cassazione, Sezione IV penale, 17 ottobre 2014, n. 43480).
Va, altresì, ribadito che, sempre per costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di “violazione di legge”, per la quale, come detto, soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’
art. 325, comma 1, cod. proc. pen., rientrano non soltanto la mancanza assoluta di motivazione ma anche la presenza di motivazione meramente apparente (Corte di cassazione, Sezione, III penale, 3 luglio 2015, n. 28241), per tale dovendosi intendere la motivazione che sia sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l’iter logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 11 febbraio 2013, n. 6589).
Ciò posto osserva la Corte che la ordinanza del Tribunale di Avellino appare essere effettivamente caratterizzata dalla mancanza di qualsivoglia argomentazione- che tanto più sarebbe stato necessario esporre attesa la ricordata tipologia del provvedimento cautelare che ha formato oggetto del provvedimento impugnato – in ordine al mancato svolgimento da parte degli organi tecnici della Regione Campania, o comunque da parte degli ausiliari del Pm, delle opportune indagini chimiche volte a verificare il grado di contaminazione delle terre e dei materiali per i quali è stato conservato il sequestro; in realtà il mancato esperimento di tali indagini, a distanza di quasi un anno e mezzo fra il momento in cui il sequestro è stato disposto ed il momento in cui il predetto Tribunale, con la ordinanza ora impugnata, dà atto della omissione delle indagini in questione, rende apparentemente ingiustificata la permanenza della misura cautelare, essendo questa strumentale all’esperimento di un’attività di indagine che, come puntualmente segnalato dal Tribunale irpino, sinora non è stata eseguita non certo per un comportamento colpevolmente ostruzionistico del ricorrente, il quale, anzi, si è premurato di fare eseguire analisi di parte, il cui contenuto non risulta essere stato neppure preso in considerazione nel provvedimento ora in scrutinio, costituendo siffatta omissione un ulteriore profilo di mancanza motivazionale della ordinanza stessa.
In accoglimento, pertanto, del quarto motivo di impugnazione, restando assorbiti i restanti motivi, la ordinanza impugnata, priva di motivazione in ordine alla persistente necessità di mantenimento del provvedimento oggetto della originaria istanza di restituzione presentata dal Troisi al Pm di Avellino, considerata anche la apparente intervenuta consumazione del termine per lo svolgimento delle indagini preliminari, deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Avellino che, in diversa composizione personale, rimotiverà, in conformità alla indicazioni dianzi formulate, in relazione alla attuale sussistenza delle ragioni che giustifichino il permanere della misura cautelare in atto.
PQM
Annulla la ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale di Avellino.
Così deciso in Roma, il 5 aprile 2016